Note: Questa fic è nata da un’idea della mia sensei Akane, lei mi ha lanciato l’amo ed io l’ho preso subito al volo. All’inizio la trama era molto diversa, ma vedere il modo in cui Don trattava Charlie in un paio di puntate mi ha fatto cambiare totalmente idea. Sono sempre stata affascinata dal rapporto esistente tra i due fratelli, così fragile da potersi frantumare alla prima difficoltà. Stanno cercando di ricucirlo ma troppe cose sono state lasciate in sospeso senza essere risolte. Don poi mi sembra un tipo molto rigido riguardo alle proprie idee. Se pensa in un modo è difficile che cambi idea. Per questo ho pensato che all’inizio non avrebbe preso bene la storia tra Colby e Charlie, reagendo anche in modo poco ortodosso, ma poi riflettendo, prendendosi i propri tempi, comprende. Solo da questo punto credo che possa diventare una sorta di alleato per quei due. Per una volta ho voluto che fosse Don a comprendere i sentimenti di Charlie senza l’onnipresente aiuto del loro padre. Per una volta può sforzarsi, no? -___^

Fratelli


Don scese dall’auto sbattendo la portiera con malagrazia. Aveva avuto una giornata infernale e tutto quello che voleva in quel momento era guardare la partita di baseball in tv sdraiato sulla sua poltrona preferita e con una birra fresca in mano. Aveva una casa sua, certo, ma ci ritornava solo per dormire o quando non voleva farsi trovare, era più un optional che una reale esigenza. Sembrava che la casa di famiglia esercitasse su di lui un richiamo irresistibile costringendolo a tornarci per quell’aria di familiarità che stava riscoprendo e dalla quale era scappato appena aveva potuto.
La villetta era completamente immersa nel silenzio ed al buio. Charlie spesso restava in facoltà fino a tardi a far compagnia ai suoi amati numeri, ma dov’era suo padre? Probabilmente ad un appuntamento galante? Scosse le spalle con diplomatica noncuranza: li avrebbe attesi dentro mentre guardava la partita.
Attraversò il vialetto d’ingresso sentendo la ghiaia scricchiolare sotto il suo passo marziale. Una volta dentro il silenzio lo raggiunse come uno schiaffo in pieno volto. Gli ricordava il periodo successivo alla morte della madre: nessuno di loro tre aveva parlato per settimane, troppo impegnati ad inseguire i ricordi ed a convincersi che quella fosse la realtà, per comprendere che avevano bisogno ognuno dell’affetto dell’altro.
Gli faceva un po’ impressione vederla in quel modo, quella casa era come un porto franco dove chiunque arrivava, diceva la sua ed andava via. La preferiva chiassosa ed allegra, come quando suo fratello correva da una stanza all’altra con un blocco per appunti in una mano ed una matita nell’altra snocciolando astruse teorie matematiche, seguito a ruota da Lerry ed Amita, ognuno che cercava di coprire la voce dell’altro per far valere la propria opinione.
Uno strano rumore vibrò all’improvviso infrangendo per un attimo il silenzio della casa. Era stato così debole e leggero che non sarebbe mai riuscito a sentirlo in situazioni normali, che era risuonato chiaro e netto nel vuoto che lo circondava. Pensare ad un ladro e portare la mano alla fondina fu un tutt’uno per Don. Silenziosamente salì le scale di legno fino al secondo piano, fermandosi, poi, un attimo all’inizio del corridoio per ascoltare e guardarsi intorno, solo una lama di luce giallognola tagliava il pavimento in prossimità della stanza di Charlie. Avanzando rasente il muro si portò fino alla porta lasciata socchiusa e sbirciò all’interno.
Per un lungo istante la sua mente non riuscì a comprendere cosa stava guardando in realtà, era come se la sua mente si rifiutasse di assimilare quella scena. Ad una seconda occhiata capì che stava osservando ciò che non avrebbe mai dovuto vedere, ed alla terza riconobbe in quel groviglio di corpi nudi distesi sul letto suo fratello e Colby Granger.
Charlie era disteso supino, il corpo, leggermente inarcato in avanti, completamente avvolto da quello di Colby. Sembrava così fragile e minuto tra quelle braccia muscolose. Don spostò lo sguardo sul volto del fratello ed arretrò di un passo sconvolto: si era aspettato di trovare dolore, disgusto, qualsiasi cosa potesse suggerire che tutto quello non era voluto per dargli un’opportunità di agire… ma non era pronto per quell’espressione estasiata, persa nel piacere. Si stringeva spasmodicamente con le braccia alle spalle dell’amante e con le gambe ai suoi fianchi, andando incontro alle spinte dell’altro ed ansimando pesantemente. Lo voleva, lo desiderava con tutto se stesso. Don deglutì cercando di riprendere lucidità, sperando che quello fosse solo un incubo dal quale si sarebbe svegliato presto. Colby, intanto, spingeva nel corpo di Charlie, strappandogli gemiti e sospiri che scivolavano languidi nell’aria. Aveva il volto nascosto nell’incavo del collo del professore. Don vide il fratello cingere il volto di Colby con le mani e sollevarlo verso il proprio, cercando le sue labbra con le proprie. Quel bacio passionale sembrò risvegliare Don. Non poteva farsi trovare li, non aveva alcuna voglia di affrontarli al momento né spiegare la propria presenza li.
Scese velocemente le scale ed uscì di casa sbattendo la porta, la partita e la birra fresca ormai dimenticate.

Charlie volse la testa verso la porta, come se in quel modo avesse potuto vedere se c’era davvero qualcuno al piano inferiore. Aveva sentito la porta sbattere, anche se non ne era particolarmente sicuro visto lo stato alterato in cui si trovavano i suoi sensi. Colby era crollato su di lui, aveva avuto appena la forza di scostarsi per non gravare troppo con il suo peso sul suo fisico gracile. Ora era sdraiato al suo fianco, un braccio che gli cingeva la vita e la testa poggiata sulla sua spalla. Ad ogni suo respiro bollente soffiatogli contro la pelle ancora sudata, rabbrividiva.
Per quella notte lui e Colby avrebbero potuto stare tranquilli: suo padre era stato coinvolto da Larry in una serata sull’osservazione dei fenomeni celesti. Ergo, avrebbero avuto tutta casa per loro. Si sentiva come un adolescente alla sua prima esperienza, di quelli che devono approfittare di ogni assenza dei genitori per poter stare in tranquillità con la persona amata. E dire che di anni ne aveva trenta ormai, ma accanto a quell’uomo sempre deciso e sicuro di sé, forte nel fisico come nella mente, si sentiva sempre come un ragazzo. Colby aveva attraversato l’inferno eppure sapeva ancora essere di una dolcezza disarmante con lui. Con lui accanto si sentiva la persona più importante del mondo, gli dava una sicurezza tale che neanche i suoi fidati numeri avevano dargli. Ormai era perso per lui, non avrebbe più saputo andare avanti senza di lui. Accarezzò con la punta delle dita i muscoli ben definiti del braccio di Colby. Quel corpo muscoloso e perfettamente delineato dai lunghi anni di esercizio così diverso dal proprio lo faceva impazzire, la sua sola vista gli faceva girare la testa, mandando in tilt ogni suo centro nervoso.
La mano di Colby gli strinse il fianco mentre delicatamente lo spostava sul fianco, in modo da trovarsi faccia a faccia. Quella mano grande e ruvida, calda, scivolò dal fianco lungo la schiena, trattenendolo e premendolo contro di sé. Charlie sospirò avvertendo il contorno dei suoi muscoli contro di sé.
- Un soldino per i tuoi pensieri!- scherzò l’agente.
Anche il professore gli passò le braccia attorno alla schiena, accoccolandosi maggiormente contro di lui, spingendo il volto nell’incavo della sua spalle e beandosi del calore e dell’odore della sua pelle. Strappando un sorriso malizioso al compagno.
Sembrava un gatto che faceva le fusa in quel momento.
- Non stavo pensando a niente in particolare!- sospirò sfregando il viso contro il suo collo.
- Ed io che speravo stessi pensando a me!- borbottò fingendosi offeso.
Charlie rise divertito mentre con le mani ben aperte accarezzava tutta la pelle possibile della sua schiena. Colby sorrise ricambiando la sua stretta e sistemandosi meglio. Amava quei momenti di calma ed abbandono che seguivano la frenesia dell’amplesso, avevano un sapore così dolce. Gli piaceva stringere Charlie in quel modo, gli sembrava che non sarebbe mai più potuto sfuggire da lui, che niente si sarebbe potuto mettere fra di loro. Charles era solo suo. Avevano tutta la notte a disposizione per loro, per la prima volta avrebbero potuto davvero assaporare ogni attimo insieme, senza doversi accontentare di amplessi veloci che avevano il sapore del tempo che scorreva inesorabile. Per la prima volta non avrebbero dovuto accontentarsi di quei pochi attimi che riuscivano a strapparsi con le unghie e con i denti, come se dovessero nascondersi, come se stessero commettendo un crimine.
Lo amava, cosa c’era di male?
Lui davvero non riusciva a vedere cosa ci fosse di sbagliato nell’amare una persona come Charlie, gli sembrava la cosa più naturale del mondo, come se fosse nato per quello scopo. Il corpo di Charlie combaciava alla perfezione con il suo, sembrava modellarsi come cera calda fra le sue mani. Adorava il modo timido ed impacciato con cui lo cercava, come se ogni volta fosse la prima. Come amava la sensazione di essere accarezzato dalle sue iridi nere, in cui riversava tutti i sentimenti che nutriva per lui.
I minuti scorrevano oziosi, a rincorrere pensieri sfuggenti e fragili come sospiri, e Colby si stava lasciando catturare dalla delizia di quel corpo minuto e caldo contro il proprio. Le sue mani che stavano carezzando la schiena dell’altro, pian piano iniziarono a scivolare verso il basso, scendendo poi tra le sue gambe. Charlie, dopo un po’, stimolato, sollevò la testa per incrociare lo sguardo dell’amante.
- Hai ancora voglia, vero?- gli chiese ridacchiando, lo sguardo già scurito dal desiderio.
- Ho sempre voglia di te, Charlie!- precisò l’agente.
Un leggero sussurro basso e languido bisbigliato sulle labbra dell’altro, mentre si girava supino portando il suo professore con sé, sopra di sé. La risposta di Charlie fu un lungo bacio, lento e calmo, mentre le mani vagavano sul suo corpo perfetto, distruggendo definitivamente le ultime barriere di razionalità di Colby.

Don con gesto che tradiva tutta la sua irritazione riempì una tazza di caffè e la vuotò in un solo sorso, ignorandone il calore ed il sapore amore. Aveva passato una nottata insonne e questo aveva contribuito a peggiorare il suo umore già pessimo. Ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva la scena cui aveva assistito la sera precedente. Chiuse le palpebre e si massaggiò la radice del naso. Non riusciva a capire, per quanto si sforzasse non riusciva a dare un senso a ciò che stavano facendo.
Come aveva fatto a non rendersi conto di nulla?
Megan di sicuro gli avrebbe detto che era accaduto perché lui era eccessivamente concentrato sul lavoro, era più facile che avere una vita affettiva. Ma era pur sempre suo fratello! Lo aveva visto crescere, in qualche modo avrebbe dovuto capire che qualcosa non andava. Da quello che sapeva Charlie era sempre stato interessato alle donne. Nonostante avesse sempre cercato di nasconderlo, Charlie si era sempre mostrato innamorato di Amita, si erano danzati attorno per anni nella speranza di attrarre ognuno l’attenzione dell’altro. Allora cos’era cambiato tanto da farlo finire a letto con Colby?
Scosse la testa scacciando quei pensieri. Non erano importanti ora, quello che lo preoccupava maggiormente erano le conseguenze che si sarebbero abbattute su di lui se si fosse venuto a sapere che un suo sottoposto andava a letto con suo fratello nonché consulente della squadra. Non voleva nemmeno pensare al polverone che si sarebbe sollevato. Praticamente non avrebbero potuto accusarlo di nulla nello specifico, ma i sospetti di un suo conflitto d’interessi lo avrebbero sommerso. E lui non poteva permettersi che qualcosa macchiasse la sua reputazione, per svolgere al meglio il suo lavoro doveva rimanere al di sopra di ogni sospetto. Non poteva mettere a rischio tutto quello che aveva così faticosamente costruito in quegli anni per un po’ di sesso!
Dalla vetrata del suo ufficio vide Charlie, appena arrivato, avvicinarsi alla scrivania dove Megan, Colby e Danny stavano discutendo del caso. Lo studiò a lungo mentre cercava di spiegare loro la sua ultima teoria, notando l’espressione più arruffata del solito, come anche lo sguardo languido che suo fratello aveva scambiato con Colby. Sfruttavano ogni occasione per cercarsi, toccarsi senza destare sospetti negli altri. A Don sembrò una di quelle danze di accoppiamento che aveva visto qualche volta nei documentari che suo padre guardava in tv. E molte cose a cui non aveva mai dato peso, nella sua mente andarono al posto giusto prendendo finalmente un senso: la sintonia che si era creata improvvisamente tra suo fratello e Colby nonostante la pura avversione di quest’ultimo per la matematica ed ogni forma di ragionamento, il vederlo sempre con Charlie quando era in ufficio con loro, quel proporsi continuamente di Colby per andare all’Università a chiedere aiuto a Charlie…
Quella storia avrebbe potuto compromettere anche il lavoro di tutta la squadra. Se la relazione tra quei due fosse finita, avrebbero saputo continuare a lavorare fianco a fianco come sempre, facendo finta di niente, lasciando i sentimenti personali da parte? Lui aveva parecchia esperienza in materia e poteva rispondere con estrema sicurezza che quando ci si lascia si crea una crepa difficilmente rimarginabile.
La storia tra Charlie e Colby sarebbe dovuta finire li ed ora, prima che fosse stato troppo tardi!
Non aveva considerato che, forse, la loro non era una semplice storia di sesso…

Charlie osservava pensieroso la figura salda del fratello che stava firmando le scartoffie che non era riuscito a compilare prima. Per tutto il giorno lo aveva accuratamente evitato, rispondendo alle sue domande con cupi borbottii e solo quando era stato strettamente necessario. Si sentiva come quando era bambino.
Aveva passato la sua infanzia a cercare di conquistare quel fratello troppo lontano da sé, chiuso ed impenetrabile. Don allora lo trattava come se fosse un fantasma, una presenza sgradita che aveva invaso la sua casa e scombussolato la sua vita. Quando lo guardava riconosceva distintamente nelle iridi nere di suo fratello il desiderio di vederlo scomparire definitivamente.
Spesso si era sentito un piccolo mostro al suo confronto e Don non aveva mai fatto niente per dissuaderlo da simili convinzioni. Per questo aveva preso al volo l’opportunità di diventare consulente della squadra da lui comandata: per dimostrargli che avrebbe potuto essergli utile, che esisteva, per stargli semplicemente accanto. Non importava quali rischi dovesse affrontare, l’importante era che Don finalmente lo guardasse.
Ed ora si sentiva solo come allora. Ma almeno ora aveva l’opportunità di parlargli, di chiarirsi.
Prese un respiro profondo ed entrò nell’ufficio del fratello, non provava un’agitazione simile da quando aveva frequentato il liceo.
- Ciao…- lo salutò intimidito.
L’atmosfera all’interno della stanza era cupa e pesante, opprimeva tanto era greve, segno che qualcosa in suo fratello non andava. Don sollevò il suo sguardo su di lui e Charlie rabbrividì sotto il gelo che trasmetteva.
Charlie aveva provato la sensazione di essere sezionato fin dentro l’anima da due lame affilatissime.
Cos’era accaduto di così grave?
Piano, quasi temendo che il minimo rumore potesse scatenare le ire dell’altro, il professore si sedette sulla sedia davanti la scrivania. Fece per parlare, ma suo fratello lo anticipò.
- Devi lasciare Colby!- ordinò lapidario.
Quelle parole sferzarono il matematico con la forza di una scudisciata. Tutto si sarebbe aspettato di sentire, tranne quello. Improvvisamente si sentì come se una voragine senza fondo e nera come lo sguardo di Don si fosse aperta sotto i suoi piedi.
- Cosa… come…?!- balbettò pietosamente.
- Hai capito benissimo!- lo aggredì bruscamente prima di ritornare a prestare l’attenzione ai documenti.
- Don cosa stai dicendo?- riprovò angosciato Charlie.
Non poteva essere quello che aveva compreso lui. Suo fratello non poteva dire sul serio, non poteva chiedergli una cosa simile.
- Vi ho visti ieri a casa. Quindi smettila immediatamente!- gli ringhiò contro.
E come un fulmine Charlie ricordò il vago rumore della porta di casa che veniva chiusa. La consapevolezza che suo fratello li aveva visti in una situazione simile fu accompagnata dal terrore e dell’imbarazzo, che vorticavano dentro di lui miscelandosi.
- Don noi… io…- nemmeno Charlie sapeva cosa volesse dire in realtà.
- Tu – e calcò bene il pronome – lascerai Colby immediatamente, sono stato chiaro?- sentiva che la sua pazienza aveva raggiunto i limiti, un'altra parola e sarebbe potuto esplodere.
Lui aveva dato un ordine e Charlie doveva eseguirlo, non c’era altro da aggiungere. Nella sua ottica di caposquadra non c’erano alternative. Si sentiva tranquillo, ora.
- Perché dovrei rinunciare a lui?- chiese inaspettatamente Charlie in tono calmo.
Non era più il tempo di nascondersi e d’altronde non era mai stato un suo desiderio. Don sollevò la testa di scatto, incrociando il lampo di ribellione che aveva illuminato lo sguardo del fratello. Mai nessuno aveva osato replicare un suo ordine, sfidarlo così apertamente.
- E lo domandi?! Tu sei mio fratello e Colby è un mio sottoposto: cosa succederebbe se le alte sfere lo venissero a sapere?- urlò scattando in piedi e battendo le mani sulla scrivania.
Charlie rimase a fissarlo in ostinato silenzio: quelle motivazioni non avevano alcuna importanza per lui.
- Te lo dico io! La mia reputazione va a finire nel cesso!- ringhiò minacciosamente privo di controllo.
Fuori dall’ufficio gli altri agenti sentendolo urlare si erano fermati e stavano guardando la scena allibiti. Danny e Megan si scambiarono uno sguardo allusivo. Per fortuna che Colby non c’era altrimenti sarebbe scoppiato un pandemonio.
- Due uomini che vanno a letto insieme!- sputò quelle parole con una smorfia sulle labbra.
- Quindi è questo che ti da fastidio – constatò gelidamente Charlie – A te non interessa la carriera, a te interessa soltanto che siamo due uomini! Se fosse stata Megan o Liz non avresti fatto tanti problemi!- .
Punto nel vivo Don reagì ancora più violentemente.
- Non me ne frega niente con chi vai a letto, Charlie! Vedi soltanto di non coinvolgere la mia unità! Tronca con Colby, immediatamente!- sibilò gelido e definitivo.
Faceva paura in quel momento tanto era furioso, ma ciò che feriva maggiormente Charlie era il suo non volere capire ed accettare la sua scelta. Era come se si fosse rifugiato dietro un muro refrattario a qualsiasi cosa. Aveva spesso cercato di immaginare come sarebbe stata la reazione sua e di suo padre nell’apprendere della sua storia con Colby. Sapeva a priori che non sarebbe stata una rivelazione facile da digerire, ma aveva comunque creduto che alla fine sarebbero stati felici per lui. Invece la realtà si era rivelata ben diversa. Una cosa simile avrebbe potuto riaprire quella vecchia spaccatura che c’era tra loro e questa volta non ci sarebbe stato nessun ponte a farli riunire.
Sollevò la testa ed uno sguardo deciso illuminò le sue iridi nere.
- Mi dispiace che la pensi così, davvero! – disse calmo e determinato alzandosi – Ma io non sono un tuo sottoposto, ricordalo!- e si voltò per uscire dalla stanza, lasciando suo fratello a guardarlo allibito per quella reazione imprevedibile.

Il suono stridulo del campanello si diffuse nell’appartamento proprio mentre stava per immergersi nella vasca. Colby lanciò uno sguardo all’acqua calda prima di sospirare sconsolato. Un tuono rombò in lontananza mentre la pioggia ticchettava contro i vetri delle finestre. Era il suo primo pomeriggio libero dopo tanto tempo, quello, ed aveva tutta l’intenzione di passarlo in assoluto relax. Restando a torso nudo si diresse all’ingresso sperando di concludere in fretta. Aprì la porta e la sorpresa lo fece ammutolire. Paralizzato fece scorrere uno sguardo sempre più scuro sulla figura fragile di Charlie, disegnata impietosamente dai vestiti fradici di pioggia che gli si erano incollati addosso. Non era mai venuto spontaneamente a casa sua e Charlie non faceva mai niente per caso o semplicemente per il gusto di farlo. Risalì fino al suo volto, su cui ricadevano disordinatamente i capelli sciolti dalla pioggia, e segnato da lacrime invisibili. Quando vide la sua espressione persa ed straziata, i suoi dubbi furono confermati.
- Charlie?- lo chiamò piano sperando di ottenere la sua attenzione.
Il matematico sollevò lentamente la testa, incrociando il suo sguardo preoccupato con uno cupo ed opaco come se fosse stato completamente svuotato, che fece dolorosamente annodare qualcosa dentro di lui. Colby provò a richiamarlo prima di invitarlo ad entrare in casa. Con gesti meccanici Charlie varcò l’ingresso, fermandosi davanti a lui. L’agente fece appena in tempo a vedere i suoi occhi incresparsi di tante lacrime, prima che il compagno gli si buttasse tra le braccia, tremando e stringendolo forte, come se fosse il suo unico appiglio per non infrangersi. Non l’aveva visto mai così fragile come in quel momento. Una sottile rabbia iniziò a serpeggiargli nelle vene, diretta contro chiunque avesse ridotto il suo compagno in quello stato. Avrebbe voluto chiedergli cosa gli fosse accaduto per poi partire immediatamente all’attacco, ma in quel momento Charlie aveva bisogno solo di calmarsi e di riorganizzare le idee, aveva bisogno di sentire la propria presenza accanto a sé, le spiegazione sarebbero venute a tempo debito.
Passandogli le mani sulla schiena per scaldarlo lo condusse nella stanza da bagno ed iniziò a spogliarlo. Charlie lo lasciava fare senza protestare minimamente, come se fosse un’enorme bambola, continuando soltanto a ricercare anche un minimo contatto con lui, come se ne avesse bisogno per accertarsi della sua reale presenza li con lui. Colby si immerse, quindi, nell’acqua portando il proprio compagno con sé, facendolo sedere tra le sue gambe e con la schiena contro il suo torace: non c’era niente di meglio di un bagno caldo per rilassarsi e calmarsi.
Stettero a lungo in silenzio a godersi la presenza dell’altro ed il morbido abbraccio dell’acqua. Colby sentiva il corpo del suo compagno sempre più rilassato contro il proprio, qualsiasi cosa gli fosse accaduta adesso stava allentando la propria morsa su di lui, concedendogli di iniziare a godere di quel momento. Nonostante tutto era bello stare così, sentire Charlie contro di sé in modo così reale e tangibile, stare semplicemente insieme, accompagnati solo dal chioccolio dell’acqua che dal gocciolava rubinetto.
- Don sa di noi.- la voce incolore di Charlie ruppe il silenzio.
Per qualche istante Colby rimase in silenzio non sapendo se avesse compreso bene, ma quando il reale significato di quella frase si riversò nella sua mente con il fragore di una cascata comprese lo stato d’animo del compagno. Don era un uomo rigido e testardo, se vedeva le cose in un modo non c’era modo di fargli cambiare idea, il tipo di persona che doveva arrivare da solo alla realtà delle cose, ma che intanto schiacciava come un caterpillar tutto quello che si trovava sulla sua strada. Non lo faceva con voluta cattiveria, era semplicemente fatto così.
Strinse la presa delle proprie braccia sul compagno per fargli sentire la propria presenza accanto a lui e tranquillizzarlo.
- Cosa vi siete detti?- chiese per poi baciargli la tempia.
Charlie sospirò tra le sue braccia, abbandonando la testa sulla sua spalla, prima che iniziasse a raccontargli per sommi capi la discussione che avevano avuto quel pomeriggio. Perché Don si rifiutava di capire che la loro non era solo una faccenda di sesso? Perché non comprendeva che stavano facendo sul serio, che Colby era l’unico che lo faceva sentire bene, al sicuro, completo?
Charlie si voltò di scatto stringendogli le braccia e fissandolo con occhi quasi febbricitanti.
- Ti amo!- esclamò disperato.
Pronunciò quelle due parole con una tale intensità da dare l’idea che fossero il mistero alla base della vita, ciò che faceva ruotare il mondo, la panacea per ogni male. Sembrava che quelle sue parole sulle sue labbra fossero la soluzione di tutto. Che ne avesse appena compreso il reale significato.
Colby gli circondò il volto con le mani ma quel bacio aveva un sapore strano, diverso: sapeva di sale e dell’amaro di tutto il veleno che aveva intossicato quella creatura fragile ed eterea. Poggiò la fronte contro quella del compagno e gli sorrise dolce e rassicurante, cercando di allontanare quell’espressione tormentata sul suo volto. Lo avrebbe protetto da qualunque cosa, anche da suo fratello se necessario.
Uscirono dalla vasca quando l’acqua era ormai fredda, e Colby, dopo essersi cinto i fianchi con un asciugamano, avvolse Charlie in un accappatoio di morbida spugna bianca, strofinandoglielo addosso per asciugarlo mentre il compagno faceva lo stesso con lui. Quell’atmosfera così intima che si era creata tra loro gli stava piacendo, molto. Era come essere circondati dal loro stesso sentimento. Colby si trovò a pensare che non gli sarebbe dispiaciuto se divenisse parte della sua quotidianità.
Vedendo quanto Charlie fosse stanco, Colby lo portò a letto. Appena si stese accanto a lui, Charlie gli si accoccolò al fianco, poggiandogli la testa sulla spalla e cingendogli la vita con un braccio, forte, come se avesse paura che durante la notte potesse andare via da lui. Colby sorrise appena, prima di baciarlo sulla testa e stringerlo a sua volta con entrambe le braccia. Solo allora parve che Charlie si tranquillizzasse.

Don entrò nel parcheggio del condominio dove abitava, il passo svelto di quando era irritato e gli occhiali da sole a velare l’espressione gonfia di sonno. L’espressione delusa e ferita di Charlie lo aveva perseguitato tutta la notte, trasformando il suo sonno in un incubo continuo. Non riusciva a capire perché gli facesse così male rivederla ora che si trovava a mente fredda. Infondo gli aveva detto solo quello che pensava, che la loro relazione doveva terminare in quel momento se volevano evitare un mucchio di guai. Eppure continuava a risentire un sapore amaro in bocca.
Fece altri pochi passi e si bloccò sorpreso. Appoggiato contro il cofano della sua auto c’era Colby Granger. Le braccia incrociate al petto, le gambe distese davanti a sé ed un’espressione che non prometteva nulla di buono sul viso. Sicuramente era li per dirgli che non aveva alcuna intenzione di chiudere con suo fratello.
Superata l’iniziale sorpresa, Don recuperò il suo sangue freddo e riprese ad avanzare deciso a non mostrare la minima esitazione, anche se gli dava fastidio discutere di prima mattina.
- Se sei venuto fin qui per farmi cambiare idea hai sprecato il tuo tempo!- esordì spiccio e gelido fissando il collega da dietro le lenti nere degli occhiali.
- Neanche io cambio idea !- liquidò la questione l’agente con una diplomatica alzata di spalle.
Affermando chiaramente che non avrebbe mai rinunciato a Charlie. Si fissarono a lungo, ognuno mosso da sentimenti e motivazioni differenti, sfidandosi.
- Non riesco a capire come Charlie possa adorarti in questo modo! – commentò Colby come se stesse riflettendo ad alta voce più che parlando con il suo capo – L’adorazione che Charlie nutre nei tuoi confronti è tale che anche i sentimenti che prova per me passano in secondo piano. Eppure tu fai di tutto per ferirlo!- ed un brontolio sordo gli vibrò in fondo alla gola.
- Non so di cosa tu stia parlando!- sbottò Don spazientito.
La piega che stava prendendo quella conversazione era così inaspettata da destabilizzarlo e confonderlo. Si era aspettato di dover combattere per convincere Colby a fare come gli ordinava, di dover arrivare a minacciare di licenziarlo; ma non avrebbe mai creduto di ritrovarsi a parlare del rapporto che aveva con suo fratello.
- Davvero non te ne rendi conto fino a questo punto? – ed una risata sarcastica esplose tra le labbra di Colby – Non so perché ci tenga tanto, ma Charlie ha sempre cercato di farsi accettare da te. Tutto quello che ha fatto, anche l’essere diventato il nostro consulente, è stato per te. Sai, ha sempre desiderato avere con te il rapporto che hanno due fratelli, volersi bene, aiutarsi, litigare anche. Credeva di esserci finalmente riuscito, che tu finalmente lo apprezzassi, ed invece…- e lasciò la frase in sospeso scuotendo la testa.
- Perché non riesci a capirlo Don?- gli chiese ancora con una punta di rabbia Colby.
Don sapeva di aver ferito suo fratello, ma non aveva potuto agire diversamente. In quel momento ordinare a Charlie di chiudere la sua relazione con Colby, gli era sembrata la cosa giusta da fare. Ma ora che buona parte della rabbia che gli annebbiava il cervello era evaporata, cominciava a vedere le cose sotto la giusta luce. Aveva sempre creduto di essere una persona dalla mentalità aperta, pronto ad accettare qualunque cosa, eppure scoprire che suo fratello aveva una storia con un altro uomo lo aveva scosso al punto da compromettere ogni sua capacità logica. Si era nascosto dietro motivazioni inesistenti, vedendo solo quello che desiderava vedere, ignorando volutamente che in realtà il vero problema era proprio l’avere scoperto un lato di suo fratello che non aveva mai conosciuto. Aveva avuto paura. Lui che non aveva paura di affrontare ogni criminale di Los Angeles, aveva temuto quella scoperta e tutte le sue implicazioni. Ordinare di troncare la loro storia era stato più facile che affrontarla ed accettarla. E così aveva ferito ancora una volta suo fratello, quel giovane uomo cresciuto nella consapevolezza del suo rifiuto, che ora affrontava i rischi del suo lavoro solo perché credeva fosse l’unico modo per stargli accanto.
Credendo di agire correttamente aveva sbagliando, rischiando di distruggere quel delicato equilibrio che avevano raggiunto. Nella collera che lo aveva invaso, Don aveva pensato a tutto tranne alla cosa più importante, a Charlie ed a quello che provava davvero, a se fosse giusto quello che gli stava ordinando di fare. Era riuscito a concentrarsi solo su se stesso.
- Lui ti vuole bene, perché non gli concedi una possibilità?- la voce di Colby lo strappò dai suoi pensieri.
Sollevò lo sguardo sul suo collega: fare una cosa simile significava chiedere scusa a suo fratello… era pronto a mettere da parte il suo orgoglio per una volta?
- Io lo amo davvero, Don, non sto giocando con lui. Non stiamo insieme per provare qualcosa di diverso o per divertirci. Amo Charlie con un’intensità che non avevo mai sperimentato prima, da quando lo conosco non riesco a pensare a nessun altro che a lui. La sola idea di lasciarlo è inconcepibile perché non voglio nessun altro che lui. E so che anche per Charlie è lo stesso.- .
Colby aveva parlato con un tono serio, pacato e determinato che raramente lo aveva sentito usare, ed aveva sostenuto per tutto il tempo il suo sguardo per mostrargli che non stava mentendo. Don provò un profondo rispetto per il suo collega, lui che non era mai riuscito ad esprimere con una tale forza e chiarezza i suoi sentimenti, lui che non era mai riuscito a provare un sentimento simile.
Una strana sensazione di calma scese su Don chiarendo i suoi pensieri confusi e mostrandogli cosa dovesse fare. Un piccolo sorriso gli stirò appena le labbra mentre il suo volto abbandonava quell’espressione corrucciata che aveva avuto fino a quel momento.
- Ci vediamo in ufficio!- disse passando accanto all’amico e battendogli una pacca sulla spalla.
Colby sospirò sollevato mentre osservava Don salire in macchina e partire. Aveva compreso la reale natura della loro storia, adesso sperava che chiarisse con Charlie. Non gli piaceva l’espressione tormentata che avevano i suoi occhi, perché sapeva che era dovuta al dolore per il rifiuto del fratello che stava cercando di soffocare dentro di sé. Come sapeva anche che soltanto Don avrebbe potuto fare qualcosa per lui. Serrò i denti augurandosi che andasse tutto bene, mentre si allontanava per raggiungere la propria auto.

Don appoggiato allo stipite della porta studiava ogni gesto di suo fratello. Charlie gli dava le spalle, troppo intento a seguire una delle sue teorie per avvertire la sua presenza. Si muoveva a scatti, nervoso, facendo spesso stridere il gesso sulla lavagna, come se neanche l’affidarsi ai suoi numeri potesse tranquillizzarlo. Gli sembrava quasi di vederlo per la prima volta, non più il ragazzino incomprensibile, a volte spaventoso, con cui era cresciuto. Ora riusciva a scorgere l’uomo fragile che si nascondeva dietro quel cervello sconfinato, che lo aveva inseguito per tutta la vita potendo solo osservare la sua schiena che si allontanava lasciandolo indietro, da solo. Un sospiro tremolò fra le sue labbra. Era arrivato fin li deciso a chiarire le cose tra di loro, ma ora non sapeva cosa fare. Lui era un uomo pratico che agiva senza mai pensare prima, scusarsi non faceva parte del carattere. Però era consapevole che non poteva lasciare le cose tra loro così sospese, poi sarebbe stato troppo tardi per ricucire il baratro che si era creato tra loro.
In quel momento Charlie si volse per leggere alcuni dati scritti sui fogli sparsi sulla scrivania e lo vice. Lo sguardo straziato che lesse nei suoi occhi fu come un pugno in pieno stomaco per Don, come gli fece male vederlo arretrare inconsciamente.
Don avanzò nell’ufficio di alcuni passi, cercando di guadagnare tempo.
- Charlie io… - si fermò un attimo per cercare le parole giuste – ho capito ora… io… sono contento per te!- borbottò sulla difensiva distogliendo, imbarazzato, lo sguardo da quello allibito del fratello.
La sorpresa di Charlie fu tale che gli scivolò il pezzo di gesso dal pugno. Quello era la cosa più vicina a delle scuse che avesse mai sentito pronunciare dal fratello. Don guardava un qualsiasi punto della stanza che non fosse lui: si trovava maggiormente a suo agio con una pistola in mano mentre cercava un assassino che a dover esprimere a voce i suoi sentimenti.
Alla fine Charlie non riuscì più a resistere e, davanti la buffa espressione che aveva in quel momento suo fratello, scoppiò a ridere: una risata isterica con cui buttare fuori tutto quello che lo aveva tormentato fino a quel momento, liberarsi finalmente e tornare a respirare.
Don osservò stupito la reazione del fratello, ma quando comprese si lasciò contagiare e rise anche lui. Non si era scusato e non avevano discusso di quello che era accaduto il giorno precedente, ma sapeva che ogni cosa era andata al posto giusto, che erano di nuovo loro. Loro non erano fatti per lunghi discorsi, qualche volta riuscivano a capirsi anche con un solo sguardo.
- Grazie!- sussurrò Charlie quando si fu calmato, osservando il fratello, le sue iridi nere scintillarono per un attimo sotto i ricci che gli velavano scompostamente il viso.
In risposta Don gli scompigliò scherzosamente i capelli. Si sentivano un pò più vicini ora...
- A papà però lo dici tu!- esclamò con un piccolo ghigno allontanandosi.
A Charlie sembrò che gli fosse crollata una montagna addosso. Con tutto quello che era accaduto non aveva minimamente pensato che doveva parlare di lui e Colby anche con sui padre. La sola idea lo terrorizzava: non solo Alan sperava che ritornasse insieme ad Amita, ma lui non si era mai trovato in una situazione simile, neanche con una donna, e non aveva la minima idea su come comportarsi, cosa dire o fare. Avrebbe dovuto presentarsi al padre mano nella mano con Colby e raccontargli tutto, sperando che non gli venisse un infarto?
- Mi darai una mano, vero?!- chiese supplicando Don con lo sguardo.
- E perdermi tutto il divertimento? Neanche per sogno! – rise vedendo l’espressione del fratello – Me ne starò seduto sulla mia poltrona a godermi la scena!- .
Charlie guardò il fratello sconfitto: forse una delle sue teorie matematiche avrebbe potuto aiutarlo ad uscire fuori da quella situazione.