*Eccoci qua. Abbiamo sospeso la conversazione fra Daisy e Grant nel momento topico. I due vengono da un'eccitante serata dove lei si è lasciata andare ed a casa sta per ripetere la cosa, finchè non ha deciso di fermarsi per pensarci meglio. Ci sono ancora troppi sentimenti confusi in gioco e finchè lei non riesce a separare nettamente i due Ward, è meglio non andare oltre sebbene una parte di lei lo voglia davvero.

11. IL DOLORE UMANO


"Lo sento stanotte
Tutti i tuoi muri si stanno rompendo, non alzare una lotta
Vedo le tue mani tremare, lasciati andare quando stai bene
Prometto che mi prenderò cura di te la notte"
- Play my drum - Sandra Lyng -


Grant si fermò in mezzo alla stanza praticamente nudo, si era anche tolto la maglietta nera ed era solo coi boxer. Lei non lo guardava, stava male e si vedeva, ma anche lui stava male solo che si stava divorando per non dimostrarlo.
Era lei che lo voleva, così glielo avrebbe detto. Magari poi aveva ragione, magari poi esprimerlo l’aiutava.
- Io sono straziato in questo momento. Perché quel po’ che provo riguarda te e non so perché, ma è così. E tu invece non vedi me ma vedi un altro ed io non ci posso proprio fare niente. E non posso ribellarmi ed andarmene perché faccio perte di un esperimento, ho le mani legate, no? Ma non so nemmeno se dopotutto vorrei andarmene, non ho ancora provato niente, solo che nessuno di quelli che incontro vede me, ma vede l’altro. Ed io non potrò mai cambiare questo. E mi strazia, mi dilania. Perché invece vorrei che tu mi guardassi e vedessi me, me, non lui. Che mi desiderassi quanto ti desidero io. Vorrei davvero potermi lasciare andare a quel che provo, come dici tu, ma mi sembra che ci sono solo una gigantesca serie di cose che devo e che non posso. - Con questo premette i palmi sugli occhi trattenendo il fiato, si morse il labbro sentendosi strano, male, esplodere eppure più libero e leggero. Forse si sarebbe potuto sentire ancora meglio tirando fuori ancora, ancora di più, ma non con le parole.
Gli sembrava che ci fosse ancora qualcosa che poteva fare per stare meglio, gli occhi gli bruciavano da morire, la frustrazione era tale che era salita tramite un nodo alla gola e questo ora stava dietro gli occhi stretti che schiacciava con i palmi.
Le sue mani delicate gli presero i polsi e gliele tolsero dal viso, lui la lasciò fare e si scoprì, la guardò mentre si dispiaceva con quegli occhi così belli e scuri, la morbidezza del suo volto che trovava meraviglioso e quel contatto, quel contatto gli fece cadere anche l’ultima barriera che istintivamente aveva cercato di ergere.
- Devi lasciar uscire tutto. -
- Tutto cosa? - Chiese lui turbato, lo sguardo contratto nella paura, nel dolore, nello smarrimento.
- Questo fuoco che hai dietro gli occhi, lascialo scendere... non trattenerlo... - Fu così che Grant pianse per la prima volta e quando lo vide lei capì che davvero quel Grant non aveva niente a che fare con l’originale, ma doveva capirlo anche il suo cuore, la sua anima, il suo istinto, non solo la sua ragione.
Gli avvolse la testa con le braccia e lo strinse a sé, lui si abbandonò a lei nascondendo il volto contro il suo collo, fra i suoi capelli.
Quell’abbraccio liberò ulteriormente il proprio fuoco liquido, quelle gocce che scendevano dagli occhi aveva l’impressione di non averle mai versate. Non era come gli altri gesti che compiva... alcuni gli venivano automatici, come il combattere. Altri li imparava subito e sapeva in qualche modo che un tempo li aveva fatti una volta, che nel suo corredo genetico, nel suo istinto c’era anche questo. Ma quello no, quella cosa che stava facendo ora non l’aveva mai fatta e più lo faceva, più si sentiva bene e male insieme. Era impossibile smettere, si ritrovò a singhiozzare stretto a lei mentre pensava a tutto quello che l’aveva demolito lentamente da quando era venuto al mondo.
Il non essere nessuno, non avere ricordi, non sapere nemmeno se era umano, non sapere cosa significava esserlo. Essere un esperimento, dover fare e non poter fare, eseguire, imprigionato, doveri. La vita di un altro che aveva ferito molte persone, un compito da cui non poteva scappare, il non avere nemmeno idea di che cosa voleva e forse, forse dopotutto, quando desiderava Daisy e provava tutte quelle cose sconvolgenti per lei, non era nemmeno la prima volta che le aveva provate. Forse era scritto da qualche parte nel suoDNA, forse l’aveva già fatto e lui non lo ricordava. Forse non era un altro, forse era lui. O forse il destino li aveva legati indissolubilmente, perché se due sono destinati a stare insieme, in ogni vita, in ogni circostanza sarà così. Però nonostante questo forse non era giusto, forse lei non avrebbe mai amato lui, forse lui non avrebbe mai potuto avere una vita vera e propria.
- Quello che stai facendo è piangere ed è il modo più sano per vivere la propria sofferenza. C’è chi questa sofferenza la soffoca e la usa per ferire gli altri, per vendicarsi, magari. O che la trasforma in rabbia. Non è facile gestire il dolore, la sofferenza, ma è un sentimento, un emozione inevitabile. Devi imparare a gestirla nel migliore dei modi così che non ti divori e non ti trasformi in una persona orribile. -
- È questo che è successo al mio originale? - Chiese lui parlandole ancora contro il suo collo, lei fu attraversata dai brividi su tutto il corpo ma non lo respinse.
- Non ne ho idea, non sono mai riuscita a capirlo bene prima di... beh, una cosa successa l’anno scorso ed ora tu mi stai facendo capire il resto. È il dolore che l’ha trasformato in quella persona che ha ferito tutti? - Chiese lei più a sé stessa. Lui si separò e la guardò da vicino tenendola per i fianchi in un modo estremamente intimo, Daisy non riusciva a respingerlo. Era sconvolta e turbata sin nel profondo da quella versione di Grant, ma non poteva assolutamente distanziarlo.
“Dio mio non è per niente lui... lui non piangerebbe mai, non si lascerebbe andare così, non si aprirebbe mai. Non è lui, Daisy. Non è quel Ward, ha solo il suo DNA, ma non è lui.” Se lo ripeteva sconvolta vedendo il suo meraviglioso viso stravolto dalle lacrime e da un dolore che esprimeva in modo completo e profondo.
- L’istinto che ho ora è di cancellare questo dolore, è atroce, non lo voglio provare. Perché non riguarda solo te, è qualcosa di più grande. Sono io che non sono una persona normale e mai lo sarò e nessuno mi vedrà come chi sono io, tutti mi vedranno come l’altro. Non vivrò mai la mia vita, avrò sempre qualcuno a dirmi cosa fare e non potrò mai ribellarmi e non sarò nemmeno mai io davvero... che prospettive ho? Sono un esperimento scientifico. Mi dite tutti di fare quel che voglio e provare tutto, ma non posso e lo sappiamo tutti. Vorrei andarmene, cancellare tutto, non voglio provare tutto questo, non voglio non sentirmi nemmeno un uomo, non voglio non avere scelta davvero. Voglio cancellare, cancellare, cancellare. Non posso convivere con tutto questo, lo voglio schiacciare, demolire. - Lo disse con trasporto lasciandosi andare alla rabbia e al risentimento per quel che gli era successo.
Daisy era sconvolta da quanto fosse vivo, invece. Era vivo, non era un programma. Era stato creato per eseguire degli ordini, ma provava sentimenti veri, dolore reale. Se non trovava una soluzione a quel dolore il DNA di Ward l’avrebbe spinto ad usare la rabbia e la vendetta per cancellare.
- Penso che mi stai aiutando molto a trovare la pace che non avevo mai avuto riguardo questa persona che mi ha segnato, mi ha segnato molto e mi ha distrutto come tu ti senti distrutto ora. E so cosa significa quando dici che vuoi cancellare tutto. Io ho provato ad ucciderla quella persona, quel Ward. Ed ora tu sei qua, di nuovo. Forse finché non impariamo a capire quel che non funziona, finché non lo viviamo bene, finché non lo comprendiamo e non sistemiamo le cose... finché non le viviamo nel modo giusto, come siamo destinati a viverle, le cose si ripeteranno all’infinito in tutti i modi possibili. Fino a che non riusciremo a viverle come il destino vuole. - Daisy gli teneva il viso fra le mani e glielo carezzava asciugandogli le lacrime che copiose continuavano a scendere. Lo vide così umano, così fragile.
- Sei molto più umano e vivo del tuo originale. -
- Questo sei tu che lo devi capire col cuore. - Rispose lui tirando su col naso e provando a non piangere più.
- Questo progetto di cui fai parte è atroce, non possono creare cloni vivi al cento percento ed obbligarli a seguire le loro direttive in questo modo. Tu dovresti essere il primo di una lunga seria, non è giusto quel che ti hanno fatto e che vogliono farti, in nessun modo è giusto. E noi rimedieremo a questa porcata. - Grant iniziò a sentirsi vagamente meglio, non solo lei capiva e comprendeva, ma cercava di dargli delle soluzioni concrete ed accettabili.
- Rimedierete come? - Lei alzò le spalle rimanendo ferma dove era a quella vicinanza claustrofobica, inebriante, sconvolgente e bella. Belle come le sue mani forti sui suoi fianchi.
- Distruggeremo quella maledetta macchina, tanto per cominciare. Senza la tecnologia suggerita al Darkhold attraverso Fitz e Aida non sarebbero mai in grado di replicarlo. E poi tu deciderai con calma quel che vuoi fare e lo farai. Se vorrai andartene e sparire, giuro che ti aiuterò davvero. Ok? - La prospettiva di avere davvero una scelta, questa volta sul serio e non per finta come prima, lo tranquillizzò e sorridendo debolmente smise di piangere, gli occhi piccoli e gonfi, così liquidi come petrolio. - E poi voglio che fai quel che desideri, fai le tue scelte, vivi le cose che ti capitano, ma voglio che mi parli, che ti esprimi su tutto, tutto quello che provi, non importa cosa sia, anche se la colpa è mia. Perché quel che fa davvero male all’uomo è sopportare da solo le emozioni troppo violente e brutte. Tu non sei solo, non devi sopportare niente da solo. - Daisy non l’avrebbe mai lasciato a sé stesso, Ward era una bomba ad orologeria, totalmente incapace di gestire il dolore e la sofferenza. Doveva assicurarsi che imparasse a farlo.
“E comunque c’è qualcosa che mi impedisce di scappare davvero dall’altra parte dell’universo ora che ho lui, questo Ward così diverso dall’altro fra le mie mani. Non so se è vero che devo imparare dalle cose andate storte con lui, comprendere, perdonare e viverle nel modo corretto perché in realtà un modo corretto esiste. Se così fosse sarebbe ora di imparare perché è capace che in questa vita io ne incontri altri mille di Ward, ognuno di un tipo diverso.”
- E se quel che desidero è baciarti? -
- Tu lo sai che io sono ancora confusa... - L’avvertì lei sincera ma senza sciogliersi dal loro abbraccio.
- Finché non ti faccio vivere tutte le nostre differenze, il tuo cuore non capirà mai che io non sono lui... - Quando lo disse, lei capì che era un ragionamento complesso proprio da Grant Ward, ma che filava sotto ogni punto di vista.
Aveva capito molto di più quando l’aveva visto piangere che per il resto della giornata intera.
Doveva vivere le loro differenze.
Grant appoggiò titubante le labbra sulle sue in attesa di essere respinto, ma lei lo trovò così spaventato e dolce e addolorato al tempo stesso, che non riuscì a respingerlo.
Oh no, lui non l’aveva mai baciata così. Non l’aveva mai toccata così, non si era mai aperto così a lei, non aveva pianto, sofferto davanti a lei.
Mai.
Le loro labbra si intrecciarono di nuovo e senza l’euforia dell’alcool, della musica, delle luci basse e del calore di quella sala da ballo.
Le loro labbra ora erano insieme in una calma esplorativa quasi dolce. La sua lingua si fece strada a cercare la propria e Daisy lo lasciò fare, l’assecondò e provò a capire lei, questa volta, cosa significava arrendersi a quel Ward e cosa voleva lei da lui e perché.
“Voglio correggere il mio destino, forse. Non il suo. Non è lui che voglio sistemare come ho sempre sognato che fosse. Lui è come deve essere. È una persona a sé stante ed io lo guiderò nelle esperienze che lo possono rendere un uomo migliore, farò del mio meglio, ma non sono una di quei scienziati che lo ha creato. Io devo correggere me, il mio destino, la mia vita. Quanti Ward diversi ho vissuto? Il Ward spia capace di farsi amare da me, il Ward agente dell’Hydra capace solo di eseguire degli ordini, il Ward che non sottostava a nessun capo e che cercava di strapparsi un posto nel mondo, comunque corrotto dalle brutte esperienze vissute, il Ward posseduto da Hive che mi ha reso dipendente, il Ward del Framework che mi amava ed era così in gamba e pulito perché aiutato dalle persone giuste ed ora questo. Un Ward clone senza le esperienze che lo hanno trasformato nello psicopatico che poi era stato. Non è una questione di gestire lui nel migliore dei modi e di correggerlo. È che è ora che io lo viva nel modo giusto, che sia io a farlo. Perché questa vita, questo destino che si diverte con noi, mi riproporrà un altro Ward ed un altro ed un altro finché io non capisco, non comprendo e non perdono. Finché non lo vivo come questo maledetto destino vuole io lo viva.”
Le loro bocche fuse insieme accompagnarono questi pensieri che fluivano nella sua mente sempre meno offuscata. Mano a mano che si arrendeva e che viveva ciò che per istinto voleva vivere, mano a mano che surclassava la ragione e la propria testa, si sentiva sempre meglio e vedeva bene. Sempre meglio.
Il calore che provò fu rigenerante per entrambi, dopo un lunghissimo istante passato a baciarsi, i due si separarono di comune accordo, si sorrisero uno timidamente e con aria di scuse perché non capiva se lei avesse voluto o meno, lei con aria ancora confusa ma anche sorpresa.
Qualunque cosa fosse quel che doveva fare, gli piaceva stare con lui, baciarlo, toccarlo ed arrendersi. Quella parte rimasta catturata il primo istante che l’aveva visto anni fa.
- Perdonami se ti ho ferito, in parte sono responsabile del tuo dolore. - Lui sorrise scuotendo la testa.
- Suppongo che non avrebbero mai dovuto crearmi, no? - Disse lui con una tristezza infinita nel realizzare di essere un errore della natura. Lei a questo punto decise di scoprire il resto, fece un passo indietro, aprì le mani verso il basso e guardandolo con occhi lucidi perché capiva cosa stava vivendo lui ora, disse sicura.
- Non voglio che pensi di essere un errore della natura o non umano. Siamo tutti umani, con differenze per nascita o caratteristiche varie, ma siamo tutti umani, abbiamo tutti gli stessi diritti e non esiste che uno solo perché è diverso in qualche modo da un altro, pensi di non dover esistere. Hai lo stesso diritto di tutti, proprio come me. - E mentre lo diceva con un tono basso ma forte e deciso, iniziò a far tremare tutto il palazzo con delle leggere vibrazioni.
Grant aveva gli occhi lucidi ma il suo dolore ed il suo rimpianto si sospesero sentendo quelle vibrazioni e vedendo che era lei.
Smise di respirare, trattenne il fiato e la guardò shoccato, il cuore in gola.
- Non sei umana? - Lei sorrise.
- Sono inumana. Ti avevo parlato di questa razza, no? Aspettavo il momento giusto per dirti che ne faccio parte. Faccio vibrare la terra e le cose. - Lui si dimenticò di chiudere la bocca e si lasciò andare alle emozioni potenti che fluivano di nuovo, emozioni positive, questa volta. Si tramutarono di nuovo in lacrime che fugaci scivolarono dagli occhi, ma non erano somma di un dolore atroce, erano la somma di qualcosa di bello.
“Mi capisce... mi può capire davvero... in qualche modo è come me, è diversa dagli altri...” Si toccò tremante le lacrime e se le guardò sulle dita bagnate, lei sorrise e smettendo di far tremare gli prese il viso fra le mani di nuovo, quasi come una madre in quel momento. Lui mise le proprie sulle sue.
- Grazie. - Mormorò poi roco. - Sto meglio. - E lei lo sapeva.
- È ora di dormire, hai avuto moltissime esperienze ed emozioni, oggi. Devi dormire ed elaborare. Sono sicura che stavolta non avrai problemi a prendere sonno. - Così dicendo gli baciò dolcemente la guancia. - Troveremo il nostro equilibrio, te lo prometto. - Concluse poi sicura e dolcemente. Lui annuì più sicuro e tranquillo, speranzoso che fosse così davvero. Ora poteva sperare, sperare sul serio e non per finta.