*Eccoci con un altro capitolo! Grant è nelle mani di FitzSimmons per le analisi preliminari e si sa che con loro i discorsi sono sempre poco sotto controllo perchè hanno una concezione diversa di tatto e sensibilità, oltretutto non lo considerano ancora 'un altro Ward', ma ben presto avranno modo di capire il dramma di Daisy. Lei, invece, sarà alle prese col primo allenamento, mentre Grant si riempie di dubbi e domande. Buona lettura. Baci Akane*

7. UN SOGNO, UN REGALO


"Tieniti stretta a me
non lasciarmi andare chi se ne frega che cosa vedono loro? chi se ne frega di cosa sanno loro?

il tuo nome è Free il tuo cognome è Dom abbiamo scelto di credere da dove arriviamo
il fiore rosso dell'uomo è in ogni essere vivente mente, usa il tuo potere spirito, usa le ali
libertà "
/Fredom - Pharrell Williams/

- Dal punto di vista biologico oltre ad essere vivo al cento percento, è anche Ward al cento percento! - Esclamò Simmons concludendo le sue analisi complete.
- Da un punto di vista empirico non lo è. - Disse invece Fitz. Lei annuì capendo perché lo diceva, mentre Grant si rivestiva e li guardava uno ad uno curioso.
- Perché mi chiamate come lui se non sono lui sul serio? - La domanda li colpì come uno schiaffo, i due si guardarono ancora a disagio nell’essere lì con lui dopo tutti i ricordi legati a quella persona.
- Beh tecnicamente sei lui, ma... - Simmons non sapeva come districarsi ed in quel momento nemmeno Fitz lo sapeva spiegare bene.
- Non è sbagliato dire che tu sei Grant Ward. -
- Ma sono un suo clone in realtà. Si tratta di questo alla fine. - I due si guardarono sorpresi della sua perspicacia.
- Sì, sei un suo clone, perciò non sei effettivamente lui, il DNA è il suo, le capacità a quanto pare lo sono, però non sei davvero lui. - E di questo ne erano tutti contenti.
- Perciò perché dovrei chiamarmi comunque come lui? - I due si guardarono indecisi reputandola una bella domanda.
- Come vorresti chiamarmi? - Grant si strinse nelle spalle non avendo idea di che nome darsi ed alla fine decise che avrebbe chiesto un parere a tutti.
- Che nome mi starebbe bene? - Simmons e Fitz provarono a pensare ad un altro nome, ma per loro lui era Grant e non ci sarebbe stato verso di cambiarglielo, così come lui era lui anche se poi in realtà sembrava davvero diverso caratterialmente.
- Per ora è complicato, penso che dopo un po’ che avremo a che fare con te, potremo constatare che sei una persona a sé stante e ti vivremo più serenamente. - Spiegò Simmons che era sempre stata quella più restia a lasciarsi andare con qualunque versione di Ward.
- Posso chiedere una cosa? Vorrei una risposta sincera. - Disse poi Grant guardandoli seduto e rivestito.
Aveva un modo decisamente gentile e meno arrogante e scostante del vero Ward. Non era nemmeno fastidiosamente ironico come quello senza maschera.
- Se io non volessi essere un agente che ne sarebbe di me? Sarei obbligato comunque ad esserlo? - I due lo guardarono senza capire il motivo di quella domanda, mentre Fitz non aveva nessun test da fare e Simmons invece lavorava ai suoi risultati.
- Perché lo chiedi? - Domandò lui con le braccia conserte appoggiato ad uno dei piani di lavoro della compagna, Grant seduto poco distante in una posa rilassata.
- Perché sono stato creato per essere un agente dello Shield, ma sono umano, non una macchina che deve rispondere agli ordini di un programma. Perché la macchina è intelligente e rischia di poter aggirare gli ordini del programma, questo me lo ha spiegato Daisy. - Fitz annuì con un moto di dolore nel sentire quel discorso, Aida era stata un duro colpo per lui, aveva creduto sul serio in lei.
- Sei umano ed in quanto tale sei senziente, il libero arbitrio ti distingue da una macchina. - Specificò Fitz freddamente. Grant annuì, poi turbato chiese:
- E se io capissi che non voglio fare l’agente ma... ma non lo so, il cuoco? - Simmons scoppiò apertamente a ridere all’idea di Ward cuoco e non agente.
- Tu ce l’hai nel sangue, sei nato per questo! - Esclamò lei sicura. Lui sospirò insofferente guardando altrove.
- Me lo ha detto anche Daisy, ma io ho questo timore. Non so niente di me stesso, mentre provo una data cosa mi rendo conto che la so fare o meno... certi automatismi non li avevo, altri sì. Prima io... prima sentivo di poter reagire, disarmare tutti e proteggermi, per esempio. Ma non ho ricevuto alcun addestramento ancora. - Fitz annuì standogli perfettamente dietro.
- Perché ti hanno creato nel momento in cui Ward era fortissimo ed aveva una serie di capacità. Tu lei hai, solo che non lo sai. Su altri automatismi può semplicemente essere un difetto di prototipo, essendo il primo possono essersi concentrati su certe cose che per loro erano importanti, come la capacità di combattere, ma non... non so, cosa non sapevi fare? - Chiese poi curioso dell’esperimento fatto. Grant spiegò senza problemi.
- Usare un bagno, per esempio, od un letto. - Simmons ridacchiò immaginando Ward non saper usare un water, mentre Fitz rimase serio a pensare ai problemi di progettazione che dovevano aver avuto.
- Chiaramente hanno calibrato male certe cose, dando per scontato che facendoti adulto avresti saputo fare tutto, hanno dato le specifiche per le tue doti, invece dovevano dare le specifiche per tutto. -
- Come funziona esattamente questa cosa, secondo te? È come fare un androide solo che lo fai umano? - Chiese Simmons deragliando dal discorso originale. Fitz era preso dallo stesso argomento e girandosi verso di lei ignorò Grant per risponderle:
- Probabilmente hanno preso il DNA di Ward, l’hanno portato all’età dei trent’anni e semplicemente gli hanno stimolato le doti da agente nella corteccia cerebrale, il resto non ci hanno proprio pensato. Non puoi creare falsi ricordi con la scienza, puoi stimolare la parte relativa al motorio, per esempio, o al linguaggio. Se sai dove lavorare questo lo puoi fare. Ma lui non essendo l’originale Ward, non hanno dovuto cancellare la memoria, non c’era. - Simmons stava per fare un’altra domanda, presa dagli esperimenti, ma Grant attirò di nuovo la loro attenzione.
- La domanda è legittima. Mi hanno creato con queste capacità, ma sono una lavagna vuota, lo dite voi. Sta a voi riempirmi nel modo giusto, ma io... io sono libero di scegliere, di volere determinate cose, di desiderarle. Non sono destinato a voler essere un agente, posso voler essere altro, no? È corretto? Avere delle capacità non mi rende automaticamente quella persona, ma solo potenzialmente così. - Simmons e Fitz si zittirono all’istante realizzando il senso del suo discorso. Annuirono in tandem fermandosi dal fare qualunque cosa facessero ed anche Simmons si appoggiò vicino a Fitz per guardare meglio quel preoccupato e turbato Grant che concluse la domanda. - Se io scoprissi che sono capace di fare l’agente, ma non voglio? - I due ragazzi si guardarono di nuovo complici, Simmons preoccupata, Fitz desolato.
- L’Hydra ti ucciderebbe e ne farebbe un altro inserendo qualche diavoleria per controllarti, se sarebbe possibile. Lo Shield è sempre stato di un’altra politica, ma questo è nuovo ed è gestito da altri enti. È una cosa che va oltre il nostro controllo. Penso che cercherebbero di correggerti con scienza o tecnologia oppure... -
- Mi farebbero sparire e ne farebbero un altro... - concluse lui per loro dimostrando di non essere per niente stupido.
Simmons annuì dispiaciuta mentre Fitz rimase più impassibile a riflettere sul senso di quel progetto.
- Quella macchina è troppo pericolosa, possono fare tutti i cloni che vogliono e c’è qualcosa di profondamente sbagliato, abbiamo capito che ci deve essere un limite alla creazione umana perché poi si rivolta sempre. Io penso che dovremmo approfondire meglio questo progetto per capire fin dove vogliono arrivare. Creare un paio di favolosi agenti non è di sicuro il fine ultimo. Una volta che trovano la chiave, fin dove possono arrivare? - Fitz si stava agitando mano a mano che parlava e Simmons tornò a lui cercando di calmarlo, i due si misero a discutere di reazioni e motivazioni e si persero Grant che non aveva trovato per niente pace su questo.
Capì che in un modo o nell’altro avrebbero distrutto la macchina che l’aveva creato, ma la cosa non lo toccò minimamente. Non sapeva qual era il suo posto né come trovarlo, ma quando vide arrivare Daisy, la sua angoscia si rischiarò e si illuminò in un sorriso di sollievo.
Lei arrivò carica battendo le mani, chiese i risultati e loro cominciarono con le loro teorie complottiste, Daisy li fermò dicendo che dovevano parlarne con Coulson, ma nel frattempo...
- Io devo occuparmi di un cucciolo! Sono curiosa di testarlo sul campo! - Simmons e Fitz si guardarono perplessi, increduli che avesse tutta quella voglia di lavorare proprio con lui, l’avevano immaginata più riluttante. Poi notarono che Grant non era più cupo, incerto e tormentato ma la guardava come se fosse il suo faro nella notte.
- Ma hai capito il problema? -
- Ragazzi, il cucciolo sta bene? - Ormai aveva iniziato a chiamarlo così, dargli un soprannome così lontano da Ward l’aiutava a scinderli e a Grant piaceva che lo chiamasse in un altro modo.
Simmons annuì.
- Sta benissimo ed è lui al cento percento, per quanto riguarda la scienza, diciamo! -
Daisy annuì, alzò le braccia al cielo e poi batté una mano sulla spalla di Grant indicando con la testa di seguirla.
- Andiamo in palestra, adesso ci divertiamo! -
Grant la seguì senza proferire parola, mentre i due ragazzi rimasero fermi a guardarli perplessi. Stava succedendo qualcosa sotto i loro occhi, qualcosa a cui probabilmente non avrebbero mai pensato di assistere, non di nuovo.

Daisy aveva dato una tuta comoda a Grant da indossare il quale ormai aveva capito fin troppo bene la questione del vestirsi. Raggiuntala in pedana, vide che anche lei si era cambiata, indossava dei fantastici shorts aderenti con un’ancor più fantastico top corto ed aderente a sua volta. Sexy, pensò senza sapere se fosse il termine giusto.
Rimase impalato e shoccato nel sentire le proprie accelerazioni, il corpo che si scaldava, i brividi che salivano dalle parti basse che diventavano particolarmente sensibili.
Grant inghiottì a vuoto guardandosi in basso, non sapendo se quella fosse una reazione di cui andare fieri o cosa.
Daisy non capì perché si guardava.
- Che c’è? Vuoi qualcosa di più corto e aderente anche tu? Se vuoi puoi toglierti la maglia, ma mi distrai troppo... - Disse spontanea senza rifletterci ed arrivare al fatto che magari così era lei a distrarre lui.
Lui pensò che magari poteva capire meglio la cosa della distrazione che tirava in ballo ogni tanto, così si tolse la maglia per metterla alla prova.
Quando rimase a torso nudo, solo con i pantaloni della tuta, Daisy inghiottì e, appunto, si distrasse. Anzi, si perse. Nel suo torace che aveva già visto ampiamente, ma evidentemente mai abbastanza.
Ricordava le ore di allenamento insieme a suo tempo, quando era persa per lui, persa da morire.
Che deja-vu assurdi, ed ora era lei a dover allenare lui, un altro lui.
- Tutto ok? - Chiese. Lei si riprese, si schiaffeggiò e indicandolo col dito asserì:
- Sei subdolo! - “Come l’originale!” Ma non lo disse. Lui fece un sorrisino compiaciuto. Distrarla era divertente, non capiva come mai, ma lo era.
“Mi pare di piacerle e forse è questo che mi piace. Mi piace piacerle. “
- Comunque ho visto molte belle donne, ma non ho avuto con nessuna la voglia di toccarle e approfondire come con te. - Tornò al loro discorso e lei scrollò le spalle ed iniziò a saltellargli intorno, lui rimase immobile, dritto ed impalato ad osservarla perplesso senza capire perché ora facesse così.
- Smettila di distrarmi! - Ancora con quel discorso.
- Dici che ti distraggo perché metto in mostra quello che ti piace di me? - Diasy scoppiò a ridere.
- Mi piace la tua sfacciataggine! Adesso ti do una lezione! - E così, convinta di potersi vendicare e prendersi un paio di soddisfazione contro quello che sembrava il vero Ward, anche se sapeva che non lo era, l’attaccò con un calcio volante a giro. Calcio che Grant afferrò istintivamente con le mani, lo bloccò e roteò facendola volare per terra. Poi si raddrizzò e la guardò sconvolto, incredulo d’averle fatto una cosa del genere. Si precipitò da lei per aiutarla.
- Scusa, non volevo, non so nemmeno cosa sia successo! - Daisy vedendosi la mano di Grant e lui che abbassava la guardia, gliela prese, lo tirò verso di sé e aiutandosi con le gambe lo fece volare oltre la propria testa prendendosi la rivincita, poi saltò in piedi ridendo.
- Non mi aspettavo sapessi già combattere, ma piuttosto che imparassi in fretta! Beh, così è più divertente! Vediamo quanto sei forte! La tua base, ti avverto, è eccellente! - Grant lo prese come un complimento e se ne compiacque perché era felice di piacerle, ma non capì subito cosa stava per succedere.
Solo quando si ritrovò a combattere un corpo a corpo mozzafiato con lei realizzò cosa consisteva l’allenamento e cosa intendeva lei dicendo che la sua base era molto dotata.
Si ritrovò a conoscere delle mosse impossibili e pure inconcepibili, tanto che ben presto si ritrovarono con un bel pubblico incredulo non solo che un nuovo arrivato fosse così forte, ma che tenesse addirittura testa a Daisy.
Fra questi anche tutti gli altri della squadra. May per prima non credeva che lui fosse davvero in grado di combattere come il vero Ward. La domanda sorse spontanea nei loro occhi.
Quanto era ancora uguale a lui?

Il cuore ancora gli andava a mille, l’adrenalina scorreva eccitandolo, come eccitata era ancora la sua erezione per tutti i contatti e gli sfregamenti con lei, entrambi così poco vestiti per tutto il tempo.
Meraviglioso, si disse. Quell’allenamento gli era proprio piaciuto.
Tutte le volte che si erano afferrati, aggrovigliati e poi scagliati. Non si erano mai fatti male davvero, si erano tenuti testa ed era stato maledettamente divertente. Non sapeva cosa di tutto quello gli era piaciuto, se fosse un fattore chimico di sostanza che gli scorreva nelle vene oppure l’averlo fatto con lei. O magari che lei era estremamente felice e soddisfatta, anzi, addirittura esaltata.
- Sei una forza della natura! Ti dirò, non ci speravo, ma sono felice che ti abbiano realizzato già così! Sei davvero... wow! Ma proprio wow! - Lui rideva dalla propria doccia, divisi da una parete di piastrelle che non arrivava al soffitto, i due si sentivano e parlavano vicini di postazione.
L’acqua scendeva sui loro corpi di nuovo nudi, l’acqua che ora cancellava l’odore di fragola che tutti avevano sottolineato sentendoglielo.
Un po’ dispiacque a Grant non avere il suo profumo.
- Sono contento, è piaciuto anche a me. Non immaginavo di saper fare quelle cose. Avevate ragione, il mio originale era fortissimo. - Daisy concordò.
- Ora puoi usare a fin di bene le tue doti! - Sentendoglielo lui si oscurò ed appoggiò la fronte alla parete chiudendo l’acqua. Rimase fermo lì dentro prima di uscire ed avvolgersi nell’asciugamano.
- Cosa... cosa succede se comunque non mi va di fare questa vita? Ne sono capace e sono stato creato per questo, ma se io non volessi fare l’agente? - Silenzio, Daisy guardò verso la parete divisoria shoccata della domanda e del tono triste. Come se sapesse di non avere davvero scelta, di essere stato creato per uno scopo preciso, non essere libero sul serio.
- Farai altro! - Esclamò decisa Daisy.
- Secondo i tuoi colleghi questo Shield non è così comprensivo come voi... dicono che potrebbero obbligarmi od eliminarmi per farne una versione più obbediente! -
- Non è possibile fare un essere umano che obbedisce! Puoi plagiare in diversi modi, ma crearlo già sottomesso non credo si possa... - Ma non ne era nemmeno sicura. Si avvolse nell’asciugamano, gocciolante e bagnata ed uscì aspettando che lo facesse anche lui, ma vedendo che rimaneva dentro capì che era seriamente angosciato da questo discorso e poteva capire, così prese l’asciugamano, aprì lo sportello in legno e gli mise subito il telo intorno alla vita per non distrarsi. Rimase con gli occhi piantati nei suoi smarriti e persi, anche spaventati. Oh no, decisamente lì non c’era proprio niente dell’originale Ward.
- Cosa succede se vogliono obbligarmi o farmi fuori? - Chiese di nuovo non volendo muoversi da lì prima di una risposta soddisfacente. Daisy gli mise istintivamente una mano sulla guancia, i due si guardarono di nuovo così apertamente, nudi e bagnati, coperti con della stoffa non adatta a tenere lontano certi istinti e certe voglie. Ma lei, in quel momento, più che saltargli addosso voleva abbracciarlo e rassicurarlo.
“Fa di nuovo il cucciolo!” Pensò sconvolta dalla voglia di stringerlo.
- Non lo permetterò mai. Ti hanno affidato a me, non permetterò mai che ti usino come vogliono contro la tua volontà. Andremo a fondo a questo progetto e se serve li boicotteremo! Ti proteggo io! - Disse infine decisa guardandolo dritta negli occhi. A questo lui finalmente si sentì meglio e protetto, sicuro. Respirò, sorrise ed annuì dolcemente, grato.
- Grazie. - Concluse. Ora poteva riprendere il suo percorso. Ora sapeva che lei non l’avrebbe mai tradito. Non sapeva come lo poteva dire, ma ne era sicuro, glielo leggeva negli occhi, lui riusciva a capire quando uno mentiva e lei non mentiva.
Per ringraziarla meglio decise di seguire un altro dei suoi famosi impulsi indomabili e le sistemò delle ciocche disordinate e bagnate intorno al viso, poi seguì delle gocce che le carezzavano le guance e gliele asciugò. Aveva quel bisogno di toccarla, toccarla di più e tutte le volte che lo faceva quel calore esplodeva in lui, un calore sconvolgente, fisico.
Rimasero incantati uno nell’altro in quelle modalità vulnerabili ed erotiche fino a che dei rumori da fuori indicarono che qualcuno stava arrivando a cambiarsi negli spogliatoi, così si affrettarono ad interrompere quei contatti e quei giochi che stavano iniziando ad andare oltre.
Uscirono imbarazzati, più lei che lui. Lui confuso ed eccitato, lei totalmente nel caos.
Lo stava desiderando seriamente e se prima poteva pensare si trattasse di un bell’uomo che aveva desiderato sin dal primo incontro, ora capiva che iniziava a scattare dell’altro.
“È il Ward che volevo fosse e non solo, è molto meglio. È una sorta di sogno impossibile ed invece è qua davanti ai miei occhi. Un Ward cucciolo, dolce, che chiede la mia protezione ed è sincero, spaurito e al tempo stesso forte, gentile e che sorride.”
Grant sorrise in quel momento agli agenti entrati per allenarsi che fecero loro i complimenti per il bel combattimento appena mostrato, lui li ringraziò.
Non gli aveva mai visto quei sorrisi, quelle cortesie e nemmeno per finta.
“Un sogno da cui ho paura di svegliarmi, dove sta l’intoppo? Perché ci deve essere, per forza!”
Ma quando lui la sfiorò per sbaglio, lei sussultò. Per il momento non aveva la minima idea di dove fosse l’intoppo, ma il proprio corpo non voleva saperne di collaborare!