- GLI
ESAMI NON FINISCONO MAI -
"L'amicizia
quella vera la senti quando inizi a preoccuparti dell'altro, quando
riesci a percepire i battiti del suo cuore, a sentirne la stanchezza,
la gioia. Per questa amicizia saresti pronto a stendere un tappeto
rosso sul suo cammino per non farla inciampare nelle difficoltà della
vita."
[Gaetano
Cioppa].
-
CAPITOLO 1-
Byakuen
C'è
odore di neve nell'aria: è greve e intenso, inconfondibile quando
giunge a solleticarti naso e baffi. Si stende, appena respiri ti entra
dentro, vibrando come vibrisse a un rumore inconsueto.
Il
nuovo anno è appena iniziato o così, almeno, mi hanno detto: per me
l'inverno continua senza preoccuparsi di cambi d'anno. Amo la neve,
così come l'inverno, ma attendo la primavera per tornare a stendermi
sotto il sole e ad osservare gli uccellini assieme al cucciolo.
L'inverno
è lungo e, ultimamente, molto noioso. Negli ultimi giorni i libri sono
diventati padroni incontrastati di menti e corpi dei cinque cuccioli:
non passa momento del giorno o della notte che le loro zampette non li
portino nelle loro stanze in silenzio, con uno di quei volumi enormi e
fastidiosi tra le mani. Seri e silenziosi, sembra che debbano
affrontare una sfida dai risvolti improbabili. Ma .
***
"Ma
è solo scuola!".
"Touma,
per te è solo scuola. Per i ragazzi è un momento delicato".
"Non
dovrebbero comportarsi come se potesse crollargli il mondo addosso se
non dovessero passare ...".
Un
sospiro, una testa si scosse sconfortata. Shin si sentiva stanco ed
avvilito, quasi sconfitto da quell'atteggiamento noncurante che non
riusciva mai a scalfire e comprendere e che, a fatica, riusciva a
sopportare.
"Non
fare quella faccia da 'non riesco a capirti e non so cosa fare' Shin. È
già abbastanza sconfortante non riuscire ad entrare nel loro mondo...".
Occhi
cobalto si immersero in un paio verdi, ora sbigottiti.
"E
non guardarmi come se mi fosse appena spuntata un'orca sulla testa. Non
sono un totale bastardo... faccio solo fatica a capirli...".
Shin
abbassò il capo, un po' contrito, rialzandolo immediatamente quando la
mano di Touma si infilò tra le sue ciocche, accarezzandole.
"Guarda
che mi sono dato da solo del bastardo. Sto solo cercando ..." gli occhi
di Tenku si spostarono dubbiosi sulla finestra: il cielo era coperto di
nubi come, evidentemente, il suo cuore. "Abbi pazienza Shin. Pazienta e
vedrai che ci riuscirò, prima o poi".
Quindi,
mani in tasca, risalì le scale a passi lenti e pensierosi, cercando di
far girare quegli ingranaggi straordinari che affollavano la sua mente.
A volte il ragazzo desiderava che girassero più velocemente, non solo
nel modo migliore... e ora non sapeva proprio dire in che direzione
stava andando.
In
cuor suo ci sperava.
Certo,
non sarebbe stato il suo primo fallimento: tanti fallimenti portavano,
comunque, a una vittoria - alla lunga. La vita era fatta di tentativi.
O, almeno, così diceva suo padre - che sull'argomento pareva saperne
molto.
Così,
privo di scrupoli e paure, la sua mano bussò alla porta della camera
sua e di Seiji.
"Avanti!".
Quell'esclamazione
era uscita secca e scocciata: Touma sapeva bene a cosa rischiava di
andare incontro. Ma con Seiji niente doveva essere dato come scontato,
anche se il tono avrebbe potuto dare adito ad una sola reazione. La
peggiore.
Appena
messo piede nella stanza, Touma fece scorrere lo sguardo attorno a sé,
inglobando ogni informazione, ogni singolo indizio utile a saggiare il
terreno nel modo più conveniente. Ma era il 'modo', esattamente quello,
ad essere il problema.
"Cosa
vuoi, Touma? Sto studiando" fu il benvenuto di Korin, il cui volto
nemmeno distolse l'attenzione dal libro che aveva davanti.
"Lo
vedo che stai studiando. Sono giorni che non fate altro".
"A
differenza di qualcuno, noi dobbiamo farlo".
"Non
ho mai detto il contrario".
Tenku
sospirò, stanco: non passava giorno senza che le sue parole venissero
fraintese. Come se lui alludesse sempre ad altro, come se l'ironia si
nascondesse in ogni singola sillaba da lui pronunciata.
Korin
sospirò, con sempre meno pazienza: erano giorni neri, giorni duri, e il
fallimento non rientrava nel suo vocabolario. Matematica o meno, Touma
o meno.
"Touma,
dì quel che vuoi. Ora!".
Generalmente
gli ordini funzionavano con lui: Seiji era l'unico, effettivamente, ad
avere il controllo delle sue azioni.
"So
che la matematica è il tuo punto debole. Forse ti serve una mano".
Quando
il ciuffo di Seiji si mosse, assieme al viso d'angelo che aveva infine
staccato gli occhi dal dannato testo, Touma si sentì vittorioso.
Peccato
avesse confuso le reazioni.
"L'unica
cosa che mi serve ora è la tranquillità".
Le
iridi violette brillarono, per un momento, pericolose: Touma parve
afferrare il concetto con una certa celerità ed uscì dalla camera.
Quando
il 'click' della serratura risuonò nel corridoio immerso nel silenzio,
Tenku non riuscì a non trattenere un lungo sospiro, a mezza via tra
l'esasperato e l'annoiato. Seiji era nella peggiore delle forme
possibili, era come una corda tesa in procinto di spezzarsi e
tramortire con il suo rinculo tutti coloro che si trovavano sulla sua
strada.
"Shu
sarà più malleabile. In fondo, lo è sempre ... beh...".
Gli
occhi cobalto si alzarono, non esattamente convinti dell'affermazione.
Poco male, pensò mentre bussava alla stanza successiva.
"Avanti".
Risposta
secca ma controllata, tipica dello Shu degli ultimi giorni: il lavoro
di Shin stava dando i suoi succosi frutti.
Touma
spalancò la porta con un sorriso sulle labbra, sperando così di mettere
di buon umore anche l'occupante della stanza, ora seduto sul letto,
spalle al compagno: sul tappeto arancio ai piedi del letto, svariati
libri schierati con dubbioso ordine. Gli occhi attenti di Tenku si
focalizzarono su uno di quelli che capeggiavano spalancati con un
foglietto rosso, recante la scritta pericolo-da fare: lesse giapponese
antico in copertina, gongolando già compiaciuto, incapace di trattenere
la propria carica di entusiasmo.
"Dai
Shu, lascia fare a me per letteratura giapponese!". Il ragazzo poteva
benissimo prendere le sembianze di un cagnolino con palla in bocca,
appena riportata al padrone: scodinzolante, soddisfatto, in attesa solo
di una coccola. "Io mi diverto e tu hai meno da fare".
Le
ultime parole famose. O la goccia che fa traboccare il vaso.
Il
senso della questione era, comunque, lo stesso.
Apriti
o cielo!
Touma
si ritrovò fuori dalla stanza del ragazzo con una gomma tra i capelli e
la porta alle spalle da cui risuonò il chiaro 'thud' di un libro
scagliato contro il legno. Cosa fosse andato esattamente storto,
ancora, Tenku non riusciva a comprenderlo.
"Chiedere
è lecito, rispondere cortesia" borbottò tra sé e con aria un po'
impettita il ragazzo. "Quasi quasi non chiedo più ...".
Ed
ecco la terza porta. L'ultima e, forse, la più semplice.
Ryo
non l'avrebbe mai cacciato in malo modo come i suoi compagni così
carini avevano fatto.
Ryo,
in fondo, aveva il suo compagno di schermaglie in Shu: Touma riusciva
ancora ad ammansire il tigrotto o, al massimo, ad evitare
strategicamente gli sfoghi tipicamente leonini di Rekka. Tutto stava
nel cogliere l'odore dell'aria che tirava.
Fu
così che, con sua somma gioia, trovò uno spiraglio nella porta che
conduceva alla camera e si acquattò quindi a spiare: Ryo, seduto a
terra, era letteralmente assediato da pile di libri pericolosamente
pendenti. Una mano intenta a scribacchiare, l'altra tra i capelli -
che, più del solito, somigliavano a una strana zavorra nera - stava
mormorando tra sé formule di matematica e, nel frattempo, sfogliava una
grammatica di inglese.
Non
era un segreto il fatto che avesse qualche mancanza in, più o meno,
tutte le materie.
Per
Touma si prospettava un'intrigante sfida ai limiti della missione
umanitaria.
"Ryo!"
esclamò il ragazzo caracollando con troppa energia nella stanza, mentre
Rekka aveva appena evitato un pericoloso effetto domino con le pile di
testi attorno a sé. "Lascia fare a me! Non avrai più pile di cui
occuparti!".
"Touma...".
"Ti
posso assistere in tutto!".
"...
Touma...".
"Sarò
il tuo insegnante privato".
"TOUMA!".
L'esclamazione
di Rekka bloccò l'ondata di idee che lo stavano travolgendo, mentre la
bocca di Tenku andava chiudendosi, come al rallentatore.
"Touma...
grazie, ma... devo fare da solo".
Sembrava
sospirare tra una parola e l'altra. A dirla tutta, sembrava stesse
proprio controllando la propria pazienza.
"Ma
in due è meglio...".
"Touma,
tu mi confondi a volte...".
"Sarò
il più chiaro possibile!".
"Touma...".
Il
tono perentorio di Ryo mise fine allo sproloquio di Tenku che, con
l'ennesimo sospiro, si richiuse la porta alle spalle.
***
"Mi
hanno cacciato tutti...".
"Chissà
perché".
"Shin-chan,
io ho solo offerto il mio aiuto".
"A
tuo modo".
"Certo
che era a mio modo! Come lo offro il mio aiuto, altrimenti?".
"Dovresti
controllarti di più...".
"Ma
io mi controllo!".
"Non
abbastanza...".
Seduto
a braccia conserte al tavolo della cucina, Tenku guardò di sbieco Suiko
che, con fare tranquillo, si dava da fare da diversi giorni nella
cucina di casa, ormai suo incontrastato regno. Sembrava perennemente a
suo agio, tranquillo come un uccellino nel caldo del proprio nido, i
suoi movimenti che lasciavano tracce invisibili nell'aria che
sfioravano, creando come una reazione chimica: la cucina era il luogo
forse più famigliare, più accogliente, più... casa.
Effettivamente,
e Tenku non se ne era reso ancora conto, era il luogo della casa dove i
suoi nervi si distendevano con più facilità, dove si sentiva
abbracciato da qualcosa.
Ed
era, di conseguenza, anche il luogo che più lo irritava.
Assurdo?
Non
trattandosi di Hashiba Touma.
Troppi
anni passati a vivere da solo. Troppa libertà o, più semplicemente,
troppa solitudine. E alla solitudine è facile anche abituarsi... più
che altro, è facile adattarsi ai propri ritmi, ai propri desideri. E
dimenticare che, al mondo, non siamo tutti uguali. E non siamo soli.
Dopo
mesi trascorsi, non senza difficoltà, a stretto contatto con quattro
coetanei, una tigre, una ragazza e un bambino, Touma pareva aver fatto
il callo a certe situazioni. Poi però, il ritorno alla realtà di tutti
i giorni e tante, troppe cose di cui preoccuparsi e infine...
Ora
vivevano assieme. In maniera definitiva.
A
volte quella frase suonava agli occhi dell'arciere come una minaccia,
più che come la promessa di un nuovo futuro. E, cosa strana, non
l'avevano obbligato. In tacito accordo loro cinque avevano deciso
quella soluzione, come se non potesse essere altrimenti: non riuscivano
più a vedersi lontani gli uni dagli altri, non potevano.
Cosa
c'era che non andava, allora?
"Touma,
a cosa pensi?".
La
voce cullante di Shin lo riscosse dai suoi perenni rimugini su tutto e
tutti, perché la sua mente non si fermava mai. Nel bene e nel male,
come in quel momento.
"Prima
ti ho detto che ci riuscirò... ma non so...". Un sospiro e le braccia
di Touma si allungarono sul tavolo, così come la testa, scivolata sulla
tovaglia. "Io credevo che volessero il mio aiuto... ma mi sono
sbagliato".
"Tu
dici?" le mani esperte di Shin affondarono nell'impasto dolce di fronte
a lui, lavorandolo con decisione e impegno. "Tu sbagli spesso il modo,
Touma. Sei troppo diretto".
"Non
mi piace girare attorno alle cose. Sono un arciere in fondo... sono
addestrato a fare centro, non ad annusare il bersaglio".
La
frase destò un sorriso divertito in Suiko che sospirò, paziente.
"Anche
a costo di farti cacciare dalle loro stanze? Touma, devi andarci coi
piedi di piombo ora... devi pensare che è il loro futuro e da questo
esame, sì, per loro dipende molto. Essere assieme, qui, significa
comunque portare sulle nostre spalle delle responsabilità che esulano
dal nostro ruolo di samurai. E poi si tratta di sogni..." il capo di
Shin si chinò un momento a rimirare le piccole forme tondeggianti dei
futuri biscotti, prima di infornarle nel forno già caldo. "Devono
proteggere anche i loro di sogni. Così come io proteggo il mio".
Il
sorriso del ragazzo dell'acqua si distese davanti agli occhi
cocciutamente confusi del ragazzo del cielo: quando si aveva a che fare
con Touma, si aveva l'impressione, a volte, di dover prendere per mano
un bambino e spiegargli ogni cosa passo per passo, con cura e pazienza.
Con
Touma era più difficile solo perché era un bambino troppo cresciuto e
testardo ... più si cresceva più si peggiorava in certi atteggiamenti,
a meno di non addomesticarli.
"Proteggere
i vostri sogni?" chiese dubbioso l'altro ragazzo. Sogni, parlare di
sogni... sembrava così assurdo, così strano. Lui aveva sempre avuto
desideri, impegni, obiettivi. Ma... sogni?
Se
doveva parlare di sogni, allora ce n'era uno. E quello, per quanto
semplice, gli sembrava palesemente vergognoso. Tanto da non volerlo
confidare a nessuno di loro.
In
fondo, era stupido.
Però
era per quel sogno che quel pomeriggio aveva tentato l'impossibile
impresa di infilarsi tra loro e quegli ostacoli. Era perché il suo
sogno - stupido e infantile - si sarebbe potuto avverare solo nel
momento in cui gli avessero detto di sì.
Il
sì non era giunto, quindi il suo sogno, quel giorno, non si era potuto
avverare.
Era
snervante averlo tra le mani e non poterlo portare fino in fondo come
doveva essere.
Era
snervante e lo rendeva anche triste. Ma soprattutto era arrabbiato.
"Touma,
qual è il tuo sogno?".
Come
una ventata di aria gelida e calda assieme, giunse la voce di Shin a
scuoterlo dalle sue silenziose riflessioni: Touma alzò gli occhi verso
quelli del ragazzo, sostenendo per un attimo lo sguardo. Ma non durò
molto: tanto lo sapeva che Shin gli leggeva dentro piuttosto bene.
"Non
importa..." si scoprì a sussurrare, mentre sentiva lo sguardo
schiacciante di Shin su di sé. Quando faceva così era
insopportabilmente acuto.
"Touma...".
"Tanto
non importa...".
Sulla
nuca giunse una mano poco gentile a schiaffeggiarlo, un gemito di
dolore sfuggì a Tenku e poi fu la voce pericolosamente bassa di Suiko a
farsi sentire.
"Dovresti
smetterla di comportarti come se noi fossimo degli sconosciuti!".
"Ma
non lo siete!" inveì in risposta l'altro.
"E
allora piantala di comportarti come se lo fossimo. Invece di metterci
al corrente di sciocchezze, dovresti aprirti un po' di più..." il tono
severo si era fatto sempre più morbido, perché l'atteggiamento di Tenku
aveva troppo il netto sapore di tenero. Da schiaffi, ma comunque tenero.
"Da
che pulpito...".
Eccolo
il 'da schiaffi'.
"Comunque
lo faccio più di te".
Un
sospiro, l'ennesimo - Shin ne aveva perso il conto da un po' - di Touma
e lo sguardo che si spostava verso il giardino innevato, mentre la luce
diurna pian piano svaniva.
"Però
è stupido...".
"Quello
lascialo giudicare a me".
"Ma
è veramente infantile...".
"Lo
dici tu...".
"E'
davvero...".
"Touma!"
La
voce ferma e seria, gli occhi verdi che lo trafiggevano da parte a
parte.
Tenku
sapeva di essere in trappola, sapeva di essere messo all'angolo. Ed
ebbe paura. Ma non era più tipo da scappare, anche se non sapeva cosa
avrebbe dato per essere in qualsiasi altro posto. Tranne lì. D'istinto
si nascose il volto tra le braccia e lo bofonchiò fuori.
"Vi
voglio solo felici, ecco quanto".
"Touma..."
un sussurro dal compagno e il ragazzo si ritrovò subito a schernirsi,
come se ne avesse il bisogno fisico.
"Lo
so... te l'ho detto. È stupido. E poi tanto... se non riesco ad aiutare
almeno loro tre in quello che mi riesce meglio, allora che ci faccio?".
Il
qui finale, che tutt'altro valore dava alla frase, lo tenne per sé, ma
rimase a fluttuare sulle loro teste per un po': per Touma non aveva
senso, davvero, vivere senza far felici i suoi amici.
Era
davvero stupido pensare che vedere felici gli altri l'avrebbe reso
felice allo stesso modo?
Non
era mai stato uno dalle grandi richieste, dalle grandi aspettative...
quello che riceveva lo accoglieva a braccia aperte, ma non aveva mai
cercato nulla, non vi era mai stato un motivo per farlo.
Ora
era tutta un'altra storia. Ora aveva qualcuno per cui muovere la mente,
le mani e la bocca nella maniera migliore... il cuore c'era tutto,
quello non mancava mai. Ma non era abituato e, troppo spesso, dava le
direttive sbagliate al resto del corpo. Così aveva fallito tre volte
quella sera e il suo sogno si era afflosciato su se stesso, per
l'ennesima volta.
Era
snervante, ma anche tremendamente avvilente.
"Touma..."
Di
nuovo, nel suo silenzioso discorrere con se stesso, era giunta la voce
di Shin a far breccia in quel fosco garbuglio che erano i suoi peggiori
pensieri. E, dopo la voce, la sua mano sul braccio e il tenero
abbraccio nel quale fu trascinato dall'amico.
"Sei
proprio uno sciocco...".
"Ecco,
lo sapevo...".
"No
che non lo sai, Touma!" le braccia si artigliarono per un attimo alla
schiena dell'arciere. Il volto di Suiko si sollevò verso il compagno,
un'espressione sdegnata che poi si sciolse in qualcosa di tremendamente
da Shin. "Dovresti davvero parlare... sei uno sciocco se non lo fai.
Dovresti chiarire le tue intenzioni, perché...".
"Cambierebbe
qualcosa, dici?".
"Che
domanda... non sei solo tu a dover mirare con precisione, sai?" un
sospiro e gli occhi verdi si puntarono in quelli cobalto. "Devi dare
anche tu la possibilità agli altri di poter fare centro. Se non ti apri
con noi, finiamo sempre per scaraventare le nostre frecce troppo
lontano dal bersaglio. E questo non possiamo permettercelo".
"Ma
non era necessario saperlo..." il volto di Touma sembrò colorarsi di
rosso, mentre gli occhi vagavano disperati sui dintorni della cucina.
"Non è che... beh, cambi le cose".
"Certo
che le cambia, 250 QI dei miei stivali... per tutti noi tutto assume un
altro significato".
"Quindi,
i miei raid...".
"No,
Touma... ti prego" le mani di Shin salirono sulle spalle dell'amico.
"Cambia strategia".
"Ossia?".
"Non
essere diretto... passa per strade secondarie. Te lo devo dire io?".
"Shin,
quando fai così, sembri me...".
Questo
guadagnò a Touma un altro scappellotto sulla nuca.
"Allora
usa la testa formidabile che ti ritrovi. Ma non direttamente coi
ragazzi. Devi essere subdolo quando sono così".
"Subdolo?
Io non posso essere subdolo!".
Sulle
labbra di Shin si disegnò un ghignetto divertito.
"Tutto
è possibile, Touma... di necessità fai virtù".
"E
sarebbe?".
"Per
il momento..." e, accompagnandolo con movimento leggero ma deciso, lo
portò al di fuori della cucina, "lascia il mio campo libero, Touma. E
spremi quelle meningi, che la soluzione ce l'hai già davanti al naso".
E,
detto questo, Touma si ritrovò una porta chiusa in faccia. Ancora una
volta.
Ma,
stavolta, le ragioni erano diverse.
Si
voltò verso il soggiorno, incontrando la figura addormentata di
Byakuen, serenamente appallottolato su se stesso, il corpo che si
alzava e si abbassava ritmicamente, con profondi respiri. Tenku gli si
avvicinò silenzioso, acquattandosi vicino e mettendosi ad osservarlo
con aria intenta: il grande felino si comportava esattamente come un
gattino, a suo agio ovunque, come se fosse proprietario di ogni cosa,
come se quella casa fosse la sua tana protetta e protettrice.
"Ne,
Byakuen..." una mano andò a stuzzicare le orecchie e gli occhi del
felino si aprirono quasi subito, disturbati da quel tocco così
volutamente dispettoso. "Cosa faresti tu? Là dentro non vogliono
nessuno... però sono in alto mare...".
La
tigre sbadigliò profondamente, scuotendo il capo, mentre i grandi occhi
marroni raggiungevano, con lo sguardo, quelli del ragazzo: perdere la
bussola in una casa così piccola, sembrava buffo, ma non era così
difficile. Non vedere con chiarezza quando le soluzioni erano a portata
di zampa era la più classica delle classiche situazioni.
Mosse
il grande muso verso il ragazzo, sbadigliò un poco, si strusciò contro
di lui e si alzò in piedi, stiracchiando le grosse zampe con eleganza.
Poi si sedette, voltò il muso verso il ragazzo - che, in silenzio, lo
stava osservando - e prese a salire le scale con calcolata flemma.
Touma lo guardò, mentre entrava nella stanza sua e di Seiji, sospirò
confuso e si lasciò andare a terra, accanto al kotatsu ancora spento:
gettò braccia e viso sulla sua superficie, mordendosi distrattamente le
labbra.
Ora
che aveva esternato le sue paure, che si erano trasformate in parole
reali, tangibili... fluttuanti nell'aria, sopra la sua testa, tutto
attorno... come se fossero in grado di mostrarsi agli altri... si sentì
tremendamente infantile e stupido.
Perché
le aveva pronunciate e perché le aveva tenute nascoste a tutti. Perché
si vergognava e perché la sua bocca si era arresa all'insistenza di
Shin. Perché faceva ancora un'accidente di fatica a dire ciò che
sentiva veramente... e perché, beh...
In
fondo, temeva che non riuscire a far nulla per i suoi amici l'avrebbe
reso un po' un peso... in una casa tutti davano una mano, tutti a modo
loro. E lui era capace in quello. Non c'era molto altro che era in
grado di fare... era una frana in tutto - e anche un gran pigro, se per
quello, ma era un'altra questione - e ciò in cui riusciva meglio,
beh... non gli riusciva.
Si
sentiva inutile. E kami-sama solo sapeva quanto detestasse quel senso
di inutilità.
Lui
doveva fare qualcosa. Lo voleva testardamente fare, ad ogni costo. Ma
non gli era permesso. Le libertà di un tempo erano incatenate dalle
volontà altrui, come spesso si era ritrovato a scoprire vivendo con i
ragazzi. Ma poteva essere un bene, quando qualcosa, qua e là, riusciva
a fare. Così, proprio...
"Sono
loro d'intralcio e inutile per l'uso pratico... che accidenti
faccio?"si ritrovò a mormorare, prima di sobbalzare al contatto di una
sua mano con qualcosa di freddo e umido.
"Byakuen?!".
Gli
occhi cobalto si spalancarono confusi sul muso del felino che, con aria
tranquilla e compassata, teneva in bocca qualcosa di familiare: Touma
allungò una mano, afferrò la tracolla e si ritrovò la pesante borsa di
scuola che aveva abbandonato in camera solo un paio di settimane prima,
quando le lezioni si erano interrotte proprio per quei maledettissimi
esami. Era ancora l'anno scorso, tecnicamente. Comunque, da allora, non
aveva più rimesso mano a quei testi. A dirla tutta, l'esame che doveva
affrontare non era particolarmente impegnativo, non per la facoltà che
aveva scelto.
Touma
tornò a guardare il felino che, con l'aria di chi la sa lunga, lo
osservava intento.
"Vuoi
che mi metta a studiare anche io? Lettere non è così difficile, sai?".
Il
felino parve alzare gli occhi al cielo, poi lo sbuffo fu ben più chiaro.
"Faccio
perdere la pazienza anche a te, vero?".
A
quel punto, il naso di Byakuen si mosse ancora sulla sua mano, stavolta
strofinandovisi sopra e leccandogliela teneramente.
Senza
una parola, l'altra mano corse alla borsa, aprendola e afferrando la
prima cosa che incontrò - la mente si era persa nei propri pensieri,
mentre gli occhi si perdevano ad osservare i movimenti rilassati della
tigre che, come se nulla fosse, era tornata ad acciambellarsi accanto a
lui con la stessa flemma e la stessa tranquillità con cui era andata a
recuperare la borsa di scuola.
Con
un sospiro, Touma tornò a degnare la carta stampata della sua
attenzione, un grosso tomo di matematica fra le mani.
"Chissà
cos'è che sfugge a Seiji... non avrei mai detto che la matematica fosse
il suo peggior incubo... in fondo..." sfogliò il volume con noia
compassata, mentre i capitoli dell'ultimo anno scorrevano tra le
pagine. "...la trigonometria, una volta afferrato il concetto delle
ellissi, è piuttosto semplice e...".
Il
'click', stavolta immaginario, penetrò la sua mente come un raggio di
luce nella nebbia di ciò che non poteva essere altro che stupidità:
Touma si passò una mano tra i capelli, sospirando esasperato dalla
propria mancanza di sesto senso. O forse era solo buon senso.
Riafferrò
la borsa e ne vuotò l'intero contenuto sul tavolo, attirando la
curiosità del felino che alzò a livello del kotatsu il naso e gli
occhi: penne, gomme, cartucce e un paio di libri... fogli, foglietti...
riviste scientifiche e anche un manga. La sua borsa, in fondo,
rispecchiava anche la sua mente.
"Accidenti...
ho solo matematica e biologia qui..."
Si
alzò in maniera affrettata e corse verso le scale che salì in fretta e
furia, rischiando di scivolare bellamente sugli scalini perfettamente
lisci. Lo studio in fondo al corridoio era stata la richiesta
spassionata che aveva fatto, rinunciando al soffitto stellato in camera
e ad altre amenità che non stava a contare, ora: la stanza - orientata
a ovest, l'unica finestra che faceva penetrare nel tardo pomeriggio la
luce del tramonto - era rivestita in maniera totale da una libreria in
betulla che si alzava fino all'alto soffitto e che ospitava volumi di
dimensioni e contenuti disparati. Touma l'aveva organizzata per tutti,
mescolando i volumi di ognuno con i volumi di tutti gli altri,
affermando che, oramai, certe divisioni non avevano più senso.
Touma
spalancò la porta, richiudendosela alle spalle e accogliendo nello
sguardo la totalità della collezione: sull'estrema sinistra della
libreria, negli ultimi due scaffali, stavano i loro testi scolastici o,
almeno, quello che rimaneva dalla razziata fatta dai tre 'disperati
scolari': in pratica c'erano solo i suoi testi e quelli universitari di
Shin, che spiccavano per il volume che le pagine presentavano. Il
ragazzo si chinò a prendere un formulario di matematica e fisica e lo
sfogliò distrattamente, scartandolo subito. Fece lo stesso con un
volume di storia contemporanea e ripose anche quello al suo posto,
un'espressione crucciata sul viso.
"Non
c'è molto tempo... e non posso certo perdermi a riguardarmi tutta
questa roba...e poi ho bisogno di linee guida...".
Giunse
al centro della stanza, dove regnava una grande scrivania su cui
poggiava un computer, e si lasciò cadere su una delle sedie presenti,
gli occhi puntati all'esterno della finestra, una mano tra i capelli e
l'altra a tormentarsi il mento.
Organizzare
tre sedute di studio non era impresa facile neanche per lui, pur avendo
conoscenze riguardanti gli esami da affrontare, le richieste e,
ovviamente, i programmi svolti. Tuttavia... Seiji aveva carenze nella
trigonometria anche del secondo anno, per non parlare degli integrali
su cui spesso gli esami della facoltà da lui scelta vertevano. Doveva
sistemare anche quell'argomento e doveva essere il più chiaro
possibile... Seiji era testardo, ma spesso quello su cui si
intestardiva finiva per non entrargli più in testa - matematica e
fisica, per esempio. Fortuna che nella prova almeno la fisica era
esclusa.
Il
sistema scolastico, a volte, era strano: Seiji aveva scelto Storia del
Giappone e, da che mondo è mondo, la trigonometria non rientrava in
tali studi. Toccava quindi a Touma risolvere quell'intoppo.
"Almeno
passerà senza inciampi e se anche non dovesse..." la sua voce si
spense, mentre pensava alla reazione che il samurai della Luce avrebbe
potuto avere a un fallimento simile.
Seiji
era stato chiaro a proposito... non era stato semplice strappare alla
propria famiglia il permesso di scendere a Tokyo e viverci e studiarci
a tempo indeterminato.
Loro
vogliono il massimo e io darò loro il massimo. Non che pretenda meno da
me stesso...
Parole
testuali sue, dette con quella serietà che tanto lo differenziava dallo
stesso Touma: a volte pensava che fossero su due pianeti differenti
date le volte che finivano un po' per cozzare. Una vita vissuta con
rettitudine e l'altra con fin troppo laissez-faire. Agli antipodi,
eppure... beh, perché mai avrebbero deciso di dividere, ancora una
volta la stanza?
In
fondo, sapeva che gli ordini di Seiji riguardo il suo stile di vita un
po' bohemien e le sveglie assurde erano rigide e assurdamente
perentorie. E sapeva che i suoi rimproveri sull'ordine e sulla serietà
erano, in fondo, dettati da preoccupazione...
Però,
d'altro canto, sapeva anche che Seiji senza di lui si sarebbe sentito
un po' perso: chi altrimenti poteva duettare con lui in certi scontri
dialettici? Chi riusciva a sopportare la sua saccenza e la malcelata
ironia con tutta quella flemma? E poi chi era che aveva coniato il suo
nomignolo 'piccolo panda'? E quando lo usava... beh... c'era qualcosa
di inesplicabilmente caldo e piacevole che lo avvolgeva.
Non
poteva farne a meno. Ecco quanto. Era dipendenza? Senso di possesso,
desiderio, bisogno?
Forse
era tutto... tutto assieme, tutto un po'...
Forse
era semplicemente un legame, il legame.
Sentì
una strana ondata di panico attraversarlo e il suo sguardo andò ai
libri di scuola e, sotto gli occhi instancabili, giunse il grande tomo
di letteratura giapponese e il pensiero volò a Shu.
Scimmietta
Shu.
Il
sorridente e vivace Shu, la forza della natura quasi incontenibile che
viveva da due settimane tra quattro pareti di un'infernale stanza. E
che si era trasformato nell'ombra di se stesso. Povero Shin, la sua
scimmietta sequestrata dalla scuola... per avere in cambio un gorilla
scorbutico che faticava a staccare gli occhi dalla carta, tanta era la
preoccupazione per l'esame: altra assurdità del sistema scolastico...
letteratura giapponese per la facoltà di informatica. Come se non fosse
bastata quella fatta a scuola.
E,
per quanto eccezionalmente dotato nel campo dell'informatica, Shu non
brillava altrettanto bene nelle materie umanistiche - al contrario suo
e di Seiji. La letteratura dell'ultimo anno, Mishima e Oe in primis,
erano le sue bestie nere... su Mishima non poteva biasimarlo, Touma si
dilettava di più con Soseki o Hearn, ma Oe, per quanto drammatico era,
dal punto di vista moderno, molto intrigante e introspettivo - senza
però cadere nel patetismo di certi scritti di Mishima.
Touma
si ritrovò a sospirare: con Shu poteva ritrovarsi il lavoro
apparentemente più semplice ma effettivamente complicato. Kongo lo
accusava spesso di essere un confusionario dell'ultim'ora, che quando
si ritrovava a spiegare qualcosa avrebbe desiderato materializzare tra
le mani un dizionario Touma-giapponese: la verità era che la confusione
della sua mente era data solo ed esclusivamente dalla piccola tendenza
a esplicare con diversi (troppi) livelli di lettura e, soprattutto, con
riferimenti interdisciplinari non richiesti (e dispersivi).
Così
se cominciava a parlare di Soseki, non si sa come, dopo cinque minuti
era dall'altra parte del mondo con Shakespeare, oppure nella guerra
sino-giapponese o, ancora peggio, in teorie di fisica di Einstein.
Mente
dai mille cassetti. Così a Touma piaceva chiamare la propria estremità
razionale.
Il
casino era il termine che più piaceva a Shu. Forse non poteva
biasimarlo. Anche Shin gli ribadiva il concetto e Ryo finiva per
sghignazzare ogni volta che perdeva il filo del discorso e si ritrovava
con collegamenti fuori da ogni logica.
Se
un giorno diventerò capo della mia famiglia, voglio assolutamente
dimostrare loro che posso disegnarmi un destino completamente nuovo.
Voglio che tutto ciò possa renderli fieri di me... voglio che le mie
spalle possano diventare abbastanza forti da poter sorreggere ogni
prova che verrà posta sulla mia strada.
Quando
si parlava di sogni, forse Shu era il più sfacciato nel parlarne... non
aveva problemi, paure... non aveva alcun freno, alcuna vergogna. I suoi
sogni erano sulla sua bocca e poi veleggiavano sul capo di tutti in
maniera definitiva... lui era i suoi sogni, perché com'era lui aperto e
raggiante, così i suoi sogni brillavano di luce intensa che illuminava
ogni cosa.
Era,
così, anche il suo contrario... finché si trattava di cose leggere,
entrambi le esternavano, anche se in maniera diversa: lui con mordace
ironia, Shu con un'ingenuità carica di ottimismo.
Ma
le cose importanti erano ben altro.
Shu
conosceva così bene se stesso e i propri sentimenti e non provava mai
paura di fronte ad essi. Touma, al contrario, pur conoscendosi, usava
ancora dei meccanismi di autodifesa che non avevano decisamente molto
senso, dopo tutto quello che loro cinque avevano provato. Come Nasty un
giorno aveva detto, il loro era un legame che andava oltre il sangue...
era qualcosa che li legava a livello di cuore, quindi...
Mentire
alle persone con le quali condividevi il cuore, beh... non era un
controsenso?
Per
questo a volte cozzavano... più che altro perché Shu non concepiva la
sua chiusura. Non con loro. E non concepiva molto quando la paura gli
faceva fare le cose peggiori, con i suoi amici poi.
Quando
fai così non sei affatto carino.
Questo
gli diceva, ogni volta. E quella frase lo scombussolava sempre. Perché
lo faceva arrabbiare, perché lo trattava come un bambino (anche se si
era appena comportato come un bambino). Perché era strano sentirsi dire
un 'non sei carino' quando si sarebbe aspettato una sfuriata o altro.
Shu
se ne usciva sempre con quella.
Come
se, normalmente (ossia quando non faceva l'arrogantello, bastardo o
viziato) Shu lo vedesse come 'carino'.
Ma
lui non si considerava 'carino'. Neanche quando non faceva lo
spocchioso o l'arrogante. O, semplicemente, l'asociale bisbetico.
Scosse
la testa un'altra volta, sospirando irritato. Andava sempre a parare in
un luogo del suo cuore che lo punzecchiava fin nel profondo.
"Ryo,
c'è Ryo che... è un po'... un problema...".
E
la sua mente si spostò sul più urgente casino... il programma di,
praticamente, tutto.
Una
mole simile di lavoro, sull'ansioso Ryo, era la peggiore delle
situazioni possibili: mancava quasi totalmente di organizzazione -
ripassare matematica con giapponese o biologia assieme a tecnica era
come mischiare l'acqua con l'olio: finiva per risultare un putiferio e
una matassa di concetti privi di capo e coda. Avrebbe rischiato di
mischiare le risposte anche sul test, con quell'assurdo metodo di
studio: privo di una mente a cassetti, il suo cervello era come una
grossa scrivania su cui erano gettati i volumi alla rinfusa, senza
ordine logico. Peccato che, quando i concetti servivano, si dovesse
andare a cercare la risposta in quel putiferio: come trovare un ago in
un pagliaio.
Chiarezza,
doveva essere chiaro con lui. Pochi concetti, ma fondamentali e
distinti gli uni dagli altri. Non che aver compreso cosa fare gli
indicasse la strada per farlo, però...
Ryo
aveva detto a tutti loro che non si sarebbero dovuti preoccupare, che
se la sarebbe cavata da solo: in fondo, la facoltà di zoologia se l'era
scelta lui, la decisione di venire a vivere assieme era stata tutta sua
e, sempre solo - anche se con Byakuen al suo fianco - aveva compiuto il
trasferimento di ogni suo avere alla nuova casa. Senza chiedere aiuto a
nessuno.
Ryo
era così... era indipendente, più di tutti loro messi assieme ma, a
volte, agiva senza chiedere a nessuno, tanto era abituato ad essere da
solo. Da quel punto di vista, Touma gli somigliava: certo, i pranzi e
le cene erano consumati assieme attorno al tavolo, ora, e l'egoismo era
un po' sparito dai suoi modi di fare. Però era dura perdere certe
abitudini, ricordarsi di non essere l'unico in casa e anche chiedere
consigli, aiuti, opinioni.
Ryo
gli somigliava ma si distingueva per un tratto apparentemente assurdo:
Touma dimostrava molto spesso un carattere capriccioso che, bene o
male, lo metteva in un rapporto di scambi coi ragazzi - beccandosi
anche epiteti poco carini o strigliate non richieste. Però Touma, dalla
sua, aveva imparato a chiedere.
Il
mio solo pensiero siete voi. I miei desideri sono importanti fino a un
certo punto... se voi state bene io sono tranquillo. Al centro del mio
mondo ci siete voi, in tutto e per tutto.
Era
un pensiero positivo, di grande sacrificio. Ma era anche terribilmente
stupido. Loro erano il suo centro... e lui? Certo che lui era al centro
dei loro pensieri... tutti erano al centro dei pensieri di tutti... ma
questo non andava a discapito di se stessi.
Ryo
dava tutto, faceva tutto, s'impegnava tutto. Ma non chiedeva mai.
Capiva
Seiji che era testardo. Comprendeva Shu che era volitivo. Ma non
comprendeva la fissazione di Ryo: era colui che aveva bisogno più di
aiuto ed era quello che nascondeva il proprio bisogno dietro la sua
totale e pura istintiva forza di sopravvivenza. Come se vivessero in
una giungla.
Lui,
il leader ansioso e appassionato, avrebbe dovuto fare da capobranco...
ma, in realtà, era un cucciolo come loro che essi riconoscevano come
compagno, prima di tutto, come guida poi. E come compagno ti volevi
preoccupare del suo stato, fisico e mentale: metterlo al centro era
naturale... ancora più naturale carpirne i suoi bisogni. Ma, a volte, i
bisogni non erano così chiari. A volte dovevi scavare e, a volte, la
mente altrui non era così pronta ad essere esplorata.
"Baka
Ryo... zuccone...".
Touma
fece scivolare rumorosamente la sedia sul pavimento, si alzò in piedi e
andò a frugare in uno dei cinque cassetti che sottostavano la finestra
della camera: lo richiuse poco dopo, un blocco di appunti, una penna e
diversi evidenziatori in mano. Tornò a sedersi, tirando un lungo
sospiro, poggiò il blocco davanti a sé, fece scattare il meccanismo
della penna e la picchiettò contro le labbra, rimestando i pensieri e i
concetti che ronzavano ora freneticamente in quella testolina che,
secondo lui, aveva il solo merito di lavorare un po' più velocemente
delle altre.
Scrisse
'Seiji' sul primo foglio, ne prese un altro, scrivendo 'Shu' e sul
terzo fu il nome di Ryo a comparire: dopo di che, la mano cominciò a
muoversi da sola, completamente sotto il controllo della mente che,
come al suo solito, l'aveva isolato totalmente dal mondo esterno.
Probabilmente
era più difficile pensare a ciò che serviva, che a ciò che mente e
istinto dettavano direttamente al suo cuore: li conosceva così bene,
nei punti di forza e nelle debolezze, nei lati di carattere più
piacevoli e in quelli meno, in tutte quelle piccole cose che smuovevano
la sua mente a pensare intensamente a uno di loro quattro, soprattutto
in quei giorni.
Quel
corrugare le sopracciglia e mordersi il labbro che mettevano così
apertamente allo scoperto Seiji.
Gli
epiteti poco carini che uscivano dalla bocca di Shu quando rimaneva da
solo e il modo in cui la mano sorreggeva il suo viso quando nient'altro
sembrava poterne sopportare il greve peso della stanchezza.
I
passi nervosi e irregolari di Ryo che calpestavano con insofferenza
ogni centimetro quadrato della sua camera, mentre il capo si arruffava
e la pazienza sembrava prendere il volo per altri nidi.
E
la quiete apparentemente impassibile di Shin che, più di tutti loro
cercava, con il suo collante fatto di tenerezze e continui e calmi
pensieri, di mantenere quella casa come nido d'amore e di calore, il
luogo perfetto per una vita fatta di sacrifici scolastici insomma.
Biscotti, carezze, pazienza. Tanta pazienza.
La
penna scorreva veloce, a volte alternata a un evidenziatore, mentre il
biancore dei fogli si riempiva di formule, di schemi, di chiarezza e
risoluzione. Non era difficile se si sapeva come fare... una volta
afferrato il metodo, la strada diveniva dritta e in discesa, le
preoccupazioni alle spalle di tutto e tutti.
Tutto
stava nell'indicare la giusta via per farlo.
La
mano scrittrice si fermò a mezz'aria, mentre gli occhi del ragazzo
vagarono verso l'esterno: il vento sembrava essersi alzato oltre la
finestra, mentre la neve fluttuava in piccoli mulinelli ricadendo
scomposta a terra.
"Indicare..."
mormorò tra sé, mentre uno strano sorriso gli sorgeva sulle labbra,
quasi indeciso.
Chi
altri se non lui poteva indicare la giusta e retta via per l'esame
(quasi) perfetto? La sua penna poteva diventare potente quanto il suo
arco, forse ancora più precisa: la consapevolezza che sarebbe giunto
dove voleva, gli fece esternare un ennesimo sospiro. Stavolta di
soddisfazione.
Sentiva
chiaramente di essere sulla strada giusta, che non vi sarebbero stati
tentennamenti o dubbi sul da farsi, che non avrebbe dovuto ripensare a
strategie o a modi particolari per arrivare 'fisicamente' a loro.
Avrebbe lasciato che fossero quei semplici fogli a farlo, come diceva
il detto: carta canta. O una cosa simile. Se non era bravo a parole,
poteva esserlo almeno nella parola scritta... detto o fatto che fosse.
Si
immerse talmente tanto in quel lavoro che, quando Shin entrò nella
stanza, un'oretta più tardi, poco mancò che saltasse per lo spavento
sulla propria sedia: velocemente, con un gesto furtivo, nascose i fogli
all'interno della manica del maglione, ripiegati su se stessi come
documenti della massima segretezza.