9. INATTESO CORAGGIO
"C'era un
tempo C'era un posto Ma c'era la paura dentro Una bugia spiritosa per
salvare la mia faccia Il paracadute dell'orgoglio Per attraversare la
linea fa un piccolo passo Ma sarà questa scintilla la causa del ponte
che brucia La mia paura si intreccia con il mio rammarico Sarò il
percorso per il ritorno sicuro. Così eccoci qui Tutti uguali Ma saprai
mai Il mio piano segreto Quanto vicino siamo arrivati A condividere un
altro ruolo Non ho perso la mia unica possibilità Di dirti come mi
sento dentro Sono solo io che Mi piacerebbe saperlo O siamo tutti solo
un po' ciechi? C'è una cosa chiamata amore Che tutti noi dimentichiamo
Ed è un amore sprecato Che tutti noi rimpiangiamo Vivete la vostra vita
solo una volta Quindi non dimenticate di una cosa chiamata amore Non
dimenticate una cosa chiamata amore"
/Above Beyond - Thing called love/
I due così si ritrovarono di
nuovo sul bancone, ma questa volta rimasero lì, in parte. Bevendo
qualcosa di più forte, iniziando a parlare di quanto successo e per un
momento fu come se quel bacio non ci fosse mai stato.
Don tornò a sentirsi meglio, nel
riuscire a metterlo da parte. Fecero il punto della situazione mentre i
drink diventavano più di uno e la gola ringraziava ad ogni sorso
concesso. Calore.
Poi, dopo un po’, anche un
piacevole caos. La lucidità mantenuta a fatica fino a quel momento,
andò a quel paese. Don voleva lasciarsi andare, voleva poter trovare
una scusa per quel che aveva fatto. O magari solo dimenticarlo. Si era
prefissato di non farlo mai per rispetto a Charlie, eppure ora era lì,
improvvisamente gli era uscita in una situazione strana.
Ed ora aveva una voglia matta di
rifarlo. Mentre la musica diventava house ed elettronica e il ritmo
incalzava sempre più stordendoli, insieme al calore e all’euforia
dell’alcool.
Quell’eccitazione per essere in un ambiente protetto per due uomini che volevano stare insieme da una vita.
Stabilito quello che a livello di caso avrebbero fatto l’indomani, Colby lasciò il silenzio per un momento, poi piano disse:
- Sono contento che l’hai fatto
tu. - Lo sguardo basso, sul bicchiere dove i ghiaccioli si stavano
sciogliendo. Don faticava a rimanere lucido e ragionare. Anzi. Faticava
a non riprendere il discorso. E a ricordare perché non l’aveva ancora
fatto.
Per un momento la voce di Charlie gli tornò alla mente.
‘Io non farò mai nulla con lui, perciò fa ciò che vuoi!’
“Charlie si è sposato, è felice con Amita. L’ha superata bene. Sei tu che la devi superare ora. O forse accettare.”
- Io non avevo idea di cosa
pensassi e non potevo permettermi di rovinare tutto. Però lo volevo. -
Finalmente, in un locale gay, in mezzo ad una musica assordante che
rimbombava nei loro petti, col calore nella testa annebbiata, Colby
riuscì a dirlo e a lasciare nella nebbia Dwayne e i propri tradimenti
da spia.
Ormai era finita, si ripeté. Ormai era andato, continuò volendoci credere almeno per una volta.
Volendo Don e basta. Per una volta almeno.
Don gli prese il mento fra le
dita e non sapendo cosa dire, non avendo idea di come si articolava ciò
che provava, ciò che pensava, glielo sollevò facendosi guardare, infine
si chinò verso di lui e lo baciò di nuovo, questa volta con meno foga e
passione. Più piano, più dolcemente, più delicatamente. Incredibile
pensare che potesse esserlo tanto.
Che le sue labbra sapessero
essere così leggere mentre si intrecciavano alle sue. Che la sua lingua
potesse essere così sensuale mentre giocava con la sua. Piano, con una
calma che assaporava persino l’alcool che aveva bevuto lui.
Lo stesso sapore. Poi il calore, di nuovo. L’eccitazione che si alzava e la voglia di prendersi di più.
Un altro flash dietro gli occhi
di Don, quello in cui gli aveva preso il viso fra le mani dopo che
l’avevano trovato quasi morto con un iniezione letale dritta nel cuore.
Quando lui e David l’avevano rianimato, quando lui gli aveva tenuto il
viso inerme, gli occhi chiusi, immobile, senza un alito di vita. La
paura gelida di quel momento, una paura che difficilmente avrebbe
dimenticato.
Colby gli prese il viso fra le
mani, inavvertitamente in un modo simile, e lo guardò da vicino, fronte
contro fronte, occhi negli occhi. Confusi.
- Credo sia ora di dare
un’occhiata a quell’angolo appartato che c’è di là! - Mormorò ironico.
Don capì a quale si riferiva e decise che era un’ottima idea, perché
era ora che se la sentiva e forse dopo avrebbe cambiato idea e non
voleva.
Aveva paura ad andare a casa,
che tutta quella magia, quel coraggio svanissero una volta via da lì. E
non voleva smettere così presto.
Colby gli prese il dito col suo e lo tirò facendosi strada fra la folla che ballava, nessuno si curava di loro.
Quando girarono l’angolo, il
buio li coccolò. Fecero un paio di metri notando diverse persone che
appoggiate alle pareti si baciavano. Qualcuno era inginocchiato davanti
all’altro, ma capire chi e cosa facessero non era facile se non grazie
all’immaginazione.
Dopo poco gli occhi si
abituarono e Colby gli parve di riconoscere Tyler Wolf, così prendendo
due piccioni, si appoggiò vicino a lui, tirò Don a sé e scivolando con
le mani sui suoi fianchi riprese a baciarlo.
I bacini a contatto, l’erezione attraverso i jeans stretti, la voglia di slacciarli e liberarla.
Le lingue tornarono ad appartenersi ubriache, insieme alle loro bocche che non si separavano.
Il mondo tornò a sparire, le mani di Colby scivolarono sul suo fondoschiena e strinse, mentre Don sorrise sulla sua bocca.
Nessuna spiegazione, nessuna
parola oltre quelle date. Solo quella sera, quei baci. Poi, l’indomani,
fuori da lì, avrebbero affrontato la realtà.
Scivolarono uno nell’altro e i
ricordi di un passato non molto remoto subentrarono. Per Colby e
l’angoscia provata la notte in cui aveva trovato Don a terra
accoltellato vicino a Nikky svenuta. Si era sentito morire quando aveva
visto il sangue uscire dal suo corpo, dal suo addome. Il suo sangue
caldo nelle mani.
Era tornato una notte in
convalescenza, senza nessun altro. Incapace di dormire, di stare a casa
solo. Era venuto e gli aveva detto che non riusciva a dormire e si era
ricordato che quando era stato in ospedale dopo l’iniezione di cloruro
di potassio, aveva passato molte notti sveglio nonostante la
spossatezza e la stanchezza.
‘Avevo paura di non svegliarmi più.’
Era stata una delle poche volte
che Don si era scucito con lui. Aveva avuto un’espressione liberamente
angosciata, aveva chiuso gli occhi e si era coperto la bocca con le
mani. Poi aveva detto con fatica:
‘Sai, pensavo di essere
paranoico.’ Colby aveva riso e si era seduto con lui. Avevano parlato
tutta la notte. In quell’occasione Don gli aveva detto che era venuto
spesso quando era ancora in coma, preoccupato che non ce la facesse.
Colby l’aveva ringraziato.
‘Non te l’ho mai detto, ma
volevo farlo, un giorno.’ Don l’aveva guardato senza capire. ‘Se non mi
avessi creduto tu, nessuno di voi sarebbe venuto.’
Don aveva cercato di sminuire la cosa, ma Colby aveva trovato il coraggio di prendergli la mano e fermarlo per zittirlo.
‘Lo so, ma solo… grazie.’ Punto.
E Don aveva accettato il grazie e la sua mano. La notte più bella che
potevano ricordare nonostante le circostanze.
Ricordarlo in un momento simile fu significativo, Colby ne era consapevole.
Fu tutto meraviglioso fino a che
una terza mano approdò sul sedere di Don, appena realizzò che ne aveva
una di troppo addosso andò in delirio e veloce come una saetta prese la
pistola e la piantò alla tempia del malcapitato che aveva osato, tutto
storto e sporto verso di lui, rimanendo sempre fermo su Colby il quale,
sorpreso e shoccato dell’interruzione così brutale, realizzò che
probabilmente qualcuno ci aveva provato con lui per una cosa a tre.
Spesso si faceva in quei posti.
Si chiuse il viso con una mano mentre l’altra era ancora sl compagno.
- Don… - Richiamò. - Don, non
puoi sparare a tutti quelli che ci provano con te! Andiamo! - Poi
quando riaprì gli occhi per guardare chi era, impallidì e spinse via
Don bruscamente.
- Ma bene, stai minacciando
Tyler Wolf se non l’avessi notato! - L’uomo, spaventato e raggelato, lo
guardò pallido senza capire come mai il suo nome fosse saltato fuori.
Tyler era più o meno loro
coetaneo, come anche il killer e la prima vittima. Si teneva molto
bene, ad occhio dimostrava meno anni, era palestrato ma non in modo
eccessivo, i vestiti aderenti evidenziavano il suo corpo perfetto ed il
viso era giovanile e bellissimo. Uno dei più belli mai visti.
Capelli neri corti dal taglio perfetto, un po’ di barba scura sul volto e gli occhi azzurro chiaro.
Le mani alte, il compagno bello
che scappato, l’avventura di una sera probabilmente che davanti ad una
pistola non si sacrificava per nessun bel viso.
- Scusate ragazzi, ma da come mi
guardavate prima e vedendovi proprio vicino a me ho pensato che
volevate fare qualcosa insieme… ho frainteso ma… intanto possiamo
abbassare il bolide? - Don batté le palpebre, ma non era ancora
convinto di volerlo risparmiare, la voglia di staccargli la mano era
alta.
Colby gliela abbassò al suo posto e lo spostò mentre notava che avevano troppi sguardi addosso.
- Mettila via! - Disse piano a
Don il quale se la mise riluttante nella fondina sotto la camicia. Nel
gesto si vide il distintivo e Tyler strabuzzò gli occhi abituati al
buio.
- Poliziotti? - Esclamò incredulo. Don sospirò spazientito e Colby parlò per lui.
- FBI, ma spero tu non voglia gridarlo, ora. - Tyler scosse il capo ancora spaventato.
- E perché mi cercavate? I
federali che mi stanno addosso? Non ho nulla, sono pulito! Tutti i miei
partner sono maggiorenni, io non… - Partì con ogni accusa possibile e
Don sentì di nuovo la voglia di sparargli, poi Colby tornò a calmare
tutti.
- Volevamo avere un approccio
più tranquillo per capire che tipo sei, ma a questo punto… - E così
lanciò un’occhiataccia a Don che si voltò ed iniziò ad avviarsi verso
l’uscita.
- Ma approccio per cosa? - Continuò a chiedere Tyler meno spaventato di prima, ma sempre attento e attonito.
- Ecco… seguici fuori… - A quel
punto la conversazione si spostò fuori dal locale da cui uscirono
prendendo delle boccate d’aria utili per tornare almeno un po’ in loro.
Poco. L’alcool aveva lavorato bene, non potevano sostenere una
conversazione così.
Avevano rovinato tutto ed il fatto che fosse stato Don era davvero epico.
Lo portarono alla macchina e
sebbene non fossero ubriachi, erano consapevoli che non potevano
interrogarlo in quelle condizioni.
- Allora, partendo dal
presupposto che era un’azione sotto copertura per un caso di cui non
possiamo parlarti ora, ti possiamo dire che tu… - Colby cercò delle
parole diplomatiche per sbrigarsela e spingerlo a tornare l’indomani in
centrale. La scelta migliore per come erano messi. - tu sei saltato
fuori all’interno di questa grande indagine, ma non sei un indiziato. -
Specificò subito vedendolo tendersi. Sospirò. - Però puoi essere un
testimone prezioso. - Aggiunse. Tyler si tese e appena disse la parola
‘testimone’ sembrò capire.
- Ragazzi, anche io sono mezzo
ubriaco, ma non abbastanza da non capire che siete qua per Dylan. Avete
trovato qualcuno? Ma un indagine grossa addirittura? Dopo dieci anni?
Che è successo? - Tyler partì di nuovo con la sua parlantina che
irritava facilmente Don, il quale camminava nervoso davanti all’auto
dove erano, sotto un lampione poco distante che faceva luce
sufficiente.
- È complicato, come ti dicevamo. Però adesso non possiamo parlarne. Tu per primo non saresti in grado di esserci utile. -
- Perché voi invece? - Cominciò
polemico e con la lingua lunga, riferendosi al fatto che erano
chiaramente alticci, anche se sapevano controllarsi bene. Don lo fissò
tornando con la mano alla pistola che Colby decise di togliergli per
sicurezza. Don lo fissò male ma Colby fece coraggiosamente finta di
nulla. Con la sua proverbiale calma e pazienza.
- Noi siamo quelli con il
distintivo, amico. - Gli ricordò furbamente facendogli notare che
potevano rigirarsi qualunque situazione in favore e di non tirare la
corda.
Tyler annuì.
- Ok. Collaborerò. Sono felice
che abbiate una pista per il mio amico, di qualunque cosa si tratti. Ho
sempre sperato che il pezzo di merda che l’ha preso tornasse. - Don a
quello scattò come una molla e lo fissò, tornando improvvisamente
sobrio e lucido.