*Ecco un altro capitolo. I flashback si alternano al presente durante il quale Colby cerca di fare passi in avanti nell'indagine e Don aspetta che Colby lo trovi. Ricordi importanti per entrambi che ci fanno avere finalmente un quadro preciso di quel che è stato prima fra tutti e tre, che ci fanno capire la lunga attesa di Don nei confronti di un indeciso e troppo passivo Colby ed il suo rapporto con Charlie. Buona lettura. Baci Akane*

32. IL PASSATO PER IL FUTURO




"Trovo difficile decidere

Un modo per farti chiarire le idee
Le tue labbra sono migliori delle mie
A baciare questo addio"
/Breaking Benjamin - Phase/


Mentre andava da Larry e la pioggia cominciava a cadere da subito fitta, i ricordi di quando aveva avuto Charlie agitato e furioso e piangente davanti a sé, calarono su di lui come dei fantasmi.
Era stato quando finalmente si erano parlati, quando Charlie era venuto allo scoperto coi propri sentimenti, e lui aveva dovuto rifiutarlo senza saper il motivo. Senza volerlo ammettere. Senza essere pronto. Ma poi era stato Charlie a dirglielo al suo posto.
‘È Don, vero?’
Cadere dalle nuvole per poi rendersi conto, una volta schiantato al suolo, che era vero. Era proprio così.
Quello si chiama shock.
Erano nel suo ufficio, dove spesso stavano durante i casi. Colby spesso andava da lui a chiedergli se poteva fare qualche magia con la matematica.
Quella volta a Colby era venuta un’idea proprio applicabile con qualche teoria matematica, così era andato da lui e Charlie sorpreso del fatto che lui, così allergico alla sua materia, fosse lì, l’aveva preso in giro.
Insieme ci avevano lavorato ed erano andati come sempre molto d’accordo, si erano divertiti, era stato un bel pomeriggio di lavoro dove si erano isolati e le cose erano andate così bene, dopo la risoluzione del caso grazie al loro contributo, che si erano ritrovati a bere qualcosa da soli, ma di nuovo nell’ufficio di Charlie dove lui era tornato per finire del lavoro arretrato.
Colby era venuto per dirgli che grazie al loro lavoro di squadra avevano chiuso felicemente il caso.
Gli aveva portato una bottiglia di birra ed una ne aveva aperta per sé e si era seduto su un angolo della sua affollata e caotica scrivania.
‘Lavori ancora?’ Aveva chiesto stupito di vederlo alla lavagna. Charlie si era stretto nelle spalle.
‘Dovevo finire questa cosa…’ qualunque essa fosse Colby non aveva di certo voluto saperne nulla.
‘Ma non ti stanca mai la matematica? Non hai mai voglia di staccare, distrarti, fare altro?’ Charlie si era messo a ridere e si era appoggiato ad un angolo vicino della scrivania, accanto a lui. Aveva fissato la lavagna scritta col gesso, la birra in mano, la testa piegata di lato verso Colby e l’aria serena, un sorriso felice che aleggiava. Matematica e Colby, per lui erano le combinazioni perfette.
‘La verità? Mai. Però è vero che ogni tanto sento la necessità di fare altro, questo sì, ma non perché mi stanca. Perché il modo migliore per lavorare è distrarre la mente di tanto in tanto.’
Ovviamente c’era una ragione logica e scientifica per farlo. Colby si era messo a ridere guardandolo spalla contro spalla, da vicino. Charlie gli aveva chiesto cosa avesse ora da ridere e Colby aveva risposto che in ogni suo gesto c’era dietro una ragione matematica e logica.
‘Non agisci mai d’istinto!’ Aveva concluso ridendo, sempre guardandosi da una vicinanza soffocante per il matematico che si era morso la bocca e si era fatto lentamente serio pensando alle sue parole. Colby l’aveva percepito subito quel cambiamento in Charlie, ma non poteva alzarsi e andarsene improvvisamente proprio in quel momento, poteva essere indelicato.
‘Ogni tanto vorrei provarci, ma poi mi chiedo che conseguenze avrebbe quell’azione? E tempo che mi faccio la domanda, mi viene anche la risposta…’ Ovviamente. Colby rise, Charlie fece un cenno di sorriso, catturato dal suo viso piacevole, i lineamenti delicati e regolari.
‘Penso che a volte dovresti provare a buttarti prima di permettere al tuo cervello di parlarti. Sembra strano, ma spesso l’istinto è proprio quello che ti salva la vita.’ A Colby era venuto in mente Don e quel suo modo di agire istintivo che era la differenza fra la vita e la morte per qualcuno.
Charlie l’aveva vissuta diversamene. L’aveva vista come un ‘buttati con me e vedrai’. E Charlie, che pensava a lui insistentemente, si era finalmente buttato.
Si era proteso, aveva annullato velocemente la poca distanza che li separava e senza nemmeno respirare, prima di realizzare qualche nozione che gli impedisse di farlo, l’aveva fatto.
Colby era rimasto stupito. Dal pensare a Don si era trovato con la bocca di Charlie addosso ed in un istante, in un flash chiarissimo come il lampo che illumina la notte più buia, aveva capito.
L’attrazione per Charlie, lo stare bene con lui, derivava dal legame che aveva con Don. Charlie era suo fratello. Colby ci vedeva qualcosa in questo, qualcosa che lo attraeva. Solo che Charlie era quello più facile con cui approcciarsi, con cui parlare, con cui stare.
“Ripiego.” Aveva capito benissimo. Così aveva messo giù la birra e a malincuore si era alzato dalla scrivania e l’aveva preso per le braccia separandolo da sé, lo aveva tenuto fermo e guardandolo con quel suo sguardo dolce e dispiaciuto, ma sincero e diretto.
‘Mi dispiace, ci siamo fraintesi…’ Charlie si era aggrottato, il panico come un’ondata bruciante.
‘Frainteso? Mi dici di buttarmi e non intendi fra di noi? E tutto quel che c’è stato? Lo stare bene, il ridere, scherzare, parlare bene, lavorare addirittura insieme… cosa… cos’era? L’ho sognato?’ Colby aveva realizzato quei segnali contrastanti con cui l’aveva confuso troppo tardi. Sospirò e lo lasciò dandogli spazio. Charlie si era messo a camminare per l’ufficio come un uragano, pieno di panico, le lacrime che bruciavano sull’orlo dei suoi occhi. La voglia di piangere, di nascondersi.
‘No io… credo di essere il primo confuso fra noi e non sono riuscito ad essere chiaro come dovevo…’
‘Tu dici?’ Aveva chiesto ironico, la voce tremava ed anche le sue mani che gesticolavano.
Colby sempre fermo immobile a guardarlo colpevole e dispiaciuto.
‘Sto bene con te, sto benissimo e questo mi ha messo in crisi. Mi piace stare con te, ma… ecco… forse non nel modo che pensavo. Non nel modo che vuoi tu.’
Charlie si era riempito di lacrime e con rabbia si era girato verso di lui.
‘È Don, vero?’
E lo shock l’aveva immobilizzato. Come un fulmine che ti colpisce e ti paralizza, ti inchioda e tu boccheggi perché non sai che dire. Perché è proprio così. Ma lo realizzi lì per la prima volta.
‘Io… io non…’ Charlie si era avvicinato impetuoso provando il famoso senso dell’agire con l’istinto, l’aveva puntato con il dito e arrabbiato come mai in vita sua si era messo a gridargli contro:
‘Non prendermi in giro, Colby. Non ora! Sii sincero! Sei confuso fra me e Don. È questo. Solo che quando ti ho baciato hai capito che volevi fosse Don! Tutto qua!’ Colby voleva chiedergli come se ne era accorto, come poteva dirlo.
Ma aveva evitato. Che importava il come? Era vero ed ora lo vedeva anche lui, senza scuse.
Aveva abbassato gli occhi senza poter sostenere le sue lacrime e non si era mosso.
‘Mi dispiace, prima di ora io non ne avevo idea…’ Charlie aveva scosso la testa, si era morso la bocca e poi frenetico aveva raccolto le sue cose. Sulla soglia della porta si era fermato e l’aveva guardato.
‘Fa una cosa per me, Colby.’ Colby l’aveva guardato colpevole, mortificato, confuso, schiacciato, shoccato. ‘Non ferire Don. Vai da lui solo quando sarai sicuro di te e non esitare mai. Lui merita il meglio. Uno che viva per lui al cento percento senza esitazioni, senza dubbi, senza confusioni.’ Ed infine il bene che provava per suo fratello era prevalso sul proprio dolore, come dire istinto e ragione.
Colby aveva sorriso dispiaciuto ed annuito.
‘Lo farò. Scusa.’ Charlie se ne era andato e lui era rimasto lì fermo, da solo a fissare il pavimento, sconvolto per aver capito in un attimo la somma del suo caos interiore, i suoi sentimenti, i rapporti, le speranze. Quei gesti compiuti in un attimo verso uno e poi verso l’altro, quello stare bene con entrambi, ma in modo diverso. Quelle ondate fugaci che aveva quando aveva piccole conquiste con Don, quando si apriva per miracolo, quando gli faceva dei complimenti, quando si preoccupava per lui. Quel suo cercare di provocarlo per vedere se era impassibile o se c’era una breccia. A volte c’era stata, ma forse era solo illusione.
A Colby serviva tempo, Charlie aveva ragione. Don non avrebbe accettato un ‘forse sono attratto da te, forse sono innamorato, forse non lo so.’
Don avrebbe accettato solo un ‘sono innamorato di te, ti voglio.’
Per questo aveva aspettato, studiato, pensato, cercato di capire. E poi ancora aspettato. E aspettato.
Ma a volte aspettare era inutile, a volte gli studi erano incompleti. A volte serviva la sperimentazione.
Charlie in qualche modo l’aiutava ancora.
“Spero di non essermi deciso troppo tardi.” Concluse scendendo dall’auto per raggiungere Larry in ufficio. Sperare, improvvisamente, era tutto ciò che rimaneva ed era davvero frustrante.

- La loro vecchia fattoria è rimasta in rovina, non è stata rilevata da nessuno, venduta o quant’altro. Risulta ancora di proprietà di Max, ma non ha rivenduto né ricostruito. - Liz aggiornava Colby che sbuffò camminando per i corridoi dell’università di Larry.
- Speravo in qualcosa. -
- E forse qualcosa ce l’ho. Ho scoperto che in realtà una parente in vita ce l’ha, è una zia. La sorella della madre. 62 anni. Non vive lontano da qua, l’ho chiamata e mi ha detto che è in casa. Non ho detto chi sono, mi sono spacciata per un corriere che sta per consegnare un pacco importante. Se sa qualcosa di Max o se è in contatto con lui, potrebbe avvertirlo. Meglio fare un’improvvisata. - Colby annuì concordando.
- Perfetto, fai il prima possibile e fammi sapere. Io intanto lavoro con Larry ai possibili rifugi di Max. -
- In base a cosa? -
- Beh, è sempre stato un abusivo. Quando portava Dylan a casa, era quella di qualcun altro, sfitta. E Tyler lo teneva in un rifugio nella riserva di caccia che conosce bene. Penso che non uscirà molto dalla sua zona preferita e che continuerà con i rifugi nei boschi, fuori città. Vediamo cosa troviamo. - Liz annuì mentre guidava per le vie burrascose di Los Angeles.
- In effetti aveva Don in carico. Non può essere andato molto lontano rischiando che si svegliasse per strada. Avrà calcolato il tempo di scaricarlo e legarlo senza dover faticare. - Colby aveva pensato proprio a questo ed ovviamente Larry aveva provveduto a fornire una serie di possibili posti di cui, però, solo qualcuno con esperienza pratica poteva stabilire la miglior scelta.
La matematica arrivava sempre ad un certo punto, poi c’era l’istinto, quello che avevano loro agenti sul campo. Liz e Colby si salutarono dopo essersi detti di tenersi aggiornati, poi Colby arrivò da Larry.


‘Non è che non ci ho provato…’ Don ricordò un altro dialogo con Charlie, successivo alla litigata. Molto successivo. Si stava per sposare con Amita e Don gli aveva per l’ennesima volta chiesto se era sicuro e Charlie, con calma e serenità, aveva cominciato così mentre camminavano per il giardino dell’università, sotto un bel sole caldo.
‘Avevi detto che hai applicato una teoria matematica per capire cosa provavo per Colby e che hai capito che mi piaceva e quindi non hai voluto fare nulla con lui…’ Don aveva ricordato precisamente ogni parola.
Charlie aveva sorriso.
‘Certo. Ed è vero. Però prima di quello ci ho provato. Pensavo che Colby mi stesse dicendo di farmi avanti, eravamo stati bene insieme durante tutta la giornata, come ogni giorno del resto… e insomma, l’ho baciato.’ Quella rivelazione a bruciapelo così tanto tempo dopo tutto quello che poi era successo, aveva turbato Don che aveva rallentato e l’aveva fissato cupo, più del solito.
‘Scherzi?’ Charlie aveva sorriso con aria di scuse, scuotendo la testa.
‘No, non scherzo. Sai che non scherzerei su queste cose.’
‘Perciò quando ne abbiamo parlato quella volta hai omesso un dettaglio mica da poco…’ Charlie si era stretto nelle spalle e aveva piegato il capo di lato.
‘Sì… ma non ero pronto a dirtelo, ero furioso con te, con quel che avevo scoperto e… l’argomento Colby è sempre stato delicato e…’ Don aveva sospirato e scosso il capo riprendendo a camminare.
‘Va bene, stavamo litigando, certe cose è difficile dirle immagino…’
Charlie così aveva ripreso il discorso.
‘Ci ho provato, insomma. Ma lui mi ha respinto.’ Don aveva di nuovo scrollato le spalle.
‘Era importante, Charlie… io ti ho accusato di tirare il culo indietro con lui perché era più comodo così, perché avevi paura di affrontare la tua omosessualità… ma in realtà tu l’avevi affrontata, ci avevi provato ma eri stato respinto! Era diverso il discorso da quel che abbiamo fatto! Dannazione Charlie dovevi dirmelo!’
Don sembrava faticare a lasciar perdere la cosa e Charlie si era fermato, gli si era messo davanti e con le mani aperte l’aveva calmato parlando con aria serena e tranquilla.
‘Davvero, non importa. Io sapevo la verità, ma avevo promesso a Colby di non dirtela ed allora in quel momento ho cercato un compromesso e ti ho detto della teoria… ‘
‘Ma l’hai fatta?’
‘Sì, ho fatto l’equazione…’ Charlie semplificava sempre per lui e Colby.
‘E?’
‘Ed è venuta come ti ho detto. Che trattavi diversamente Colby non perché ce l’avevi con lui ma perché ti piaceva. Però il punto è perché l’ho fatta.’
‘Ti ha respinto quando ti sei fatto avanti, ti avrà detto cosa provava…’ Don aveva provato a dedurre.
Charlie piegò la testa in un mezzo sì e mezzo no.
‘Non proprio. Non l’ha ammesso apertamente. Ha detto che avevo frainteso, che era confuso, che pensava di volerlo ma aveva capito che non era così… così io ho sparato fuori il tuo nome perché avevo sempre pensato che avesse qualcosa di speciale con te, una predilezione, attrazione…’ Don si era tolto gli occhiali scuri e l’aveva guardato con cura, intorno la gente passava senza far caso a loro. Charlie si era avvicinato di mezzo passo e abbassando il tono, mani aperte a gesticolare, aveva continuato. ‘Così ho detto che doveva far chiarezza con sé stesso prima di farsi eventualmente avanti con te, perché tu meritavi di più di uno confuso.’ Don l’aveva guardato accigliato.
‘Hai detto così?’ Charlie aveva riso.
‘Sì… ero sconvolto, ma sempre in me.’ Come sempre, si era detto Don.
‘E poi?’
‘E poi piano piano abbiamo ripreso i rapporti, lui parlava solo con me di certe cose e mi diceva se secondo me tu ce l’avevi con lui, che non lo capivi ed io gli dicevo che non ti ho mai capito nemmeno io… e parlando parlando abbiamo deciso di fare questa teoria matematica per tradurti, diciamo. Il risultato è quello che ti ho detto. Volevo aiutare Colby, ma non mi sono mai intromesso più di così. Poi ho litigato con te perché non volevi che mi mettessi seriamente con Amita, ed io dovevo farti sapere che con Colby non c’era storia!’
Don aveva ascoltato il resto della storia, ben diversa da quella che aveva pensato fosse fino quel momento. Silenzio. Don ricordava ancora quel silenzio che si era creato fra loro, si erano guardati per un po’, poi Don aveva sospirato e gli aveva messo la mano sulla spalla, aveva stretto e gli aveva chiesto:
‘Ami davvero Amita?’ Charlie aveva sorriso ed annuito. ‘Allora sii felice, Charlie.’
Ed ovviamente non aveva detto nulla su di sé, su quel che provava per Colby, su cosa pensava di quella rivelazione.
Però Don aveva pensato in modo molto preciso ad una cosa, la sua conclusione era stata una sola.
“Se vuole qualcosa da me, deve avere il coraggio di chiedermela e farsi avanti. Non può lasciarsi vivere dagli eventi. Deve iniziare a gestirli.”
E così aveva aspettato. Forse un po’ troppo. O forse, dopotutto, il momento giusto.
“Spero solo che la scorsa notte non sia stata l’unica. A quel punto potrei asserire che Colby si è deciso troppo tardi…” Dopo quel pensiero alla Charlie sorrise. “Spero di rivederlo.”