PARTE TERZA: IL PERDONO LO DEVI CHIEDERE



Che avessi trascurato qualche cliente me ne ero accorto ma onestamente non pensavo che fosse un vero problema.
Fino ad oggi.
Appena arrivo, uno di quelli che mi preferisce mi assale subito, è ubriaco. È anche il peggiore fra i miei clienti più fissi.
Però so gestirli, so anche difendermi, non è certo questo un problema.
Questo è grosso e mi ha detto d’avere una palestra di boxe, ha l’aria da ex pugile. Ma penso di potercela fare, bastano quattro moine, una bella scopata e lo faccio contento.
Sorriso da schiaffi, battute sempre pronte e me la cavo. Vado via con lui con Sam che mi lancia uno sguardo preoccupato. Lui è sempre preoccupato.
Sorrido e gli faccio l’occhiolino.
Uscendo, il mio prete preferito entra e mi guarda incerto e dubbioso, ha subito l’istinto di chi capisce al volo che qualcosa non va. Io lo guardo di sfuggita, il mio cliente non se ne è accorto.
Gli indico di aspettarmi che dopo sono suo.
Lo vedo andare al bar, vedo Sam che gli spiega. E per un momento sono geloso. Che idiota che sono. Mica è lui quello che sta andando in una camera a trombare con un altro.

Inizia con una scopata più forte delle altre. Tecnicamente sarebbe una violenza se io non fossi più accondiscendente che posso, perché so che in questi casi fa meno male se si lascia fare.
Lui è furioso, ha visto che vado sempre con quel tipo strano, comincia a dire cose assurde: che sono una puttana e che devo andare con tutti e che non posso trascurare qualcuno, che se mi piace uno devo cambiare lavoro o vederlo di giorno, non di notte.
Io scherzo cercando di rabbonirlo, ma poi alla fine mi spinge contro il muro, mi preme la faccia con una delle sue manone gigantesche e mi scopa da dietro senza nemmeno spogliarmi.
Non si lubrifica, non si mette il preservativo. Spero solo che non abbia qualche fottuta malattia. Porca puttana, sembra che mi squarci!
Cerco di isolarmi, di pensare ad altro e mi viene in mente lui. Non è mai stato così violento nemmeno all’inizio, quando era arrabbiato.
Lui deve essere costituzionalmente incapace di essere davvero violento.
Il suo bel viso impacciato, fuori dal mondo, mi dà un po’ di tregua mentale.
La dolcezza delle volte successive. Le rivelazioni di ieri.
Ex prete. Solo io potevo prendermi da un ex prete. Forse sono preso proprio per questo, se era uno qualunque non me lo cagavo. Ho percepito quel suo antefatto, ce l’aveva nei modi.
Ma poi il suo sguardo penetrante fa capolino. No, è stato il modo in cui mi squarciava l’anima coi suoi occhi.
E ripenso al suo sorriso.
E che vogliamo dire del paradiso che mi ha mostrato?
Quanti segreti, quante rivelazioni, quante cose incredibili nasconde quell’uomo?
Ma me lo merito?
O forse merito questo qua che mi violenta perché sono sparito per un paio di notti?
Il dolore è troppo intenso tanto che ad un certo punto non riesco più a far finta di nulla e mi lamento.
- Che ne dici di fare un po’ più piano? - Chiedo ironico.
Credo che aspettasse solo una scusa.
Esce, mi gira e comincia a picchiarmi.
- Così è meglio? - Non capisco, non capisco perché lo faccia. Il collegamento fra una scopata con una puttana ed il picchiare non lo trovo. Non capisco.
E mentre non capisco, realizzo che anche se so difendermi, lui deve essere davvero un ex pugile o qualcosa del genere.
Non riesco a schivare o rispondere, due pugni e perdo il contatto con la realtà, ma mentre scivolo da qualche altra parte, mi sembra di essere diventato un pungiball.
Era questo che volevo quando ho iniziato a fare questo lavoro?
Forse sì. Ma adesso non mi sembra più che sia questo. Adesso spero solo di rivedere quel pezzo di paradiso che ho visto ieri notte.

Riprendo conoscenza in un comodo letto sconosciuto. Sconosciuta è anche la stanza, l’odore di disinfettante e pulito e questo rumore piccolo ma costante.
Realizzo che è il mio battito.
E realizzo che sono tutto intorpidito e rincoglionito, non riesco a fare mente locale e mettere a fuoco nulla. Ci impiego molto, alla fine riesco ad imprecare.
Una mano mi stringe la mia. È la prima sensazione fisica effettiva che sento.
Stringo di rimando. È un tocco gentile. Lo riconosco. Non può che essere la stessa mano che mi ha accarezzato le altre notti, dolcemente.
Giro gli occhi e mi rendo conto di essere in ospedale, bloccato e con la faccia gonfia. Ho il torace stretto in bende rigide e un occhio che non si apre proprio.
Provo a parlare ma anche la mia bocca non è in ottime condizioni, i punti mi tirano.
Mi hanno imbottito di morfina, sarebbe anche piacevole se non sentissi comunque dolore mano a mano che riprendo coscienza.
- Ehi… - Mormoro al mio ex prete preferito. Lo chiamerò angelo, svegliarsi con la sua mano ed i suoi occhi blu penetranti, gentili per la prima volta.
Allora sa anche essere tenero, se vuole.
Vorrei sorridere, ma poi ricordo cosa è successo, mi hanno picchiato perché sono una puttana che per un momento si è illusa di non doverlo più essere.
L’umiliazione. Il bruciore interiore. La vergogna mi investe.
Il senso di colpa torna. Per un momento avevo dimenticato.
Avevo dimenticato perché mi sono scelto questa vita.
Avevo dimenticato mio padre.
Avevo dimenticato la persona orribile che sono, che non merita una vita felice.
Il destino mi ha ricordato chi sono.
Sono solo un idiota.
Un idiota e basta.
Niente altro che una puttana.
Giro la testa dall’altra parte, non reggendo più il suo sguardo pulito, mentre una lacrima scende sulla guancia.
- Ti prego, non guardarmi, non venire più, lasciami in pace. - Lui rimane lì, tolgo la mano dalla sua, ma lui la riprende e si china per guardarmi, non riesco a girare molto la testa, sono bloccato.
- Cosa stai dicendo? -
- Mi hai fatto scordare chi sono e che vita faccio. Ma è questa la mia realtà. Lasciami in pace, non siamo dello stesso universo. Lasciami. Vattene. -
- Ti ha spaventato, lo capisco, ma spetta a te uscirne. Cambia città, cambia lavoro, smettila con questa vita. Spetta solo a te. Non farti schiacciare. Qualunque cosa tu abbia fatto, nessuno ha il diritto di farti questo. Nemmeno tu lo hai. - Ma scuoto la testa mentre continuo a piangere, con l’immagine della mia famiglia  morta per colpa mia. L’unico sopravvissuto. L’unico.
E loro, morti tutti per colpa mia. Non merito una vita normale e felice. E nemmeno la morte, perché la morte è comoda e facile e bella, non soffri più.

Quando se ne va, una parte di me muore.
Di nuovo.
O per lo meno mi sento più vuoto di prima, ma forse è così che ero prima che entrasse nella mia vita.
Cosa c'è in lui che mi ha preso tanto?
Di bei tipi ne ho incontrati, clienti gentili ed interessanti.
Lui è stato diverso.
Lui... Si è interessato a me. Voleva capire me.
E poi mi ha fregato quel pezzo di cielo che mi ha mostrato, il paradiso.
I demoni ne sono attratti, cercano il paradiso. Ma forse cercano la redenzione. In lui c'è la pace e la purezza che vorrei per me.
Credo sia questo.
Ma la mia famiglia è morta per colpa mia e non merito una vita serena e felice, se non fosse per me, loro sarebbero ancora vivi. Merito una punizione che duri per sempre, perché mi odio, quando sono da solo, mi odio quando mi guardo allo specchio.
Mi odio sempre.

Non l'ho più visto, non so proprio se davvero si sia arreso o cosa.
Mi manca da morire, ma so che è meglio così.
I lividi sono un po' più leggeri, è da molto che non lavoro ed è meglio che mi rimetta in pista.
È la prima volta che mi mandano all'ospedale. Mi chiedo chi mi abbia trovato.
Quando entro nel bar, tremo come un coglione, sono così nervoso che sto per vomitare. Arrivo al bancone, Sam mi vede e sorride felice, mi tende la mano, ce la stringiamo alla nostra maniera.
Un po' va meglio.
- Ehi amico! Ci hai fatto preoccupare! - parla al plurale.
- È tornato? - io parlo del mio angelo, lui intende l'aggressore.
Mi faccio mettere da bere e mi guardo intorno ossessivo. So che è meglio se non torna, ma spero di rivederlo lo stesso.
- Ogni sera come se fosse normale! - mi aggrotto capendo che parla dello stronzo ed io lo assecondo, forse è meglio far finta di nulla. Se capisce che mi importa del prete comincia a farmi il sermone anche lui.
- Chi mi ha trovato l’altra notte? - chiedo fingendo che tutto vada bene. La gente intorno mi infastidisce, non so se riuscirò a farmi toccare, sono stato ottimista.
- Indovina... - dice ridacchiando malizioso. Un'ondata di calore mi invade prepotente e sto stupidamente meglio. L'aria di chi è piacevolmente stupito.
- Mi aspettava? -
- Vedendo tornare l'altro ma non te, è andato a vedere alla tua camera. Poi è corso a chiamarmi perché non sapeva cosa fare. Non l'ho mai visto così agitato! -
Non lo immagino nemmeno...
Faccio un sorrisino ebete. Che coglione che sono.
- Ma è tornato qua? -
- Mi ha lasciato il suo numero per dirgli quando tornavi e come stavi. Pensavo fosse rimasto con te. Che è successo? - all'idea che lui sappia di me e torni, una bomba esplode.
Non so nemmeno cosa sperare, cosa volere.
- E... E tu? - Sam si stinge nelle spalle.
- Gli ho sempre risposto. - sbuffo seccato.
- Ma tu a lui? Quindi ti scriveva? Cosa ti diceva? - comincio con le domande a raffica e lui rimane sorpreso.
- Sì mi scriveva... Mi chiedeva se eri tornato, ogni volta gli dicevo di no. -
- Ed ora? - chiedo col fiato sospeso, non avendo la minima idea di che cosa sperare...
Sam mi mostra il suo telefono con gli sms indirizzati a lui.
'È appena entrato. Sembra stia meglio.'
Le parole di Sam all'indirizzo di... Lo ha scritto sotto il nome di 'stranger'. Ridacchio. Chissà che nome ha davvero!
Quando realizzo che potrei rivederlo, mi sale uno stupido batticuore.
- Perché glielo hai detto? - Comincio a brontolare. Sam si stringe nelle spalle stupito.
- Pensavo che foste in buoni rapporti ormai… cosa mi sono perso? - Chiede senza capire. In questo un cliente mi saluta e mi chiede come sto.
Al tocco sulla spalla scatto come una molla e mi giro immediatamente col pugno stretto. L’uomo alza le mani in segno di scusa ed io lo guardo agitato, ansioso, col fiatone, come se avessi corso. Cala il silenzio qua intorno a me e così sciolgo il pugno e mi strofino la mano sulla faccia, allucinato. Ecco come mi sento.
Cazzo.
- Scusa, amico… forse non sto poi tanto bene… credo… credo che mi serva qualche giorno ancora… - Non è un mistero quello che mi è successo, l’hanno visto tutti che mi portavano via in ambulanza tutto pestato.
- Sì, forse è meglio. Magari è un po’ presto. - Dice calmo Sam facendo un cenno al cliente di andare via. L’altro annuisce e se ne va, io sospiro nervoso e scuoto la testa.
- Ho i nervi a fior di pelle. - Mugugno. Lui fa l’aria da ‘si vede’ ed io mi decido.
- Vado a casa, tornerò quando mi sento meglio. -
Il problema è se riuscirò ancora a sentirmi meglio. Ho avuto clienti nervosi e violenti, ma li ho sempre gestiti bene e non sono mai finito pieno di sangue e all’ospedale.
Credo che mi sono un po’ sopravvalutato con la mia capacità di recupero interiore.
Quando sono fuori dal bar, una voce allegra e familiare mi raggiunge.
- Ehi, amico! - Alzo un sopracciglio.
‘Amico?’
Mi volto e appena vedo il suo viso mi paralizzo. L’ultima cosa che ho visto prima di perdere i sensi, prima di maledire me stesso per essere ancora vivo.
Mi irrigidisco, stringo i pugni e guardo dentro, poi mi sento stupido. Andare a chiedere una mano a Sam? Proprio io?! Non diciamo sciocchezze!
- Che vuoi, il secondo round? Guarda che l’offerta speciale del colpisci senza prenderle indietro è scaduta quel giorno! Adesso se mi dai, ricambio! - Cerco di scherzare aggressivamente e lui sembra in via pacifica, alza le mani e ride. Ma è una risata finta.
- Veramente volevo scusarmi per aver esagerato! Ero un po’ ubriaco ed io ho la ciocca aggressiva? -
- ‘Esagerato?’ ‘Ciocca aggressiva?’ Dì pure che hai completamente perso il controllo! - Rispondo nervoso accusandolo. Quando mi sento debole e all’angolo aggredisco e divento violento, solo che in certi casi è peggio.
Faccio per andare oltre, verso la mia macchina, ma lui mi segue.
- Andiamo, permettimi di scusarmi come si deve… -
Non mi fermo, arrivo all’auto, traffico con le chiavi della mia vecchia impala, unico ricordo di mio padre.
- Scuse accettate, ma stasera ho bisogno di riposare, credevo di essere pronto a rimontare in sella, ma… -
- Avanti, ti pago il doppio… - Sento che tira fuori i soldi e me li infila nella tasca dei miei jeans aderenti, palpandomi per bene.
Mi giro di scatto e gli tolgo la mano bruscamente.
- Ho detto no! - Dico deciso, sto perdendo io, il controllo, ora. Non mi piace sentirmi debole, odio sentirmi debole. E lui mi ha umiliato in quel modo. Non posso picchiare un cliente proprio qua, ma se non mi lascia in pace, lo farò!
Sento l’adrenalina scorrere, mi sento elettrico e ben presto la voglia di colpirlo è insostenibile.
Mi tolgo i suoi soldi dal culo e glieli spingo contro il petto, lui non li prende, così lascio e quelli cadono.
- Non serve essere così aggressivi! -
Risponde seccato, io rido di scherno.
- Ah ah, davvero? E quando te l’ho detto io l’altra sera e tu mi hai usato come un pungiball? - Rispondo aggressivo e provocatorio. Lui però a questo punto mi spinge contro la mia macchina e mi si preme addosso.
- Ehi, ti ho chiesto scusa, cosa vuoi di più? - Dice ficcando la sua bocca contro il mio orecchio, provo un disgusto senza pari. Sto per vomitare, mi sento lo stomaco preso a pugni e sto per reagire, reagire male, reagire come meriterebbe. Non sono paralizzato dalla paura, sono aizzato dalla rabbia, una rabbia senza pari.
Perché cazzo devo vivere a testa bassa e subire tutto? Certe cose le scelgo io, come fare la puttana, umiliarmi per espirare il mio senso di colpa. Però fare lo zerbino no! Non morirò sotto i pugni di qualche bastardo! Questo mai!
Sto per respingerlo, ma improvvisamente mi sento libero, il peso del suo corpo massiccio non mi blocca più, giro la testa per vedere e lui è a terra poco distante, sopra c’è il mio angelo preferito, in piedi a cavalcioni, lo tiene per il colletto della maglia e lo picchia così tanto e così forte che stento a riconoscerlo
Ha un gemello cattivo?
Rimango senza parole, lo guardo, occhi spalancati, immobile.
Lui lo sta picchiando, lo sta picchiando forte, così forte che forse io non avrei saputo fare.
I suoi pugni sembrano ferro e si schiantano una, due, tre volte contro il suo viso fino a che lui non reagisce e rimane inerme lì.
Sta per ucciderlo. Lo realizzo in un istante. Arrivo e lo prendo da dietro, tiro con tutte le mie forze che tornano a fluire in me. Lo sollevo e me lo tiro contro.
- Se lo tocchi di nuovo ti finisco!- Ringhia basso e furioso. I brividi mi attraversano, riesco anche ad eccitarmi. Nessuno ha mai fatto così per me e non solo. Nessun buono è mai diventato cattivo fino a questo punto. Solo per me.
- Ok, ha capito… ha capito… - Mormoro al suo orecchio, mentre continuo a tenerlo stretto fra le mie braccia.
Ansima. Ansima furioso, sconvolto, forse non sa nemmeno che sono io che l’ho tirato via.
- Comunque sapevo difendermi! - Lui si scioglie, si gira e mi guarda corrucciato. I suoi occhi blu mi erano mancati come l’aria, quando rivedo il suo viso mi sento subito meglio, proprio come un coglione!
- Non sembrava! - Dice seccato. È seccato! Ha delle emozioni!
Beh, le ho viste le sue emozioni, proprio un secondo fa. Ed erano tutte sconvolgenti.
- Tu… tu sei incredibile, sai? - Dico senza parole, ripensando per un secondo a quello che è appena successo. - Non sembravi nemmeno tu! Ed il modo in cui lo picchiavi… non sembravi mica un ex prete, sai? - Sono ancora un po’ sotto shock, ho mille sensazione che mi vorticano dentro, non capisco su quale devo concentrarmi.
- Che ti devo dire? Non ci si conosce finché non ci si mette alla prova. Finché non ti trovi in una certa situazione non ti conosci abbastanza, non sai fin dove puoi spingerti. - A questo mi fermo e mi aggrotto, siamo ad una distanza media, il tipo è svenuto per terra ma è vivo ed intorno a noi, per ora, nessun altro.
Mi guarda in attesa mentre un flash mi attraversa.
- Hai lasciato i voti perché hai l’istinto di uccidere? - Lui a questo punto si aggrotta come se avessi bestemmiato.
- Cosa? No! -
- E allora perché? - Chiedo polemico allargando le braccia. Lui sospira e scrolla le spalle.
- È complicato. Comunque sono venuto per vedere come stavi. So che mi hai detto di uscire dalla tua vita, voglio rispettare la tua volontà. - Dice a questo punto freddo e scostante, tirandosi su bene l’impermeabile. - Però non farti più trattare così. Questo me lo devi promettere. - E c’è un’idea a questo punto.
L’idea che da qui in poi non lo rivedrò davvero più. Perché sembra un addio, questo. Le raccomandazioni finali.
Mi acciglio e lo guardo immobile, non riesco a muovere un muscolo.
- Davvero non ti vedrò più? Che farai, dove andrai? - Lui si stringe nelle spalle senza schiarirsi molto, rimane concentrato e serio, sempre così rigido.
- Non lo so, devo andare via da qua. O ogni sera tornerò qua per vederti. E tu non vuoi. Andrò via e cercherò qualcosa da fare. Il commesso in qualche negozio, probabilmente. Lontano da qua, dove nessuno può conoscermi. Per ricominciare. - Anche lui deve chiudere col passato e rimettersi in pista, deve rialzarsi. Un prete in crisi di fede che toglie i voti e si fa uno sconosciuto.
Se ne innamora.
Davvero, Dean? Sei tanto presuntuoso da pensare che sia innamorato di te?
Sono sconvolto ed un’ondata bollente mi investe, mentre il corpo mi si intorpidisce tutto e non ho la capacità di muovere un muscolo.
- Quindi te ne vai sul serio… - Lo dico a me stesso per capirlo meglio, per poterlo accettare. Nemmeno una scopata di saluto?
No aspetta, sono io che ho voluto. Se rimane, se lo vedo ancora mi farà venire voglia di cambiare vita, provare ad essere felice, ad avere un po’ di soddisfazioni. E non me lo merito, non sarebbe giusto.
Devo ancora espiare le mie colpe, non posso chiudere e mettere via tutto come se non avessi mai fatto nulla.
Ci guardiamo per qualche istante, il tipo comincia a svegliarsi e lamentarsi. Vorrei dirgli di venire via con me per parlarne meglio, ma parlare di cosa?
Lo guardiamo distratti, poi il mio angelo qua davanti mi parla ancora, più fine di prima.
- Pensi davvero di poter continuare come prima, come niente? Prima non volevi saperne… - Ah, l’ha notato! Impreco.
- È… era solo troppo presto… starò bene… tornerò in sella… - Rimbrotto imbarazzato, grattandomi la nuca. Sorrido, ma mi sento un’ebete.
Lui mi si avvicina.
- Devo andare. - Mi sento male. Mi sento dannatamente male.
È come se l’unico treno rimasto stia partendo per sempre. Senza di me. L’ultimo.
Ci guardiamo da vicino, respirandoci, sfiorandoci coi corpi. La voglia di toccarlo, i suoi occhi mi penetrano come sempre. Sto per svenire.
- Mi dispiace averti sconvolto l’esistenza. - Dice poi riferendosi alla mia reazione in ospedale, quando l’ho mandato via. - Non volevo farti desiderare altro rispetto a quello che pensi di meritare. - Non respiro, il dolore interiore aumenta ed è peggio di quello provocato dai pugni.
Come sa queste cose? Mica leggerà nel pensiero? Per un momento lo penso.
- Però spero che un giorno tu capisca che le colpe non si espiano per sempre. Ad un certo punto si deve essere pronti per il perdono. Ad un certo punto devi capire che ti aspettano per perdonarti. E devi accettarlo, quel perdono. Devi prendertelo. Perché sei solo tu che lo stai rifiutando. - Gli occhi mi bruciano, le lacrime sono sulla soglia degli occhi. Proprio lì, affacciate. Mi sento incapace di muovermi, spogliato, denudato.
Come fa a dire queste cose, come può? Con che diritto, cosa ne sa?
Un prete si sente in diritto di parlare di perdono, proprio uno che ha perso la fede.
- Tu l’hai fatto? - Chiedo subito istintivo, un po’ cercando di rifiutare questo pugno allo stomaco che mi sta dando. La voce trema, è sottile. Lui sorride con una dolcezza ineguagliabile, torna quel paradiso, la sua anima è lì per me. Sto meglio, sto di nuovo meglio.
- Ho chiesto perdono a Dio il giorno in cui mi sono allontanato dalla Chiesa. E gli ho detto che il mio andarmene dalla sua Casa, non mi avrebbe mai impedito di amarLo. - Mi colpisce il suo discorso, sempre perfetto per me. Sembra studiato.
Ed in un attimo, mentre gli sfioro le labbra con le mie con una spinta naturale e spontanea, capisco cosa mi aveva attirato tanto di lui.
Mi guardava per capirmi, perché poteva farlo. Perché siamo uguali, in qualche angolo di noi, nel mare delle nostre diversità.
Siamo entrambi angeli decaduti che cercano una redenzione. Solo che io la cerco punendo me stesso, lui… lui?
- Qual è la tua redenzione? - Chiedo smarrito, sperando che la sua risposta possa aiutarmi.
Mi guarda sorpreso della domanda, ci pensa, poi sorride di nuovo in quel suo modo disarmante e splendido.
- Continuare ad amare il prossimo nell’unica vera Legge Divina. - Con questo mi carezza la guancia dolcemente. - Stammi bene. -
Poi, silenzioso, se ne va a piedi, svolta l’angolo e non si vede più.
Mi manca. Non so se è lui o l’aria che mi sembra di non avere più abbastanza. Ma salgo in macchina mentre il bastardo a terra si sveglia, mentre un cliente mi chiama chiedendomi se sono in servizio. Salgo, accendo e parto sgommando.
No bello, non sono in servizio.
La macchina sgomma, alzo un sacco di polvere nel parcheggio. Mi immetto in strada e svolto a destra.
L’aria, mi manca l’aria. Mi sembra di essere impazzito, una crisi psicotica, qualcosa del genere.
Ma all’idea di farmi infilare un cazzo in culo… né stasera né mai.
Non dopo che ho avuto il paradiso, non dopo che ho scoperto come ci si sente ad essere lassù.
Se lui si è perdonato dopo aver tradito niente meno che Dio, perché io non dovrei accettare il perdono della mia famiglia?
Ma ho diritto di chiederlo?
Rimango fermo al semaforo rosso. Da un lato la destra, vado verso casa, tornerò a lavorare domani se me la sento, se non riesco a perdonarmi.
Dall’altra la sinistra, dove lui è sparito a piedi, non sarà andato molto lontano, cercherà un punto taxi? Ci sarà una pensione normale che non sia un motel per scopare? Sarà dove vive finché non capisce che fare?
Lui si è perdonato, ha chiesto perdono a Dio, ha trovato un modo migliore per onorare suo padre.
Non ne so molto, ma ne so abbastanza da capire questo.
Ed io? Posso chiedere perdono alla mia famiglia per aver causato la loro morte? Posso chiedere il perdono, posso perdonarmi io stesso? Con che diritto?
Posso?
Perdono o no?
Destra o sinistra?
Il semaforo viene verde, ma sto ancora fermo, stringo il volante, la notte incombe insieme ad un cielo meravigliosamente stellato.
Mi mordo il labbro.
Lascia perdere che dopo l’ospedale non so se riuscirei a fare quel lavoro di merda come prima.
Lascia anche perdere che ci sono altri lavori di merda da fare per punirsi.
Il punto è quello che diceva lui.
Il punto è il perdono. E non quello che gli altri possono darti, bensì quello che sei disposto a darti tu.
Chiudo forte gli occhi, non respiro.
Non mi perdono, continuo a punirmi così per sempre, allontanando la felicità. E mi vedo triste, nervoso, cupo, nero, consumato. Mi vedo senza di lui. Senza mai più vederlo. A ricordare un sorriso che sa di paradiso. A ricordare i suoi occhi che scrutano l’anima. Io col cuore serrato per sempre.
Così decido. Apro gli occhi, metto la prima, la freccia, giro il volante, accelero e parto.
Svolto, accelero per poi rallentare. Appena lo vedo mi torna l’aria che mi mancava e questa stupida voglia di piangere. Abbasso il finestrino, rallento.
- Ehi angelo senza ali. Mica ha bisogno di un passaggio? - Lui si ferma, si gira rigido ed aggrottato e quando mi vede torna il miracolo.
Quel sorriso. Quel sorriso specchio di un paradiso non del tutto perduto.
Un sorriso che ricambio per la prima volta, sinceramente, apertamente, anche io.
E mi tirano un po’ i muscoli perché non avevo mai sorriso con tutto il viso.
- Sei sicuro? - Chiede con la sua voce roca e bassa. Annuisco e ammiccando gli indico di salire. Così apre la portiera e sale. Non capisco se sia felice e soddisfatto o cosa.
Ma parto e rimango un po’ in silenzio. Mi sento strano ad andare in una direzione diversa dalla solita.
- Non so se sono capace di ricominciare e perdonarmi. Ma voglio quanto meno provarci. - Lui si gira e mi guarda in quel suo modo penetrante e solo a questo punto me ne rendo conto. Lo guardo anche io aggrottato e stranito chiedo: - Ma come ti chiami? -
Lui sorpreso risponde:
- Castiel. - Annuisco. Nome da angelo.
- Dean. -
Amare, perdonare, essere felici, vivere, redimersi.
Forse è come dice lui. Forse ci vuole più forza per rendere omaggio a chi si ama con azioni positive nei confronti degli altri, piuttosto che punendo sé stessi.
Probabilmente è molto più difficile.
Lo guardo, il colletto è allacciato per la prima volta. Lo prendo in giro.
- Ehi, vuoi soffocare? - Lui mi guarda sorpreso senza capire e così ridendo gli indico il colletto della camicia. - Apri oppure non ti riconoscerò più! - Così lui senza capire, forse non ha il dono dell’ironia, si apre i bottoni come gli ho detto. Poi, serio, mi chiede:
- Va meglio? - Ridendo di gusto annuisco. E da quando non ridevo così?
- Molto! - Esclamo accelerando. Fanculo, adesso che ci sono non vedo l’ora di andarmene.
Che poi il difficile è dirsi di cominciare. Una volta che parti, in realtà non ti fermi più. E dopo che metto la quarta, gli prendo la mano dalla sua gamba in quello che sarà l’esperimento più divertente della mia vita.
Castiel mi guarda sorpreso del gesto, ma non ricambia la stretta. Così seccato gli dico di farlo:
- Guarda che devi stringerla anche tu! - Lui allora con un ‘oh’ lo fa. Le mani si intrecciano e ridacchio.
Già, una bella sfida.
Civilizzare un angelo tanto bravo a capire gli altri, quanto incapace di stare nel mondo.
Ridacchiando a questo pensiero, mi protendo verso di lui, lui rimane fermo a guardarmi dalla sua posizione e sbuffo. Dando un’occhiata alla strada libera, lascio il volante per un momento, prendo la sua cravatta, la tiro verso di me  bruscamente. Altrettanto deciso, mi prendo le sue labbra in un bacio veloce, assaggio di qualcosa che dopo sarà semplicemente… divino!
Il calore mi invade ed in un istante ho conferma che forse quel treno alla fine l’ho preso in tempo.