Note: Questa fic è
nata per puro caso ed è stata scritta rapidamente ieri.
Domenica vedendo la puntata di Criminal Minds che stavano trasmettendo
in tv, sono stata catturata da un’immagine di Reid: lui,
Morgan ed Emily erano al fast food, quando gli viene chiesto di
illustrare la sua mappa, Reid inclina la testa di lato, in un gesto
molto attraente. Mi si è letteralmente conficcato in testa!
Da allora ha iniziato a rigirarsi nel mio cervello, fino a quando non
è venuta fuori questa fic. E’ la prima fic che
scrivo su questa serie (sono emozionata! ^^) quindi non sono molto
sicura del risultato, spero comunque di aver fatto un lavoro quantomeno
decente, di sicuro c’è la mia buona
volontà ^^’’’
Dediche:
Dedico questa fic alla mia sensei Akane,
è stato grazie a lei se mi sono innamorata di questa coppia
*.* Akane non sa nulla di questa fic, è una piccola
sorpresa. Spero che ti piaccia sensei \^o^/
Ringraziamenti:
Ringrazio chiunque leggerà e commenterà.
Adesso
la smetto e vi lascio alla lettura, alla prossima gente ^o^
Fragile
Erano
almeno due ore che se ne stava chiuso in auto, sotto casa di Reid. Non
sapeva se fosse il momento giusto, sapeva soltanto che aveva una
maledetta voglia di farlo. Morgan chiuse gli occhi e poggiò
la nuca sul poggiatesta del sedile. Era arrivato al limite, ancora un
po’ e sarebbe esploso. Lui non era un tipo capace di
attendere in angolo che la sua preda capisse e si lasciasse andare; lui
era un tipo che prendeva tutto e subito! Soprattutto il premio in palio
era particolarmente alto, come in quel caso, non riusciva a starsene
buono ed osservare senza fare nulla. Lui era un tipo
d’azione, era un seduttore.
Eppure
con Reid non era riuscito a fare niente: gli era semplicemente rimasto
accanto ad osservarlo, cercando un varco che gli permettesse di
penetrare le sue difese e di farlo avvicinare.
Reid
era una persona troppo complessa, forte e fragile allo stesso tempo,
totalmente diversa da quelle che frequentava solitamente: un solo passo
nella direzione sbagliata ed avrebbe compromesso tutto quello che aveva
costruito in quegli anni. Il punto di forza di Reid era quel suo tanto
decantato cervello, che sembrava non avere alcun limite, che lavorava
in continuazione, senza concedergli requie, analizzando e
razionalizzando tutto quello che aveva davanti; ma poteva
tranquillamente ammettere che allo stesso tempo era anche il suo punto
debole: Reid faceva fin troppo affidamento su di esso, sulla sua
razionalità, e quando accadeva qualcosa che esulava da ogni
logica e che la sua mente non riusciva a riconosce ed a decodificare,
si trovava totalmente sguarnito di difese, incapace di reagire nel modo
giusto.
A
volte Morgan aveva la sensazione che Reid fosse ancora un bambino. Quel
bambino che non aveva potuto essere a causa del sul intelletto fuori
dal comune, della sua famiglia, della situazione sociale in cui era
cresciuto. Un bambino invecchiato troppo in fretta che non aveva potuto
deliziarsi delle gioiose follie dell’infanzia, che non aveva
fatto nessuna di quelle esperienze che aiutano a crescere ed a
maturare. Un bambino ancora spaventato dal buio e dagli incubi che
contiene. Un bambino che non ha ancora sviluppato le difese adatte per
affrontare il mondo e le sue brutture.
Come
un fragile pezzo di cristallo in bilico sul bordo di un mobile.
Per
questo Morgan si era autoproclamato suo protettore. Perché
voleva proteggerlo dal mondo esterno, dal loro lavoro e,
perché no?!, anche da se stesso e dalla sua mente.
Perché
Morgan aveva capito che infondo il nemico più pericoloso di
quel ragazzo era la sua mente illimitata, che a volte faceva paura, che
lo rendeva quasi inumano agli occhi degli altri della squadra.
All’inizio
si era sentito per quel ragazzo un po’ come quel fratello
maggiore che non aveva mai avuto, di quelli che tormentano il
fratellino per il puro divertimento di vederlo in
difficoltà, ma che sono sempre al suo fianco quando ha un
problema per sostenerlo e rassicurarlo. Morgan era quello che lo
prendeva in giro quando si mostrava troppo serio per i suoi venticinque
anni, quello che non si faceva nessuno scrupolo a mollargli qualche
schiaffetto sulla nuca quando tirava fuori quell’aria un
po’ saccente ed iniziava a snocciolare dati e statistiche
fino a far venire il mal di testa a tutti; lui era l’unico
che riuscisse a trascinare Reid in infantili bisticciate, come due
bambini dell’asilo, che lo rendevano adorabilmente umano, e
che puntualmente venivano sedate da mamma JJ. Era l’unico con
cui Reid si confidasse quando non riusciva a capire qualcosa della vita
reale, quella fuori dai libri, che conosceva appena.
Reid
aveva con lui un legame particolare, diverso da quello che lo legava
agli altri membri della squadra, diverso perfino da quello privilegiato
che aveva con Gideon. Era un legame più profondo,
più solido, in cui fiducia ed affetto si mescolavano
indissolubilmente, e che avrebbe potuto portare a qualcosa di
più se solo avesse avuto il coraggio di osare.
Inizialmente
non sapeva perché facesse tutto questo, Morgan sapeva
soltanto che voleva quegli occhi azzurri su di sé, che
voleva conquistarsi un posto speciale accanto a quel ragazzo, forse
simile a quello che ricopriva Gideon.
Non
ricordava nemmeno com’era iniziato, a dire la
verità, sapeva soltanto che ci si era trovato immerso fino
al collo e che non sarebbe più riuscito a liberarsene. In
realtà non aveva alcuna voglia di liberarsi.
Forse
aveva iniziato a comprendere quando Raid era stato rapito e torturato.
Non si era mai sentito scuotere così a fondo da una simile
ondata di gelida furia. Aveva visto tanti amici e colleghi morire nei
modi più atroci ed imprevedibili, ormai anche quella era
diventata quasi una triste abitudine del loro lavoro, perché
quindi aveva provato quel senso di destabilizzante terrore al pensiero
di Reid bianco, freddo ed immobile, morto? Era tornato a respirare
soltanto quando era riuscito a ritrovarlo, malconcio ma vivo.
E come
dimenticare quella tristezza dilagante nel suo petto quando Reid era
ritornato a lavoro e lo avevano scoperto nervoso e suscettibile come
non era mai stato nella sua natura? E quell’odio bruciante
quando aveva capito che il piccolo Reid era caduto in una spirale
troppo grande e violenta per lui?
Rivoleva
indietro quel ragazzino dal volto d’angelo, troppo fragile,
estremamente testardo, che voleva dare ad intendere agli altri di
essere forte ed intoccabile.
Aveva
tirato un enorme sospiro di sollievo quando Gideon era riuscito a
tirarlo fuori ed a riportarlo indietro: qualche giorno dopo la loro
indagine a New Orleans, Reid si era presentato in ufficio non con
quella maschera rigida e nervosa che indossava negli ultimi tempi, ma
con la sua solita aria innocente e saccente.
Se
avesse saputo che i suoi colleghi non l’avrebbero dichiarato
pazzo e messo in un manicomio, sarebbe scoppiato a ridere per la
felicità!
Poi
era diventato tutto troppo veloce per potersi fermare a riflettere, ne
era stato letteralmente trascinato!
Improvvisamente
si era ritrovato sempre più spesso ad osservare Reid, a
studiare attentamente le sue espressioni ed i suoi gesti, ad essere
geloso di chiunque gli si avvicinasse troppo, a cercare in ogni modo di
avere quegli occhi sempre su di sé, di concentrare la sua
attenzione esclusivamente su di sé.
La
piena consapevolezza dei suoi sentimenti era venuta a galla lentamente,
ma in modo esplosivo.
Capitava
che Reid facesse dei gesti innocenti e naturali per lui, ma che
bruciavano in Morgan come fuoco liquido. Reid aveva un modo di fare
elegante e noncurante che lo incantava.
Morgan
semplicemente adorava quando gli ponevano una domanda e lui, come
d’abitudine, inclinava appena la testa di lato, lasciando che
i lunghi capelli gli scivolassero lungo la guancia ed il collo. Un
gesto che apparteneva al modo di fare di Reid, che non aveva nulla di
malizioso, che gli altri nemmeno notavano, ma che su di lui aveva un
effetto devastante.
Bastava
un movimento minimo di Reid e quel suo odore lieve e fresco, che non
era la fragranza di qualche colonia e che ancora non era riuscito a
classificare, gli invadeva il naso e la bocca, bruciandogli il cervello
e la gola, rendendolo incapace di ragionare. Momenti in cui il suo
autocontrollo si incrinava rischiosamente. Momenti in cui si sentiva
attratto pericolosamente da lui. Momenti in cui sentiva lava
incandescente scorrergli nelle vene al posto del sangue.
Nemmeno
riusciva più a contare le volte in cui aveva desiderato che
le mani eleganti ed affusolate di Reid, invece che sulla mappa di
turno, scivolassero sulla sua pelle, in tante delicate, roventi carezze.
Stava
letteralmente impazzendo ad averlo così vicino ed a non
poterlo toccare! Tutti in squadra si erano resi conto del suo stato,
solo quel cervellone non aveva ancora capito niente! Era arrivato a
credere che Hotch avesse maledettamente ragione: il cervello di Reid
non era stato creato per recepire nozioni elementari o le emozioni
degli altri, ma per immagazzinare dati su dati, analizzarli e scomporli
fino a trovare una soluzione.
Doveva
pazientare ed al momento giusto agire e spiegarsi nel modo
più chiaro possibile.
Morgan
riaprì gli occhi e spostò lo sguardo sul sedile
del passeggero, dove aveva poggiato una bottiglia di vino rosso.
Sospirò era arrivato fin li deciso ad arrivare fino in
fondo, pronto a giocarsi il tutto per tutto, aspettandosi qualsiasi
reazione dall’altro; ma stranamente ora non si sentiva
più sicuro.
Era
stanco di quel naufragare nei dubbi, di doversi sempre e solo
accontentare di guardarlo da lontano, ma il non riuscire a prevedere la
reazione dell’altro lo rendeva insicuro. Aveva notato un
certo interesse da parte di Reid per lui, ma quegli occhi azzurri erano
così impenetrabili che non riusciva a capire cosa si
agitasse davvero oltre la superficie.
Morgan
cominciò a sghignazzare nervoso e per nulla divertito
davanti la figura che stava facendo: stava ringraziando il cielo
perché non c’era nessuno che conosceva a
guardarlo, in quel momento! Non era mai scappato davanti a nessuno,
aveva avuto tutte le donne che aveva voluto, perché doveva
avere paura proprio di quel ragazzino?
Perché
è l’unico che hai voluto davvero! Gli
rispose una vocina dal fondo della sua mente.
Già!
Quelle che aveva avuto fino a quel momento erano state avventure prive
di significato, in cui si era buttato un po’ per sentirsi una
persona normale e dimenticare gli orrori che il suo lavoro lo
costringeva ad affrontare di volta in volta, un po’ per
spegnere quel desiderio bruciante che provava per Reid, che era sempre
li, sulla sua anima a divorarlo impietosamente, sempre più
incontrollabile. Quella era la prima volta che sentiva di volersi
legare davvero ad un’altra persona, di
voler appartenere a qualcuno oltre che a se stesso e di volere che
qualcun altro appartenesse a lui. Era la prima volta che voleva
prendersi la responsabilità di avere un’altra
persona accanto, che voleva costruire qualcosa destinato a durare nel
tempo e non a sgretolarsi nel giro di qualche settimana.
Anche
se era un salto nel buio, voleva Reid per sé, qualsiasi cosa
avesse comportato una simile scelta!
Storse
la bocca in una smorfia continuando a fissare la bottiglia accanto a
sé come se fosse stato un nemico mortale. In un ultimo
scatto d’orgoglio l’agguantò e scese
dall’auto, sbattendo forte la portiera. Con un cipiglio torvo
attraversò i pochi metri che lo separavano dal portoncino
del palazzo dove abitava Reid, costringendosi a non voltarsi mai
indietro per impedirsi di scappare. Con una scusa si fece aprire da una
dei condomini, alla voce doveva essere una signore anziana. Impaziente
salì le scale due a due, fino a che non si trovò
sul piano giusto, davanti la porta dell’appartamento di Reid.
Inspirò un’ultima volta per schiarirsi il cervello
e dissipare un po’ di quella fastidiosa ansia che lo stava
ghermendo in quel momento; quindi schiacciò il pulsante del
campanello.
Il
suono stridulo gli giunse ovattato alle orecchie, prima che
l’ultimo eco si spegnesse nel silenzio. Attese un
po’ prima di suonare nuovamente. Nell’assenza di
rumori in cui si trovava, il martellio cupo del suo cuore risuonava
più chiaro che mai, mentre si chiedeva dove fosse in quel
momento, mentre la gelosia gli insinuava il dubbio che altre braccia
stavano stringendo Reid in quel momento.
Strinse
i denti ed indurì la linea della mandibola, sentendosi
infinitamente sciocco per aver atteso tanto, e fece per andarsene, ma
l’improvviso scatto secco della serratura alle sue spalle lo
trattenne.
La
porta si schiuse con un sonoro cigolio che rimbalzò per
tutto il corridoio vuoto: la mente di Morgan si spense
all’istante, mentre il suo corpo reagì in maniera
immediata e vistosa.
Reid
era in piedi sulla soglia di casa, con indosso solo una t-shirt grigia
consumata e sdrucita, e sotto un paio di pantaloncini neri, i capelli
arruffati ed un’adorabile espressione assonnata sul volto. E
lui che credeva che il piccolo genio andasse a dormire infagottato in
un pigiama di pile grigio topo a scacchi corredato da buffe babbucce di
lana grezza, in perfetto stile da pensionato!
-
Morgan?- chiese stupito Reid sopprimendo a fatica uno sbadiglio.
Quel
suono, simile al morbido ronfare di un gatto, fu come un pugno nello
stomaco, così forte da svegliarlo dallo stato contemplativo
in cui era piombato.
-
Scusa se ti ho svegliato: non pensavo che andassi a dormire
così presto. Passavo di qua e…- il lampo di
scetticismo in quelle iridi azzurre liquide di sonno che lo fissavano
curiose, lo bloccò – E va bene! Sono venuto a
vedere come stavi e se avevi voglia di quattro chiacchiere.- sorrise
sghembo mostrandogli la bottiglia di vino.
Con le
donne non c’era nulla di meglio di un buon bicchiere di vino
rosso per creare la giusta atmosfera rilassata e far cadere tutte le
barriere. Chissà se avesse funzionato anche con lui?
- Sto
bene.- rispose Raid tranquillamente mentre si spostava di lato per
farlo entrare.
Morgan
non era troppo sicuro della veridicità di quella risposta:
quella appena conclusa era stata una giornata difficile e stressante,
che aveva messo a dura prova anche uno come lui. Raid aveva messo in
campo tutto se stesso per ritrovare la ragazza scomparsa, e poi per
convincere suo padre, un killer della mafia che ora era un
collaboratore dello stato, a non uccidere il sequestratore. Ogni sua
parola era andata a vuoto, non era riuscito ad impedirgli di trascinare
la figlia nello stesso mondo insanguinato da cui voleva proteggerla.
Aveva potuto soltanto assistere a quell’omicidio inutile
senza poter far niente. Per un istante Morgan, rivivendo quei ricordi
troppo recenti, riprovò la sensazione di gelido terrore che
lo aveva invaso quando, dall’esterno dell’edificio,
avevano udito l’improvviso scoppio del fucile a pompa. Aveva
corso nel corridoio con gli altri, con mille pensieri che gli
affollavano la mente scontrandosi l’uno con
l’altro, dilaniandolo, fino a raggiungere i bagni
dell’ala sud, dove avevano trovato padre e figlia, ed un Reid
vivo, ma visibilmente scosso. Non riusciva a staccare lo sguardo dal
cadavere riverso sul pavimento, nel lago del suo stesso sangue, e
continuava a ripetere sconnessamente che aveva cercato in tutti i modi
di convincerlo a non sparare, ma che non lo avevano ascoltato. In quel
momento gli era sembrato immensamente fragile, sul punto di infrangersi
in mille schegge di cristallo insanguinato; Morgan avrebbe dato
qualsiasi cosa in quel momento per poter spegnere i fremiti di quel
corpo gracile nel calore di un abbraccio.
Entrò
in casa senza staccare lo sguardo dalla figura dell’altro,
fumata e confusa nella penombra del piccolo salotto. Si tolse la giacca
e l’appese all’attaccapanni nell’angolo
del corridoio, lasciando, poi, che la morbida e bassa luce di una
lampada da tavolo gli scivolasse addosso, ridisegnando il suo torace
coperto solo da una maglia a maniche lunghe blu ed aderente.
Sentì quei grandi occhi azzurri scivolare su di
sé, percorrendo con fin troppo interesse ogni centimetro del
suo corpo. Morgan nascose a fatica un sorriso compiaciuto.
- Lo
sai che con me puoi parlare liberamente, vero?- gli chiese con tono
rassicurante mentre poggiava la bottiglia su un basso tavolino.
Era
chiaro che non l’avrebbero bevuta, non quella notte almeno:
la sua visita era troppo strana per potersi concedere di rilassarsi e
chiacchierare spensieratamente; l’altro avrebbe preteso delle
spiegazioni e lui avrebbe dovuto darle.
- Cosa
dovrei dirti?- chiese Raid ritraendosi inconsciamente nel buio della
stanza.
Morgan
sospirò: da quando Gideon era andato via, Raid si era
appoggiato molto a Hotch, cercando di trovare in lui quella figura
quasi paterna che lo psicologo aveva rappresentato per lui; ma aveva
anche iniziato chiudersi in sé, aveva notato che
difficilmente ora si lasciava andare a qualche confidenza personale.
Era come se stesse costringendo il suo cervello a sondare i recessi
più profondi della sua mente per poter dare da solo quelle
risposte che cercava e che prima riusciva a trovare solo dopo
un’interminabile chiacchierata chiarificatrice con Gideon.
Morgan aveva sperato di poter prendere almeno il posto di confidente
nella vita di Reid, ma fino a quel momento era stato deluso.
-
Riesci a capire perché sono qui?- chiese ancora, usando un
tono volutamente basso e dolce.
Anche
nella spessa penombra della sua stanza riuscì a scorgere il
rossore che colorò le guance scarne e pallide del ragazzo in
piedi davanti a lui. Reid serrò le labbra continuando a
studiarlo quasi con diffidenza: in quel momento sembrava un gatto
randagio, fradicio di pioggia, che Morgan aveva appena raccolto dalla
strada e che rifiutava di fidarli dell’umano che aveva
davanti.
- Mi
permetti di spiegartelo?- chiese con un sorriso calmo ed avvicinandosi
di un passo.
Reid
lo fissò a lungo, cercando di valutare obbiettivamente la
situazione, prima che annuisse con un piccolo cenno della testa. Allora
Morgan gli si avvicinò lentamente, cercando di non fare
nulla che potesse spaventare l’altro, gli prese delicatamente
il mento tra le dita e gli sollevò la testa verso di lui.
Scrutò a lungo quel volto dai lineamenti delicati,
finalmente così vicino al suo, sentendo emozione e passione
miscelarsi nelle sue vene. Lasciò che quegli occhi azzurri
lo scrutassero a fondo, per tranquillizzarlo e mostrargli che le sue
intenzioni erano serie. Quando fu certo di poter procedere senza
problemi, abbassò la testa e sfiorò le labbra
dell’altro con le sue, in una lieve carezza appena accennata.
Avvertì
distintamente Reid irrigidirsi, ma non gli permise di allontanarsi. Con
la fronte contro la sua riaprì gli occhi e si perse in
quelli del ragazzo tra le sue braccia, che ribollivano di paura e
confusione. Si concesse un altro istante di silenzio per cercare una
frase decente con cui rendere quello che provava per lui: tutti i
discorsi che aveva preparato e che aveva ripetuto
all’infinito davanti gli specchi di casa, erano evaporati
all’istante a quel breve contatto.
- Hai
capito ora? Io voglio stare con te. Voglio vivere di te. Lasciami
avvicinare a te, voglio proteggerti da tutto quello che potrebbe farti
del male, anche da te stesso!- sorrise dolce e seducente insieme.
Reid
arrossì violentemente a quelle parole e distolse lo sguardo,
impreparato. Con un movimento rapido, come se Morgan scottasse, si
allontanò da lui.
-
Devo… devo riflettere…- mormorò nel
buio.
Morgan
sentì i suoi passi allontanarsi nel corridoio e lo scatto
secco di una porta che si chiudeva. Sospirò e si sedette sul
divano, poggiando la schiena e la testa sulla spalliera. Chiuse gli
occhi: sapeva che avrebbe reagito in un modo simile! Il problema di
Reid era che si chiudeva a riccio su se stesso quando accadeva qualcosa
di improvviso e fuori dal suo controllo, e non lasciava avvicinare
nessuno finché non riusciva a dissipare il nodo, a fare luce
su quello che lo tormentava. Sarebbe quindi stata una lunga
riflessione, quella! Adesso riusciva a capire come si sentivano i
detenuti in aula, quando la giuria si ritirava per discutere il
verdetto da emettere…
Nel
silenzio dell’appartamento l’unico suono era il
ticchettio del pendolo, che scandiva il tempo che scorreva
implacabilmente.
Era
caduto in uno strano stato di dormiveglia, in cui le sensazioni erano
sfuggenti e dilaganti, quando qualcosa gli accarezzò la
guancia. Morgan aprì a fatica gli occhi, sentendosi la mente
impastata e la schiena dolorante per la posizione. Spostò lo
sguardo verso la finestra e, tra gli scuri appostati, notò
il cielo perlaceo dell’alba. Quel qualcosa era ancora li,
sulla guancia, tiepido e delicato. Spostò lo sguardo confuso
dal sonno dal lato opposto e si trovò davanti il volto di
Reid, ora sveglio e disteso in un’espressione tranquilla. A
fatica l’agente si mise a sedere dritto sul divano, storcendo
le labbra in una smorfia quando avvertì tutti i muscoli
protestare. Solo al termine dell’operazione si rese conto con
una nota di dispiacere che Reid ora indossava i suoi soliti abiti
antiquati che in modo strano accentuavano la delicatezza di quel corpo.
Quegli
occhi azzurri lo osservavano come laghi dalle acque limpide e placide:
doveva essere riuscito a trovare una soluzione al dubbio nel quale lo
aveva gettato la sera prima. Sostenne il suo sguardo attendendo la
sentenza che avrebbe potuto graziarlo o condannando.
- Ho
capito! – esordì Reid semplicemente – Ho
capito! Anch’io voglio te!- mormorò basso e timido.
Morgan
si sentì come se fosse appena ritornato a respirato dopo una
lunga apnea. Rilasciò il respiro che aveva trattenuto fino a
quel momento e sorrise. Con movimenti deliberatamente lenti e suadenti
si avvicinò all’altro e lo baciò.
Quella volta il dottore non si allontanò, ma anzi
assecondò i suoi movimenti, impacciato e goffo come quello
fosse il suo primo bacio. A quel pensiero Morgan sorrise: Reid era
deliziosamente seducente nella sua inesperienza. Si
allontanò appena da lui, quel tanto che gli permetteva di
parlare rimanendo con la fronte contro la sua.
-
Certo che ce ne hai messo di tempo, eh cervellone?! – lo
prese bonariamente in giro, ormai tranquillizzato – E poi vai
dicendo in giro che hai una mente profondamente analitica!- un ghigno
malizioso gli schiuse le labbra.
Le
labbra di Reid si incurvarono in una smorfia di disapprovazione: stava
per lasciarsi andare ad uno delle sue famigerate ed interminabili
lezioni, quando Morgan chinò la testa e lo baciò:
per la prima volta nella sua vita Reid avvertì distintamente
il suo cervello spegnersi, lasciandolo senza parole, e
l’istinto, tanto a lungo messo a tacere, prendere finalmente
il sopravvento.
Ed era
decisamente piacevole!