*Ci
siamo ancora. In questo capitolo ci dedichiamo a Don e Colby che
seguono Jason insieme ad altre unità di agenti. Spazio per la quiete
prima della tempesta, spazio per parlarsi, per un po' di confidenze e
per capire meglio alcuni episodi del passato che li hanno segnati. La
situazione è ad alta tensione e pur rimanendo totalmente concentrati
sulla missione, non possono evitare di capirsi meglio. Buona
lettura. Baci Akane*
23. COMPRENDERE GLI ASSASSINI
Don stringendo gli occhi cercava
di rispondersi mentre ricordava il caso di Buch e Crystal, quando lui
era scappato dalla prigione dirigendosi verso di lui. Si era
preoccupato di farglielo sapere a distanza in modo che si preparasse.
Per tutti era stato ovvio il
motivo, Don aveva sentito un vago fastidio crescergli dentro. Si era
estraniato. Aveva lasciato il caso a David, non aveva mai collaborato.
Charlie si era preoccupato al punto da parlarne con Colby e Colby gli
aveva risposto che non avrebbe mai permesso che nessuno mettesse un
dito su Don.
‘Ma gli hai parlato? A te ha detto nulla?’
Colby aveva risposto di no.
‘Perché tanto non mi risponderebbe. Posso solo essere la sua ombra silenziosa.’
E Colby era sempre stato questo per lui. La sua ombra silenziosa.
- Come hai capito che Buch non voleva ucciderti, ma voleva che tu uccidessi lui perché tu avevi ucciso la sua ragazza? -
Chiese Colby come se percepisse i suoi pensieri, immerso in quel tempo così intimo a modo suo.
Don si riscosse rallentando perché Jason stava rallentando a sua volta a causa del traffico per uscire dalla città.
- Ha fatto scegliere a me il
luogo del nostro incontro. Quando un agente sceglie un posto per
incontrare un criminale in un faccia a faccia, sceglie sempre il
migliore per poter nascondere i propri agenti. Questo significava
arrivare davanti a me con migliaia di pistole puntate contro e lui lo
sapeva e l’ha fatto lo stesso. Sapeva che sarebbe morto. Era quello che
voleva. -
- Però il fatto che avesse
cercato te ti ha fatto capire che voleva che comunque fossi tu a
premere il grilletto. - Concluse Colby capendo, nonostante ci fosse
ancora qualcosa che voleva chiedergli. Non ne avevano mai parlato. Don
non ne aveva parlato con anima viva, nemmeno Robin. Si era chiuso e
basta e nessuno aveva osato superare la soglia del suo muro.
Adesso Colby gli faceva quelle domande e lui, semplicemente, rispondeva.
- Amare più del desiderio di
vendicarsi. - Rifletté Don ad alta voce, dicendo finalmente quello che
l’aveva colpito maggiormente di quel ragazzo così folle da ammazzare
incontrollato chiunque incontrasse sul suo cammino, ma non Don che
aveva ucciso la sua donna, l’unica persona mai amata.
Colby lo guardò non avendo gli occhi impegnati a guidare e si perse nel suo sguardo penetrante, pensieroso.
- L’hai capito prima? - Era una
delle sensazioni che aveva avuto. Don non se la prese, non si chiuse.
Era Colby, lui poteva fargli domande, a lui rispondeva volentieri. In
qualche modo non gli dava fastidio.
- La verità? - Lo guardò
brevemente e con un sorrisino colpevole tornò alla strada: - Sì. Al
telefono. Mi ha spedito un telefonino predisposto per parlare con lui.
Per tutti quei minuti interminabili potevo rintracciarlo, a lui non
importava. E non solo. Ma mi ha parlato di quanto gli mancava lei, di
quel che provava per lei e del fatto che noi non avevamo mai capito
cosa li legava. E di cosa provava ora ad averla tradita per via delle
torture ordinate da me per farlo parlare. - Colby ricordava bene il
caso. Don aveva catturato Buch e Crystal, la sua donna, aveva rapito
Megan. Così Don aveva fatto torturare Buch da Ian, Buch aveva parlato e
rivelato dove la teneva. Però questo l’aveva divorato al punto da
macinare una fuga elaborata dalla prigione. Non per vendicarsi, ma per
ricongiungersi a lei.
- Lui l’aveva tradita, mi ha
parlato a lungo di questa cosa. Per colpa mia lui ha tradito lei ed io
poi l’ho uccisa. Lui non si sentiva di meritare di vivere, sentiva di
meritare di morire, ma voleva sentirsi più vicino a lei ed io ero
l’unico collegamento rimasto con la donna che amava. Sì Colby, l’ho
capito al telefono. Per questo non ho detto nulla subito. Dovevo
riflettere. - Colby lo guardava ancora e senza capire gli chiese
aggrottato:
- Su cosa? -
- Se ucciderlo e accontentarlo o meno. - Colby sapeva come era andata, era stato presente, l’aveva sentito.
Don aveva scelto di non uccidere
Buch perché con Crystal non aveva avuto scelta, ma con lui sì e non
doveva farlo, non serviva. Perché per quanto orribile, ogni vita aveva
valore.
- Non ho mai tolto vite alla
leggera. In quel periodo, però, meno di sempre. - Ammise infine come
percependo i pensieri di Colby che silenzioso annuì.
- Sei un grande esempio, Don. -
David, Charlie, suo padre, Robin, tutti in quell’occasione l’avevano
rimproverato per la sua mancanza di apertura e comunicazione. Colby non
gli aveva ma detto nulla ed anzi ora gli diceva che era un grande
esempio.
Colby lo aveva capito. Sia quella volta che ora.
Don si sentì leggero, lo guardò veloce e sorrise un istante.
Poi dalla radio aperta sul
canale per le quattro unità coinvolte nell’inseguimento a staffetta, la
voce dei Gamma comunicò che era uscito dalla città e si dirigeva verso
una zona boscosa piuttosto nota.
Don ordinò all’unità Alpha
sostituirsi alla Gamma e come concordato in precedenza, pronti a
subentrare, lasciarono indietro i colleghi.
- A tutte le unità. Seguire il
soggetto a distanza. - Disse sentendo vicino il momento dell’incontro.
Conosceva quella zona boscosa in questione, era piena di animali liberi
e di rifugi, non distava molto.
- Se il padre era cacciatore
probabilmente andavano a cacciare insieme, gli avrà insegnato come si
fa e gli avrà trasmesso la passione per quello. - Disse Colby.
- E nel frattempo abusava di
lui. - Concluse criptico Don, schifato da quanto meschine
potessero essere le persone. Se ne stupiva sempre.
- Avranno un rifugio di caccia.
- Ipotizzò Colby sentendo sempre più vicino il momento in cui avrebbero
fermato tutto quell’orrore. - Ci siamo vicini, Don. Lo stiamo per
fermare. - Aggiunse sicuro, fissando lo sguardo sulla strada che
stavano imboccando anche loro, insieme ad altre due unità di agenti.
Ma Don era già avanti. Don era
alla fase successiva. Jason sarebbe arrivato al rifugio con l’auto, ma
loro non potevano di certo farlo. Serviva una strategia a
distanza, discreta, per trovarlo senza insospettirlo e farlo scappare.
- Quando lui imbocca la strada
che porta dentro il bosco, dobbiamo fermarci lì e proseguire a piedi. E
sbrigarci prima che venga buio. Abbiamo un paio d’ore per seguire le
tracce e trovare il rifugio. Lui non deve scappare! -
Colby prese la pistola e controllò che fosse tutto a posto, poi dal cruscotto prese sufficienti caricatori e la torcia.
- Si va a caccia. - Rispose deciso, quasi felice. Ormai erano vicini, lo sentiva.
Quello che sentiva Don era un
po’ diverso invece. Che erano vicini era vero, ma fra lui e loro c’era
un bosco di mezzo e la necessità di non farsi assolutamente sentire per
non fargli accelerare i tempi d’esecuzione.
“Se ci sente, se ci vede, se facciamo un minimo rumore e lui ci nota, per Tyler è finita. Questa volta non possiamo sbagliare.”
Don accostò dietro la prima unità di controllo, poco dopo anche le altre macchine si fermarono dietro di loro.
Prima di scendere e cominciare a
dare ordini agli altri, Don guardò Colby come se sentisse qualcosa,
come se il proprio istinto gli parlasse ed ormai comunicava fin troppo
bene con lui per non dargli retta.
- Ricorda sempre una cosa,
Colby. - Colby lo guardò serio, il tono e lo sguardo erano
particolarmente intensi, capì che aveva una sensazione. Il sole ancora
alto li illuminava carezzando il loro viso con dolcezza. - Non importa
chi sono, cosa hanno fatto, da quale patologia sono affetti e a quale
orrore hanno dato vita. Vogliono essere capiti. Tutti loro. Dal primo
all’ultimo. Sempre. Loro vogliono solo essere compresi. Non importa se
ne hanno ammazzati mille, se li mangiano, se martoriano. Loro vogliono
solo essere capiti. E se vuoi arrivare a loro, è questo l’unico modo. -
Colby ricordò il caso di Mason, il caso di Buch, il proprio, quando
tutti lo credevano una spia. E poi molti altri casi a cui avevano
lavorato, casi difficili, dove c’era solo da sbattere la testa contro
il muro.
Non solo Don aveva sempre
mantenuto il sangue freddo e la lucidità quando tutti impazzivano, ma
aveva risolto tutto riuscendo ad entrare nelle loro teste, a capirli.
In un modo o nell’altro, sempre.
Colby rabbrividì, come se ora sentisse anche lui quella sensazione.
Don non aveva mai istruito di prima mano, aveva sempre creduto nell’esempio, nella pratica, nei tentativi.
Quando David aveva chiesto di
diventare supervisore di una squadra, Don non l’aveva addestrato ed
istruito. L’aveva messo a dirigere delle operazioni. Aveva controllato,
gli aveva dato delle dritte se proprio necessitavano, ma mai insegnato.
- Andrà tutto bene, Don. - Disse
Colby serio, cercando disperatamente una battuta per alleggerire la
situazione. Non trovandola, gli mise una mano sul ginocchio, quel
contatto li riscaldò più del sole che picchiava contro il vetro.
Poi scesero.
- Ok, è entrato da un po’ per il
sentiero, arriverà certamente ad un rifugio di caccia. Proseguiamo a
piedi seguendo le tracce dell’auto, quando intravediamo il posto ci
divideremo e lo circonderemo. Dobbiamo essere silenziosi, veloci ed
efficaci. Se scappa lo perdiamo, questi boschi li conoscerà meglio lui
di noi. -
In tutto erano otto agenti
federali addestrati per le operazioni sul campo, di quelli, quattro
erano Don, Colby, Nikki e Liz. Otto per un uomo doveva essere
sufficiente, ma aveva avvertito la centrale comunicando cosa stava
succedendo e dove erano e di tenere pronti agenti di sostegno in caso
di emergenza.
Don diede ultimi ordini ed indicazioni, poi si incamminarono in silenzio.
Avevano un solo colpo in canna, se l’avessero sbagliato sarebbe stata la fine.
Inoltrati nel sentiero sterrato
del bosco, riserva di caccia al limite est di Los Angeles, il sole si
nascose fra le fronde molto presto.
Don e Colby erano in testa, le
mani pronte sulle pistole, i passi leggeri e veloci nella speranza che
il rifugio non fosse troppo inoltrato nel bosco.
Silenziosi fissavano per terra e
poi davanti a loro, assottigliando lo sguardo alla ricerca di qualche
segno, di qualche movimento lontano, di qualunque cosa che potesse
significare qualcosa per loro, a cui dovessero porre attenzione.
“Eppure l’ha fatto anche con me.”
Pensò Colby riferendosi al modo in cui Don si infilava nella mente dei criminali.
“Solo che a me lo lasciava fare
con le vittime. Ci sono stati molti casi in cui ho empatizzato con la
vittima se questa aveva qualcosa in comune con me, gli chiedevo spazio
per indagare per conto mio, perché avevo una certa sensazione e lui mi
guardava tutte le volte con quello sguardo penetrante e poi senza
chiedere annuiva e mi dava spazio, tutto quello che volevo, senza
discutere. La fiducia che ha sempre avuto in me è qualcosa che non
posso dimenticare, che mi ha segnato nella mia scelta di rimanere qua.”
Colby aveva ricevuto molte
offerte per andare a lavorare nella divisione dello spionaggio o alla
CIA. La missione conclusa con successo durata ben più di due anni,
aveva fatto il giro di molti pezzi grossi.
Aveva sempre rifiutato deciso.
Lì aveva tutto quello che voleva, che gli serviva.
Pace, tranquillità, un lavoro
che gli piaceva con gente che gli piaceva, con cui stava bene. Lì era
capito. Non aveva rogne, non aveva casi dove finiva per essere meschino
per qualcuno. Lì sapevano già tutto di lui e l’avevano perdonato.
“L’hanno fatto molto prima di me.”
Pensò a quel punto proseguendo
nelle curve del sentiero che saliva su una collina a tratti ripida. In
certi punti era proprio buio nonostante il sole ancora sufficientemente
alto.
Lì stava bene perché aveva
responsabilità limitate, doveva solo eseguire gli ordini, lavorare con
qualcuno di cui si fidava ciecamente, totalmente ricambiato e al tempo
stesso non era noioso. Un lavoro di utilità e d’azione, ma non dove ci
si sporcava le mani rischiando di tradire e deludere.
“Anche se ora essere il suo
braccio destro mi fa effetto. Se non è una grande responsabilità
questa… quella volta che è stato ferito io sono impazzito, stavo
facendo seriamente male al nostro indiziato per avere delle risposte,
per vendicare Don. È stato David a farmi vedere la differenza. Io
volevo vendicare Don, ma noi eravamo lì per fare giustizia. Non
riuscivo a controllarmi sebbene sono sempre stato bravo in questo,
molto bravo. Ho sempre i nervi saldi, ma quella volta…”
Colby lanciò un’occhiata a Don
al suo fianco, largo di un paio di metri. Era molto concentrato, forse
era già nella testa del loro assassino, stava pensando a cosa dirgli
quando l’avrebbero trovato.
Gli avrebbe coperto le spalle a
tutti i costi. Era lì principalmente per quello, punto e basta. Lo capì
e lo accettò in un attimo.