GIUDIZIO
CORRETTEZZA: 10. Perfettamente corretta sotto ogni punto di vista.
TRAMA: 10. La trama si svolge su diversi fatti, di conseguenza c’è e
non solo, è anche ben sviluppata. Non si lasciano all’immaginazione
certi passaggi, illustri tutta la vicenda nel complesso in modo da far
vedere ciò che succede a tutti. Ottimo intreccio, niente di trascurato,
nessuna parte caotica, tutto perfettamente comprensibile.
STILE: 9. Ti tolgo solo un punto per un motivo preciso, personalmente
ritengo che tendi ad inserire troppe volte i soggetti, immagino che sia
per paura che non sia chiaro di chi parla la frase o il paragrafo
intero, ma in realtà basta specificarlo solo nel caso in cui da una
frase all’altra si cambi personaggio, se scrivi qualcosa che riguarda
sempre allo stesso non serve specificare ogni volta. Ho visto con
piacere che per non ripetere per l’appunto troppo spesso i nomi dei
soggetti, usi molti soprannomi che mi hanno fatto un po’ girare la
testa, specie perché in Giappone ci sono tanti di quei vezzeggiativi
che facilitano la confusione. Ad ogni modo questi sono dettagli, vanno
bene i soprannomi solo che ne hai usati così tanti per una stessa
persona, che a volte mi ci perdevo, sarò sincera. Di conseguenza per
evitare questo caos di nomi e soprannomi rischiando di essere troppo
ripetitiva, ti consiglio di, semplicemente, non specificare sempre il
soggetto qualora non sia strettamente necessario. A volte non lo era, a
volte naturalmente sì. Per il resto il tuo stile è molto piacevole e
scorrevole, si legge molto volentieri e sei anche molto chiara nelle
descrizioni delle scene, oltretutto esprimi altrettanto bene i
sentimenti dei personaggi.
CARATTERIZZAZIONE: 10. È una buonissima e approfondita
caratterizzazione dei due personaggi principali, più comunque un buon
accenno a quello della sorella maggiore. Loro due li hai resi molto
bene, soprattutto Tsubasa, il suo lato burbero, scontroso, duro che si
autopunisce poiché la situazione in cui lo metti chiarifica
perfettamente il tipo di persona che è, ma è molto ben descritto e reso
anche Kai, così impulsivo e sentimentale nel cercare di aiutare a tutti
i costi il fratello che è davvero delizioso.
IN TEMA: 10. La citazione l’hai usata ed anche in più modi, oltre che
come canzone vera e propria che viene ascoltata e come testo su cui il
protagonista riflette e che poi usa per dire una cosa importante al
fratello, pure nelle parole che in precedenza gli dice, anche se per
l’appunto non precisamente come sono ma nel loro significato. Si
capisce bene che ti hanno ispirata sia per quel dialogo che poi per la
parte finale. Quindi ottimo uso della citazione.
ORIGINALITA’: 9. Trovo originale il modo in cui hai usato la canzone,
sia nel suo significato all’interno di un dialogo importante, che come
canzone ascoltata, che come riflessione sul testo, che come messaggio
che uno porta all’altro, quindi questi sono punti che vanno molto a tuo
favore. Purtroppo per contro la trama in sé non è particolarmente
originale, nel senso che non ci sono colpi di scena veri e propri, si
può intuire facilmente l’esito delle scene, il fratello maggiore che
nasconde qualcosa, il minore che lo segue per scoprirlo, la sua
intromissione, la litigata e poi la riappacificazione con qualcosa di
toccante che dice il piccolo e che fa riflettere il grande, ma
nonostante questo è una fic molto piacevole da leggere, solo che dal
punto di vista dell’originalità, mancano degli effettivi colpi di scena
che ti facciano rimanere come un pero a fissare le righe. Non ci devono
necessariamente essere sempre, però diciamo che non guastano, comunque
sono cose a discrezione dell’autore.
COINVOLGIMENTO PERSONALE: 9. Molto piacevole la lettura, l’ho divorato
in fretta ma con tutta sincerità non mi ha tolto il fiato. Di suo è una
fic piuttosto tranquilla se non per la parte in cui viene scoperta la
lotta clandestina di Tsubasa, ma forse gioca molto il fatto che sia
stata facilmente intuibile a livello di eventi. Però è davvero bella
l’emozione che trasmette Kai quando si rende conto che la canzone
rispecchia perfettamente il suo stato d’animo e le parole che ha detto
a Tsubasa, quindi comunque non è un voto negativo il mio.
PUNTI BONUS: 0. Non hai usato tutta la canzone, è un peccato perché era
perfetto visto come sei riuscita ad inserirla, era facile metterla
tutta quando l‘ascoltava e leggeva il testo tradotto, però non era
obbligatorio e va bene lo stesso.
TOTALE: 68
USO DEL TEMA:
Volevo premiarti in modo particolare anche perché il modo in cui hai
usato il tema tu, cioè la citazione, è quello che nel complesso mi è
piaciuto di più. Non solo sotto forma di canzone che ascoltano, anche
sul testo su cui riflettono ed oltre tutto parafrasate nelle parole del
fratello all’altro. Molto bello, mi hai colpita e fatta alquanto
felice, non mi aspettavo l’usassi in ben tre modi, sai… complimenti
anche per questo, oltre che per il terzo posto.
GARZE SPORCHE DI
SANGUE
Pensi di avere la stoffa
Stai dicendo a me e a tutti gli
altri
Che sei forte abbastanza
Non devi cercare la lite
Non devi sempre aver ragione
Lascia che stasera io prenda
alcuni pugni
Al tuo posto
Adesso ascoltami
Ho bisogno che tu sappia
Che non devi percorrerlo da solo
E sei tu quando guardo nello
specchio
E sei tu quando non rispondo al
telefono
A volte non puoi farcela da solo
/Sometimes you can’t make it on
your own – U2/
“Kai-chan! Kai-chan!”
La
voce di Urara, che sapeva all'occorrenza essere potente come quella dei
suoi fratelli, risuonò per tutta la casa, arrivando fino al piano
superiore, dove il diciassettenne sonnecchiava, disteso nel proprio
letto.
Con
un sobbalzo, il più giovane dei fratelli Ozu si rizzò seduto,
frastornato per la sveglia improvvisa: “Mou, Ura-nee, che modi!”
sbottò, tra uno sbadiglio e l'altro, “Perché strilli?” chiese
assonnato, affossando nuovamente il viso nel cuscino.
“Mi
serve che tu vada a prendere i vestiti di Tsubasa in camera sua.”
replicò la ragazza, comparsa all'improvviso sulla soglia della porta:
“I tuoi li ho già presi, mi servono per il bucato settimanale.” spiegò.
“Non
può darteli lui...?” bofonchiò il liceale, socchiudendo gli occhi, era
davvero stanco: aveva avuto allenamento prima delle lezioni e un altro
ancora subito dopo pranzo: certo, lui adorava il calcio ma il mister
cominciava decisamente ad esagerare!
“Potrebbe
se solo fosse in casa e visto che io devo ancora preparare la cena e
pulire la Magic Room, mi faresti questo piccolo favore, fratellino?”
Kai
sbuffò: non gli piaceva entrare nella camera del fratello maggiore
senza permesso, finivano ogni volta per litigare, ma visto che era
fuori...
“D'accordo,
ma dov'è andato? E gli altri dove sono?” chiese, stiracchiandosi.
La
ragazza sorrise, prima di raccogliere da terra la divisa tutta
stropicciata e averla messa sulla sedia: “Ha detto di avere un incontro
importante tra pochi giorni e che doveva allenarsi. Makito-niichan è a
fare le sue consegne e Houka-nee credo avesse uno dei suoi
appuntamenti.” enumerò lei, col cesto del bucato sotto braccio, “E
Hikaru-sensei è tornato a Magitopia per qualche giorno, ha detto di
avere da fare.” concluse.
Il
più giovane degli Ozu s'alzò da letto, stiracchiandosi: “Cosa prepari
di buono per stasera?” chiese, seguendola fuori dalla camera per
dirigersi verso quella di MagiYellow.
“Segreto!”
annunciò lei, sparendo al piano di sotto.
Il
moro rimase lì, fermo, in mezzo al corridoio per qualche minuto,
tendendo l'orecchio, poi la sentì canticchiare mentre cucinava:
pregustando già una deliziosa cenetta, il ragazzino si affrettò ad
aprire la porta della stanza del fratello, certo che era proprio
disordinato!
“E
poi Ura-nee si lamenta di me...” borbottò lui, cominciando a
raccogliere quanti più vestiti trovava e poteva, sparsi sul pavimento.
Tra
magliette sporche, pantaloni consunti, vecchie tute da rammendare e
perfino calzoncini, sembrava quasi che Tsubasa avesse svuotato il
proprio armadio.
Si
inginocchiò a terra, cercando eventualmente altri abiti finiti sotto il
letto, dato il disordine era più che convinto di trovare un vero e
proprio scempio.
Beh,
effettivamente ciò che trovò lo era, ma non nel senso che intendeva.
Ammassati
in un angolo buio, infatti, stavano quelli che, all'apparenza,
sembravano stracci ma, quando li tirò fuori, si ritrovò davanti bende e
garze, mischiate con magliette, il tutto macchiato di rosso in parecchi
punti.
Kai
tremò: che fosse...
In
quel momento, sentì chiaramente la porta di casa aprirsi, seguito
dall'inconfondibile brontolio del quartogenito.
Veloce
come un razzo, rificcò tutto al sicuro sotto il letto, poi raccolse i
vestiti che Urara gli aveva chiesto e uscì a razzo dalla stanza.
Sulle
scale, incrociò Tsubasa.
“Ehi,
cosa stai facendo con le mie cose?” gli chiese con tono brusco,
lasciando che la borsa sbattesse contro la coscia senza curarsene
minimamente.
Kai
lo scrutò in viso e cominciò a notare tante piccole cose, soprattutto
tagli e cicatrici appena rimarginate sulla pelle delle guance e su
quella parte delle braccia lasciata scoperta dalla felpa che indossava
sopra la t-shirt.
MagiRed
si morse un labbro, incerto su cosa rispondere, se chiedergli
spiegazioni su ciò che aveva visto o meno, ma fortunatamente intervenne
la sorella in suo aiuto: il diciassettenne sentì appena le parole che
la ventenne rivolgeva al pugile, le consegnò meccanicamente l'involto
di panni sporchi e si rifugiò nella sua stanza senza dire una parola,
troppo sconvolto anche solo per pensare.
Cosa
rappresentavano quei bendaggi macchiati di, Kai rabbrividì, sangue?
Che
Tsubasa avesse delle ferite di cui nessuno di loro era a conoscenza?
“Non
è possibile, Chii-Nii ce lo direbbe, se fosse rimasto ferito durante
l'ultimo combattimento...” ragionò tra sé e sé, rannicchiato sul letto:
“Però è anche vero che nell'ultimo allenamento i suoi movimenti erano
più lenti del solito...”.
In
tutta quella storia c'era qualcosa che non gli tornava.
Era
preoccupato per il fratello, ma non voleva che gli altri si
spaventassero, non prima del necessario: doveva indagare, capire cosa
stesse nascondendo.
Ma
da solo.
Un
bussare forte e brusco lo fece sussultare, spezzando le fila dei suoi
pensieri: “A-Arrivo!” gridò, forse con troppa veemenza.
Saltò
in piedi e, incespicando nei propri piedi e negli oggetti abbandonati
sul pavimento, arrivo finalmente alla porta: spalancandola, sentì il
cuore balzargli in gola, vedendo MagiYellow dinanzi a sé.
“Chi-Nii...”
balbettò il ragazzino: “Ura-nee ha detto che è pronta la cena, sbrigati
a scendere.” lo fermò il maggiore, afferrandogli il polso, “E non fare
quella faccia da pesce lesso.”.
“Io
non...” provò a dire, ma subito le parole gli morirono in gola: non
poteva mettersi a battibeccare, doveva restare calmo e indagare il più
possibile i suoi comportamenti per comprendere cosa fosse accaduto a
Tsubasa.
Mordendosi
quindi le labbra, lo seguì giù per le scale, non perdendosi un suo
singolo gesto.
Arrivarono
finalmente al piano di sotto, dove la sala da pranzo era stata
apparecchiata: Urara, Houka e Makito erano già ai loro posti.
“Cos'hai,
Kai? Non ti senti bene?” chiese MagiGreen, preoccupato: “Hai una brutta
cera.” continuò Houka, allungando una mano a saggiargli la temperatura.
“S-Sono
solo un po' stanco... Il mister organizza allenamenti troppo duri, sia
al mattino sia al pomeriggio. Ma abbiamo un torneo interscolastico a
breve, dobbiamo essere preparati.” spiegò MagiRed, cercando di
mostrarsi il più disinvolto possibile.
“Una
squadra debole lo resta comunque, allenamenti o meno.”.
Le
parole di Tsubasa erano state dure e improvvise, tanto che perfino
Makito alzò la testa: per quanto avesse un carattere non zuccheroso e
malleabile, normalmente il quartogenito non era così acido.
“Che
ti prende, stasera?” lo rimproverò con voce severa: “Sembri parecchio
arrabbiato. Ti è successo qualcosa?”.
Il
pugile scosse la testa, cominciando a intaccare la ciotola di riso
bianco: “Niente, constato solo la realtà.”.
In
silenzio, Kai osservava quello scambio di battute con preoccupazione
crescente: decisamente suo fratello nascondeva qualcosa.
E
lui l'avrebbe scoperto, a ogni costo.
§§§
Dopo
aver a malapena mangiato metà della cena, MagiRed si era rintanato di
nuovo in camera sua, senza quasi salutare i fratelli e tanto meno
rivolgendo la minima parola a Tsubasa, che aveva continuato
imperterrito a mangiare nonostante le occhiate preoccupate delle
ragazze e di Makito-niichan rivolte al più piccolo.
Il
diciassettenne, più tardi, sentì distrattamente gli altri mentre
rientravano nelle loro stanze dopo aver rimesso a posto la sala da
pranzo e la casa, aveva anche percepito il passo strascicato di Urara
fermarsi dinanzi alla sua porta e indugiare, forse avrebbe voluto
bussare ed entrare, sincerarsi delle sue condizioni come la brava
sorella maggiore che era sempre stata, ma forse era un poco restia a
disturbarlo...
Kai
le chiese mentalmente scusa, sobbalzando quando poi ebbe udito la voce
di MagiYellow apostrofare la ragazza con parole poco gentili nei propri
confronti prima che l'irascibile pugile rientrasse nella propria
camera, chiudendo la porta con un po' troppa foga.
“Kai-chan,
non prendertela per Tsubasa-chan, sai che non lo pensa veramente.”
cercò di rassicurarlo MagiBlue: “Buonanotte, fratellino. Domattina ti
preparerò qualcosa di buono prima dell'allenamento.” la sua voce era
gentile, Kai poteva quasi vederla sorridere al di là della porta, era
così simile alla loro mamma quando lo faceva...
Urara
si allontanò e tutto sembrò incredibilmente tornare silenzio e
tranquillità.
Ma
il ragazzino aveva un sospetto che non gli permetteva di rilassarsi del
tutto: aveva il sentore che stesse per accadere qualcosa e ciò non gli
permetteva di dormire, malgrado fosse particolarmente stanco, se non
esausto.
E
infatti.
Non
era passata neppure un’ora che sentì chiaramente una porta cigolare da
qualche parte nel corridoio e un passo, che cercava il più possibile di
essere felpato, in transito di fronte alla sua stanza per poi scendere
le scale.
In
un attimo, il ragazzino era uscito fuori, udendo distintamente la porta
di casa chiudersi: un brivido gli percorse la spina dorsale mentre si
precipitava il più velocemente possibile al piano di sotto.
Nell’ingresso,
ebbe conferma dei suoi sospetti: Tsubasa era uscito, le sue scarpe
mancavano.
Kai
non aveva alcun dubbio: doveva seguirlo e capire dove stesse andando a
quell’ora, senza che nessuno dei loro fratelli lo sapesse, ed era
convinto che quel suo comportamento fosse legato alle bende sporche di
sangue che aveva trovato.
In
strada non c’era nessuno e la Luna splendeva alta e piena nel cielo:
non era quindi difficile per MagiRed seguire la sagoma china che
camminava a passo svelto dinanzi a sé; protetto dalle ombre dei palazzi
contro cui camminava rasente, il diciassettenne s’inoltrò nei quartieri
che Miyuki aveva sempre impedito loro di frequentare, zone di
periferia, dove non è saggio avventurarsi di giorno, figuriamoci di
notte.
A
Kai quel posto non piaceva per nulla.
Locali
equivoci, fumerie di oppio cinesi e sale da gioco d’azzardo, con la
loro affezionata clientela che vagava da un lato all’altro della
squallida strada in cui si era ritrovato a camminare, gli fecero
seriamente pensare che i mostri non fossero solo quelli che si
trovavano a Infershia: forse, anche quel quartiere ne pullulava, pur se
di altro tipo.
Senza
perder di vista Tsubasa e cercando al contempo di mimetizzarsi tra la
gente, MagiRed si strinse nel bavero della giacca di jeans, tenendo il
più possibile lo sguardo basso nel tentativo di non attirare troppo
l’attenzione.
Ora
che Kai lo notava, il fratello aveva sulle spalle la sua borsa da
allenamento.
Ma
perché venire ad allenarsi in quel posto?
“Chii-Nii,
cosa stai nascondendo?” mormorò tra sé e sé lui, era preoccupato mentre
un’idea cominciava ad abbozzarsi nella sua mente, ma era una
prospettiva troppo spaventosa perché fosse anche solo lontanamente
contemplabile.
Finalmente,
sembrò che il loro viaggio fosse giunto al termine dinanzi a quella che
Kai identificò, non senza una punta di paura, come una sala da giochi
d’azzardo.
Il
più possibile nascosto dietro l’angolo del palazzo, coi piedi immersi
nel fango che sembrava aver invaso il vicoletto puzzolente, Kai vide
Tsubasa parlare con il buttafuori, un marcantonio grosso il doppio di
lui e largo il triplo dai lineamenti schiacciati, prima di farlo
entrare.
Sempre
più impaurito, MagiRed non lasciò il suo nascondiglio ma indugiò con lo
sguardo sulla facciata del palazzo e sull’accesso, sorvegliato da
quell’armadio a due ante che non sembrava troppo propenso a farlo
passare.
“E
ora?” si chiese tra sé e sé, scrutando ogni centimetro del muro
fiocamente illuminato dai raggi lunari, ma non c’era nulla per
arrampicarsi, eventualmente, e anche se ci fosse stato qualcosa, certo
non avrebbe potuto mettersi a fare la scimmia lì davanti.
Doveva
trovare un’altra soluzione.
Senza
farsi vedere, scivolò lungo il vicoletto per raggiungere il retro del
palazzo, ritrovandosi in una stradina buia e deserta, chiusa da una
staccionata.
Da
lì, vide chiaramente una delle finestre del secondo piano aperta, da
cui gli sembrava provenisse come una debole luce.
Il
diciassettenne si guardò attorno con aria circospetta, poi tirò fuori
di tasca il MagiPhone: “Gomen, Kaa-san, Tou-san, Nii-chan, Nee-chan…
Non dovrei usarlo per motivi personali, ma se voglio scoprire quello
che Chii-nii nasconde, sono costretto.” mormorò, mentre si trasformava.
Con
i raggi lunari che gli illuminavano il casco rosso fuoco, Kai sembrava
un’altra persona, una sorta di vendicatore mascherato come quelli che
affollano i fumetti; con un salto, raggiunse una delle finestre del
primo piano, fortunatamente la stanza su cui s’affacciava era vuota, e
infine s’arrampicò fino al secondo, ritrovandosi a osservare il cielo
dal davanzale.
S’infilò
all’interno della camera e si tuffò dietro un paravento in legno
nell’esatto momento in cui la porta si spalancò: tornare normale e
nascondere il MagiPhone fu un attimo ma non poteva certo uscire da lì
sotto gli occhi di chiunque fosse entrato!
MagiRed
sbirciò da dietro il suo nascondiglio ma il suo cuore ebbe un tuffo nel
vedere che si trattava del fratello maggiore.
Voltato
di spalle, Tsubasa era a torso nudo, con le ferite vistose e le
cicatrici a percorrergli il corpo sotto l'occhio spaventato di Kai: il
ragazzino stava faticando non poco per trattenersi dal gettarglisi
addosso e obbligarlo a sputare fuori tutto, anche con le cattive se
necessario.
Ma
non ne avrebbe cavato un ragno dal buco, forse avrebbe solo peggiorato
la situazione.
Così
attese, senza perdersi un movimento del diciannovenne, lo vide
indossare un paio di pantaloncini corti da allenamento, una canotta
sottile e prendere i suoi guantoni prima di uscire: spense la luce,
lasciando la stanza immersa nell'oscurità.
Col
cuore in gola, il moro restò parecchi minuti in silenzio, cercando di
calmare i tremiti convulsi del proprio corpo e facendo attenzione a
udire anche il minimo rumore che poteva segnalargli il ritorno di
Tsubasa.
Passarono
cinque, poi dieci minuti e fu chiaro che Magiyellow non sarebbe
tornato, almeno non tanto presto.
Gattonando
fuori dal proprio nascondiglio, Kai si avvicinò alla porta e sgusciò
fuori nel corridoio, debolmente illuminato da alcuni neon sul soffitto:
stretto e soffocante, coi muri scrostati e il pavimento ingombro di
calcinacci e rifiuti, sembrava il preludio a un ambiente ancora
peggiore.
E
probabilmente era anche così.
Scese
infatti le scale, Kai pensò seriamente di essere precipitato a
Infershia.
Non
poteva essere altro che l’inferno, quel luogo, costipato di gente
urlante, dall’aria viziata per il fumo e l’alcool che sembrava aver
sostituito l’ossigeno nell’aria: non era mai stato un codardo, ma in
quell’istante si sentì travolto da un’onda di paura intensa, tale da
mozzargli il respiro.
Cercò
di non pensarci, facendosi il più possibile invisibile agli occhi degli
avventori di quel locale, la maggior parte dei quali erano riuniti
attorno ai tavoli intenti a scommettere e a giocare forti somme, udiva
chiaramente il tintinnio dei soldi e le bestemmie che volavano da una
parte all’altra della grande sala strapiena sottolineavano, come se ce
ne fosse ulteriormente bisogno, la cattiva nomea di quel luogo.
Veniva
sballottato da una parte e dall’altra da persone poco attente alla sua
presenza, cadde più volte a terra sul pavimento lurido nel tentativo di
farsi strada e cercava di seguire la fiumana che, a poco a poco, si
spostava verso un altro punto: pur se, data la sua altezza, non
riusciva a vedere bene dove stesse andando, intuiva istintivamente che
suo fratello doveva trovarsi da quella parte.
Cosa
lo portasse a quella conclusione, non lo sapeva, sentiva solamente che
quelle bende che aveva ritrovato, l’abbigliamento di Tsubasa e
l’agitazione di tutta quella moltitudine erano sicuramente collegate e
quando, di nuovo, l’idea che aveva avuto mentre lo seguiva tornava a
bussare alla sua mente, a Kai non sembrava sembra più così assurda.
Anzi,
forse era proprio così.
E
infatti.
In
balia della gente, con la divisa scolastica tutta stropicciata e
impregnata di calcinacci, sabbia e quant’altro, Magired si ritrovò
spintonato in avanti, accecato dalla luce intensa di un neon che
illuminava a giorno un ring; sotto il suo sguardo terrorizzato, Tsubasa
era in piedi in un angolo, scrutando con aria torva il suo avversario:
il buttafuori visto pochi minuti prima.
Attorno
a loro, il clamore cresceva, così come le scommesse, che volavano forte
tra gli spettatori: molti puntavano forti cifre sul tipaccio cinese,
altri ancora davano fiducia a suo fratello, che non sembrava essersi
accorto di nulla, neppure della sua presenza, e certo Kai avrebbe fatto
di tutto per non farsi vedere, altrimenti di sicuro Tsubasa lo avrebbe
fatto a pezzi, una volta usciti di lì.
All’improvviso,
venne dato il segnale d’inizio e il moro osservò l’incontro col cuore
in gola, a ogni colpo che Magiyellow prendeva in viso, sussultava come
se lo avesse preso lui, sentiva quasi male a sua volta: voleva urlare,
gettarsi sul ring e proteggere il fratello dai pugni che l’altro gli
riservava, non reggeva oltre quello strazio!
Ma
ogni volta che si convinceva della necessità del proprio intervento,
c’era sempre qualcosa, nello sguardo di Tsubasa, che lo faceva
desistere, un qualcosa, in ogni movimento che compiva per rialzarsi,
che lo spingeva ad avere fiducia in lui.
Era
combattuto, Kai.
Intervenire
o non intervenire?
Ma
quando la quantità di improperi e insulti cominciò ad aumentare,
assieme al fragore delle grida, e il ragazzo si accorse che il fratello
era disteso a terra, stretto in una morsa che della boxe aveva poco e
niente…
Beh,
letteralmente esplose.
Un
attimo dopo, il minuto Kai si era gettato con un grido pieno di rabbia
sull’avversario, colpendolo con rabbia sul viso e dandogli anche un
morso sulla mano che premeva sulla testa di Tsubasa, obbligandola a
lasciare la presa.
Frastornato,
il cinese non riuscì a reagire e andò a sbattere con la testa contro la
colonnina del bordo ring, perdendo i sensi.
Se
possibile, a quel punto, il fracasso divenne quasi insopportabile,
assumendo le dimensioni di un uragano che travolgeva tutto.
Mentre
Magiyellow, con gli occhi sbarrati e la bocca sporca di sangue,
osservava sconvolto la schiena del fratello minore, che stava in piedi
davanti a sé, con i pugni ancora alzati e la divisa tutta lacera,
tremando e, forse s’era sbagliato ma gli pareva che stesse piangendo.
Un
secondo dopo, il pugno del diciassettenne s’abbattè su di lui,
colpendolo al viso e facendolo rotolare giù dal ring, nella polvere.
Tutti
si spostarono all’istante e Tsubasa non ebbe neppure il tempo di
rialzarsi che già Kai gli era di nuovo addosso, colpendolo senza pietà,
tra le lacrime e i singhiozzi che lo facevano sussultare.
Erano
tante le domande che affollavano la mente spenta del ventiquattrenne,
ma in quel momento non riusciva a compiere nessun movimento, neppure
quello più elementare, figuriamoci aprire bocca e chiedere.
Poi,
così com’era arrivata, la furia di Kai smise e i due si ritrovarono
seduti a terra, circondati da un crocchio di persone che, pur tenendosi
a distanza di sicurezza, li osservava con curiosità e interesse.
Col
viso gonfio, per la lotta di prima e per l’aggressione del minore,
Magiyellow non riusciva a parlare, era totalmente ipnotizzato dalle
spalle sussultanti del moro davanti a sé, che teneva lo sguardo basso.
Tsubasa
sapeva che doveva dire qualcosa, qualunque cosa, anche solo per
alleggerire la situazione che s’era creata, ma non aveva la minima idea
di dove cominciare, avrebbe dovuto giustificarsi, forse, ma per cosa?
“SEI
UNO STUPIDO, CHII-NII!”
La
voce arrochita di Kai risuonò nel locale, tanto potente da azzittire
tutti per un attimo, mentre il proprietario lo afferrava per il
colletto della canotta e lo sbatacchiava con violenza: “Che diavolo ti
è saltato in testa!? È questo che fai quando dici di venire ad
allenarti!?” gli urlò.
Tsubasa
fece per scostarsi, bofonchiando qualcosa, ma non riusciva a guardarlo
in viso.
“Sono
affari miei!” sbottò infine il maggiore, riuscendo a sciogliere la sua
presa: “E poi, dovrei chiedertelo io cosa ci fai qui?! Mi hai
seguito?!” gridò il pugile, pulendo il sangue che colava dal labbro
spaccato.
“Si
che ti ho seguito! Ho trovato le bende in camera tua e mi sono
preoccupato! Non avrei dovuto!?” replicò con rabbia Kai, cercando di
asciugarsi gli occhi e di tenere a bada le lacrime: “Sei mio fratello,
non potevo assolutamente lasciare correre, e neppure farti prendere a
sberle da quel tipo lì! Se necessario, sono abbastanza resistente per
prendermi qualche pugno a mia volta, ma voglio sapere perché stai
facendo tutto questo!”.
A
quella domanda così inaspettata, il quartogenito degli Ozu non seppe
effettivamente cosa rispondere.
“Non
sono affari tuoi.” ripeté lui, ingenuamente convinto che quella frase
lo schermasse da qualunque altra domanda postagli dal fratello ma Kai
non era certamente tipo da rinunciare così in fretta.
E
difatti.
“Perché
continui a evitare di parlarci dei tuoi problemi?”
Non
c’era più rabbia nella voce del più piccolo, solo tanta malinconia e
tristezza mentre cercava di rialzarsi in piedi e di scuotersi la divisa
dallo sporco: “Anche se hai sempre detto di essere forte abbastanza,
non lo sei mai stato, e non lo sarai mai, non può esserlo nessuno!”
disse mentre lo fissava negli occhi, “Siamo fratelli, ogni debolezza
che ha uno viene compensata dall’altro e viceversa! Non puoi farcela da
solo e non è giusto che tu ci nasconda una cosa del genere, così
pericolosa oltretutto!”.
A
quelle parole, Tsubasa non riuscì ancora a rispondere ma si ritrovò a
pensare ai loro fratelli, ignari di quello che stava accadendo,
sicuramente Kai gli era andato dietro senza avvertire, altrimenti se li
sarebbe già trovati addosso, soprattutto Makito.
Poi,
accadde qualcosa di ancora più inaspettato, che annullò quasi
l’assurdità di quella situazione per caricarla di tutt’altro
significato, perché Kai gli si era gettato tra le braccia,
abbracciandolo con tutta la forza di cui era capace, volendo, con
quell’unico gesto, cercare di fargli ricordare quel qualcosa che
Tsubasa pareva aver dimenticato: a volte, l’affidarsi agli altri non è
sbagliato.
§§§
“Adesso
vuoi dirmi perché?”
Seduto
al tavolo della Magic Room con la cassetta del pronto soccorso davanti,
Kai disinfettava i tagli sul viso di Tsubasa.
Sulle
prime, il diciassettenne era convinto che, malgrado tutto, il maggiore
non gli avrebbe mai risposto, ma poi lo vide scostare la sua mano,
ancora col batuffolo di cotone in mano, e fargli cenno di mettere tutto
a posto.
“Non
è stato facile per nessuno, lo sai, vero?” Kai era convinto di aver
intuito il motivo di quel comportamento così dannoso da parte di
Tsubasa ma voleva spingerlo a confessare con la propria voce ciò che lo
tormentava, altrimenti non sarebbero mai riusciti a venire a capo di
quella faccenda.
E
sperava che quella frase fosse sufficiente per far esplodere la bomba.
“Quando
morì papà, tu eri appena nato e io avevo a malapena due anni… Non
riuscivo a capire del tutto. Quando morì mamma, ero già abbastanza
grande per sentire tutto il dolore che non ero riuscito a provare
allora. Non è stato facile.”.
“Te
l’ho detto, non è stato facile per nessuno, e a nessuno di noi sarebbe
mai venuto in mente di fare quello che hai fatto tu.”
“Lo
so!”
Tsubasa
esplose letteralmente, gettando per terra bende, garze e perfino la
sedia: “Non sapevo in che altro modo sfogare la rabbia e la tensione! A
ogni combattimento, sembrava che venissimo schiacciati dalla furia dei
mostri di Infershia, eravamo abbandonati a noi stessi, eravamo da soli!
Mi sentivo quasi soffocare per le responsabilità e non capivo come
facesse Makito a resistere ogni giorno in quelle condizioni! È stata
l’unica soluzione che sono riuscito a trovare.”.
Quello
scoppio di rabbia era stato però efficace, perché Tsubasa parve essersi
calmato.
“Mi
sembra di avertelo detto anche prima: avresti potuto chiedere aiuto. E
invece no, così ora siamo bloccati qui, gonfi come zampogne e io ho
anche la divisa scolastica tutta strappata!” concluse Kai, osservando
con aria depressa gli abiti poggiati su una sedia.
A
quelle parole, il diciannovenne sorrise appena.
“Vai
a letto, domani hai scuola.” gli disse, spingendolo verso la porta: “Io
devo mettere a posto alcune cose, prima.”.
Kai
lo guardò torvo, incerto se lasciarlo lì da solo con il sospetto che
avrebbe tentato nuovamente la fuga appena salite le scale, ma poi la
stanchezza prese il sopravvento, con vistosi sbadigli a deformargli
l’espressione.
Salutò
frettolosamente il fratello e sparì oltre la barriera.
Tsubasa
restò qualche minuto a fissare il punto dove il più giovane era
scomparso, prima di prendere in mano la casacca scura di Kai.
§§§
Sulla
via per la scuola, Kai continuava a guardarsi le maniche e i pantaloni.
Era
incredibile, non c’era più il minimo segno della serata appena
trascorsa sui suoi abiti, neppure il più piccolo strappo!
I
casi erano due, o Tsubasa era ricorso alla magia oppure…
“Non
avrei mai immaginato che Chii-nii sapesse cucire!” esclamò con
soddisfazione lui, sistemandosi meglio lo zaino sulle spalle: “Ha fatto
proprio un bel lavoro!”.
Era
una bella giornata, non avrebbe avuto allenamenti quel giorno e non
erano in programma né verifiche né esercitazioni: sarebbe stata di
certo la giornata perfetta, come mai ne aveva avute!
E
mentre camminava, con la testa piacevolmente immersa nei propri
pensieri, la sua attenzione venne improvvisamente calamitata da una
voce che cantava in una lingua un po’ stentata, che Kai riconobbe a
fatica come inglese, da un qualche punto alla sua destra, una voce che
gli sembrava incredibilmente familiare.
E
infatti, in piedi ad aspettare l’autobus, il ragazzo vide Houka, la
sorella maggiore.
“Houka-nee!
Non dovevi andare al lavoro!?” lui le corse incontro, strappandole poco
gentilmente le cuffie dalle orecchie: “Kai-chan!” esclamò lei con tono
quasi risentito, mentre riponeva la rivista in borsa e spegneva il
lettore mp3, “E tu non devi andare a scuola?” gli chiese di rimando.
“Sto
andando.” Fu la pronta risposta del ragazzo: “Che stavi cantando?”.
“Oh,
nulla… Ti accompagno per un pezzo, ti và? Tanto sono in anticipo!”
Sicuro
come l’oro, Houka non era affatto in anticipo e Kai era quasi tentato
di declinare l’invito per impedirle di arrivare nuovamente tardi al
lavoro ma non riusciva mai del tutto a opporsi a quella forza della
natura che era la maggiore delle sorelle.
E
semplicemente la seguì.
“Sai
cosa stavo pensando?” esordì lei a un certo punto, mentre già si vedeva
in lontananza il cancello della scuola: “Che tu e Tsubasa siate
veramente stupidi a non volerci dire mai nulla.”.
Quell’affermazione
gettò nel panico più totale l’adolescente: che li avesse beccati…?
“Si,
anche se vi capita qualcosa di strano, o di fastidioso, tendete a non
voler mai cercare il nostro aiuto, soprattutto Tsubasa-chan è così, non
dovreste comportarvi come uomini fatti e finiti quando siete a malapena
dei bambini.” l’espressione di Houka sembrava quasi rabbuiata ma Kai
non potè che sentirsi sollevato, non erano stati scoperti, per fortuna:
“Tu mi hai chiesto cosa stessi cantando prima vero? Beh, è una canzone
straniera, me l’ha fatta sentire Miya-chan. Tieni, te lo lascio. Appena
puoi, ascoltala. Ti può insegnare qualcosa”.
E
senza aggiungere altro, gli mollò in mano il piccolo lettore e sparì a
tutta velocità, lasciando il fratello in mezzo alla strada con aria
ebete, incapace di reagire in qualunque altro modo che riporre
meccanicamente l’oggetto in tasca e affrettarsi verso la scuola.
La
mattinata trascorse senza particolari intoppi e fu solo all’ora di
pranzo che, trovatosi un posticino tranquillo sul tetto della scuola,
Kai ebbe finalmente modo di tirar fuori l’apparecchio elettronico: ebbe
qualche difficoltà a sistemare le cuffie e a farlo partire ma alla fine
ce la fece.
Sulle
prime, sentì solo fruscii ed ebbe il sospetto che la sorella, maldestra
com’era, lo avesse rotto, poi udì chiaramente il ritmico suono della
chitarra e infine una voce dolce e calda, maschile, che cantava: lui
non era bravo in inglese, anzi, tutto il contrario, ma c’era qualcosa
di estremamente rassicurante in quel testo che non capiva appieno.
Una
volta finita la canzone, sentì l’impulso di riascoltarla e così fece
una, due, tre volte, fino a quando la campanella della fine della pausa
non giunse a strapparlo a quel limbo pacifico che si era ritagliato.
Di
malavoglia, ripose in borsa il bento mezzo mangiucchiato e si unì al
resto dei compagni che scendevano verso le classi, ripromettendosi di
chiedere a qualcuno di tradurglielo in una lingua quantomeno
comprensibile.
§§§
“You're
telling me and anyone you're hard enough. You don't have to put up a
fight… È per caso una traduzione per un compito scolastico?”
Seduto
alla sua scrivania, Makito studiava il foglio che Kai aveva stampato da
internet con sopra il testo della canzone, perplesso e anche un po’
curioso.
“Non
proprio… È che Yamazaki-san ha sentito questa canzone e, visto che tu
sai bene l’inglese, mi ha chiesto di fartela tradurre…” sperava che
quella scusa reggesse.
“Beh,
di sicuro posso dirti che non è così difficile come sembri, anzi, tutto
il contrario. Vedi questa parola? Vuol dire “pugni” e-“ ma subito il
diciassettenne lo interruppe con una mano sulla bocca: “Aniki, non ho
tempo di star a sentire una lezione di inglese, ne ho già abbastanza di
quello che studio a scuola.” gli disse con tono implorante.
Con
un sospiro, Makito annuì, chinandosi sul foglio e appuntando
rapidamente alcune cose.
Dieci
minuti dopo, accanto al testo originale, c’era la traduzione.
Magired
la prese tra le mani tremanti, lasciando vagare lo sguardo tra le righe
e le parole vergate nella calligrafia infantile del più grande degli
Ozu, stupendosi di quanto fossero simili alle sue, dette solo poche ore
prima, al rimprovero che aveva mosso a Tsubasa, e quanto Houka-nee
avesse un intuito incredibile per certe cose.
E
lì, su quel foglio, c’erano anche tutti i sentimenti che aveva provato,
che aveva cercato disperatamente di far capire al maggiore.
Pensi
di avere la stoffa
Stai
dicendo a me e a tutti gli altri
Che
sei forte abbastanza
Non
devi cercare la lite
Non
devi sempre aver ragione
Lascia
che stasera io prenda alcuni pugni
Al
tuo posto
Adesso
ascoltami
Ho
bisogno che tu sappia
Che
non devi percorrerlo da solo
E
sei tu quando guardo nello specchio
E
sei tu quando non rispondo al telefono
A
volte non puoi farcela da solo
“A
volte non puoi farcela da solo…” ripeté a mezza voce, stringendo il
foglio tra le mani con tanta forza da strapparlo quasi: “Grazie, aniki.
Ora devo andare!” sbottò frettolosamente, piantando il fratello lì e
correndo su per le scale.
In
camera di Tsubasa non c’era nessuno.
Gli
faceva strano rientrarci dopo tutto quello che era accaduto, ma
s’impose di farlo, e poggiò infine il foglio di carta sul cuscino:
“Spero che serva a qualcosa” borbottò tra sé e sé mentre lasciava la
stanza.
Kai
non seppe mai quando, effettivamente, Tsubasa avesse letto quel testo,
se la sera stessa dopo averlo trovato oppure giorni dopo, però di una
cosa era certo: anche se il suo carattere non era minimamente cambiato,
anche se era rimasto lo stesso, inguaribile brontolone di
sempre, aveva smesso con quello sfogo pericoloso, di questo
Magired non aveva il minimo dubbio.
Aveva
anche cominciato a parlare, a chiedere consiglio agli altri, non solo a
loro ma anche al sensei, era tanto più facile vedere l’anima di suo
fratello in quei momenti che il diciassettenne si sentiva quasi
orgoglioso nel vederlo avvicinarsi ora a Houka ora a Urara per
parlargli: gli piaceva pensare che non era stato solo merito di quella
canzone, ma anche un po’ merito suo, se Tsubasa aveva finalmente capito
di potersi affidare a loro.
Ciò
che era accaduto quella notte era rimasto fra loro, nessuno l’avrebbe
mai saputo.
Forse,
un giorno, l’avrebbero raccontato ma, fino ad allora, andava bene così.
Finché
avrebbero potuto percorrere assieme la strada, e non da soli, tutto
sarebbe andato per il meglio.