*Ecco
un altro breve ma necessario capitolo. Vediamo passo per passo, istante
per istante, i progressi e le mosse di Colby, non dopo aver concluso la
scena fra Don e Max, troppo instabile per aver fatto tutto quello che
ha fatto per dieci anni da solo. Don ormai è certo che deve esserci
qualcun altro o quanto meno avere una seconda personalità, ma quando
verrà fuori la verità? Nel frattempo Colby si trova costretto a
chiamare Charlie per dirgli di suo fratello e prima di farlo i ricordi
del loro ultimo incontro si fanno strada in lui. Buona lettura. Baci
Akane*
31. L’ISTINTO NELLE MANI
"I
vuoti che confessiamo nell'ora più debole del giorno fanno un suono in
automatico come il triste gemito della preda, il gusto amaro della
faccia nascosta del dimenticato bambino perduto. Il più oscuro ha
bisogno della velocità più lenta. Il debito non è riconciliato.
[...] Quei morti camminano sull'acqua, il loro sangue freddo attraversa
le loro vene. Il fiume arrabbiato sale mentre passeggiamo sotto la
piaggia."
Max sospese le lacrime,
dimenticandosi di piangere per il modo sconvolgente in cui si sentiva.
Capito. Così maledettamente capito.
- Perché sei così sbagliato?
Perché non puoi essere il mio compagno? - Chiese chinandosi su di lui e
prendendogli il viso fra le mani. Appoggiò la fronte alla sua con
dolore e non riuscì a chiudere gli occhi e a distogliere lo sguardo.
Non riuscì.
- Forse lo sono. - Max scosse il
capo, sempre guardandolo da così vicino. Fuori i tuoni cominciarono
insieme allo scroscio della pioggia che si abbatteva insieme al vento
contro la rimessa.
- No, non lo sei. Sei un poliziotto. - Ricordò come se fosse la notizia peggiore.
- Forse sei tu che hai sbagliato
strada fino ad ora. Per questo non hai potuto incontrarmi. Le nostre
mancanze, le nostre imperfezioni ci rendono comunque perfetti e forti,
non dobbiamo modificare niente di noi, dobbiamo accettarci come siamo.
Siamo simili lo stesso, Max. - Max sospirò aggrottandosi confuso, non
poteva battere le palpebre. Il tuono proruppe facendo tremare la
casetta in legno.
- Ma io ho ucciso molte persone e tu sei un agente federale. Tu prendi quelli come me. - Gli ricordò.
- Hai sbagliato strada, non è
colpa tua. Succede di sbagliare strada. Perdersi è un momento. I tuoi
genitori non ti hanno reso la vita facile, doversi nascondere e
soffocarsi, dover sopportare le molestie di uno e le regole bigotte di
un’altra… come potevi non perderti? Però io c’ero. Ti sto capendo, Max.
- Don sperò che nessuna delle parole che gli stavano uscendo potesse
essere sbagliata.
Max in risposta si stese nel
letto con lui, gli baciò tremante e confuso le labbra e in quello che
poteva definirsi un crollo emotivo o nervoso, si accoccolò contro di
lui e chiuse gli occhi. Poi, senza dire nulla, senza dare cenni di
vita, stretto a lui nudo e legato, si addormentò. Con la tempesta che
impazzava fuori da loro.
Don smise di respirare ed iniziò a crederci.
Ce la poteva fare.
Dirlo ad Alan non era stato
facile, ma gli aveva assicurato che avrebbe fatto di tutto per
riportarlo a casa. Non aveva potuto fermarsi molto, gli aveva chiesto
se fosse il caso di dirlo a Charlie e lui aveva detto che era meglio,
perché poi una volta risolto tutto si sarebbe arrabbiato nel saperlo a
posteriori.
Colby aveva annuito conscio che aveva ragione.
Così salì in macchina, sospirò,
chiuse gli occhi e mentre cercava il modo migliore per dirglielo, si
ricordò dell’ultima volta che si erano parlati. Prima della sua
partenza per l’Inghilterra con Amita. Si erano sposati da pochissimo.
Saluti di rito. Sguardi un po’ incerti, un po’ tesi. Ma poi Charlie
l’aveva abbracciato e quando l’aveva fatto i nervi si erano rilassati
fra le sue braccia. Come se si fosse tolto finalmente un enorme peso,
come se facendolo avesse capito d’aver fatto le scelte giuste.
Gli aveva chiesto di fare due passi insieme e così si erano appartati.
‘Ho applicato una formula
matematica alla mia situazione.’ Aveva detto improvvisamente, mani
nelle tasche. Colby era scoppiato a ridere.
‘Solo tu puoi fare cose simili!’
Charlie, abituato ai suoi sminuire la sua matematica, non ci aveva fatto caso.
‘Perché non sapevo più se le scelte che stavo facendo erano giuste.’
‘Andartene in Inghilterra per un anno?’ Charlie aveva annuito e poi, con un sorriso vago, aveva aggiunto.
‘Sposarmi con Amita, staccare
per un anno…’ Silenzio. Il sorriso si era un po’ spento, ma il tono non
si era teso. ‘Ho agito senza esitare, ma la verità è che fino ad un
attimo fa avevo paura d’aver sbagliato. Di essermi buttato su Amita per
colpa tua, di essermi sforzato di amarla, di essermi convinto perché
era la cosa migliore. Ed ora il mio andarmene in Inghilterra… lo vedevo
come… uno scappare da te, nonostante tutto…’ Colby si era teso al suo
posto, aveva smesso di respirare, mani nelle tasche, camminata più
lenta. L’aveva guardato mentre lui fissava dritto davanti a sé.
‘E?’ Charlie così era tornato al sorriso e l’aveva guardato.
‘E ti ho abbracciato.’ Colby si
aggrottò senza capire, così Charlie spiegò meglio. ‘La mia formula non
mi ha dato risposte certe. È stato come quando ho applicato una formula
su di te per capire quanto sincero fossi con noi quando ti credevamo
una spia, ma ci avevi detto che invece eri sotto copertura. La
matematica non mi ha detto niente di più di quello che sapevamo,
nessuna risposta certa su quanto sincero fossi. Perché servivano
sperimentazioni per proseguire la risoluzione.’ Colby forse aveva
capito cosa intendeva.
‘Vuoi dire che a volte la
matematica non serve a nulla e ti devi buttare e provare le cose sulla
pelle?’ Aveva chiesto spicciolo e sorpreso. Charlie l’aveva guardato
corrucciato ed infastidito.
‘Non direi mai che la matematica non serve!’
‘Appunto!’ Aveva risposto stordito Colby. Così avevano riso e si erano rilassati.
‘Volevo dire che a volte oltre
alla teoria serve la pratica. In matematica c’è la sperimentazione
quando i numeri non bastano, si chiama raccolta di dati. Non avevo dati
sufficienti per arrivare alla soluzione.’ Colby lo rimproverava sempre
quando parlava così. Per dire concetti semplici usava mille paroloni.
‘Per cui l’abbraccio cosa ti ha
detto?’ Era andato lui al punto. Charlie si era fermato e lui a sua
volta. Si erano guardati uno davanti all’altro ed infine con un sorriso
sereno aveva detto:
‘Che sarò felice e mi aspetta
una nuova stimolante ed entusiasmante vita. Non sono pentito di nulla.’
Colby si era fatto serio e l’aveva fissato dritto negli occhi.
‘La ami davvero? Sai che tengo a
te, fra noi è andata come è andata, ma non significa che voglio saperti
infelice nello stare con una persona che ti sforzi di amare…’ Non
poteva non dire quel che pensava, non con lui col quale si era sempre
aperto molto facilmente, tutto l’opposto che con Don. Con Don nessuno
riusciva ad aprirsi, c’era un muro invalicabile. Nemmeno Robin, nemmeno
suo padre… Charlie a volte lo scalfiva.
‘Le voglio molto bene e sono
felice. Sai, chiudere i capitoli importanti è difficile e non è
indolore. Non posso dire che non provo più niente per te. Ma posso dire
che quel che provo per lei non è finto. Ecco cosa volevo sentire. Ti
voglio bene, te ne vorrò sempre, voglio che mi chiami se mio fratello
si chiude troppo. Sai, io te l’ho detto. Lui non ne parlerà mai, ma Don
prova qualcosa per te. E so che anche tu lo provi. Perciò trovate il
coraggio di abbattere i vostri muri, perché io sto bene con Amita e
starò bene in Inghilterra ad insegnare nell’università migliore del
mondo!’ A quel punto Colby se ne era convinto, si erano abbracciati
ancora e poi, al suo orecchio, gli aveva sussurrato:
‘Grazie per aver capito, grazie
per aver sempre capito. Anche io ti vorrò sempre bene. Sii felice,
Charlie.’ Non si era sbilanciato oltre, ma con lui non serviva.
Separati, si erano guardati negli occhi ancora un momento e Charlie
deciso aveva ribadito:
‘Parlagli. Fallo. Ha bisogno solo di calci in culo, mio fratello. Daglieli.’
E finalmente glieli aveva dati.
“Aveva ragione.” Poi si corresse
ridendo e scuotendo la testa sollevato in quel ricordo rivissuto in un
momento di tanta tensione. “Ma lui ha sempre ragione! È Charlie!”
La sua voce risuonò un po’
lontana e disturbata, ci misero un po’ a sentirsi bene. La sua voce era
sorpresa mentre anche il vento ed i tuoni creavano un’atmosfera ancor
più difficile da digerire.
- Colby?! - Chiese Charlie
shoccato. Poi Colby si ricordò del fuso orario, ma scuotendo il capo si
strofinò gli occhi come faceva Don.
- Scusa l’orario, Charlie, non
so nemmeno che ora è lì… - In realtà non era un brutto orario, anzi.
Charlie si stava apprestando per andare a cena, erano circa le 19.
- Colby, cosa è successo a Don?
- Non ci aveva messo molto: essere chiamato da lui che non sentiva da
quando era partito, senza che facesse conto del fuso orario, non ci
voleva molto per capire che doveva essere successo qualcosa a Don.
Colby si morse il labbro.
- Mi dispiace dirtelo così. -
- Colby, dimmi che sta bene! -
La sua voce era tesa, tremante, sull’orlo delle lacrime. Gli era
capitato di vederlo così. Solo Don riusciva a calmarlo in quei casi. Il
loro rapporto era molto forte, non sempre due fratelli erano così
legati.
- È vivo, ma non posso assicurarti che stia bene, purtroppo. - Già partendo con ‘è vivo’ era un’arma a doppio taglio.
- Se dici che è vivo significa
che poteva non esserlo. Cosa gli è successo? Dov’è? Colby, ti prego! -
Il tono era alterato e Colby aveva alzato il proprio per calmarlo e
rispondergli:
- L’hanno preso, Charlie.
Stavamo seguendo un caso difficile, un serial killer che pratica da
dieci anni, ha ucciso moltissime persone. È arrivato a Los Angeles ed
il caso è passato a Don, si è avvicinato al punto che… lo ha rapito. -
Non c’era stato quel silenzio pesante che si era creato con Alan e
Robin.
Charlie si era subito messo a
parlare, inizialmente con tanti agitatissimi ed isterici ‘Com’è
possibile? Come hanno fatto?’ Poi la logica era diventata predominante
e sempre con isteria era partito con le domande mirate per capire
meglio la situazione.
- Cosa dice Larry? Quanto tempo
ha? Avete delle teorie, sapete cosa fa alle vittime? Perché ha preso
proprio lui? Come ci è riuscito? Don è addestrato, non è facile
prevaricarlo. A cosa lavora Larry, come lo sta aiutando? Avete teorie
su dove possa essere? Quanto ha, quanto ha prima che vi consegni il suo
cadavere? - Charlie finalmente si era fermato e Colby aveva
approfittato per dargli qualche risposta, cercando di essere calmo,
veloce, pratico ed esauriente:
- Abbiamo un po’ di tempo perché
non uccide subito le vittime, il suo modus operandi è abbastanza
preciso, dissangua le vittime, è metodico, ci mette giorni a completare
il lavoro. Il primo giorno li tiene appesi a testa in giù, si limita a
questo. Poi li dissangua, e anche per questo ci vuole tempo, e li
lavora. Con Don è probabile che ci metta più tempo, Don è un errore di
percorso, un errore di calcolo, un imprevisto. Don lo ha fermato quando
stava per uccidere la sua vittima preferita. L’aveva conosciuto prima,
gli aveva teso una trappola, purtroppo è scappato e di notte mentre
dormivamo ci ha iniettato qualcosa e lo ha preso. -
- Vi? Eravate insieme? Tu stai
bene? - Charlie si stava riattivando alquanto in fretta considerando
che quando erano in pericolo persone per lui importanti, non ragionava
subito lucidamente.
- Sì io sto bene. Stiamo
lavorando tutti per trovarlo, ho una teoria su come trovarlo, Larry mi
sta aiutando. Sappiamo ormai tutto di lui, stiamo setacciando la sua
vita dalla nascita, è questione di ore. Non arriverà a domani, Charlie.
Lo troviamo entro oggi. Questione di minuti, ci siamo. - Colby stava
risultando più sicuro di quel che era. La verità era che lo sperava.
Charlie aveva respirato un paio di volte, lo sentiva muoversi e
camminare.
- Ok. Ok… io prendo il primo aereo e vengo lì, intanto lavoro a qualcosa. Dammi qualcosa da studiare, mandami il dossier… -
- Charlie, per quando arrivi Don
verrà a prenderti in aeroporto! - Colby era molto sicuro di questo,
voleva esserlo, voleva sembrarlo. Charlie si fermò constatando che su
una cosa aveva ragione.
- Hai ragione, tempo che arrivo
e ti posso dare qualcosa di utile ed è tardi. Per un motivo o per
l’altro. - Si era fermato demoralizzato, lugubre.
- Charlie, lo salverò. Non permetterei mai che gli succeda qualcosa. -
- Non sei con lui, Colby, non puoi saperlo. - E lì la logica di Charlie, come sempre, l’aveva fatto sorridere.
- A volte bisogna fidarsi
dell’istinto. Pensavo che dopo tanto tempo a lavorare con tuo fratello,
l’avessi capito. - Era una delle cose che avevano sempre strabiliato
Charlie su Don. La sua capacità di tradurre il proprio istinto e, nel
fidarsi di esso, di risolvere sempre i casi laddove la sua matematica
non arrivava del tutto. C’erano state moltissime volte in cui l’aveva
guardato chiedendosi come faceva a capire dal nulla le cose e come
riuscisse a rimanere saldo anche nelle situazioni più stremate.
Per lui l’istinto di suo
fratello era un mistero. Adesso ci stava facendo una teoria matematica,
per studiare come l’istinto poteva dare risposte senza apparentemente
dati concreti.
- Se… - Charlie tossì sentendosi
un poco più calmo. - Se Don è un imprevisto può essere che cambi modus
operandi. - Colby ci aveva pensato, ma aveva provato a convincersi che
avevano almeno un giorno intero di tempo.
- Questo può andare a nostro favore, come no. - Aveva risposto.
- Appunto. - Silenzio, quel silenzio che si faceva pesante, che aveva sentito prima da Alan, il padre di Don e Charlie.
- Però Charlie… noi abbiamo Don. - Charlie l’aveva corretto.
- Lui ha Don. - Colby aveva sospirato spazientito come una volta.
- Certo, ce l’ha lui. Ma c’è! - Charlie non capiva.
- Colby, sicuro di stare bene? Dici cose senza senso! - La voglia di ucciderlo a distanza era tornata intatta come una volta.
- Charlie, Don conosce il
killer, lo ha studiato un sacco e sicuramente ha percepito cose che io
non ho nemmeno notato! Sai quanto è bravo ad entrare nelle loro teste e
a trovare delle brecce per fermarli! Don ha sé stesso! Se c’è uno sulla
faccia della terra in grado di prendere tempo, è Don! L’ho visto
catturare sospettati pericolosissimi senza sparare nemmeno un colpo,
senza usare nemmeno un minimo di violenza! Ci darà il tempo necessario
per trovarlo! - Charlie, capendolo, si sentì anche un po’ più leggero e
finalmente respirò.
- Hai ragione. Lui è Don, non è facile sopraffarlo. Quando arrivo ti faccio sapere. -
Con questo si salutarono e Colby
sospirò di sollievo, era andata. Parlare con Charlie dopo la sua
partenza non era detto fosse facile, in quelle circostanze men che
meno. Dargli quella terribile notizia era stato quasi peggio che darla
ad Alan, ma almeno Charlie non l’aveva guardato negli occhi mentre il
panico si accendeva. Il dolore, la paura del padre di Don era stata la
cosa peggiore mai vissuta.
“Non intendo rivedere uno
sguardo del genere. Adesso, Colby, vai da Larry ed insieme trovate il
nascondiglio di quel bastardo di Max Carver.”
Sicuro e deciso, di nuovo lucido
e carico dopo aver sentito la voce di Charlie e aver constatato che
circostanze a parte, non era stato terribile e sconvolgente a livello
personale, partì in fretta verso l’ufficio di Larry.