CAPITOLO
XLVIII:
LA
LUPA E LA VOLPE OSCURA
Aveva
patito molto per riuscire a trovare quel cimelio di sua madre.
Pensava fosse andato perduto, ma quando, dopo aver riportato Cora da
quei parenti, gli avevano rivelato che gli artigli di sua madre Talia
esistevano ancora, non aveva potuto fare a meno di cercare di
recuperarli.
Essendo
una cosa importante, salutato sua sorella, si era abbassato a
chiedere l'aiuto di Peter.
Non
l'avrebbe mai messo in mezzo se non avesse saputo che sarebbe stato
necessario: a parte per il recupero in sé degli artigli, gli serviva
per utilizzarli.
Fu
così che dopo averne passate di cotte e di crude, maledicendosi
fortemente per aver coinvolto Peter che era stato capace di
peggiorare la situazione e farli catturare da quegli psicopatici
cacciatori che li avevano incatenati e torturati alla ricerca di una
certa 'lupa', riuscì a mettere le mani sugli artigli di sua madre.
Dopo
averli presi ed essere andati al sicuro per utilizzarli, spiegò a
Peter di cosa si trattava. Prima non gli aveva voluto dire nulla di
cosa voleva fare col cimelio importante di famiglia, ma gli aveva
detto che sicuramente avrebbe saputo trarne vantaggio.
Gli
artigli erano contenuti in un cilindro in legno antico con la
trishede scolpita sopra, una sorta di simbolo della famiglia Hale.
Quando
li vide, Peter capì cosa voleva fare con essi e naturalmente accettò
di aiutarlo solo se poi avrebbe potuto tenerli lui. Dopotutto erano
gli artigli di sua sorella.
Derek
sapeva che non era per una questione affettiva, ma non gli importava
nulla. Voleva solo poter parlare con lei un'ultima volta. Ne aveva
bisogno.
Non
sapeva quale direzione dovesse intraprendere da lì in avanti e non
c'era un istante in cui non pensava a Stiles, ma l'erronea
convinzione che ora lui stesse bene e stesse conducendo la sua vita
più normale che mai, lo faceva andare avanti.
In
realtà non lo poteva sapere, non l'aveva più contattato né sentito
in alcun modo, nemmeno Scott.
Però
gli mancava come l'aria, gli mancava come non gli era mancato niente
in vita sua, perchè aveva trovato una famiglia vera e Stiels ne era
il membro più importante.
Scott
era come un fratello, Stiles il suo compagno e la città stessa, a
modo suo, era diventata casa sua. Forse nemmeno da piccolo l'aveva
sentita così casa.
Però
non poteva, si diceva.
Non
era giusto.
Ma
poi si chiedeva... 'vero?'
Non
ne era sicuro. Voleva sperare che invece per qualche ragione fosse
giusto tornare indietro.
Quando
Peter infilzò gli artigli di sua madre nel suo collo, il dolore fu
lancinante per un istante, quello successivo ansimava mentre una
strana energia fluiva in lui.
Riconobbe
la sua aura, era un'aura diversa da tutte le altre.
Selvatica,
quasi divina.
Quando
si girò a guardarla, la vide arrivare verso di lui trasformata in
lupa.
Il
cuore cominciò a battergli impazzito nel petto, l'emozione crebbe e
lo scaldo fino a bruciargli gli occhi. Di nuovo la voglia di
piangere.
Quanto
le era mancata.
Dopo
essersi fermata davanti a lui, si trasformò in umana e si sentì
come da tanto, tantissimo tempo non si sentiva più.
Si
sentì piccolo, si sentì figlio. Era una sensazione strana. Voleva
solo andare da lei ed abbracciarla, ma non aveva le forze di
muoversi, rimase piantato dov'era. Fu lei a raggiungerlo e con una
dolce carezza, gli sorrise.
-
Speravo di poterti incontrare di nuovo... - Derek aveva gli occhi
lucidi e la gola secca, l'incapacità di parlare... ma si fece forza.
-
Ciao mamma... - Mormorò piano, roco. Lei sorrise materna.
-
Se sei qua è perchè hai smarrito la strada... - Lei sapeva, lei
aveva sempre saputo tutto prima degli altri, in qualche modo. Forse
non era vero, però la sensazione che aveva sempre dato a tutti, era
questa.
-
Ho bisogno di un tuo consiglio, mamma... io non so cosa devo fare
ora... non riesco a capire cosa sia giusto... ho fatto tutto quello
che andava fatto ma... ma ora... non so... - Lui parlò a ruota
libera, esitante, smarrito, gli occhi bassi, vergognandosi di quel
che era venuto a dirle. Non era onorevole non saper cosa fare.
Così
lei lo fermò e gli alzò il viso prendendogli il mento. Aveva un
tocco così umano, così dolce. Gli trasmetteva sempre la sensazione
di essere la creatura più importante dell'universo per lei.
Derek
tornò a scaldarsi e mano a mano che la guardava, lo smarrimento
cominciò a venir spazzato via.
-
Ma tu sai cosa devi fare... - Parlò calma. Derek si accese
brevemente, tornando confuso, convinto di non averne idea!
-
Non è vero! Perchè penso che potrei avere ragione ad isolarmi e
cambiare aria e vita, ma poi penso... che vita posso avere? Come
ricomincio? Cosa faccio? Sono solo... - Talia lo fermò di nuovo,
questa volta con una carezza sulla guancia, sempre quel sorriso
materno.
-
Esiste solo un modo per non sbagliare mai strada. Ed è seguire il
tuo cuore. Tu hai già una famiglia, devi tornare da lei e
proteggerla, devi dargli tutto quello che puoi. Il tuo posto è
quello. Non si abbandona mai la casa. - Derek capì a cosa si
riferiva. Non ai pochi resti della sua vera famiglia, una famiglia
che non c'era mai stata in tanti anni. Non a Cora che aveva scelto la
sua vita. Non certo a Peter che era pericoloso e mutevole. - Torna a
Beacon Hills, proteggi Stiles, dona a Scott il tuo sapere, veglia
sulla città che ormai è casa tua... e starai di nuovo bene. - Derek
per un momento si chiese se si fosse limitata a leggere nel suo
profondo il suo massimo desiderio, ma poi perdendosi nei suoi
splendidi occhi di lupo, capì che come sempre era né più né meno
la cosa migliore da fare. Migliore per lui.
Si
sentì leggero, si sentì davvero bene nel sapere che poteva tornare.
Ma poi pensò a Stiles e a tutto quello che aveva comportato la sua
presenza.
-
Però ho sempre portato guai e sofferenza per tutti... - Talia
sorrise.
-
E poi li hai sempre risolti ed aiutati. Sei troppo importante per
loro. Non te ne puoi andare. E poi è là che tu puoi essere davvero
felice. Noi viviamo per la felicità, e la felicità è portata solo
dall'amore. Hai solo te stesso ed i tuoi sentimenti, non soffocarli
più. Vivi con tutto te tesso, figlio mio. - Derek inghiottì
emozionato all'idea di tornare indietro e sorrise con gli occhi che
brillavano commossi, Talia l'abbracciò ed in quello sentì l'energia
scemare via, lenta, come se il tempo terminasse. Poco prima di
separarsi, lei disse un'unica cosa su Peter. Di non fidarsi del tutto
di lui. Poi svanì.
Le
ultime parole lo turbarono molto e quando guardò Peter che gli
chiedeva agitato che cosa avesse detto su di lui, lo fissò
accusatore e stranito. Naturalmente non gli disse nulla se non che
doveva tornare a Beacon Hills.
Questo
fu quanto.
L'idea
di poter tornare fu qualcosa di sollevante, sentì subito un enorme
peso in meno, come se fosse davvero fisicamente più leggero.
Peter
non tornò con lui, ma la cosa non gli importava molto.
Era
meglio stargli lontano. Nel viaggio di ritorno, poté pensare a
Stiles e a cosa avesse fatto quando l'avrebbe rivisto. Era sicuro che
stesse bene, sperava che la sua presenza non avrebbe peggiorato la
situazione. Non aveva la minima idea di che cosa stesse succedendo
laggiù.
Quando
si ricordò di aprire il telefono, trovò in memoria il messaggio di
Scott che gli diceva che aveva bisogno di lui e quando si rese conto
che era stato Scott a chiederglielo e non Stiles, capì che questo
poteva voler dire solo una cosa.
Era
per Stiles che aveva bisogno.
Si
sentì morire. Si sentì per un momento mancare davvero. Nemmeno il
tempo di godere dell'idea di poter tornare, di poter fare ciò che
aveva desiderato con tanto ardore, che doveva scontrarsi con una
delle sue svariate paure.
E
se andandosene avrebbe invece peggiorato la situazione?
Se
si fossero comunque trovati in pericolo e lui, troppo lontano, non ci
sarebbe potuto essere per aiutarli?
Il
tempo rimanente non lo impiegò meglio, ma poi il messaggio
successivo di Scott gli disse che era tutto a posto.
Lesse
la data e l'ora di spedizione del primo e del secondo per capire in
quanto tempo avesse risolto da solo la cosa, se era vero o se era
stato Stiles ad obbligarlo a dirgli che non serviva.
In
realtà il primo era stato spedito molto tempo prima ed il secondo in
un ragionevole lasso di tempo che avrebbe effettivamente potuto
permettere a Scott di risolvere la questione da solo.
Si
rilassò per poi agitarsi di nuovo. Però il secondo comunque l'aveva
spedito già da un po', non era proprio recente, gli era arrivato in
ritardo perchè a volte la ricezione non era delle migliori a
distanze elevate.
Per
cui non poté non ragionare anche in altri termini.
“Hanno
avuto tempo di ricacciarsi nei guai!”
Poi
si diede dell'idiota e decise di piantarla. Era andato via fortemente
convinto che se la sarebbero cavata bene da soli perchè i guai da
affrontare senza di lui, non sarebbero stati gravi come gli altri.
Quindi non doveva preoccuparsi.
E
comunque stava tornando.
Quando
riuscì di nuovo a rilassarsi, per quanto lui potesse stare
rilassato, tornò a sentirsi felice.
Stava
tornando a casa sul serio.
Stava
tornando da quello che poteva considerare il suo unico vero branco,
dai suoi amici... Poteva chiamarli amici?
E
poi stava tornando da Stiles.
Quello
gli valse addirittura un sorriso.
Poteva
cominciare a pensare a sé stesso in una vita meno rigida e sul chi
vive di prima. Per quel momento volle provare a crederci. Non era mai
stato meglio. Poteva dire di essere addirittura quasi felice.
Non
aveva la minima idea di che cosa stava succedendo intanto a Stiles.
Se
solo l'avesse avuta, la musica sarebbe drasticamente cambiata.
Per
Stiles fu letteralmente come viaggiare in un sogno continuo, un sogno
che via via sfociava sempre più in un incubo perpetuo.
Si
era illuso di poterlo superare, ma la verità è che la sofferenza e
la mancanza di Derek in concomitanza con gli esiti dell'attivazione
del Nementon, non gli avevano giovato.
Non
poteva contrastare tutto e non aveva la minima idea che in sé, da
contrastare esattamente in quel momento, aveva anche altre cose ben
più gravi e forti.
Non
aveva idea che la malattia ci fosse davvero -da un certo punto di
vista era così, anche se di fatto non era autentica ma provocata da
'altro' e non dal suo organismo- e che stesse avanzando a dismisura,
come non aveva certo idea che in lui ci fosse uno spirito demoniaco
giapponese che cercava solo un sistema adeguato per attivarsi e
prendere pieno possesso di Stiles.
Esattamente
in quel momento, proprio quando soffriva maggiormente per l'assenza
di Derek, si trovò a combattere contro ben quattro cose diverse, di
cui due ignorava totalmente l'esistenza.
Si
sentiva giorno dopo giorno sempre più trasparente, sempre più come
se i fili che lo connettevano con la realtà diminuissero e si
facessero sottili, così sottili.
Vedeva
una specie di membrana fra sé ed il mondo e questa membrana era
sempre più grossa, spessa e annerita. Distingueva sempre meno la
fantasia dalla realtà, si sentiva strappare, stiracchiare,
trascinare. Sfinito.
Sempre
più sfinito.
Le
notti non dormiva e se ci riusciva faceva incubi negli incubi e non
riusciva mai a svegliarsi. Spesso aveva gli stessi sintomi di quando
dormiva, come il non riuscire a leggere e contare, per cui credeva
con angoscia e panico di essere ancora addormentato.
Non
riposava perchè il suo cervello non glielo permetteva ed era sempre
meno lucido.
In
tutto questo, la mancanza di Derek era la cosa peggiore mai
sopportata.
Era
convinto di poterla superare perchè sapeva che sarebbe tornato, lui
lo sentiva da dentro, in una parte sconosciuta di sé. La stessa che
gli dava sempre le intuizioni giuste.
Però
non riusciva a capacitarsi di quanto potesse mancargli.
Si
imponeva di non chiamarlo, non l'avrebbe mai fatto.
Spesso
trovava un briciolo di pace solo andando nel loft di Derek, si
stendeva nel suo letto e cercava di rimanere sveglio.
La
cosa sorprendente è che ci riusciva. Riusciva quasi sempre a non
addormentarsi. Era come se lo sentisse ed ormai aveva il terrore di
addormentarsi, per cui se interiormente non voleva dormire, lì a
casa di Derek dove la sua presenza gli arrivava tramite il suo odore,
un odore particolare di selvaggio, non dormiva. Perchè riusciva a
fare quello che voleva.
Ma
non poteva stare sempre lì.
Poi
tornava a casa sua e gli incubi tornavano.
Incubi
in cui riusciva addirittura a svegliarsi nel letto con Lydia. Lei era
sempre stata il suo Piano B in caso con Derek fosse finita male, ma
alla fine non aveva mai voluto provarci davvero con lei. Quando si
era lasciato con lui l'altra volta, il dolore era stato troppo grande
per pensare a mettersi con qualcun altro ed ora non si sentiva in
rottura con lui, ora si considerava ancora il suo ragazzo.
Per
cui sognare di essersi messo con lei, era come sognare di essersi
lasciato con Derek, averlo accettato e superato al punto di essere
riuscito a mettersi con lei.
Un
incubo nell'incubo che non aveva mai fine, qualcosa che andava avanti
all'infinito.
E
qualcuno... qualcuno, in quei momenti, in ognuno di quegli incubi, lo
vedeva sempre.
Un'ombra
oscura, una figura tetra senza volto. Non riusciva mai a
distinguerlo, non sapeva nemmeno se avesse un viso od una maschera.
Lo
rincorreva e poi finiva per svegliarsi... fino a rendersi conto che
non sapeva leggere, o che aveva più dita di quante avrebbe dovuto, e
che quindi era ancora in un sogno molto veritiero.
Si
stava spezzando.
Stava
cadendo.
Stava
diventando sempre più incosciente di sé.
Stava
andando in pezzi, tanti piccoli pezzi.
Sentiva
che il controllo di sé scemava e aveva il terrore di sapere cosa
sarebbe successo quando non ce l'avrebbe più fatta.
Era
sfinito. Sempre più sfinito.
Lydia
però riuscì ad aiutarlo con gli incubi, indirettamente.
Lei
per lui era molto importante, restava la prima cotta della sua vita e
comunque era sempre l'unica persona con cui sapeva sarebbe potuto
stare dopo Derek, una volta che l'avrebbe superato.
Per
cui lei rimaneva speciale per lui, a modo suo, non come una sorella,
ma nemmeno come la sua donna. Provava comunque un tipo di amore
perchè viaggiavano su una frequenza molto simile. Lei sapeva le
cose, lui le comprendeva. Insieme si capivano ed erano una coppia di
lavoro molto affiatata.
Oltre
a questo si volevano un gran bene.
Lydia
gli aveva fatto un po' superare, in qualche modo, il problema degli
incubi continui dovuti alla porta socchiusa sul nementon, che altri
non era un passaggio per il sovrannaturale. Più o meno quella porta
venne chiusa in lui. Più o meno.
Smise
di fare incubi e smise di avere sonno. In effetti, smise di dormire.
Questo
portò a galla uno degli altri problemi a lui oscuri, mentre la
mancanza di Derek era
ancora
immutata.
La
malattia di Stiles -creata ad arte dall'oscurità- era una
particolare demenza che portava al rimpicciolimento di alcune zone
del cervello e quindi ad una serie di conseguenze che a lungo andare
avrebbero portato, per appunto, alla demenza vera e propria.
Altrimenti detta pazzia. Infine alla morte.
Era
l'unica demenza che poteva colpire gli adolescenti.
Era
la malattia di sua madre, era morta per quella e lui aveva assistito
da vicino alla sua fine, subendo tutte le sue stranezze ed i suoi
deliri degli ultimi tempi. Quando persino suo padre faticava a starle
vicino e per evadere da una situazione atroce che non sapeva
accettare, lavorava molto, troppo.
Stiles
era rimasto a lungo in ospedale con lei e quando era morta aveva da
subito avuto attacchi di panico a cui aveva dovuto far fronte seppure
fosse piccolo.
Poco
dopo si era imbattuto in Derek, aveva conosciuto Scott, lentamente la
sua vita aveva preso forma e direzione fino ad arrivare a quello che
era oggi.
Ma
cos'era, oggi?
Si
sentiva sottile, trasparente, stiracchiato. I fili a contatto con la
realtà erano sempre meno e sempre più sottili.
La
malattia portava insonnia, sbalzi d'umore, irritabilità, confusione
mentale, sonnambulismo e incapacità di distinguere realtà da
fantasia.
Tutto
questo, ovviamente, portava allo sfinimento mentale e al totale
distacco con la propria mente.
Questo
però non era la sola forza che lavorava in lui e che lo portava in
uno stato sempre meno controllato e sempre più caotico.
Perchè
era il nogitsune che stava facendo tutto questo e stava cercando di
creare la fine Stiles, il suo corpo ospitante. Se voleva prendersi
lui, doveva lavorare in un certo modo, doveva convincere Stiles di
essere alla fine, doveva sfinirlo psicologicamente, doveva
indebolirlo in ogni senso. A quel punto si sarebbe fatto sentire e
gli avrebbe proposto la salvezza a modo suo. Stiles lo doveva
accettare, così sarebbe stato più forte.
La
nogitsune era lo spirito di una volpe giapponese, la versione oscura
delle kitsune di cui ce n'erano di molti tipi, anche molto forti.
Era
in Stiles dal sacrificio nel nementon e per qualche ragione aveva
scelto lui, gli piaceva molto. Voleva rimanere lì, voleva fingere di
salvarlo, però per poter fare di lui tutto ciò che voleva, doveva
attivarsi e per quello gli serviva un veicolo conduttore, qualcosa di
estremamente potente in grado di dargli quella scossa necessaria.
Il
nogitsune, dall'interno di Stiles, lavorò a lungo per trovare quel
veicolo. Non era facile perchè non doveva essere il morso di un lupo
mannaro, quello avrebbe reso il corpo inospitale ed imperfetto.
Però
doveva essere una fonte di potere notevole.
Ci
impiegò molto per trovarlo e quando ci si imbatté non si lasciò
sfuggire l'occasione.
Lei,
lei era perfetta.
La
volpe del fulmine.
Sapeva
che non era una questione di fortuna il suo arrivo in città, sapeva
che quell'odiosa di sua madre, anch'essa una kitsune ma meno forte di
quella giovane, lo cercava per eliminarlo.
Non
sapeva come era riuscita a trovarlo lì, ma le sue risorse erano
quasi infinite, a volte. Non il suo potere. Il suo potere non era
sufficiente.
Creava
oni che andavano in cerca di lui marchiando i corpi nei quali
sentivano il suo odore. Tutti quelli che erano stati a contatto con
lui, quegli insopportabili oni li marchiava e li lasciava andare.
Tutti.
Quando
l'avrebbero trovato, avrebbero tentato di ucciderlo, ma non era un
problema. Per quella volta si sarebbe già riattivato ed allora li
avrebbe sconfitti facilmente.
Il
tempo era al termine, doveva sbrigarsi.
Prese
in mano la situazione e poté farlo perchè il controllo di Stiles
era sempre più sottile a causa della malattia che gli aveva attivato
e che lavorava in lui, che Stiles pensava sempre più di avere, che
lo distruggeva e lo stancava. Meno controllo lui aveva, più ne aveva
la nogitsune. Per cui in un certo senso gli andava bene il suo
deterioramento, così poteva controllarlo meglio.
Non
fu difficile architettare un piano perfetto chiamando a sé tutti gli
elementi utili alla sua riuscita, come Barrow, ad esempio, che aveva
perfettamente risposto alla sua chiamata facendo quello che gli aveva
ordinato tramite il messaggio lasciato da lui -da Stiles posseduto-
sulla lavagna.
Tutto
il piano era stato geniale, contorto, ma perfetto. Solo altri geni
come lui avrebbero potuto venirne a capo e su questo aveva contato,
infatti.
Aveva
contatto su Stiles e su Lydia. Infatti non lo avevano delusi.
Loro
erano arrivati al punto X che lui aveva designato per tutti.
Barrows
aveva preso la maledetta piccola kitsune e l'aveva portata alla
centrale, il posto ideale. Poi Stiles, trascinandosi gli inevitabili
Scott e Lydia, erano arrivati da loro e tentando di fermarli, erano
stati abbagliati dal potere incredibile della kitsune che di riflesso
si era attivato da solo nel momento in cui si era dovuta salvare la
vita.
L'attivazione
del potere di Kira che si era manifestato in quel modo, aveva
attivato a sua volta la nogitsune in Stiles dandogli pieni poteri.
Da
lì partì tutto.
Certo
c'era ancora una piccola parte, ovvero Stiles doveva collaborare nel
finale. Doveva lasciarsi possedere.
Doveva
essere cosciente di quello che succedeva. Doveva lasciargli prendere
possesso pieno di lui e per questo non serviva il suo consenso nel
senso classico.
Stiles
doveva sapere che lui c'era, doveva capire chi era e doveva in
qualche modo realizzarlo, accettarlo, prenderne coscienza.
Solo
in quel momento la sua presa sarebbe stata totale.
Così
attese che la falsa malattia arrivasse al suo culmine per poi fare le
sue mosse.
La
nogitsune pianificò anche le mosse successive, prima di prendere il
completo sopravvento di Stiles. Comunque ormai ce l'aveva già quasi
del tutto.
In
passato, pur senza l'attivazione, aveva potuto fare ugualmente quello
che voleva, solo con poca autonomia e quindi in maniera molto
limitata. Stiles non si era mai accorto della sua presenza.
Ora,
anche senza il pienissimo controllo, poteva fare la maggior parte
delle cose che voleva, però il povero piccolo Stiels cercava ancora
di contrastarlo. Non sapeva proprio come osava, come ci riusciva.
Però era la sua bellezza, dopotutto. Per questo l'aveva scelto.
Si
ostinava ad andare incontro alle cose peggiori, ai pericoli più
grandi. Invece di scappare e rifugiarsi o semplicemente arrendersi
all'evidenza di chi era più forte, lottava. Ci provava. Andava
incontro al fuoco a testa alta.
Era
debole fisicamente e non aveva poteri, il piccolo caro Stiles. Non
senza il nogitsune.
Però
ci provava sempre e spesso aveva anche dei buoni risultati.
Per
questo gli piaceva. Sapeva usare i mezzi in suo possesso per avere
successo ed in ogni caso non si arrendeva mai.
La
nogitsune pianificava il sistema per nutrirsi appena avrebbe preso
del tutto Stiles, per cui fece una serie di cose che avrebbero
portato a ferire delle persone.
Stiles,
da dentro, mentre teoricamente dormiva e pensava di essere solo
sonnambulo, mentre ancora non sapeva contro cosa stava combattendo,
ma sapeva che lo stava facendo, cercava di contrastarlo e sabotarlo.
Credeva
di starsi sabotando da solo. Nella sua ignoranza era convinto di
stare impazzendo, non sapeva di essere posseduto. Credeva che mentre
era incosciente, il suo corpo agiva a proprio piacimento cercando di
far male ai propri amici e conoscenti.
Aveva
trovato degli indizi da sveglio che aveva subito compreso. Stava
giungendo da solo verso la verità, ma ormai alla nogitsune non
importava.
Stiles,
da dentro, prendeva sporadicamente possesso di sé e lottava. O per
lo meno provava.
Soprattutto
sul tetto dell'ospedale, quando capì cosa il suo corpo cercava di
fare, aveva provato a lottare e contrastarsi, ma non c'era stato modo
perchè alla fine la nogitsune aveva ugualmente fatto quello che
voleva.
Aveva
messo trappole ovunque per poi lasciare che Stiles si illudesse di
potersi tenere lontano dai suoi amici e quindi di proteggerli da sé
stesso, un sé stesso pericoloso. Sapeva di essere pericoloso, ormai
ne era sicuro, ma non sapeva perchè.
In
quel momento Stiles sembrava davvero vicino alla sua morte. Molto
vicino.
Negli
istanti in cui aveva creduto di essere imprigionato nello scantinato
del mattatoio, aveva finalmente potuto vedere l'essere che lo
tormentava. La -mezza- verità che si avvicinava. Lui che ne prendeva
sempre più coscienza.
Lui
che se ne rendeva conto.
Lui
che lo vedeva, ci parlava. Capiva.
Capiva
sempre più.
In
quel momento, la nogitsune aveva rivelato al povero piccolo Stiles
che stava solo cercando di salvarlo.
Stiles
non aveva capito subito.
Non
l'aveva ancora visto in faccia.
La
nogitsune aveva dovuto aspettare, qualcuno l'aveva trovato e
svegliato e portato alla realtà.
Perchè
non lo lasciavano fare?
Perchè
cercavano di contrastarlo inutilmente?
Cercava
solo di salvare il loro adorato Stiles. Non era davvero malato, ma
per tutti lo era, per i medici Stiles stava per morire, per cui lui,
anche se per finta, era lì per salvargli la vita.
Attese
paziente perchè aveva previsto anche quella mossa. Sapeva che il
caro piccolo Stiles avrebbe resistito ancora un po', prima di capire.
Il
tempo di arrivare in ospedale e attirare tutti quelli che contavano,
tutti quelli che voleva ferire.
E
così, mentre tutti si rendevano conto dello stato in cui verteva il
loro adorato Stiles guardando in faccia la sua -fasulla- malattia,
mentre Scott si sentiva mancare la terra sotto i piedi perchè il suo
adorato fratellino stava davvero male ed era in pericolo, la
nogitsune tornò da lui e questa volta riuscì a prenderlo.
Fu
inevitabile per Stiles capire chi era quell'individuo, per cui
successe l'inevitabile.
Capì
che quell'essere era lui stesso e si rese conto che non poteva
combatterci contro. Poteva tentare contro qualunque altro essere
estraneo, ma contro sé stesso... Dio, come poteva?
In
quel panico, in quell'istante, in quel momento di fine personale,
Stiles si guardò in faccia, si rese conto che era semplicemente
finito, specie grazie alla sua malattia che credeva d'avere, ed il
nogitsune, con il piacere paragonabile ad un orgasmo, poté prendere
pieno possesso di Stiles.
Certo,
per convincerlo a cedere gli aveva fatto una serie di promesse,
perchè in quei casi era inevitabile. Non avrebbe fatto male alle
persone che aveva a cuore e queste comprendevano suo padre, Scott,
Lydia... ovviamente sapeva che Stiles amava il pericoloso -per lui-
Derek. Ma su Derek non poteva far valere la sua promessa, perchè era
una persona rognosa, proprio come Chris.
Così
per loro aveva architettato un altro piano perfetto che avrebbe
attuato a breve.
Soprattutto
per Derek... per lui aveva in mente qualcosa di speciale.