*Ecco
un altro capitolo. Continuiamo con le indagini: Colby va a parlare con
Tyler per vedere se può dirgli qualcosa di utile, magari su un complice
o su una doppia personalità. Ci immergiamo così nel mondo di Max
tramite il racconto di Tyler, capiamo un po' meglio cosa è successo e
cosa voleva, qualche piccola risposta arriva mentre se ne aprono molte
altre. Buona lettura. Baci Akane*
29. UN DOLORE ETERNO
"Stai fermo, stai calmo, stai tranquillo ora, mio prezioso ragazzo, non lottare se no io ti amerò ancora di più
perché è troppo tardi per fuggire
o per accendere la luce, l'uomo ragno avrà te per cena, stanotte"
- Lullaby - Editors -
Tyler lo riconobbe quasi subito ed ebbe un guizzo ansioso nel vederlo.
Colby rimase impressionato da quanto fosse un bell’uomo persino in un momento del genere.
Il coltello di Max aveva
penetrato fino al polmone e l’aveva lacerato, Tyler era collassato
diverse volte durante la notte, l’avevano operato e per poco se l’era
vista definitivamente brutta. Era vivo per miracolo.
Si era svegliato nelle prime ore dell’alba, faticosamente. Forse parlargli era presto, però Colby aveva una fretta del diavolo.
- Vedo che respiri da solo. -
Disse Colby notandolo subito. Aveva una brutta cera, era steso nel
letto d’ospedale ed il macchinario indicava pressione, battiti e valori
e sotto il naso aveva il piccolo tubo dell’ossigeno che rimetteva aria
direttamente nelle narici.
Fuori dalla camera di Terapia
Intensiva, c’erano due agenti che erano rimasti tutta la notte, con
Colby erano arrivati anche altri due a dar loro il cambio.
Tyler scoprì il torace abbassandosi le coperte, mostrando la benda bianca che l’avvolgeva sul fianco.
- Miracoloso, vero? Mi ha bucato
un polmone, me ne hanno dovuto asportare un pezzo. E mi basta questo
affarino verde! - Tyler non aveva perso la sua parlantina così come la
sua mania di mettersi in mostra, nonostante facesse molta fatica a
mettere una frase intera in fila. Colby ridacchiò mentre gli sembrava
di tornare indietro nel tempo a quando Don era stato ferito allo stesso
modo. Forse non un caso che avesse visto Don e avesse ferito Tyler allo
stesso modo. Don aveva raccontato a Max che era stato ferito lì, che
gli avevano tolto mezzo polmone. Max aveva visto la ferita al locale,
uno esperto poteva sapere come era stata fatta e dove aveva lesionato.
Forse aveva voluto riprodurre la ferita di proposito.
- Vedo anche che la quasi morte
non ti ha tagliato la lingua! - Tyler rise faticosamente, poi fece una
smorfia di dolore e si tenne la ferita.
Colby alzò le mani in segno di scuse e si sedette sulla sedia accanto facendosi serio.
- So che sei stanco e forse non
hai ancora ben a fuoco quel che è successo ieri prima che noi
arrivassimo, ma non ho scelta. Devo chiederti cosa ricordi. In
particolare cosa ti ha detto, se l’hai riconosciuto. - Tyler si fece
accigliato e più pallido, l’aria canzonatoria e sbruffona venne subito
surclassata dal suo dolore e dal desiderio di cancellare tutto.
Più che per quel che era
successo a lui, per quel che aveva rivissuto incontrandolo. Quel che
aveva scoperto. Quel che Max gli aveva detto. Le parole erano state
peggio della pugnalata e Colby lo capì in un attimo vedendo
quell’azzurro carico di un dolore animalesco interiore. Si riempì di
lacrime e girò gli occhi di lato, evadendo quelli altrettanto chiari e
penetranti di Colby.
Delicatamente attese che se la sentisse, poi vedendo che la sua gola era annodata, decise di dargli una piccola spinta.
- Ha rapito il mio collega. - Poi precisò. - Il mio partner. - Tyler si girò di scatto di nuovo e lo guardò sorpreso.
- Non l’avete preso? - Chiese con voce roca.
- Ci sarebbero due agenti a proteggerti altrimenti? - Tyler si aggrottò e li cercò.
- Oh, quindi quei due omaccioni
erano vostri agenti? Ed io che pensavo che mi facessero il filo! -
Colby scosse il capo con un cenno di divertimento, poi sospirò e si
fece serio.
- Sono agenti e sono qua per
proteggerti. Purtroppo aveva un piano di fuga. Durante la notte ci ha
sorpresi ed è riuscito a prendere il mio collega. Purtroppo è molto più
esperto di quel che ci aspettassimo. E già ci aspettavamo molto. -
Tyler non aveva più né la voglia
né la forza di sdrammatizzare, capendo che era ora di parlare e dire
tutto quello che sapeva, prese un respiro profondo e con una tristezza
carica di dolore, tornò al giorno precedente. Lasciò che lo sguardo
cristallino scivolasse sul soffitto e tirò fuori ogni cosa.
- Ero arrivato alla mia
macchina. - Cominciò parlando piano e con una certa fatica, dal fatto
che non sproloquiasse troppo come al solito Colby capì che doveva stare
molto male fisicamente. - Mi ha avvicinato e mi ha parlato come se
dovessi conoscerlo, ma non si vedeva niente. Ad un certo punto… - Tyler
cercò di ricordare cosa era stato a fargli muovere un passo. - Mi ha
chiamato per nome. - Tyler tornò con lo sguardo a Colby, che lo
ascoltava molto serio. - Mi sono avvicinato e quando l’ho visto è stato
come un fulmine. Sono tornato a quella volta che ho spiato Dylan. Non
lo potrei dimenticare, l’ho riconosciuto subito e appena ha visto che
lo riconoscevo è sembrato… - Tyler cercò le parole mentre prendeva
fiato. - stupito. Come se qualcosa andasse storto. A quel punto ha
fatto qualcosa ed è diventato tutto buio. - Colby aveva parlato la sera
prima insieme a Don con i dottori, che avevano detto che era stato
tramortito con un teaser sul collo.
- Ha usato un teaser. - Spiegò
Colby. Tyler sembrò capire e comporre i piccoli buchi che aveva. Prese
così dell’acqua dal comodino, i movimenti lenti e pesanti, sembrava
faticoso prendere anche un bicchiere con la cannuccia e succhiare. La
posizione era coricata, la schiena leggermente alzata, ma non poteva
ancora fare movimenti.
- Quando mi sono svegliato ero in una stanza semi buia. Lui era lì, mi fissava in modo inquietante. - Colby rabbrividì.
“Stava componendo la sua scultura mentalmente. Stava progettando come scomporlo e ricomporlo.”
- Mi faceva male il collo e la
testa, ero confuso. E nudo. - A Colby si drizzarono i peli del
corpo, mentre immaginava Don nelle stesse condizioni, ma doveva
rimanere saldo, molto saldo. - Sai, ho passato la vita, dopo Dylan, a
sognare il volto di quell’uomo. Ogni tratto del suo viso era inciso
nella mia mente e come se non bastasse, la sua mano non mi è mai andata
via dalla testa. - Colby capì.
- Era lui. - disse penetrante.
Tyler ricambiò il suo sguardo ed annuì duro, con un’espressione rigida,
gli occhi due lame di ghiaccio.
- Quello che ho provato in quel
momento… quello che ho provato io davvero non so descriverlo. - Colby
gli lasciò il tempo per tornare a ventiquattro ore prima, a quel dolore
lancinante che gli aveva lacerato di nuovo l’anima. - Pensi che dopo
dieci anni il dolore sia sopportabile, ma poi ti rendi conto che è
tutto uguale a quella volta e fa ancora più male. Mi dicevo ‘è lui che
mi ha portato via il mio Dylan’. - Colby sapeva che la parte peggiore
doveva ancora venire. Lo percepiva dal modo in cui parlava, da quella
tensione.
- Cosa ti ha detto? - Tyler scosse il capo.
- Era felice ed emozionato. Mi
ha detto che era felice di rivedermi e che aveva dovuto aspettare il
momento giusto. Prima non era pronto e voleva che io mi riprendessi. -
- Ha detto queste cose? - Tyler annuì.
- Gli ho chiesto per cosa e lui
ha detto con aria ovvia ‘ma per noi!’. - Fece una pausa, bevve ancora e
Colby notò una stanchezza anche solo nel parlare da un po’. - Sapevo
dall’epoca che non era a posto. Ho passato gli anni a sperare che Dylan
fosse andato di sua iniziativa mentre immaginavo le oscenità che gli
stava facendo. - Silenzio. Si morse il labbro. - Avevo ragione. -
- Ti ha parlato di lui? - Chiese
cauto Colby. A Tyler vennero le lacrime, ma le trattenne a fatica
mentre i battiti del suo cuore sul monitor acceleravano.
- Gli ho detto che sapevo che
era il fidanzato di Dylan e cosa voleva da me. Lui è scattato facendo
il folle. Ha detto che c’entravo, che ero io che voleva da sempre ma
visto che non aveva mai avuto il coraggio di avvicinarmi, Dylan era
stato quello più vicino. Poi si è reso conto che pensava lo stesso a
me, allora ha capito che doveva andarsene da qui. Si è liberato delle
catene e poi ha detto a Dylan di scegliere.. Dylan credo che fosse
convinto che potesse finire per uccidersi. Non so onestamente niente di
lui, chi fosse, la sua storia… - Colby si aggrottò.
- Non… non l’hai riconosciuto?
Nemmeno ora che l’hai visto meglio? - Tyler si gelò e lo guardò senza
capire, riportato bruscamente alla realtà.
- Chi? - Colby sospirò, chiuse
gli occhi e si chiese se fosse il caso, ma poi decise di sì e tirò
fuori la foto di Max da studente e gliela mostrò. Non poi così
irriconoscibile rispetto ad ora.
- Max Carver, era al liceo con
te e tuo cugino. - Tyler prese la foto in mano lentamente e la guardò
concentrato, cupo, la testa gli martellava e fu come se i tamburi di
guerra cominciassero a suonargli.
- Carver… forse sono finiti al
telegiornale? - Colby era impressionato. Aveva vagamente sentito il
cognome dopo l’incendio, ma non aveva nemmeno guardato il loro viso.
Avevano sicuramente passato in tv i volti dei tre quando era successo
il fatto. Lui li aveva forse sentiti, ma mai visti.
- Tyler, era a scuola con te… come fai a non ricordare? - Tyler provò ma scosse il capo.
- Assolutamente no. Non avrei
mai notato uno così. Né all’epoca, né dopo, né ora. - E questo era
stato il problema. Quello, anzi, era sempre il problema di chi
diventava l’ossessione di qualcuno. Non sapevi della sua esistenza, ma
lui sapeva troppo bene della tua. - Il cognome Carver mi suona nella
mente, ma non lo associo assolutamente a quel viso. - Colby annuì
intendendo che aveva capito.
- Viveva in una fattoria vicino
al tuo quartiere, coi genitori. La fattoria è bruciata, loro sono morti
e lui se l’è cavata con un paio di ustioni, ma nulla di grave. -
- E le dita? - Chiese.
Colby scosse il capo.
- Quelle gliele ha tagliate la
madre quando ha scoperto che era gay. Per questo reprimeva fino
all’inverosimile. Non è cresciuto in un ambiente sano. Il padre abusava
di lui, la madre aboliva qualsiasi forma di omosessualità. - Tyler
poteva anche capire che in certi casi rimanere sani non era un’opzione,
ma non avrebbe mai potuto giustificare quello che aveva fatto dopo.
Mai.
- Era a scuola con me? Vuoi dire
che lui mi puntava da quella volta? - Colby inarcò le sopracciglia in
segno assentivo e Tyler si coprì il viso mentre alzava gli occhi al
cielo cercando la forza di non piangere.
- È colpa mia… - Mormorò infine.
E Colby lo sapeva. Non provò a dirgli il contrario, perché la cosa
dolorosa era che era vero. - mi ha raccontato cosa è successo dopo che
se ne sono andati… - La voce si incrinò, ma prese un respiro profondo e
tornò a guardare Colby turbato, affaticato. Incisivo. - Mi ha detto che
ci ha provato con Dylan, però non ci è riuscito. Non voleva ucciderlo,
ma non riusciva a non pensare a me. Lui non era me e non ce la faceva
più a svegliarsi con lui e non vedere me. Il raptus è diventato
insostenibile e l’ha ucciso. Poi non ho sentito il resto del racconto,
lì mi sono messo a piangere e ad un certo punto se ne è andato. Poi è
tornato, io allora mi sono messo a gridare di uccidermi, non volevo
vivere sapendo che il mio Dylan era morto per colpa mia… - La voce si
spezzò, le lacrime scesero copiose. - Non posso… - Ed il dolore
traboccò nel silenzio della camera bianca.
Colby non lo interruppe, conscio
che al suo posto avrebbe fatto e detto la stessa cosa. Lui, al suo
posto, non si sarebbe svegliato il giorno dopo.
Si limitò a prendergli il braccio e a fargli sentire che lo capiva e che gli dispiaceva.
Il dolore di Tyler era molto forte, Colby lo percepì e lo visse in un attimo. Non era sopportabile un dolore simile.
- Mi ha detto che aveva
sbagliato e gli dispiaceva, ora capiva che il mio amore per Dylan era
eterno e meraviglioso e che quindi non avrebbe mai potuto sostituirsi a
lui. Ha detto che è bello che io sappia amare in questo modo, oltre il
tempo e la morte. E poi aveva deciso la mia scultura e doveva
cominciare. Mi ha appeso a testa in giù sulla botola, poi è uscito
dicendo che dovevo dare il tempo al sangue di concentrarsi verso il
basso. Quando è tornato ha detto un sacco di cose sulla scultura
perfetta per me, su come mi vedesse, su cosa amasse tanto di me, la mia
contraddizione, l’apparenza di uno privo di cuore, ma che invece ero
così pieno d’amore. - La voglia di morire di Tyler era stata la
reazione comprensibile di un momento, ma era vero che il dolore provato
era ancora palpabile. Colby era colpito dalla sua personalità,
sicuramente seguirlo in tanti anni aveva fatto sì che Max perdesse
ancora di più la testa per lui. Aveva una sorta di rispetto, oltre che
d’amore per lui. Tanto da accettare il fatto che Tyler poteva amare
solo Dylan, per quanto la sua mente fosse irrimediabilmente malata.
- Non… non hai mai visto un
complice? Sentito di qualcun altro? O avuto l’impressione che parlasse
di qualcun altro? Oppure non so… cambi di personalità? Ti sembrava che
la sua follia fosse di quel genere? - Colby iniziò con le domande
mirate, Tyler ci pensò bene ma scosse il capo con gli occhi rossi e
gonfi di lacrime.
- Sembrava fosse sempre lui, per
quanto fuori di testa. E per il resto non ho visto o sentito di altri.
- Colby annuì, non poteva essergli utile più di così e lo vedeva
agitato, notò la pressione che si misurava automaticamente sul monitor
più alta del dovuto, così come i battiti accelerati.
Si alzò e sorrise.
- Va bene così, - ripose. -
Vedrai che lo prenderemo. - Voleva farla semplice, ma la verità era che
non sapeva da dove cominciare e sebbene a Don bastasse sempre sapere la
storia del soggetto in questione per capire le sue mosse e dove
trovarlo, lui ora non ci riusciva. Non ci riusciva proprio a capire
dove fosse, ad entrargli nella testa. O meglio forse poteva entrargli
dentro, ma non riusciva comunque a capire dove poteva essere.
- Agente. - Chiamò Tyler prima
che uscisse. Colby si fermò e lo guardò in piedi, teso che cercava di
mascherare la propria preoccupazione. - Lui voleva me. Adesso che ha
capito che non potrà avermi cambierà oggetto del desiderio. - Colby
capì che glielo diceva perché aveva preso Don e cercava di aiutarlo in
qualche modo. Annuì e lo ringraziò serio, sforzandosi di essere
professionale e gentile.
In realtà aveva solo una grande voglia di girare. Enorme.