*Ecco
un altro capitolo. Lo scorso abbiamo appreso che Don è stato rapito ed
abbiamo visto come se la passa, le sue elucubrazioni mentali. Adesso
vediamo come sta Colby e come affronta il rapimento di Don. Non è un
capitolo molto lungo perchè sono di passaggio sia questo che il
precedente. Ma finalmente si scopre l'identità del killer. Buona
lettura. Baci Akane*
27. CAMBIO DI SCETTRO
"Si Io non sono Un esempio a cui andar dietro La pillola che ho
ingoiato è dura da mandar giù Io non sono un criminale Non sono un
modello da seguire Non sono un leader nato Sono uno duro da seguire"
- Linkin Park - When they come for me -
La testa batteva. Era come avere un martello pneumatico dentro il cranio.
Gli ci volle un po’ per capire che il martello pneumatico era la porta di casa che qualcuno cercava di buttare giù a pugni.
Colby si trascinò faticosamente
giù dal letto, confuso e dolorante. Gli sembrava che una mandria di
bufali gli fosse corsa sopra.
Si trascinò alla porta e l’aprì per ritrovarsi il viso delle sue due colleghe preoccupate ed esasperate.
- Era ora Granger! Cosa hai
bevuto? Ti sembrava il caso? - Nikki e Liz entrarono di gran carriera
lasciando Colby inebetito alla porta che si teneva la testa che ancora
voleva esplodere.
- Che diavolo… ma la sveglia? - Era ancora confuso e non riusciva a realizzare che quello stato non era normale.
- Don? - Chiamarono.
- Don, possibile che anche lui
sia rimasto addormentato? Bussavamo da un sacco, siete in ritardo di
un’ora sulla tabella di marcia! Don voleva interrogare Tyler di prima
mattina e poi organizzare le indagini di oggi, ci sono novità sul posto
di provenienza del killer… - Liz spiegava mentre cercava le tracce di
Don nel salotto, poi l’occhio le cadde in camera. Il letto era disfatto
da entrambi i lati. E si zittì drizzandosi.
- Avete dormito insieme? -
Chiese Nikki senza scrupoli. Colby se ne ricordò a sua volta, così come
ricordò che Don aveva dormito con lui, che avevano parlato e che
finalmente si erano decisi a provare a stare insieme sul serio.
E poi, in un istante, un micro secondo, dalle stelle finì subito in un buco nero, risucchiato e disintegrato.
- Un momento, non è a letto? - Chiese Colby sentendo silenzio e nessuna voce tuonante che diceva di farsi gli affari propri.
Così fu lui a precipitarsi, sbattendo contro la porta e l’armadio, in bagno. Vuoto. Nessuna traccia di Don in casa. Ansia.
- È uscito senza svegliarmi? Ha preso la mia macchina? - Le ragazze si guardarono preoccupate, come prima di venire lì.
- No, è qua. Siccome non
rispondevate alle chiamate abbiamo tracciato i vostri telefoni, visto
che eravate qua ci siamo preoccupate del ritardo, così siamo venute a
vedere. La tua macchina è qua fuori… - Nikki finì per Liz.
- Ed anche tutti i suoi effetti personali. Telefono, portafoglio, distintivo, vestiti… -
A quel punto realizzarono che
Colby era in biancheria intima. Si stranirono subito, fissando i
vestiti di Don e la versione attuale di Colby, poi il letto disfatto.
Infine furono attirate dal dolore lancinante che Colby continuava ad
avere alla testa che si sfregava lamentandosi, lottava con questo e con
l’ansia crescente. Qualcosa era andato storto, qualcosa di così grande,
di così grave. Dal martello pneumatico, passò alla bomba atomica,
quando capì cosa gli stavano dicendo, cosa era successo proprio sotto
il suo naso, proprio nel suo letto, in casa sua. Lì, con lui. Dio, ma
come era potuto succedere?
E poi la testa dolorante gli diede quella risposta.
“Chissà cosa mi ha iniettato mentre dormivo!”
- Ma Granger, avete bevuto sul
serio? - Chiese Nikki distratta dai vestiti dei due e dal letto
disfatto. Per lei era l’unica conclusione ovvia, visto che era troppo
immaginarli insieme in altre vesti. Liz invece non ebbe problemi a
vederli in quei panni ed inarcando il sopracciglio disse maliziosa:
- O magari vi siete calati
troppo nella parte? - Nikki non capì cosa intendesse, ma Colby sì e le
lanciò un’occhiataccia sforzandosi di ritornare lucido e controllare il
panico che voleva bloccarlo ed inchiodarlo dove era. Si infilò in bagno
per una doccia fredda e in quello cominciò a gridare in direzione delle
ragazze:
- Liz lancia l’allarme, Don è
stato rapito! Deve averci seguito dal bosco e ci ha messo fuori gioco
mentre dormivamo. Ci avrà iniettato chissà quale sedativo! - Disse ad
alta voce senza rendersi conto che stava per la prima volta sul serio
facendo il capo di una squadra, cosa che aveva sempre rifiutato di fare
a tutti i costi. Aveva socchiuso la porta mentre si spogliava e si
infilava sotto il getto freddo che lo fece gridare. - Merda, e sì che è
venuto a dormire qua proprio per evitare questa eventualità! Lo
sapevamo che avrebbe tentato, ma pensavamo che non arrivasse ad
attaccare due agenti da solo! - Il panico minacciava di divorarlo
ancora, mentre il nervoso e la rabbia stavano togliendogli la lucidità
necessaria per continuare a gestire quell’emergenza. Ma era stato
rapito Don, DON, non uno qualunque. E proprio sotto il suo tetto, al
suo fianco. Come poteva perdonarselo? Come poteva semplicemente
prendere e gestire la situazione come niente?
Si chiese come ci riusciva Don, se lo chiese in quel momento più che mai.
- Chi ci dice che sia solo? -
Chiese Liz mentre guardava in giro per casa, chiudendo il telefono dopo
aver dato l’allarme di rapimento di Don. In casa lei e Nikki cercavano
tracce del passaggio del loro assassino e rapitore.
Colby uscì dal bagno con un
asciugamano alla vita, teso, grigio e nervoso più che mai. Nikki in
camera si fermò dal guardare per terra vicino al letto, alzò le
sopracciglia e piegò la testa di lato con aria ammirata dalla visione
del collega mezzo nudo e bagnato. Di certo la miglior visione della
giornata.
Colby si fermò con le mani al nodo dell’asciugamano che stava per togliersi per vestirsi, ritornando brevemente in sé.
- Ehi, ti dispiace? - Disse seccato indicando di lasciarlo un attimo solo.
- In realtà sì, ma se insisti… -
Rispose spontanea lei, ironica. Colby scosse il capo interdetto, ma
appena solo si spogliò, si asciugò e si vestì mentre l’adrenalina
fluiva e la testa si riattivava su dati e considerazioni.
- Se erano due non mi avrebbe
dato un sedativo. Mi avrebbero messo fuori gioco in un altro modo,
magari ucciso. Usi un sedativo quando sei solo e non puoi mettere in
allarme l’altro. Non puoi perdere tempo e fare casino ammazzando uno
dei due sotto mira, anche se usi la pistola, e non è l’arma preferita
del nostro killer, fai rumore e l’altro si sveglia e rischi di non
poterlo prendere, anzi che reagisca e ti fermi. Due agenti addestrati
non li sfidi così, li metti fuori gioco nel modo più veloce ed efficace
possibile. Silenziosamente. Con un sedativo. Ha aspettato che
dormissimo. - Sottolineò allacciandosi i jeans. - E poi un complice
sarebbe spuntato fuori nel rifugio quando l’abbiamo incontrato. -
Concluse infilandosi velocemente una maglia. Esitò un momento prima di
uscire dalla camera e tornare da loro che aspettavano altre
indicazioni. Guardò il letto dove avevano dormito insieme, dove le loro
pelli si erano sentite tutta la notte, dove le loro mani si erano
toccate dolcemente senza esitare. Ricordò il bacio che si erano dati,
il modo in cui l’aveva tirato giù con sé.
Era un rischio stare insieme per due come loro, ma era ora di provarci, lo desideravano da troppo tempo.
E la prima prova arrivava già nemmeno un giorno dopo.
“Lo salverò. Questa volta sarò
io a salvare lui.” Come ricordava sempre quando Don aveva deciso di
andare su quella barca, quel giorno, e provare a vedere se era davvero
corrotto o se invece era dalla parte dei buoni.
“Ero solo, il mio agente di
riferimento che mi aveva messo in missione sotto copertura era morto,
non avevo prove concrete della mia innocenza, i fatti dicevano che ero
una spia dei cinesi. Ero fregato, fottuto. Non me la sarei mai cavata
senza il mio capo, ucciso. E tutto diceva che ero colpevole. Ma ho
preso il telefono e gli ho detto tutto. A Don. Anche se non poteva
credermi, non aveva motivo di farlo, l’avevo tradito in ogni caso, sia
nel bene che nel male. Non aveva motivo di credermi, ma lui era la mia
unica opzione. Solo lui poteva aiutarmi, solo lui poteva credermi. Solo
lui era la mia unica speranza. Che facesse la cosa giusta. Ho messo la
mia vita nelle sue mani. E mi ha salvato. Alla fine mi ha creduto e mi
ha salvato la vita. Ora io salverò la sua. In un modo o nell’altro non
mi fermerò finché non l’avrò salvato.”
Si morse il labbro, strinse i pugni, poi respirò a fondo ed infine uscì.
Nikki e Liz lo aspettavano senza nulla di fatto in mano, non c’era traccia se non nella porta forzata.
- Non è una porta blindata, è
una porta normale, non era difficile da aprire. - Constatarono uscendo,
portando gli effetti di Don come prova del suo rapimento.
Fuori casa i tre si fermarono
guardandosi per capire cosa avrebbero fatto ora, le due ragazze
fissarono Colby in attesa, senza rifletterci. Non era stato nominato
ufficialmente il vice di Don, ma lo era per anzianità. E poi l’aveva
appena fatto. L’aveva fatto anche in altre occasioni, per altri casi,
se c’era stato bisogno di sostituire Don per svariati motivi, lui
l’aveva fatto senza problemi. Magari a volte si erano divisi i compiti
più rognosi delle indagini, si erano separati e Colby aveva comandato
qualcuno e Don l’altra metà. Era capitato.
Ma lì proprio pochi minuti prima l’aveva fatto, Colby aveva comandato senza esitazione.
- Intanto cosa sappiamo di lui
dalle indagini fatte? - Chiese Colby realizzando che avevano delle
informazioni ancora da scandagliare.
Liz se ne ricordò e andando alla
propria auto, prese il fascicolo con cui era uscita e aprendolo
cominciò ad aggiornarlo e a spiegargli quello che era venuto fuori,
mostrandogli le foto trovate e gli articoli di giornale stampati che
parlavano della questione, i rapporti relativi alle indagini svoltesi
all’epoca e tutto quello che era stato trovato.
- La famiglia Carver era
composta da Emily e Josh, più il figlio Max. Avevano una fattoria non
molto lontano dal bosco che è riserva di caccia, dove l’abbiamo quasi
preso. La zona è adiacente al quartiere di Tyler, Dylan e Colton, non
il migliore di Los Angeles. Max ha frequentato le loro scuole, poi si è
messo a lavorare con la famiglia. La compagnia per la quale lavorava
Colton l’anno della scomparsa di Dylan, riforniva la fattoria coi
loro prodotti. Nel 14 marzo del 97 [la storia che scrivo è ambientata
nel 2011, perché Numb3rs è finito nel 2010 e le serie erano sempre
aggiornate sul corrente anno. NdAka] Max venne portato in ospedale per
un incidente in fattoria nel quale perse le due dita della mano. Al
pronto soccorso ha raccontato che stava aggiustando un macchinario, ma
non è stato molto preciso e il chirurgo che lo ha operato ha voluto
scrivere che sembrava un taglio netto procurato da un coltello da
carne, non un frullaggio. - Colby scosse il capo chiudendo gli occhi,
la storia era molto chiara, non poteva negarlo.
- Li ha uccisi lui? - Chiese
volendo andare alla conclusione, sbrigativo, alla Don Eppes. Liz si
strinse nelle spalle e mostrò anche l’articolo di giornale che mostrava
la foto dell’incendio, su di essa gli mise quelle dei vigili del fuoco,
quando poi avevano fatto la consueta indagine per stabilire la causa
dell’incendio con la quale poi il perito aveva assegnato il premio
dell’assicurazione spettante.
- Un giorno d’estate del 2001,
la fattoria intera ha preso fuoco con i genitori dentro, Max aveva 27
anni, se l’è cavata con alcune ustioni, era presente, ha dichiarato di
aver cercato di salvare i suoi. Sembrava una fuga di gas, non hanno
trovato dolo e così lui non è stato accusato, al contrario ha ereditato
una bella somma di denaro con la quale, se usata con testa, avrebbe
potuto campare per un bel po’ di anni, anche dieci volendo, è
plausibile. Risulta che li ha incassati e poi è sparito dalla
circolazione. Il pronto soccorso dichiara che le sue ustioni non erano
gravi, la prognosi è stata breve, dalle foto si capisce che può essere
guarito del tutto negli anni. Non esiste nulla a nome suo a parte
l’atto di nascita, la patente e il premio dell’assicurazione.
Nessun conto, nessun contratto, nessuna firma, nessuna proprietà. Dai
primi di settembre del 2001 lui è semplicemente sparito dal mondo. Non
ci sono confronti da fare con DNA e impronte trovate nel furgone e al
rifugio, anche se incidono fra di loro non possiamo dire che sono sue.
- Con questo Liz concluse rimettendo tutto nel fascicolo e chiudendolo,
in attesa degli ordini di Colby che serio e concentrato aveva ascoltato
tutto.
Colby rifletté brevemente,
assimilò tutto, poi annuendo prese un profondo respiro ed infine
cominciò con gli ordini, il tono perentorio alla Don fu del tutto
naturale.
- Io vado in ospedale a parlare
con Tyler, Nikki parla con Colton Martin, parlagli di Max Carver,
rinfrescagli la memoria e vedi se si ricorda di lui, erano a scuola
insieme, consegnava nella sua fattoria, ha rubato il suo furgone, deve
saperci dire qualcosa. Liz vai a dare un’occhiata nella loro fattoria,
vedi cosa resta, se hanno ricostruito, se ci sono… che ne so, rifugi…
se c’è qualcos’altro a nome Carver in giro di proprietà dei genitori…
se hanno ancora parenti… e… - Colby stava andando alla sua macchina
mentre dava le ultime direttiva, come anche le ragazze che erano pronte
a risalire in auto per poi dividersi. Colby si fermò e loro attesero,
si mise una mano sulla fronte e chiuse gli occhi. Anche in quel gesto
videro Don, si strofinò il viso come faceva lui nei momenti di tensione
e stress.
- Ah sì, lui portava Dylan in
una casa sfitta. Intanto vale la pena dare un’occhio a quella, se è
ancora libera. E poi può aver riciclato l’idea e aver trovato qualche
altra casa del genere come base momentanea. Oppure altri rifugi simili
a quello che abbiamo trovato nel bosco? Altre riserve nelle vicinanze?
Non se ne è andato, è qua da qualche parte! Ma questo lo chiedo a
Larry, credo che abbia uno di quegli affari matematici che ci possono
facilitare la ricerca… -
- Vuoi dire teoremi? - Chiese Liz cauta. Colby annuì e le ragazze fecero un sorriso accennato per poi annuire.
- Ci aggiorniamo. - Conclusero
per poi salire in auto. Non era ancora partito che Colby stava già
parlando con Larry. Il tempismo era tutto e la tentazione di chiedere a
Charlie più che a Larry fu altissima. Larry era molto bravo, ma Charlie
era di una velocità unica.
“Ma temo che se Don sa che
coinvolgo Charlie in un caso dove lui è quello rapito, poi mi spara
appena si riappropria della sua pistola!”
Poi si rese conto del pensiero avuto e sorrise. L’ottimismo funzionava ancora. Forse ce l’avrebbe fatta. E si corresse.
“Certo che ce la farò!”