*Ecco
con il solito ritardo un altro capitolo. Ho lasciato Don e Colby in
camera di Charlie con Don che doveva andare in bagno e Colby ad
accompagnarlo. Forse possono avere il loro tanto agognato e per troppo
rimandato momento, quello definitivo, quello vero e profondo che
sancisce la loro decisione di stare insieme sul serio. Vediamo come se
la cavano in questo momento perfetto. Il prossimo sarà l'ultimo
capitolo. Buona lettura. Baci Akane*
44. LA SOMMA DEL TEMPO
"Quante volte un uomo deve guardare in alto
prima che possa vedere il cielo?
E quante orecchie deve avere un uomo
prima di poter sentire gli altri che piangono?
E quante morti ci vorranno prima che (l'uomo) riconosca
che troppi sono morti?
La risposta, amico mio, ascoltala nel vento,
la risposta ascoltala nel vento"
/Blowin in the wind - Bob Dylan/
Colby stava guardando i poster
di Charlie, la sua camera era rimasta quella di un adolescente anche se
era lì fino ad un paio di mesi prima.
Sorrise al suo disordine intatto, ai libri di matematica mescolati coi CD dei Linkin Park e dei Metallica.
Poi si fermò su delle foto appese insieme un po’ a caso in un pannello di compensato.
Foto sue con Amita, con Larry, con la famiglia. Persino una con la squadra dell’FBI, prima di andarsene. Il matrimonio.
E poi lui e Don insieme sulla moto di quest’ultimo.
Colby si soffermò su quella,
avevano degli splendidi sorrisi, le braccia di Charlie erano strette
intorno alla vita di Don ed aveva chiaramente paura di cadere, ma si
stava anche divertendo.
Si somigliavano in quella foto, eppure lui sapeva quanto diversi fossero.
“Come ho fatto a provare qualcosa per entrambi? Sono il giorno e la notte…”
Si disse Colby senza capire. In quello dal piano inferiore si sentì cambiare musica.
E Bob Dylan fece il suo ingresso in casa Eppes.
- Come diavolo ci sono
riusciti? - Chiese Don brontolando uscito dal bagno coi pantaloni
aperti perché i jeans con una mano non li allacciava nessuno.
La canzone era Forever Young, Colby si girò a guardarlo sorpreso e sconvolto.
- Don Eppes, dopo tanti anni
che ci conosciamo riesci ancora a stupirmi! - Esclamò impressionato
Colby, con un mezzo sorriso che aleggiava sul suo viso. Don imbarazzato
si strinse nelle spalle e si avvicinò a lui per chiedergli di
allacciarlo.
- Devono aver trovato il mio lettore mp3. - Commentò. - Pensavo d’averlo messo al sicuro! -
Colby rise.
- Qua in casa niente è al
sicuro! - Don concordò e arrivò da Colby guardando quello che guardava
lui, sorrise ma non commentò. - Bob Dylan eh? Non ti facevo da
cantautori! - Don fece un mezzo sorriso e gli prese il viso con una
mano, con fare sicuro di sé ma anche dolce insieme.
- Vediamo se riesco ancora a
stupirti? - Con questo, poi, annullò la distanza e lo baciò ignorando
completamente i jeans aperti che tendevano a scivolare giù, con Forever
Young che faceva da sottofondo romantico. Una colonna sonora perfetta
per una conclusione perfetta, almeno per una delle storie narrate in
quei difficili giorni, finalmente superati.
Il mondo scivolò lentamente
via, come le mani di Colby sul corpo di Don che aiutarono i jeans
aperti ad andare lungo le cosce allenate. Strisciò dietro ed afferrò i
suoi glutei con sicurezza ma non prepotenza, lo attirò a sé e aderì col
bacino al suo. A separarli i pantaloni di Colby e gli slip di Don.
Una violenta scarica elettrica
li attraversò mentre Don sollevava il braccio sinistro per togliersi il
tutore che gli bloccava il braccio, per poi riabbassarlo dietro la
schiena di Colby, sulle sue spalle larghe e forti.
L’adagiò lì mentre le loro
bocche non volevano saperne di separarsi, mentre si univano fondendosi
insieme alle lingue che giocavano in un tutt’uno, senza che uno dovesse
prevalere sull’altro.
Forever young faceva da sottofondo a quel loro momento cercato, desiderato e finalmente meritato.
Il calore crebbe in un
istante, insieme al loro bisogno istintivo ed immediato di averne di
più, di non poter aspettare. In una piccola parte della loro testa
sapevano che fare l’amore per la prima volta proprio lì nella camera di
Charlie non era l’ideale, per non dire che era proprio da insensibili,
però una volta che la scintilla si accese, non fu possibile per loro
allentare la presa e ragionare.
Colby cercò di ricordarsi del
luogo in cui erano e proprio mentre le sue mani stavano andando sotto
gli slip bianchi classici di Don, si fermò staccandosi dalla sua bocca
scuotendo il capo.
- Don, siamo in camera di
Charlie… - Don lo guardò seccato facendosi avanti per impedirgli di
andarsene, lo bloccò col corpo contro la scrivania in disordine di suo
fratello.
- E allora? - Chiese
insensibile. La mano libera, la destra, corse automaticamente e
prepotente sotto la maglia, cercando di sollevargliela. Il contatto col
suo petto fu deleterio.
- E allora forse è un po’
strano farlo qua… - Commentò con una piccola smorfia incerta. Don alzò
le sopracciglia come per dire ‘e allora?’ un’altra volta.
- Pensi che Charlie non sappia dove siamo e cosa stiamo facendo? -
Don riuscì ad alzargli la maglia, ma con una mano non poteva togliergliela, spogliarlo e fare molto e la cosa lo frustrava.
- Ma non hai una camera tua?
Dove dormivi? - Don ridacchiò al suo imbarazzo che trovava divertente e
delizioso insieme. Colby aveva una coscienza più spiccata della sua.
- Mio padre l’ha trasformata
in uno studio-libreria… - Colby sospirò quando la mano di Don corse ai
suoi pantaloni e tanto fece finché riuscì a slacciarglieli con una
mano.
- Ah ma guarda un po’, vedo
che se vuoi riesci a fare le cose con una mano, eh? - Commentò
guardando come glieli aveva aperti. Don rise con quel suo tocco
d’erotismo naturale perché lo faceva attaccato a lui, senza dargli più
lo spazio vitale.
- La parola chiave è ‘se
vuoi’. - E con questo si infilò nei pantaloni aperti e nei boxer e
finalmente si appropriò di una delle parti che aveva desiderato a
lungo.
Colby si appoggiò con dietro
di sé sulla scrivania di Charlie, sui suoi libri, sui suoi quaderni.
Qualcosa cadde, ma lo ignorarono.
Si concesse completamente a
lui mentre Don si occupava della sua erezione che non tardò a reagire,
lo guardava da quella vicinanza soffocante, erotico, magnetico, attento
ad ogni sua piccola inclinazione. Lo trovava estremamente sensuale in
quel piacere che si mostrava lento ma inesorabile.
- Non mi pare che una parte di
te si faccia problemi a fare certe cose nella camera di Charlie! -
Colby si morse il labbro ed improvvisamente capì che se non avesse
avuto la sua bocca lì, avrebbe come minimo dovuto porvi rimedio in
qualche altro modo. Così gli prese il polso e lo fermò con decisione.
- O andiamo fino in fondo o ci
fermiamo qua perché altrimenti non sarò in grado di scendere giù dagli
altri. - Don ridacchiò e si protese prendendogli il labbro fra i denti.
Lo succhiò e Colby gli venne
incontro con la lingua abbandonandosi alla mano che tornava al discorso
interrotto. Di nuovo per Colby fu difficile non venire subito.
Non voleva bruciare il primo orgasmo insieme così. Voleva che fosse meglio di una mano sull’erezione.
Così decise che al diavolo, si
poteva fare lì lo stesso. Lo spinse deciso e finalmente si sfilò la
maglia da solo, alzandosi il colletto da dietro la testa. La maglia
venne via davanti agli occhi compiaciuti di Don che si fece indietro
leccandosi le labbra. Nella mente i flash di quando l’aveva visto
spogliarsi perché sporco, bagnato o per andare in qualche missione
speciale, magari sotto copertura.
Aveva visto quel corpo anche pochi giorni prima.
L’aveva potuto toccare.
Ma ora c’era qualcosa in più. C’era la consapevolezza che avrebbe avuto tutto il pacchetto.
L’aveva desiderato molto e non ci sarebbero stati dolori a tenerlo.
Il piacere cominciava ad
affievolirgli ogni male e partì dagli occhi, da lui che si toglieva
anche i pantaloni e poi i boxer e rimaneva nudo facendosi avanti,
prendendogli la maglia comoda che si era fatto portare. Gliela sfilò
facendo cura nei movimenti, in modo che non gli facesse male la mano
fasciata e nemmeno il torace indolenzito.
Infine a piccoli passi verso
il letto, lo guardò negli occhi compiaciuto, fece un sorrisino dolce,
gli sfiorò le labbra, poi si abbassò sedendosi sul materasso,
portandosi dietro il resto dei jeans che rimanevano su e gli slip. Don
si morse il labbro, chiuse gli occhi e trattenne il fiato nel sentire
le sue dita prendergli il proprio membro in mano, sollevarlo verso il
suo viso e poi, dopo un paio di secondi di agonia, la punta della sua
lingua lì.
Aprì la bocca e gettò la testa
all’indietro, le braccia abbandonate lungo i fianchi e la lingua di
Colby a carezzarlo insieme alla sua mano.
La bocca ad avvolgerlo e
succhiarlo. Il calore, il bagnato, il rumore e la sensazione. La
sensazione di quel che stava facendo, di quel che aveva a lungo
desiderato.
Don si eccitò subito e Colby
aumentò presto il ritmo sentendo che gli piaceva. Sentendo il suo
bacino spingere contro la propria bocca e sospirare. L’altra mano fra
le proprie gambe ad accompagnare la stessa eccitazione che gli stava
crescendo e non voleva aspettare ancora. E poi scivolare con le dita
sui suoi fianchi e poi dietro sui suoi glutei a cercare ancor di più,
per completarlo meglio, per averne ancora.
Don sentì le sue dita farsi
strada in lui e gli carezzò la nuca, i capelli, indicando che andava
bene e che doveva fare tutto quel che voleva.
Colby stava seguendo il
proprio istinto, incapace di trattenersi in quella situazione. Lo
desiderava a lungo ed in un modo che non poteva più gestire. Perciò con
la sua erezione in bocca, il suo corpo sotto le mani, il suo piacere
che cresceva, Colby lo stava desiderando. Colby stava desiderando Don,
tutto Don, in ogni senso.
Lui, capendolo, gli dava il
permesso di fare tutto quel che voleva carezzandogli la testa mentre
ancora gli dava la sua erezione.
Andava bene, lo voleva se lo voleva anche Colby.
In un attimo si ritrovarono
stesi sul letto, lentamente per i dolori di Don sul torace, adagiato
con delicatezza, Colby sparì fra le sue gambe, sollevandogliele con
decisione, tornando ad occuparsi della sua apertura, a prepararlo anche
con la lingua oltre che le dita. Si immerse in lui e si prese tutto
quel che, se non avesse avuto in quel momento, l’avrebbe fatto
impazzire. Mano a mano che lo faceva suo, che entrava in lui, che Don
gemeva e gli dava il suo consenso, se ne sconvolgeva e si eccitava da
morire.
Don sembrava il dominatore che
non si abbassava a lasciarsi fare. Non avrebbe mai pensato che potesse
andargli bene. Eppure ora era lì ad amarlo al punto da concedergli
tutto quello che voleva. Tutto. Pur di farlo felice, pur di farlo
godere al massimo.
Colby se ne sconvolse e si eccitò all’idea di averlo.
Fino a che no, non ce la poteva fare più. Roco e pieno di desiderio glielo disse, tornando alla sua bocca.
- Don, io non posso aspettare… - e non si capiva cosa dovesse aspettare.
Don lo guardò, gli carezzò il viso dolcemente, sorrise con una tenerezza che non gli si aveva mai visto.
- Nemmeno io. - Lo baciò di
nuovo, poi adagiò la nuca sul materasso, alzò le mani ai lati del viso,
aprì meglio le gambe piegate e aspettò.
Colby sconvolto ed eccitato lo
guardò, avvampò in un’ondata di calore incredibile ed infine si decise.
Gli prese le gambe, gliele appoggiò alle proprie spalle delicatamente e
trovata la posizione ideale, lo prese per i fianchi, si chinò, si piegò
ed infine entrò. Il primo tentativo non ebbe del tutto successo, così
Colby sollevò un po’ Don verso di sé ed una volta trovato l’incastro
ideale, con un colpo deciso lo fece suo.
Come prima volta il dolore si
mescolò con quello che già aveva, fu una sorta di miscuglio di
sensazioni forti, ma presto i movimenti divennero fluidi e Don si
abituò a lui. Passò dal mordersi le labbra al gemere e tirare le
lenzuola con la mano sana.
Sul corpo i segni della
violenza, di quel pazzo di Max. Dei segni che sarebbero andati in
secondo piano. Don strinse le gambe intorno alla vita di Colby,
scivolando giù dalle sue spalle. Colby si chinò e si stese su di lui
appoggiandosi con le mani ai lati del suo corpo in modo da non
schiacciarlo per non fargli male. I movimenti furono ancora più
facilitati in quel modo e l’inclinazione perfetta permise a Colby di
trovare il punto di godimento di Don che si perse in quella sensazione
elettrica.
Tale da fargli andare sulla propria erezione e inseguire quel piacere che gli diede alla testa.
Ben presto Colby lo raggiunse
in un orgasmo che sì, così ora era perfetto. Un primo orgasmo insieme
per nulla squallido e sprecato.
Con Bob Dylan che stupiva la
gente sui lati nascosti di Don, tanti dettagli che rivelavano un Don
che necessitava di cose anche romantiche e delicate, ogni tanto.
Riflessive. Interiori. Non solo dure, forti. Anche dolci. Dolci così.
Così come poteva essere far fare a Colby tutto quel che voleva con lui solo perché l’amava.
Colby crollò di lato perché
sapeva che gli faceva male il petto, così fra una smorfia di Don che
era un misto fra il piacere ed il dolore per i respiri che gli
ricordavano la crocifissione due giorni prima, trovò il viso di Colby,
le sue labbra, i suoi ansimi. Lo baciò, lo guardò, si sorrisero stupiti
e sicuri, poi Don fu il primo a dirlo.
- Ti amo. Da tempo. E sapevo
il primo giorno che ti ho visto, quando ti ho assunto, che tu avresti
lasciato il segno nella mia vita, che eri diverso dagli altri agenti
che avevo preso nella mia squadra. Io lo sapevo. - Colby, colpito da
quel suo lato romantico come da tutti gli altri che lentamente
scopriva, lo baciò con un senso di commozione inevitabile. Gli occhi
lucidi, la mano sulla guancia.
- Ti amo anche io. Da troppo
tempo. - E non seppe fare di meglio, nonostante fra i due fosse lui il
più sentimentale. Però se lo tenne per sé, il resto. Glielo avrebbe
detto un altra volta, quando i sentimenti non sarebbero stati così
forti da sconvolgerlo.
Unirono le fronti, chiusero
gli occhi e rimasero così. Non uno sull’altro, non posizioni
particolari, per via delle condizioni di Don. Ma uno accanto all’altro,
le mani allacciate, le fronti unite, i respiri che si fondevano.
E fu perfetto così.