CAPITOLO 3
EX NIHILO
PARTE III
Scosse la testa, si volse,
sputò.
Era sangue.
Ne era fradicio. Rivoli sul pavimento.
- Crepa - sibilò, rivolgendosi a Maya, al suo avversario steso a terra,
a nessuno di questi. Si tolse la maglietta (ematomi violacei sul
ventre, strisce sul dorso); accaldato, ne cercò un'altra dentro una
borsa lacera e annerita. In quella flemma i muscoli, tesi, fluivano di
indignazione pura: l'avevano interrotto, e l'odiava. Anche se si
trattava di lei (ultimamente si trattava sempre di lei), anche se aveva
capito perchè (perchè, il perchè..), anche se si stava rendendo conto
che...
- Non riesci a trattenerti - gli sussurrò qualcosa all'interno,
dissolvendosi prima di poter essere scacciato. Da quanto era così?
Perchè doveva preoccuparsi sempre di quello che faceva? Bastava che lei
lo scrutasse, si sentiva pressato, dentro, a fondo, a lungo. Come
adesso.
Istintivamente, tese la mano, voleva toccarlo; mutato d'intensità il
suo bisogno di rassicurazione le fece compiere pochi passi prima che
una morsa leggermente umida le serrasse il braccio. Non faceva male, ma
bastava a impedirle altri movimenti.
Ancora, restò immobile in quel contatto sentendosi (che novità)
inutile, ma non le venne in mente niente di meglio che pronunciare il
nome di Lelio.
E questo lo fece esplodere.
No, non doveva andare così. Era tutto sbagliato.
- Il maledetto bastardo poteva degnarsi di scendere e.. - aveva troppe
sensazioni addosso - Cazzo! - la lasciò andare, respingendola, Maya era
(sempre) lì che lo guardava senza capire, e lui, nemmeno lui capiva,
contorto nella miscela di tante piccole intuizioni che si incastravano
malamente, lasciando il tutto privo di senso, contraendosi e infine
collassando. Nello sforzo di concentrarsi sull'esterno, avverti
qualcosa di piccolo, sfuggente e vicino. Un ospite indesiderato. Dietro
la porta. La spalancò.
Paolo cadde in avanti, la porta sbatté sul muro, trillò sui cardini,
gli sbatté addosso. La mano sinistra affondò su una macchia rossastra,
sanguigna e calda. Elia si inginocchio davanti a lui, gli alzò il viso
per trapassarlo con occhi da psicopatico, dimenticando tutto, Lelio,
Kusagra, persino Maya.
- Benvenuto - ghignò, cominciando a colpire, forte.
Qualcosa lo ostacolò.
Maya.
Stava bloccando il suo accesso al ragazzino, tentò di svincolare ma lei
era tenace. Indietreggiò.
- Smettila -
No. Il ragazzino si era ingenuamente coperto il capo con le mani, e
nonostante non lo stesse più nemmeno toccando continuava lo stesso a
contorcersi sul pavimento. No, non poteva lasciarlo stare, quella
spia...
un'altra mano gli artigliò la gamba, prima delle unghie sentì la
corrente che dalle mani passava a lui, alla sua testa e al torace.
Sotto un ragazzo esile e malconcio rantolò
- Ti stavi battendo con me, stronzo, lascia in pace il ragazzino -
Un solo guizzo di pelle bronzea e graffiata, Kusagra fece leve su Elia
per rialzarsi ma riuscendoci solo a metà. Un ciuffo di capelli nivei
incollati alla fronte gli intralciavano ulteriormente la vista, così
barcollò e sarebbero caduti entrambi se Elia non si fosse aggrappato a
Maya. L’equilibrio era precario ma funzionò: Kusagra si staccò per
andare verso Paolo, steso a terra privo di sensi (ma almeno non tremava
più); addosso a Maya Elia riacquistò la forza sufficiente per
riprendersi, rispondere con un secco - Non lo so - a un - Come stai?-
della ragazza, incespicare fino alla porta. Doveva andare da lui
adesso. Mettere fine a quella ridicola commedia una volta per tutte.
Li guardò duramente tutti e due (tre, anche il ragazzo svenuto per
terra) e uscì.