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“Ma perché non
si sveglia?!” sbottò Shu, e intanto sferrò un pugno contro il muro che
scosse le pareti e fece tintinnare diversi soprammobili nella stanza.
“Che modi sono?
Ti vuoi calmare?” lo apostrofò Shin, gesticolando nervosamente e
fissandolo, un acceso rimprovero dipinto sul volto.
“Su, non siate
nervosi” si intromise Seiji, “Ryo tornerà presto tra noi, dobbiamo solo
avere pazienza, le sue energie si erano del tutto esaurite e gli
occorre tempo per rigenerarsi, ma non è in pericolo.”
Il samurai
della luce era seduto su una poltrona in una posa signorile, una gamba
accavallata sull'altra e sfogliava una rivista, senza porre realmente
attenzione alle pagine. La sua apparente impassibilità era una
costruzione mentale che si imponeva da sempre, ma non stava bene
davvero; tentava di mantenere calmi i compagni, benché il suo stesso
cuore rischiasse di andare in pezzi, non desiderava altro se non vedere
gli occhi di Ryo riaprirsi e il suo sorriso risplendere, fondamentale
punto di riferimento per tutti loro.
Gli mancava
profondamente, questa era la verità e non poteva negare a se stesso di
percepire tensione nel gruppo, latente ma innegabile, come una bomba
pronta ad esplodere.
Guardò i due
compagni, ora silenziosi, a pochi passi da lui.
Shu, la schiena
appoggiata al muro e le mani in tasca, fissava cupamente il pavimento
ed agitava il piede, in un atteggiamento che ricordava in tutto quello
di un bambino imbronciato in seguito ad un rimprovero mal digerito.
Era un ragazzo
impulsivo, andava tenuto a bada perché non commettesse colpi di testa,
rimproverarlo anche aspramente veniva, a volte, istintivo, soprattutto
quando, senza rendersene conto, nella sua tendenza ad agire senza
riflettere, metteva a repentaglio insensatamente la propria sicurezza,
rischiando tra l'altro di creare problemi anche al gruppo.
Tuttavia,
stranamente, a Seiji piaceva. Non sapeva spiegarsi se quell'affetto
istintivo nei confronti di Kongo fosse dovuto all'amalgama perfetto che
si era instaurato tra tutti loro o ad altro; di sicuro, la limpidezza
emotiva del samurai della terra, che evidenziava una spontaneità quasi
selvaggia, suscitava in Korin una certa curiosità, mista persino ad
ammirazione.
Shu aveva fatto
dell'impeto passionale, espresso al massimo della sua intensità, la
propria regola e Seiji, in qualche modo l'antitesi di una tale maniera
di rapportarsi al mondo, ne era paradossalmente attratto, quasi da un
simile modo di atteggiarsi sentisse di dover carpire un insegnamento.
E così, doveva
ammetterlo a se stesso, l'aveva accolto sotto la propria ala, in un
certo senso come se dovesse svezzare un monello troppo irrequieto ma
con ottime potenzialità da incanalare nella direzione giusta. Al tempo
stesso, era consapevole di quanto fosse in parte ridicolo vedere la
questione sotto quell'ottica.
Spostò il
proprio sguardo su Shin e il sorriso si accentuò, perché il detentore
dei poteri dell'acqua era un ragazzo irresistibilmente tenero; neanche
quando si innervosiva riusciva a rendersi sgradevole, tanto che Seiji
riteneva di non sbagliarsi a ravvisare in lui il loro centro perfetto,
il perno catalizzatore del loro equilibrio di gruppo. Anche Touma
condivideva quell'idea.
Con Shin non
era possibile restare arrabbiati per più di pochi istanti e infatti lo
stesso Shu, vittima prediletta delle frecciate argute cui Suiko sapeva
dare forma mantenendo inalterate la sua voce incantevole e la sua
faccia d'angelo, subito dopo la sfuriata finiva per corrergli dietro
come un cagnolino scodinzolante, incapace di stargli lontano per più di
mezz'ora.
Shin, tuttavia,
aveva qualcosa che non andava da quando si era risvegliato; era bastato
poco all'osservatore Seiji per conoscerli tutti, senza contare che Shin
si lasciava conoscere facilmente, al di là di un angolo in ombra,
riservato, del proprio spirito, che non consentiva a nessuno di sondare.
Nel corso della
loro impresa, Seiji era convinto, insomma, di averlo quasi del tutto
compreso: un ragazzino di quindici anni che voleva prendersi cura degli
altri, donando loro la propria gioia di vivere, con le premure che
riservava a tutti, assumendo molto seriamente, su di sé, il proprio
ruolo di anziano del gruppo, ignaro di quanto spesso lasciasse
trasparire, inconsapevolmente, quel suo lato bambino che ispirava
protezione.
O forse era
Seiji a notarlo, per la sua capacità innata di andare sempre oltre la
superficie delle cose, non pensava questo di sé come un vanto; spesso
si rivelava, anzi, un peso, perché lui non sapeva farsi comprendere
come invece comprendeva gli altri.
Era bastato
davvero poco, a Seiji, per entrare nel cuore di Shin, come gli bastava
poco per avvertire che qualcosa non funzionava; troppo spesso la
gentilezza del discendente dei Mori veniva meno nei confronti di Shu,
sostituita dall'asprezza di parole che sapeva rendere taglienti se lo
desiderava.
Che il semplice
Shu si rendesse involontariamente vittima predestinata di tutti loro e
bersaglio fin troppo facile di scherzi e prese in giro era scontato ma,
al tempo stesso, a tratti Shin esagerava e quella non era la normalità,
soprattutto tenendo conto che, tra i due, si era instaurato, fin da
subito, un affetto che sembrava bruciare intorno a tutto il gruppo,
mutandosi dai primissimi istanti in un punto fermo irrinunciabile. Ed
era un affetto passionale, di quelli che penetrano nel profondo fino a
diventare nutrimento dell'esistenza.
Era così per
tutti loro, in pochi giorni, con una velocità data dal bisogno
reciproco in parte, ma soprattutto da una sintonia voluta dal fato, era
giunta la consapevolezza che mai più avrebbero potuto rinunciare gli
uni agli altri.
Eppure, se
erano tutti frammenti di un unico cuore, di quel cuore Shin e Shu erano
la parte salda, pulsante, perché costituivano una certezza che mai si
sarebbe sfaldata.
Accentuò il
sorriso, posando insistentemente lo sguardo sulla figura graziosa di
Shin, seduto sul divano, il busto chinato in avanti, i gomiti sulle
ginocchia e le mani sotto il mento, gli occhi sempre pieni di luce ora
velati d'ansia ma non meno luminosi, proprio perché resi lucidi da uno
specchio di lacrime non piante, fissi su un punto lontano del pavimento.
Percependo
l'occhiata che indugiava su di lui, Suiko sollevò il capo e scoprì così
il sorriso che Korin gli stava rivolgendo.
Seiji chiuse la
rivista, senza mutare espressione:
“Credetemi, non
dovete preoccuparvi per Ryo e pensate a rilassarvi di più. Shin, il
nostro amico, al suo risveglio, desidererà sicuramente trovare la
spalla sicura che sei solito offrirgli.”
Il samurai
dell'acqua sussultò, ma Seiji fu più sorpreso dal contemporaneo
sollevarsi del volto di Shu: l'ombra che gli parve di scorgere nel
profondo blu dei suoi occhi lo inquietò e corrugò le sopracciglia,
cessando di sorridere.
Dopotutto non
si era sbagliato, ma il fulcro dei problemi tra i due... poteva davvero
essere Ryo?
Avrebbe voluto
mordersi la lingua e poter tornare indietro, per porre maggiore
attenzione a ciò che diceva, ma il senno di poi non aveva mai aiutato
nessuno... e adesso si sentiva in imbarazzo, perché una tensione spessa
come una cappa di fuliggine si era diffusa tra loro.
Fu Touma a
spezzare quella situazione di stallo, infilandosi attraverso la porta
come un alito di vento impetuoso; Seiji avrebbe voluto ringraziarlo.
“Non possiamo
più stare in ozio.”
Il samurai
dell'aria aveva parlato senza preliminari, con un tono di urgenza e
aveva così richiamato l'attenzione di tutti.
“Che ti
prende?” borbottò Shu, che ancora non riusciva a deporre il broncio dal
suo viso.
“La notte
scorsa ho guardato le stelle e... ciò che mi hanno trasmesso non mi è
piaciuto per niente.”
Kongo sollevò
un sopracciglio:
“Ah, bene, che
interlocutrici degne di fiducia.”
“Non mi aspetto
che tu capisca.”
“Già, tanto per
cambiare, figuriamoci se qualcuno non sottovaluta la mia intelligenza.”
Non lo disse
con il solito tono da monello offeso, ma con una serietà tale da
lasciar trapelare del tutto il proprio umore cupo.
Shin si alzò,
sbuffando, si mise le mani in tasca, gli diede le spalle e si allontanò
di qualche passo, senza rinunciare ad un commento pungente:
“Di quale
intelligenza stai parlando?”
Il movimento di
Kongo fu rapidissimo, a dimostrazione di quanto sapesse essere agile
oltre che forte; le sue dita robuste si serrarono con ferocia sul polso
di Shin e lo strattonarono malamente. Suiko, colto di sorpresa,
strillò, compiendo un mezzo giro su se stesso a causa del brusco e
forzato passo indietro.
“Senti tu!
Sarebbe il caso che la piantassi! Non ho intenzione di sopportarti
oltre!”
Shu inveì
contro di lui senza lasciarlo, anzi, trascinato dalla foga della sua
furia cieca, gli torse con violenza il braccio.
“Sei diventato
matto?” si lamentò Shin, tentando vanamente di divincolarsi, ottenendo
solo di provare più dolore del necessario, anche perché Shu era preda
di un'irrazionalità tale da rendergli impossibile comprendere cosa
stesse facendo.
Touma e Seiji
erano rimasti rigidi ed immobili, gli sguardi fissi sui due amici;
persino gli occhi sempre imperturbabili di Korin scintillavano di
sgomento.
Fu Touma a
riprendere il controllo della situazione e a gettarsi contro i due,
posò con fermezza una mano sull'avambraccio e l'altra sul petto di
Kongo, per spingerlo lontano da Suiko.
“Vedi di
calmarti, Shu.”
Soggiogato, il
samurai della terra allentò spontaneamente la presa, liberando Shin, il
quale fece un passo indietro, massaggiandosi la pelle contusa; laddove
la morsa delle dita di Shu aveva infierito, era possibile scorgere
delle chiazze rossastre che, lentamente, assumevano sfumature viola,
segno che si stavano mutando in un brutto ematoma.
Gli occhi di
Shin non si staccavano da Shu ed erano accesi, furenti ad una prima
parvenza, ma Seiji si rese conto di qualcos'altro: quell'astio tanto
prossimo all'odio, Shin non lo riservava a Kongo, quanto a se stesso.
Le sfumature emotive di quello sguardo riservate al compagno non
emanavano rabbia, bensì tanta confusione, senso di colpa e tristezza.
“Con tutti i
problemi che abbiamo, vi accapigliate come due bambini” li rimproverò
Touma, “siete consapevoli dello spettacolo pietoso che avete dato di
voi stessi?”
I due ragazzi
abbassarono il capo nel medesimo istante. Shu era ombroso come un
puledro selvaggio appena domato, Shin somigliava più a un cagnolino
colto in fallo e timoroso all'idea di perdere l'amore e l'approvazione
di chi gli stava intorno.
“Mi dispiace”
mormorò, la voce sottile come quella di un pulcino, intanto continuava
a tenere le dita premute sull'avambraccio destro, era evidente che
doveva fargli piuttosto male.
Seiji si
schiarì la voce e si sforzò di spezzare la pesantezza del momento
invitando tutti alle comuni priorità:
“Touma è venuto
per richiamarci ai nostri doveri e credo abbia assolutamente ragione.
Non ha molto senso crogiolarci qui, in casa, ad attendere che un
eventuale nemico faccia la sua mossa cogliendoci del tutto impreparati;
sforziamoci almeno di prevenire, per quel che possiamo.”
“E come?”
mugugnò Shu, ancora palesemente scosso.
“Touma ed io
andremo a Tokyo a fare un sopralluogo, intanto controlleremo che gli
effetti dell'attacco di Arago non abbiano avuto conseguenze sulla
popolazione e sul normale svolgimento della quotidianità.”
“Perché solo
voi due? Non sarebbe meglio essere insieme nel caso di pericolo?”
“Qualcuno deve
restare qui, Shu, accanto a Ryo” spiegò Touma, che approvava pienamente
l'idea di Seiji.
“Ma c'è
Nasty... e Byakuen... credo che...”
“Ryo avrà
bisogno di noi, Shu” si intromise Shin, sollevando mestamente il capo
per la prima volta dopo l'incidente.
“Figuriamoci se
il signorino non esprime opinione contraria su qualcosa che esce dalla
mia bocca!”
La nuova
sfuriata di Shu spinse l'amico a guardarlo, senza ombra di ostilità
questa volta, Shin sembrava preda di un'indicibile infelicità mentre
sussurrava, a voce così bassa che parve parlare tra sé:
“Shu... che
dici?”
“Shin non aveva
cattive intenzioni questa volta, Shu, cerca di calmarti e di porre fine
a questa faccenda, per favore.”
Ancora una
volta, le parole di Touma sortirono un effetto lenitivo e Kongo si
riappoggiò al muro, sbuffando, le braccia incrociate sul petto.
Seiji si
avvicinò a Shin e gli posò una mano sulla spalla:
“Se Ryo dovesse
svegliarsi... stagli vicino, nessuno saprebbe prendersi cura di lui
meglio di te, controlla che non faccia sciocchezze e...”
“E accudiscilo
come una brava mammina, potresti aggiungere, già che ci sei” lo
interruppe Shu con quello che sembrava un ruggito a stento trattenuto
tra i denti.
Due paia di
occhi si posarono su di lui, mentre Shin guardava altrove, lasciandosi
sfuggire un sospiro di impotenza.
“D'accordo”
proseguì Shu facendo un passo avanti, “se a prendersi cura di Ryo ci
sarà il nostro premuroso Suiko, io sarò più utile a voi immagino, sono
più bravo a combattere che a fare la donnina di casa!”
“Innanzitutto
comincia con il deporre questa tua rabbia esplosiva o non sarai utile a
nessuno” cercò nuovamente di richiamarlo Touma.
“A quanto pare
è questo che cercate di farmi capire, non mi volete tra i piedi, ma non
servirò a nulla neanche qui, che ci sto a fare?”
Infilò le mani
in tasca e si diresse deciso verso le scale che portavano alle stanze
al piano di sopra, ma la voce di Shin si fece udire, prima che posasse
il piede sul primo scalino:
“Shu... se
qualche nemico dovesse attaccarci mentre Touma e Seiji sono fuori... io
ti vorrei al mio fianco.”
Il samurai
della terra si immobilizzò, rimase qualche istante rigido, quindi si
voltò e camminò fino alla poltrona, lasciandovisi cadere con totale
abbandono, incrociando di nuovo le braccia e sbuffando verso il
soffitto con aria condiscendente:
“Vorrà dire che
ti farò questa concessione.”
Seiji e Touma
sorrisero, perché finalmente videro tornare sui suoi lineamenti una
delle solite, buffe espressioni, segno che la rabbia andava scemando e
che stava tornando il loro solito, scherzoso Shu.
“Ma bravo il
nostro Kongo” ridacchiò Touma, arruffandogli vivacemente i capelli,
ottenendo in cambio un lamento giocoso accompagnato dal tentativo di
Shu di scrollarsi la sua mano di dosso.
La stretta di
Korin sulla spalla di Shin, si fece ancor più amichevole e colma di
affetto, mentre gli sussurrava, a bassa voce, in un orecchio:
“Curati quel
braccio, ti rimarrà il segno per parecchio tempo, temo.”
Suiko sorrise
timidamente, le guance appena imporporate, mentre abbassava il capo:
“Non è nulla, è
stata colpa mia...”
Touma passò
loro accanto, prendendo Seiji sottobraccio per dirigersi con lui verso
la porta d'uscita, Shin rivolse loro un'ultima occhiata, senza riuscire
del tutto a nascondere la propria preoccupazione:
“Promettetemi
che starete attenti, vi prego...”
Touma gli
strizzò l'occhio con un ultimo cenno di saluto:
“D'accordo...
mammina.”
Poi la porta si
chiuse, lasciando Kongo e Suiko immersi in un silenzio spezzato
unicamente dal ticchettio di un orologio e dal cinguettio degli uccelli
che, a tratti, venivano a posarsi sopra al davanzale della finestra, in
cerca delle briciole che gli abitanti di casa volentieri lasciavano a
loro disposizione.
“Non mi spiego
se Nasty sia generosa o piuttosto incosciente a lasciare la sua
macchina in mano a un minorenne.”
Touma si
sedette accanto a Seiji che, accomodatosi come se niente fosse alla
postazione di guida, aveva già infilato la chiave nel cruscotto,
osservando con aria vagamente divertita l'espressione preoccupata di
Touma.
“Forse,
semplicemente, a differenza tua lei ha capito di potersi fidare di me.”
“Non è
questione di fiducia, che facciamo se ci fermano? Cosa racconti alla
polizia? Che sei un guidatore degno di fiducia anche se non hai i
documenti?”
Seiji si
strinse nelle spalle, guardò davanti a sé ed infuse nel proprio sorriso
una sfumatura enigmatica:
“Faremo in modo
di non farci fermare.”
“Invidio il tuo
ottimismo” sbuffò Tenku abbandonando la testa all'indietro contro lo
schienale, ma l'attimo successivo, l'improvvisa e brusca messa in moto
del compagno, lo fece sobbalzare sul sedile, mentre la vettura partiva
sgommando.
“Se intendi non
dare nell'occhio cominci proprio bene!”
“Mi stavo solo
sfogando un poco prima di arrivare in città!”
Touma sospirò
nuovamente e si impose di rilassarsi, mentre il compagno prendeva
confidenza con l'utilitaria rossa di Nasty.
Rimase in
silenzio per un po' con gli occhi chiusi, finché si rese conto che la
guida di Seiji non era affatto spiacevole: decisa, sicura e morbida...
come la sua anima abbagliante.
Si morse le
labbra, quasi temesse che quel pensiero assurdo potesse sfuggire al suo
controllo e si decise a schiudere una palpebra, lanciando un'occhiata
in tralice al coetaneo; il profilo di Seiji era quanto di più
incantevole si potesse concepire, i lineamenti che sapevano essere, a
un tempo, delicati e fieri come quelli di un angelo sceso dal cielo con
la propria spada di luce a punire il male nel mondo, i capelli d'oro,
tanti fili preziosi mossi dal vento che li accarezzava attraverso i
finestrini abbassati e quell'espressione... Touma ne fu colpito...
Seiji di Korin, sempre così pacato, cortese, con quell'invidiabile
dominio di sé... alla guida era come trasformato, l'unico occhio viola
visibile dalla posizione in cui Touma si trovava, acceso di un fuoco
singolare, rabbioso quasi... uno sguardo assetato di libertà.
E allora capì,
ricordò del momento in cui Seiji gli aveva accennato alla sua passione
per le auto da corsa, significava questo, quindi, per lui: libertà
dalle catene forgiate in troppo rigidi schemi che l'educazione
tradizionale di famiglia gli aveva imposto.
Korin voltò il
capo e lo scoprì a contemplarlo, ma quella mossa riportò rudemente
Touma alla realtà:
“Non guardare
me, guarda la strada!”
Seiji sbuffò,
sollevò gli occhi al cielo:
“Non ti faccio
schiantare contro un albero, stai tranquillo, sei in ottime mani.”
Tuttavia
ascoltò la raccomandazione e riportò lo sguardo davanti a sé:
“In ogni modo
preferirei non avere due occhi terrorizzati continuamente puntati
addosso.”
Il samurai
dell'aria si sentì avvampare. Come spiegargli che non erano affatto
occhi terrorizzati i suoi? Quanto meno non nel senso che Seiji aveva
inteso.
Rintanò la
testa tra le spalle e si fissò le mani abbandonate in grembo.
“Sono
tranquillissimo” borbottò.
Percepì
nuovamente su di sé una furtiva occhiata di Korin, seguita da una
risatina:
“Certo, come
no.”
“E guarda la
strada!” strillò Touma senza sollevare il viso, l'espressione
atteggiata ad un ringhio di disappunto; cominciava a pentirsi di non
aver portato Shu con loro. Si sentiva imbarazzato e a disagio e non
sapeva spiegarsi perché.
Le sue orecchie
furono raggiunte dal lamento spazientito del compagno:
“Quasi quasi
torno indietro e ti sostituisco con Shu, comincio a pensare che sarebbe
meno noioso.”
L'osservazione
poco gentile del samurai della luce punse Touma sul vivo:
“Certo, sarebbe
troppo impegnato a farti dispetti che finirebbero per portarti fuori
strada, un compagno così poco noioso che metterebbe entrambi nei guai.”
Nessuno dei due
parlò più per parecchi istanti, poi fu Seiji a rompere il silenzio:
“Ti sei offeso,
Touma?”
Lo guardò di
sottecchi, non vi era più ombra di canzonatura in quel suo meraviglioso
occhio dalle sfumature d'ametista, che gli provocò un ulteriore,
involontaria considerazione:
“Come possono, delle
iridi umane, essere tanto strane... e belle?”
Fece violenza a
se stesso, imponendosi di rivolgere altrove la propria attenzione e si
girò dall'altra parte, il gomito sul bordo inferiore del finestrino, il
palmo della mano a sorreggersi il mento:
“Perché
mi sarei dovuto offendere?”
“Non
lo so, dimmelo tu; mi sembri un po' strano.”
Cosa avrebbe
dovuto rispondergli? Che era strano perché stare vicino a lui, loro due
soli, lo portava ad avere reazioni fisiche ed emotive fino a quel
momento del tutto sconosciute?
“Sono
solo un po' preoccupato; Ryo che non si sveglia, la probabilità molto
alta di dover combattere ancora e quei due... che vanno in
escandescenze per un nonnulla... avremo fatto bene a lasciarli soli?”
“Non
essere così apprensivo, è vero che sono un po' tesi, ma non sono degli
sprovveduti. Shu è impulsivo, ma stravede per Shin e, in quanto al
nostro pesciolino, era sinceramente dispiaciuto, farà in modo che le
cose vadano per il meglio, ha molto a cuore il gruppo, hai visto come
sembrava stare male al solo pensiero di averci causato dei problemi.”
“E'
vero” sospirò Touma assumendo una posizione più rilassata, appoggiando
completamente la schiena al sedile, “mi fido di Shin, è un ragazzo
responsabile e attento, spero che faccia chiarezza in se stesso, mi
dispiace vederlo così inquieto, la sua riservatezza lo porta a tenersi
tutto dentro.”
Quindi, non
ottenendo risposta, lanciò un'occhiata al compagno:
“Come
qualcuno di mia conoscenza, d'altronde...”
Il sopracciglio
di Seiji si sollevò:
“Di
chi parli?”
“Nulla”
cantilenò Tenku facendo roteare gli occhi verso l'alto, con un sorriso
rassegnato, “lascia perdere, fai come se non avessi detto niente.”
Il rombo del
motore esplose nell'aria, per scomparire poi in lontananza, dopo uno
stridore di gomme sul terreno; Shin si precipitò alla finestra e guardò
fuori.
“Ma che fa
Seiji? E' impazzito?”
Rimase in
attesa per un po', quasi aspettandosi che alle sue orecchie giungesse
l'inconfondibile frastuono generato da uno schianto, ma non accadde
nulla e sospirò di sollievo:
“Speriamo vada
tutto bene... sono un po' in ansia...”
“Se non si
preoccupa Nasty, non vedo perché dovresti entrare in crisi tu” commentò
Shu, affondato scompostamente nella poltrona.
“Non so come
faccia, in effetti, ad essere così tranquilla, ha lasciato la sua auto
a un minorenne senza patente che, tra l'altro, non mi dà l'idea di
avere una guida così tranquilla.”
Sul volto di
Shu comparve un ghigno sardonico:
“Non solo ti
comporti da mammina... ma da mammina paranoica ed iperprotettiva, tutto
il peggio che si possa mettere assieme.”
Il viso di Shin
si abbassò, l'espressione infelice, il braccio ingiuriato sembrò
pulsare in maniera più dolorosa.
“Ehy,
pesciolino... stavo scherzando...”
La voce di Shu,
finalmente, risuonò morbida, carezzevole, tanto che Suiko trovò il
coraggio di sollevare i propri occhi ad incontrare i suoi; e li trovò
gentili, profondi... e belli.
“Già, stavi
scherzando” mormorò il samurai dell'acqua con un sorriso triste e pieno
di umiltà, “e in maniera molto meno crudele di quanto sappia fare io,
d'altronde... non dovrei prendermela, scusami...”
Kongo inarcò le
sopracciglia e sporse in avanti le labbra in un'espressione di
autentica perplessità; a Shin sembrò talmente buffo ed adorabile che il
suo sorriso si fece più intenso e complice.
“Vogliamo
deporre le armi?” borbottò Shu, “non... non ho ancora ben capito cosa
ti frulli in quella testolina ma... io non sopporto di essere
arrabbiato con te...”
Poi si
interruppe qualche istante, per riprendere subito dopo, come in seguito
ad una riflessione interiore:
“Cioé...
proprio non ci riesco ad essere arrabbiato con te, non ne vedo il
motivo, io ti...”
“E' colpa mia
Shu” lo interruppe Suiko con foga, “e se intendevi dirmi che mi vuoi
bene... be'... anche io te ne voglio...”
Kongo sbuffò:
“E allora siamo
due cretini, non vedo altra spiegazione.”
Shin si lasciò
sfuggire una risatina e i lineamenti del suo viso assunsero
un'espressione così tenera che Shu rispose con uno sguardo adorante,
mentre il cuore gli balzava con prepotenza in gola. Quindi i suoi occhi
caddero sul braccio che ancora Shin, a tratti, massaggiava
distrattamente.
Il samurai
della terra si alzò e si portò davanti a lui; allungò con delicatezza
una mano e la chiuse intorno al polso del compagno. Shin rimase rigido
per un solo istante, ma poi lo lasciò fare, rivolgendogli uno sguardo
colmo di stupore, mentre Kongo passava dolcemente le dita sulla parte
che ancora recava il segno della sua precedente ferocia.
“Io lo sono di
sicuro un cretino” sussurrò il samurai della terra, quasi più tra sé
che al compagno.
“Non è vero,
Shu, la tua pazienza nei miei confronti è persino troppa a volte.”
“Non passare
dall'acidità esasperata a denigrare completamente te stesso, ce l'hai
la cognizione della via di mezzo?”
“Detto da te,
poi” ridacchiò Shin con una linguaccia.
“Scemo” sbuffò
Shu e colse completamente il coetaneo di sorpresa portandogli una mano
dietro al collo, attirò il suo capo contro la propria spalla e gli
arruffò i capelli con carezze a un tempo energiche e piene di calore.
Suiko rimase
immobile, a godersi quella dose di coccole inattese ed accogliendole
con il cuore gonfio di gratitudine; si rese conto, all'improvviso, di
quanto ne avesse bisogno... e di come fosse spesso incapace di
chiederle spontaneamente, almeno quanto era solitamente pronto a
concederle.
Nel momento in
cui Shu pose fine al contatto, provò un senso di privazione indicibile,
che durò tuttavia pochi istanti, perché subito Kongo si riappropriò del
braccio dolorante di Shin e lo tirò un po', con gentilezza, per
invitarlo a muoversi.
“Dai, vieni,
dobbiamo fare qualcosa per quell'ematoma o sarò preda di insopportabili
sensi di colpa ogni volta che ci poserò sopra gli occhi.”
Il samurai
dell'acqua non osò commentare nulla, tanto era in balia
dell'atteggiamento premuroso di Kongo, era in un certo senso
impreparato ad affrontarlo e poi gli piaceva; doveva ammettere che
abbandonarsi all'affetto altrui, senza pensare, senza riflettere su
cosa fosse giusto fare, si rivelava gratificante e lo commuoveva a tal
punto che sentì un'ondata di lacrime salire a pungergli gli occhi. Non
disse nulla, perché non voleva rovinare quegli istanti, perché, a quel
punto, aveva paura della propria lingua tagliente, aveva paura, come
mai gli era capitato prima, di poter dire qualcosa di sbagliato, di
offensivo e di rovinare tutto, di allontanare da sé l'accogliente
dolcezza che Shu gli stava concedendo.
Giunsero in
bagno e Shu fece sedere il compagno sul bordo della vasca, mentre Shin
ancora non opponeva alcun tipo di resistenza e si lasciò guidare, in
ogni singolo movimento, tanto che Kongo lo scrutò in modo
scherzosamente sospettoso:
“Potrei
prenderci gusto ad averti così remissivo e muto, diventi quasi
adorabile.”
Shin abbassò il
capo con una smorfia, continuando però a guardarlo dal basso verso
l'alto e quel bizzarro atteggiamento da cane bastonato strappò a Shu
una risata:
“Devo dire che
non solo Arago, ma anche tu mi hai movimentato la vita, sirenetto...”
Si interruppe e
gli diede le spalle, accostandosi all'armadietto dei medicinali,
tornando serio mentre frugava all'interno:
“Di sicuro me
l'hai resa più ricca.”
Suiko sollevò
di scatto il capo, aprì un poco le labbra ma non disse nulla: ancora lo
colse il timore di non saper scegliere le parole e che qualcosa di
profondamente stonato potesse prendere forma dalla sua voce.
Avrebbe
desiderato dirgli che ricambiava del tutto quel sentimento, che mai, in
nessun modo, sarebbe più stato in grado di immaginare il resto della
propria vita senza Shu al suo fianco, eppure... dentro di lui un senso
di confusione continuava a prevalere, un vortice emotivo al quale non
sapeva dare forma e nome e che, in parte, lo spaventava, anche se era
assurdo: ben altre cose avrebbero dovuto spaventarlo, eventi fin troppo
concreti che si prospettavano nel loro futuro, gli incubi che durante
la notte ancora tormentavano tutti loro, il dolore di nuovi
combattimenti probabilmente in arrivo.
Ed in effetti,
benché come i suoi compagni non lo esternasse, era terrorizzato
dall'idea di combattere ancora, per tutti loro era così.
Al tempo
stesso, tuttavia, non poteva negare quell'altro pizzico di inquietudine
che caratterizzava timori di altro tipo, insicurezze che tentava di
tenere ben celate dentro di sé: aveva già creato fin troppi problemi e
faticava a perdonare se stesso.
Il compagno si
avvicinò a lui tenendo tra le mani la confezione di un unguento
curativo, si inginocchiò ed aprì il tubetto.
“Dai, dammi il
braccio.”
Shin obbedì
senza riflettere, non riusciva a sottrarsi all'incantesimo nel quale il
compagno l'aveva intrappolato; o, molto più probabilmente, non
desiderava affatto sottrarsi.
“Sarebbe bello se
questi istanti potessero non finire mai”
si trovò a pensare, lasciandosi andare ad un sospiro che era un
amalgama di godimento e disperazione.
Shu sparse un
po' di unguento sulla parte dolorante, poi massaggiò gentilmente,
facendo attenzione a non trascurare nessun frammento di pelle
arrossata. Il cuore di Shin prese a battere forte, senza che lui
sapesse spiegarsi perché; un groppo insopportabile si formò nella sua
gola e, nel momento in cui tentò di inghiottire, non poté impedire ad
un'ondata di lacrime di sgorgare e scorrere lungo le guance.
“Ti
fa male?” domandò Shu, con una sfumatura ansiosa nella voce, rendendosi
conto dei suoi tremiti e sollevando il capo, scorgendo così quel pianto
silenzioso che illuminava gli occhi e le gote dell'amico.
“Shin...”
mormorò.
Il samurai
dell'acqua portò la mano libera al volto e se lo asciugò freneticamente
con il palmo, sfregandosi gli occhi con una sorta di violenza rabbiosa,
poi abbassò il braccio e sorrise all'amico:
“Scusami
Shu... e grazie... va molto meglio adesso...”
“Ah
be'... strano modo di dimostrarlo, credevo che il male ti fosse
diventato insopportabile.”
Suiko si piegò
su se stesso, esplodendo in una risata che si accompagnava alle lacrime
residue: davvero Kongo pensava che un dolore fisico come quello potesse
farlo piangere come un bambino?
“Ridi
e piangi insieme? Ma... Shin...”
“Oh,
Shu” esclamò il compagno, la voce spezzata dalle risate miste ai
singhiozzi, “non hai capito niente!”
Kongo non ebbe
il tempo di sentirsi offeso, perché Suiko si chinò, gettandogli le
braccia al collo e nascondendo il capo contro la sua spalla, lo strinse
fortissimo, senza smettere di ridere... ma era una risata che a tratti
si mutava ancora in pianto. Shu non poté fare altro se non assumere
un'espressione stupita e ricambiare quell'abbraccio, massaggiandogli la
schiena e la nuca, rendendosi conto una volta di più che un torrente
limpido, dolce, ma impetuoso, lo stava trascinando verso qualcosa di
spaventosamente bello; affogare in quel vortice d'acqua pura e
travolgente era un prezzo che avrebbe volentieri pagato, anche se
avesse significato smarrirsi in qualcosa che per lui era ancora
l'ignoto.