*Eccoci
qua, scusate il ritardo. Dopo la tempesta, letteralmente, c'è il tempo
di rallentare un po'. Arrivano i rinforzi, Don e Colby vengono curati
ed hanno tempo per provare a pensare e raccogliere le idee e le forze,
andare avanti da lì non è facile, l'indagine non è per niente finita.
Dietro l'angolo c'è il gran finale, dove quel che non è ancora andato
male, può benissimo precipitare. Buona lettura. Baci Akane*
36. I PRONOSTICI NON SERVONO SEMPRE
- Ma come state? - La voce di
Liz arrivava alterata dalla preoccupazione, Colby sospirò tappandosi
l’orecchio con la mano mentre l’ambulanza li portava a tutta velocità
all’ospedale.
- Beh, siamo stati meglio ma
siamo vivi. - Rispose Colby alzando la voce per farsi sentire, da
dentro l’abitacolo si sentiva la sirena e tutti quegli sbalzi per la
strada non sempre lineare, non aiutavano il segnale.
- Puoi essere più loquace per
una volta? - Chiese lei ironica. - Nikki ha detto che forse Don perde
la mano sinistra e che tu potresti avere il tetano! - Colby rise
trovando questo divertente, finalmente la tensione cominciava a
sciogliersi.
Nikki li aveva trovati una
volta che la tempesta si era un po’ calmata, aveva aiutato Colby a
portare fuori Don, una volta in strada erano riusciti a ripristinare i
collegamenti, aveva richiamato la squadra e chiamato altri uomini per
le ricerche ed il setaccio di quella pineta alla ricerca di Max.
Nel frattempo era arrivata l’ambulanza.
Nikki aveva aggiornato Liz al volo per telefono e poi si era buttata al setaccio della pineta per trovare il loro killer.
Liz, poi, aveva chiamato Colby preoccupata.
- Io ho un paio di graffi
sulla schiena, non penso serviranno dei punti. Don ha un picchetto
nella mano sinistra, un trauma cranico e credo costole contuse per via
della posizione… - Lo disse come se lei dovesse saperlo.
- Posizione?! - Colby si rese
conto che non poteva saperlo, invece. Così con una smorfia e
grattandosi la nuca, mentre Don lo guardava male, l’aggiornò anche su
quello.
- Era crocefisso. - Senza il minimo tatto, come suo solito.
- Cosa?! - Esclamò lei
preoccupata! - Ma tutto quando io mi allontano per seguire una pista?
Gli ha messo un picchetto nella mano! - Mano a mano che realizzava
ripeteva shoccata, Colby la lasciò dire fino a che riuscì a
tranquillizzarla.
- Adesso lo opereranno e cercheranno di salvargli la mano. -
- Cercheranno?! - Non che poi ci riuscisse bene.
- Ci riusciranno di sicuro! Hanno un ottimo reparto di chirurgia! -
Don gli lanciò delle
occhiatacce mentre il paramedico cercava di pulirgli la ferita alla
testa dopo essersi occupato alla meglio della mano, non potendoci
lavorare molto.
- Tu che mi dici? Come è andata la pista? -
Liz si ricordò di quel che stava seguendo e sospirando esasperata, l’aggiornò a sua volta.
- Pensavo fosse più veloce.
Trovare questi parenti in vita è stata un’impresa! Sono finita
dall’altra parte del Paese, ma per parlare con loro non c’era scelta
che andarci e… sto per arrivare. Spero di cavarne qualcosa di buono. -
Colby annuì.
- Chi devi incontrare? -
- Una vecchia zia, ho trovato
i figli che mi hanno detto un po’ di cose ma niente di utile. Hanno
detto che con Max, cioè loro cugino, non hanno mai avuto rapporti
perché le due sorelle, cioè le loro madri, non andavano d’accordo. -
- E pensi che sia utile parlare con lei, ora? - Liz continuò imperterrita.
- Hanno detto che le due
sorelle non andavano d’accordo proprio sulla visione della religione,
questa con cui sto per parlare, la zia di Max, è atea, si è allontanata
dalla famiglia fortemente credente proprio per questo. Etichettata come
eretica, l’hanno mandata via. Lei però proprio per la sua vita
difficile nella famiglia, quando ha sentito di questo nipote, Max,
quando è stato abbastanza grande da fare le cose da solo, ha voluto
allacciare i rapporti di nascosto. Pensava che avesse bisogno di aiuto.
Lei ha sempre saputo della situazione potenzialmente terribile in cui
viveva Max. Ha cercato di rimediare, ma poi non si sono mai incontrati
di persona. Per lo meno i cugini di Max han detto che non lo hanno mai
visto. Però pensano che loro madre l’abbia sempre sentito per telefono.
Che sono legati. -
A Colby sembrò di essere
attraversato da quel fulmine che prima li aveva mancati di poco. Si
sentì indolenzito e perse la sensibilità del corpo che iniziò a
tremare. Mentre lei parlava senza avere completamente gli aggiornamenti
finali sul complice di Max, i suoi occhi si fissarono in quelli
concentrati di Don.
Era chiaro che stesse per succedere qualcosa.
- Liz… Liz non dovresti andarci da sola… lei… - Cominciò a balbettare cercando la lucidità per spiegarsi bene.
- Colby, ha sessant’anni, vive
in una casa albergo un bel po’ lontano. Però lei può indirizzarci, può
dirci qualcosa di importante, me lo sento. -
Colby sospirò.
- Non sarà pericolosa, ma non stare mai sola con lei. Chiedi a degli inservienti di stare con voi. -
Don aveva capito cosa stava
succedendo, Liz poteva incontrarsi con un vecchio parente di Max, il
suo potenziale complice, e tendendosi verso di lui con una smorfia di
dolore al petto, disse:
- Il complice non è
fisicamente pericoloso, ha sempre agito all’oscuro, dietro le quinte.
Non ha mai alzato un dito, non è in grado. Manovra gli altri. - Colby
lo guardò, sospirò ed annuì. Aveva ragione. Don era tornato lucido
merito degli antidolorifici che gli avevano dato.
- Sì… se è lei la complice che
gli ha dato consigli su come gestire gli omicidi, potrai gestirla da
sola. Ma non stare mai sola con lei. Ok? E registra la conversazione
altrimenti è inutile! - Liz lo rimbeccò offesa.
- Ehi Granger per chi mi prendi, una pivella? - Colby ridacchiò.
- No ma mi piace fare il capo,
adesso! - Don scosse il capo tornando steso sul lettino, sempre con
mille smorfia per le costole.
- Sì ma vedi che ti è andata
male, Don è vivo e vegeto! - Colby ormai era abituato al suo veleno,
quello di Nikki non era da meno.
- E questo grazie al nostro
amico cervellone. - Disse poi ricordandosi che grazie a Larry aveva
trovato quella pineta come probabile rifugio di Max.
Don lo guardò, non gli aveva
chiesto come l’aveva trovato. Aveva solo saputo che ci sarebbe arrivato
in qualche modo. Ma come diceva sempre Charlie, alla fine la matematica
c’entrava ogni volta.
- Sarà fiero Charlie! - Disse
Liz leggendo loro nel pensiero. Colby rise e riferì a Don il quale rise
con lui, finalmente per la prima volta rilassato, sia pure indolenzito.
In qualche modo era grazie a
lui anche se quella volta non aveva messo mano direttamente. Era lui
che gli aveva insegnato che la matematica aiutava nei casi, lui che si
era imposto come consulente. Imposto in modo molto abile ovviamente, ma
ce l’aveva fatta. Aveva spuntato.
- Penso che dovremo brindare
alla matematica. Credo di essere vivo grazie a lei. - Disse Don dopo
che Liz ebbe attaccato il telefono. Colby lo guardò seduto in parte al
paramedico. Sospirò. In quanti avevano detto quella frase, in quanti
ancora l’avrebbero detta.
L’ultima cosa che Don vide prima di andare in sala operatoria, fu Colby a torso nudo. Una bella visione, in effetti.
Don fece mezzo sorriso
ricambiato da Colby, poi le porte si chiusero fra loro ed entrambi
sospirarono. Don guardando la propria mano insensibile grazie agli
antidolorifici, Colby sperando che fra un po’ di tempo avrebbero potuto
ripensare a quel caso con risate e sorrisi.
Nikki raggiunse Colby bagnata e sporca come un pulcino, nonché furiosa.
- Non è facile setacciare una
pineta dopo un uragano con tanto di tuoni, sai? - Colby era seduto di
schiena e una studentessa di medicina lo stava ricucendo, alcuni rami
erano andati in profondità e servivano punti. Colby voltò solo la testa
e quando la vide si mise anche a ridere, prendendosi per questo uno
scappellotto in testa.
- Tu credi di essere meglio? -
Colby si guardò e fece un’espressione incerta mentre la studentessa
dietro di lui esprimeva spontaneamente tutto il suo apprezzamento per
il bel corpo del bell’agente.
- Brutto non è! - Asserì senza crearsi problemi.
Colby sogghignò e guardò
trionfante Nikki che tentava di rifarsi una coda con scarsi risultati
visto i capelli fortemente ricci.
— Beh, mister muscolo… io devo
farmi una doccia e cambiarmi, sto congelando e mi verrà qualche
malattia se resto così! Mentre tu giocavi al dottore con Don in due
cuori e una capanna sfondata, io ero fuori a cercarvi coi tuoni che mi
sfioravano di pochi centimetri! Ho creduto di essere un parafulmine ad
un certo punto! - Colby rise per la sua solita vena polemica e schietta
con cui rendeva tutto divertente, poi chiese un riassunto delle
ricerche fatte fino a quel momento.
- Niente nella pineta, per
quel che abbiamo potuto capire. La squadra di ricerca è ancora là, ma
quando abbiamo visto le tracce di una macchina che si era allontanata
da poco, ho deciso che era tempo perso e sono venuta via. Le tracce si
perdono per la strada, piove ancora, capire dove fosse diretta o quale
macchina fosse non era facile. Mi chiedo come abbiamo fatto a non
trovare la macchina prima quando siamo arrivati in pineta a cercare
Don… - Colby rispose con la sua solita logica calma.
- Probabilmente siamo arrivati
da un’altra parte, con la fretta che avevamo non abbiamo cercato tutto
il perimetro alla ricerca di una macchina. -
Nikki sospirò sconfitta ed annuì.
- Ok, vado a rimettermi in
sesto, torno prima possibile per un piano di battaglia e per sapere di
Don. Ti porto qualcosa da mangiare? -
Colby sentì il proprio stomaco
brontolare, era passata ora di pranzo da un po’ e ora che la tensione e
la paura si era allentata, sentiva i morsi della fame.
- Sì, doppio cheesburgher con bacon, cipolla e patatine! - Nikki lo guardò sorpresa.
- Alla faccia della fame! -
- Ehi, la paura consuma! -
Rispose in difesa Colby, la studentessa di medicina dietro di lui rise
mentre lei se ne andava polemizzando come sempre.
- È molto simpatica! - Disse la ragazza. Colby fece un’espressione comica.
- Sì? Se vuoi te la presto per un turno, vediamo se la trovi ancora simpatica! -
I due continuarono a parlare e
scherzare per un po’, fino a che fingere che Don non fosse sotto i
ferri per salvarsi la mano, non fu più fattibile.
A quel punto Colby mise da
parte il suo forzato buon umore e una volta che lei ebbe coperto le
medicazioni con delle garze e delle bende, si girò verso di lei e con
sguardo serio, di chi sembrava non aver per nulla scherzato fino a quel
momenti, le chiese:
- Pensi che il mio partner
abbia buone possibilità di salvare la mano? - Lei si fece altrettanto
seria e ricordando le condizioni ed i dati raccolti sulla mano di Don,
fece un’espressione sinceramente incerta.
- Ho visto ottime condizioni
peggiorare senza motivo e finire male e pessime condizioni migliorare
miracolosamente e finire bene. Ho imparato che i pronostici lasciano il
tempo che trovano e servono solo ad allarmare la gente o a dare false
speranze. - Colby si ritrovò con lo stomaco di nuovo chiuso, mentre la
voce di Charlie nella sua mente si offendeva per quella sparata contro
la matematica.
- Questo significa tutto e
niente. - Le fece notare mentre guardava la propria camicia ormai
inutilizzabile poiché rotta e sporca di sangue.
- Perché è esattamente questo.
Tutte e niente. Non posso farti pronostici. E non credere a chi te ne
fa. Guarda i fatti compiuti. - Questo fece sorridere Colby e si ricordò
che Charlie era in volo.
- Un mio amico ti avrebbe
fatto un trattato sul fatto che i pronostici, se fatti bene, sono delle
vere e proprie previsioni del tutto affidabili! - Rispose sorridendo
per allentare la tensione. Charlie aveva quel potere anche a distanza.
La ragazza si tolse i guanti e si strinse nelle spalle.
- Non in medicina, agente. Non
in medicina! - A questo Colby non rispose e si ritrovò di nuovo con lo
stomaco aperto dalla fame e la speranza che le cose per una volta
potessero finire miracolosamente bene.
- Ti faccio portare un camice
di ricambio. - Disse poi lei uscendo, lui ringraziò e poco dopo vide
arrivare Larry ed Alan trafelati ed agitati, a quel punto Colby, sempre
a torso nudo, si fece avanti e li accolse con le mani tese e l’aria
calma e sicura. Ormai quel ruolo lo conosceva bene, gli veniva
discretamente.
Fare un nuovo piano non era
facile, Colby aveva giocato tutte le cartucce, ora era come se fosse
rimasto senza munizioni e senza pistola.
Nikki era tornata con il pranzo, lì c’era anche Larry. Non aveva la minima idea di come gestire il caso da lì in poi.
- Adesso è una caccia
all’uomo, sappiamo chi è, abbiamo tutto di lui, la sua anamnesi,
persino il suo albero genealogico! - Disse Nikki finendo di mangiare.
- Sì, ma non abbiamo tracce!
Non sappiamo quale macchina ha rubato, sai quante segnalazioni ci sono
ogni giorno di macchine rubate? -
- Troppe? - Chiese Larry ironico. Colby annuì sconsolato e nervoso.
- La verità è che non abbiamo più nulla da cui partire, possiamo solo trovare il secondo complice. -
- Per cui bisogna aspettare che Liz ci dia conferma? -
- E se sta andando da lei? Da questa zia? Se è lei il complice e lui sta andando là? -
- E se invece non è lei e ci muoviamo tutti per nulla ed intanto lui qua fa i suoi porci comodi? -
- Sì però se è lei, Liz potrebbe ritrovarsi ad affrontarlo da sola… -
- L’ho richiamata per avere
notizie, ha detto che finalmente stava per parlare con la zia dopo
varie peripezie. E l’ho convinta a chiamare la polizia del posto e a
far sorvegliare l’edificio e mettere qualcuno a protezione della
vecchia. Liz potrebbe tornare con lei in manette oppure a mani vuote,
non è detto che sia lei la complice. Insomma… ha sessant’anni… io…
davvero potrebbe avere idee geniali su come aiutare il nipote
psicopatico serial killer a coprire le sue tracce? - Colby era molto
scettico e Nikki concordò che poteva essere un po’ troppo. Larry non
rispose limitandosi a cercare nella mente un sistema per stabilire chi
fosse quel complice misterioso in base alle informazioni che avevano.
Ma non era di certo facile.
- Ragazzi, Don è uscito. - La
voce di Alan arrivò ad interrompere un poco convinto piano di ricerca e
i tre in camera si precipitarono da lui in corridoio, trasportato nella
sedia a rotelle.
Aveva la testa con una fascia
per il colpo subito all’attaccatura dei capelli, a cui avevano messo
alcuni punti. Il camice dell’ospedale nascondeva il torace bendato
rigido per le costole schiacciate, fortunatamente l’intervento di Colby
era stato tempestivo.
La mano sinistra aveva una grande fasciatura grossa e rigida ed era ferma contro il petto.
- Mi serve un tutore, devo
tenere immobile la mano e farla medicare periodicamente, ma non
sembravano danneggiati i nervi, la cosa più importante. Per il recupero
completo bisogna aspettare, non hanno saputo darmi pronostici a questo
proposito. - Don si affrettò a spiegare tutto in modo che non lo
assalissero di domande. Una volta in camera, Don si alzò aiutato da
Colby, più che per tutto il resto, il problema del muoversi era
rappresentato dal costato indolenzito, aveva fitte continue ad ogni
tipo di movimento.
Colby lo aiutò a sedersi sul letto della camera di chirurgia degenze a loro assegnata.
- Come ti senti? - Chiese Alan agitato.
- Come uno che è stato crocefisso mentre un fulmine lo colpiva! - Rispose secco e burbero.
- Insomma non poi così male! -
Scherzò Colby che gli lasciò il braccio a malincuore, dovendo per via
delle troppe persone presenti. Don si morse il labbro nervoso, voleva
rimanere lì con lui, un po’ da solo. Almeno un attimo. Stava per
cercare una scusa per liquidarli un attimo, quando un’infermiera del
reparto corse da loro trafelata.
- Siete agenti, vero? - disse con lo sguardo preoccupato. Colby Nikki e Don si raddrizzarono guardandola a loro volta attenti.
- Sì. È successo qualcosa? -
- Sì ecco… un nostro paziente
ricoverato qua è sparito, non è stato dimesso perché è stato operato
stanotte e… - Don e Colby si guardarono pallidi, i cuori un balzo nel
petto.
- Chi è? -
- Il paziente sparito è Tyler
Wolf, della stanza 11… - E come se quei fulmini fossero ancora lì
intorno a loro e corressero nelle nuvole nere, minacciose, come se uno
di essi li colpisse ancora, i due rabbrividirono raggelandosi.
- Sotto i nostri occhi… come… come diavolo… -
L’orologio immaginario che segnava il tempo a disposizione aveva appena ripreso a correre.
Vertiginosamente. Irrevocabilmente.
Stava iniziando l’ultimo atto. Anzi. Era iniziato.