5. IL RITORNO DI UN FANTASMA
Dylan Cherry era scomparso a 28
anni. Semplicemente un giorno non era più tornato. Nonostante non fosse
frequente che sparisse per periodi lunghi, avevano denunciato la
scomparsa qualche giorno dopo le ultime tracce. I verbali non erano
molto dettagliati e quando Don parlò con l’agente incaricato del caso,
disse che l’idea che si era fatto parlando con amici e familiari, era
di una fuga amorosa.
L’uomo, ora di cinquantatré
anni, aveva raccolto pareri circa il fatto che aveva conosciuto un
misterioso qualcuno. Non aveva mai parlato molto di lui se non che si
era limitato a confermare che si vedeva con una nuova persona. Non
sapevano nemmeno il suo nome. Era molto misterioso al riguardo, erano
tutti curiosi di conoscerlo, però lui non sembrava dell’idea.
- Dylan voleva, però quest’altro
no. Disse di particolare che aveva problemi a mostrarsi con altri
ragazzi e non viveva le relazioni alla luce del sole, non voleva che si
sapesse che era gay. Perciò nemmeno nella sua comunità, nel suo gruppo
dove era accettato, Dylan era mai riuscito ad introdurlo. - Don annuì
ascoltando ogni parola di quell’uomo che ricordava bene il caso,
l’aveva preso a cuore perché Dylan era un ragazzo molto in gamba,
solare, positivo. Piaceva anche se eri omofobo. Non si ostentava, ma
nemmeno si mascherava. Era abbastanza chiaro che lo fosse, però non
irritava con atteggiamenti troppo marcati.
- Hanno faticato ad accettare la
sua scomparsa. Prima avevano pensato che fosse a fare una vacanza
romantica con questo nuovo compagno, ma quando non ha più dato tracce e
non è più tornato, non si sono dati pace. - Spiegò il capitano Sinners.
- Hai mai avuto indizi su chi
fosse questa persona? - Chiaro che Sinners avesse subito capito che il
colpevole fosse quest’uomo misterioso. L’unico a non essersi mai
presentato a denunciare la scomparsa o a fornire aiuto per ritrovare
Dylan.
Sinner ci pensò su cercando di
ricordare cosa avesse scritto nel verbale e come mai glielo stesse
chiedendo, poi decise semplicemente di rispondere:
- Dove lo conobbe. Il classico
locale per gay. Dylan era abituale, lui ed il suo gruppo adorava quel
posto. Ma loro lo intravidero soltanto. Un ragazzo più o meno della sua
età, capelli rossi. Quella sera Dylan era andato a prendere il giro da
bere al bancone, questo ragazzo era lì di spalle a loro, li videro
parlare insieme, Dylan subito gentile e sorridente. Poi nulla. Quella
sera non successe nulla. Non lo videro più. - Don si aggrottò.
- Come fanno a dire che era lui? -
- Ne erano tutti convinti. Dopo
quella sera Dylan cominciò a dire che c’era qualcuno ma che non voleva
farsi avanti… insomma, la relazione cominciò da lì. - Tagliò. Don annuì
appuntandosi il dettaglio del locale e dei capelli rossi.
- I baristi o i camerieri non l’avevano mai visto? - Sinners scosse il capo. - Perciò nessun riconoscimento? -
- Lo descrissero come un giovane
nulla di speciale, che non guardi due volte. Dylan lo guardavi due
volte, non per la bellezza ma per il modo di fare. Questo non era né
bello né esuberante. Era proprio difficile da notare. Infatti nessuno
ricordava altro che i suoi capelli rossi, ma solo perché aveva parlato
con Dylan, piuttosto popolare in quel locale. - Spiegò ancora Sinners
cercando di essere il più dettagliato possibile, ricordando tutti i
particolari. Aveva fatto carriera ed era Capitano, per questo sapeva
l’importanza dei dettagli nei casi che trovavano un miracoloso
riscontro dopo molti anni.
Sperava davvero che l’agente
Eppes avesse qualcosa, una specie di punto, più che altro. Dopo dieci
anni non si sperava in niente di positivo.
- Telecamere di sorveglianza? - Chiese sapendo che se non c’erano note nel verbale era inutile chiederlo.
- Solo sulla cassa. - Don
sospirò strofinandosi la bocca per fare il punto della situazione e
calmarsi della frustrazione che stava venendo già fuori. Poco e niente.
Un punto di partenza, ma nulla di molto utile in realtà.
La verità era che quel locale, quei baristi, quella sera era la sua unica speranza.
- Capelli rossi, eh? - Ripeté il dettaglio come se avesse un qualche significato, qualcosa gli suonava.
- Posso chiedere perché è
interessato a lui dopo tutto questo tempo? Avete trovato un riscontro
da qualche parte? - sperò in qualcosa nonostante la sua esperienza gli
diceva che se un federale veniva a fare domande su un vecchio caso
irrisolto, non era mai buon segno.
Don non trovando molto altro da
chiedere e volendo passare ai familiari e agli amici, chiuse il
taccuino e sospirando con aria dispiaciuta ed una delicatezza che
riservava solo alle vittime ed ai genitori delle vittime, Don disse:
- Il peggior riscontro immaginabile. - Con questo Sinners capì e chiuse gli occhi.
- Come? - Chiese consapevole,
riferendosi al modo in cui era morto. Poi aggiunse con una strana nota
di speranza: - Posso vederlo? -
- Non abbiamo tutto il corpo. -
Sinners lo guardò spalancando gli occhi shoccato e Don aggiunse
dispiaciuto e schifato da quel che era costretto a dire: - È la vittima
zero del killer scultore. Abbiamo solo il suo cuore. La scientifica ha
stabilito che cronologicamente parlando è la parte del corpo più
vecchia conservata nel furgone ritrovato. - La notizia in merito era
volata su tutti i notiziari, ma senza dovizie di particolari. Le forze
dell’ordine potevano saperne poco di più solo se avevano conoscenze.
Il Capitano Sinners impallidì
sforzandosi di non avere un conato di vomito all’idea che tutto ciò che
rimaneva di quel giovane ora era solo un cuore in vitro e niente altro.
Ci volle un po’ per riprendersi, poi la sua mente analitica di poliziotto esperto cominciò a riattivarsi con vari ragionamenti:
- Ma come, ho sentito che lui
espone le sue vittime in opere d’arte rivisitate… - Cercò di usare i
termini più distaccati possibile seppure in quel caso fosse difficile.
- Sì, ma abbiamo trovato più
parti corporee rispetto alle vittime esposte. Non sappiamo se ha
comunque fatto le sculture ma non le abbiamo trovate o se per qualche
motivo non ha creato nulla. Può anche essere che creava con chi lo
ispirava… per il momento abbiamo solo ipotesi e quest’uomo, questo
ragazzo dai capelli rossi che ora dovrebbe avere quasi quarant’anni, è
la nostra traccia migliore fino ad ora. Posso asserire quasi con
certezza che il killer scultore è lui. Ma purtroppo non abbiamo molto
su cui lavorare come lei stesso mi ha appena detto. - Concluse
gravemente e poco positivo Don. Infilò un coltello e rigirò per bene la
lama. Era difficile digerirlo, però Sinner ne aveva viste e sentite,
aveva una tecnica per affrontare certe cose.
Dopo qualche secondo cercava nella propria memoria istinti soffocati dell’epoca.
Chiuse gli occhi con una sensazione sulla punta delle dita, Don non lo interruppe ma lo fissò torvo ed intensamente.
Alla fine aprì gli occhi e disse un nome.
- Tyler Wolf. Dylan parlava
tanto con Tyler, era il suo migliore amico, è stato lui il primo a
denunciare la scomparsa. Ho sempre avuto la sensazione che sapesse di
più, forse un nome, un dettaglio… era restio a parlare sebbene fosse
preoccupato per il suo amico. Gli sembrava come di tradire la sua
fiducia. Avrei dovuto insistere di più. - Spiegò. Don si appuntò il suo
nome e chiese se aveva un indirizzo, l’uomo chiamò un agente e gli
chiese di rintracciare elettronicamente Tyler Wolf. Una volta che trovò
l’indirizzo, lo comunicò a Don il quale se lo scrisse.
Infine Don annuì e più soddisfatto del previsto, si alzò e gli tese la mano ringraziandolo.
- Quando andrà a parlare con la
famiglia voglio esserci, sono andato ogni tanto a trovarli per vedere
come stanno. Si sono fatti forza, ma la casa è un santuario del figlio.
Meritano di sapere. - Don annuì ancora rispondendo serio:
- Parlerò con Wolf e vediamo se
è in grado di aiutarmi ma vorrei dare un’occhiata alla sua camera.
Probabilmente domani. La chiamo quando sono pronto. - Sinner annuì
assicurando che avrebbe avuto la sua collaborazione in qualsiasi
momento, poi lo accompagnò all’uscita dell’ufficio e sospirando tornò a
sedersi, lo sguardo sul fascicolo del caso di scomparsa appena citato.
A volte i fantasmi tornavano per invocare pace.
“Spero proprio che tu possa averlo, ragazzo. La meriti.”
Certo sapere la fine che aveva
fatto non aiutava ad ingoiare il boccone fin troppo amaro, ma la
speranza di una giustizia, anche se dopo tanto tempo, era meglio del
buio di tutti quei dieci anni.
Avrebbe detto questo ai genitori quando li avrebbe rivisti.
Don uscì dal Distretto e guardò l’orologio mentre la sera inoltrata delle undici passate lo avvolgeva fresca.
Indeciso se cercare subito Tyler Wolf o aspettare l’indomani, esitò ad arrivare alla macchina parcheggiata fuori.
Fu lì che il telefono suonò e la
voce di Colby lo riportò alla realtà dandogli un consueto ed
immancabile senso di sollievo. Ultimamente succedeva con lui, con la
sua voce roca in particolare.
- Allora, novità? - Chiese Don subito senza salutarlo.
- Per stasera non posso
ricavarne nulla. Sono risalito al proprietario, ma al telefono non
risponde perciò andrò domani mattina a trovarlo a lavoro e vediamo se
può aiutarmi. Per il resto risultano diversi lavori al motore in
particolare, ma non ci sono ricevute perché probabilmente pagava tutto
in nero. Forse le gomme possono darmi una pista, ma anche queste mi
serve domani. - Silenzio.
- Mmm. - Un mugugno che Colby sapeva interpretare molto bene come uno di disapprovazione.
- Tu? - Chiese a quel punto. Don
si riscosse riassumendo brevemente il risultato della chiacchierata al
termine della quale Colby ripeté il dato più interessante anche per
lui, lo stesso che aveva fatto risuonare qualcosa in Don per qualche
ragione: - Capelli rossi, eh? Aria insignificante, che non noti se non
per i capelli rossi. - Don fece un ‘a-ah’ che non sapeva cos’altro
aggiungere. - Che fai ora? Vai a casa? Ho detto a Nikky e Liz di
riprendere domani. - Si era preso una libertà che Don concedeva solo a
lui, non la sindacò nemmeno un secondo.
- Vai, vai pure… - Aggiunse
infatti. - Io vorrei provare a vedere se becco Tyler Wolf, il suo
amico. Magari può essermi utile… -
- Senti Don, Tyler sarà lì anche
domani mattina. E magari più collaborativo perché non lo interrompi in
qualche appuntamento o in una serata a due… - Disse Colby sapendo un
po’ come andavano certe cose. Ma non era certo per quello che stava
suggerendo a Don di andarci domani. Questi si aggrottò indispettito
innalzando di nuovo il muro, sia pure a distanza telefonica Colby lo
sentì subito.
- Beh, mi dispiace
interromperlo, ma è importante sapere quanto prima tutto quello che
posso sul killer scultore! Vorrei dargli un nome, magari! Evitare che…
scolpisca ancora! - Esclamò irritato della leggerezza di Colby. Non era
certo questo, ma lui troppo preso dal caso non poteva capirlo.
Alan e Charlie, anche Robin solitamente lo facevano. Ma quando loro non c’erano, ci pensava Colby.
- Ti sorprenderebbe sapere
quanto si può ottenere usando i sistemi giusti! - Don si zittì
all’ironia. Colby sospirò paziente, il suo tipico modo di fare. - Hai
la foto di Tyler? - Chiese rassegnato. Don rispose che se l’era fatta
mandare dal tecnico al distretto. - Si è mai trasferito? -
- Stesso indirizzo. -
- Ci vediamo al parcheggio del
locale preferito dal suo gruppo. - Don capì che parlava del famoso
locale gay dove Dylan aveva incontrato il killer.
- Pensi di incontrare Tyler lì? - Chiese scettico.
- Penso che respirare l’aria che
respirò il nostro uomo quando tutto è iniziato, ci può fare bene. E se
abbiamo fortuna possiamo beccare qualcuno che lavorava all’epoca. E
magari anche Tyler. - Don si sentì subito meglio all’idea di avere
qualcosa di utile da fare, così senza aggiungere altro annuì e chiuse
il telefono.
Colby lo conosceva ormai, sapeva
come fare con lui. Non lo potevi contrastare, potevi solo venirgli
incontro e sorvegliarlo, cercare di non farlo esagerare. Ma fermare era
proprio impossibile.