- CAPITOLO
5 -
La
sera invernale stava precocemente scendendo su Tokyo, ancora corteggiata
da
fiocchi di neve danzanti nel vento.
Seiji
chiuse il libro di matematica, rinunciando ad ogni ulteriore
approfondimento;
il giorno dopo ci sarebbero stati gli esami e ormai era
inutile
pretendere di imparare ancora qualcosa. Era convinto di aver
compiuto
grandi passi in avanti tuttavia e il suo sguardo, abbandonandosi ad
uno
dei rari sorrisi, si posò sul gruppetto di fogli che erano stati la sua
salvezza:
Touma aveva trovato la chiave giusta per chiarire, grazie a quegli
appunti,
tutti i suoi dubbi... o quasi... aveva fugato, in gran parte, la
confusione
dalla sua mente.
"Non
sarò mai un genio della matematica" pensò. "Ma almeno, il mio piccolo
panda
ha fatto in modo che io possa arrivare preparato all'esame".
Scostò
la sedia dalla scrivania e si alzò, stirando le membra anchilosate a
causa
della forzata immobilità. E Seiji sapeva come ordinare al proprio
corpo
un'immobilità innaturale, un'esperienza forgiata in anni di
meditazione
e addestramento spirituale, sapeva come ignorare le proteste
degli
arti che imploravano di muoversi. E, quando la mente immersa in se
stessa
tornava al mondo materiale, con gambe e braccia doloranti doveva fare
i
conti.
Ma
che importava? Erano ben altri i problemi e le priorità.
Con
le mani sulle anche, passeggiò fino alla finestra; fuori sembrava già
regnare
la tenebra, le giornate invernali sapevano essere tremendamente
corte.
Anche nel suo Sendai era così, senza contare che, lassù, l'inverno
giungeva
pure prima.
Scrutò
fuori con attenzione: lì, all'estrema periferia di Tokyo, non vi
erano
molte luci accese. In qualche modo, quel buio freddo e nevoso lo
rendeva
malinconico. O, forse, era la sua coscienza a renderlo tale?
Adesso
che il fervore dello studio si era calmato, la consapevolezza delle
proprie
mancanze si faceva più acuta e dolorosa. Proprio perché aveva
imparato
a dialogare con il proprio cuore con sincerità e chiarezza assolute
sapeva
diventare ancor più critico verso se stesso, sapeva riconoscere
quando
sbagliava, la qual cosa rendeva ancor più opprimente i sensi di colpa
Non
gli era neanche così difficile cogliere la base del problema: era vero,
aveva
imparato a dialogare apertamente con il proprio cuore, ad essere
sincero
con se stesso, fino a risultare analitico nel vivisezionare ogni
sfumatura
della propria anima. Ma non aveva imparato a compiere una simile
analisi
con i cuori degli altri.
Nonostante
la propria considerazione e sensibilità nei confronti del
prossimo
si fossero sviluppate negli anni, spesso, senza rendersene conto,
finiva
per concentrarsi su se stesso, lottando giorno per giorno al fine di
perfezionarsi.
Ma
perché questo perfezionamento potesse incrementarsi davvero, non era
forse
necessario aprirsi maggiormente agli altri, soprattutto a coloro che
quel
suo cuore lo colmavano a tal punto da farlo stringere, da tenerlo
intrappolato
in una morsa che lo conduceva, a volte, alle lacrime? Quella
morsa
che era, tuttavia, una tanto dolce prigionia?
Solo
in quel momento si accorse come gli occhi bruciassero... eccole le
lacrime
che lo coglievano sempre più impreparato, sempre meno disposto ad
arginarle.
Senso
di colpa, unito ad un affetto... no... era più sensato e sincero
definirlo
amore... un amore tale che sapeva far male in maniera
insopportabile...
ma del quale non si poteva più fare a meno dopo averlo
provato.
Da
giorni, a stento incrociava Ryo e Shu che, come lui, uscivano dalle loro
stanze
a malapena per i pasti. Korin, d'altronde, usciva anche meno, da
quanto
non faceva pasti regolari?
In
quanto a Shin e a Touma, come li aveva trattati in quei giorni?
Si
erano prodigati per i tre reclusi, l'uno portando avanti
l'organizzazione
domestica,
nonostante gli impegni universitari, l'altro dando tutto se
stesso,
rinunciando persino al suo sacro sonno, per rendere loro abbordabili
le
materie più ostiche. Non si erano risparmiati, nessuna recriminazione
era
mai
sfuggita alle loro labbra, nonostante fossero circondati da tre belve
intrattabili.
In
cambio avevano ottenuto gli scatti d'ira di Shu, le ansie paranoiche di
Ryo...
"E
il mio antipatico distacco" sospirò.
Si
portò una mano agli occhi, poi a una guancia e la trovò bagnata. Sì,
forse,
dopotutto, la sua sensibilità si era accresciuta, benché avesse
ancora
tanta strada da fare. In fondo, il percorso lungo la via del
perfezionamento
non si arresta mai.
Ed
i suoi nervi erano particolarmente tesi a giudicare dal modo in cui
sobbalzò
quando alcuni colpetti risuonarono contro la porta.
Ancor
prima che potesse riacquisire il completo controllo di sé per
formulare
una risposta, la porta si aprì e il visetto sorridente, un po'
sbruffone
di Touma, fece capolino:
"Mi
è concesso mettere piede in quella che è anche camera mia?".
"Non
mi sembra di avertelo mai impedito".
Seiji
rispose ricambiando il sorriso e tanto bastò per rendere ancor più
raggiante
quello di Tenku.
"Sai
com'è, con un drago inferocito come custode pronto a scattare ad ogni
minima
turbolenza, queste mura non erano proprio... rilassanti...".
Il
sorriso di Korin si mutò in risatina:
"Dai,
smettila di dire scemenze ed entra".
Tenku
avanzò nella stanza ma, quando poté guardare il volto di Korin più da
vicino,
il suo sorriso si spense:
"Stai
male?".
"Perché?"
ribatté Seiji, un po' sulla difensiva.
"Hai
gli occhi lucidi e il viso arrossato".
"Solo
stanchezza...".
Sapeva
che non avrebbe facilmente ingannato Touma, ma questi sembrò non
voler
infierire e rispettò la sua riservatezza, rispolverando la propria
ironia,
indirizzata tanto spesso a voler rasserenare, anche se non sempre la
sapeva
gestire.
"A
dir la verità, ti cercavo Seiji, perché sei l'unico che sta ancora
facendo
l'asociale; siamo tutti giù per prenderci un tè assieme sotto al
kotatsu".
"Un
tè? Ma che ore sono?".
"Sono
passate da poco le cinque del pomeriggio".
Seiji
lanciò un'occhiata fuori dalla finestra:
"Con
questo buio ero convinto fosse piuttosto ora di cena".
Touma
gli arruffò i capelli, pur sapendo quanto quel gesto lo infastidisse:
"Eri
così concentrato che hai perso la cognizione del tempo".
Seiji
sbuffò, ma rinunciò a protestare più vivacemente, in fondo lui stesso
era
stato il primo a maltrattare i propri capelli: era già tanto se se li
pettinava
appena alzato e ricordava di lavarli ogni tanto. Decisamente,
quegli
esami rischiavano di essere la sua rovina.
"E
adesso, perché ridi?".
Stava
ridendo?
Oh,
certo, di se stesso... aveva imparato a fare anche quello.
L'ironia
era una gran cosa se ben usata, proprio Touma glielo aveva
insegnato...
ma l'autoironia era ancora meglio... e anche questo l'aveva
imparato
grazie al piccolo panda. L'autoironia poteva riconciliare con il
mondo.
Accentuò
la risata e prese Touma a braccetto, trascinandoselo dietro.
"Andiamo
dagli altri, prima che ci considerino asociali entrambi".
Seduti
al kotatsu trovarono solo Shu e Ryo, il primo che lottava
evidentemente
contro il sonno, l'altro che rovistava, facendole passare
senza
risoluzione, tra le carte che Seiji riconobbe come come gli appunti
vergati
da Touma. Sorrise e trattenne a stento un'ondata di ilarità più
plateale:
l'impresa di Touma doveva essersi rivelata, con Ryo, decisamente
proibitiva.
Il loro leader che, con tanta efficacia, li guidava e sosteneva
in
battaglia, era un caso disperato in molte faccende quotidiane, tra le
quali
rientrava, in particolar modo, lo studio e, per quanto utili, gli
appunti
di Touma non potevano contenere la miracolosa materializzazione di
un
metodo.
Seiji
provò un impeto di tenerezza pensando all'impresa titanica che il suo
piccolo
panda aveva di sicuro affrontato al fine di facilitare la vita a Ryo
e
la tenerezza si fece insostenibile quando lo vide avvicinarsi a Rekka,
con
un
sorriso condiscendente ed infilare le gambe sotto al kotatsu mentre si
sedeva
su un cuscino.
Poi
Tenku fermò, con un gesto deciso, le mani nervose di Rekka che
rigiravano
disordinatamente i fogli:
"Una
cosa per volta, micetto; in questo modo crei solo confusione, tra gli
appunti
e soprattutto nella tua testa".
Ryo
chinò il capo, mortificato, con un sospiro di sconforto e una piccola
smorfia
infelice:
"Per
la mia testa è troppo tardi temo... domani mi faranno una domanda di
storia
e risponderò con un teorema di matematica, andrà a finire così, me lo
sento".
Di
fronte a quell'autocritica pronunciata con tono infantile e
piagnucolante
Seiji
si portò una mano alle labbra, quasi incapace di resistere alla
tentazione
di correre ad abbracciarlo. Touma si grattò la nuca, il
nervosismo
di Ryo sembrava contagiarlo un po', probabilmente perché lo
stesso
Tenku era consapevole che i timori del loro capo non erano così
infondati.
Byakuen,
accucciato accanto al suo cucciolo, mosse le orecchie e gli rivolse
uno
sguardo che sembrava voler dire:
"Potessi
sostenere questi esami al posto tuo e liberarti da questo cruccio,
non
esiterei a farlo, ko-Ryo".
Nel
corso di tutto lo svolgersi della scena Shu, che in momenti normali non
avrebbe
risparmiato una frecciata o, comunque, non avrebbe rinunciato a dire
la
sua, era rimasto con il capo chino abbandonato sulle braccia, gli occhi
semichiusi;
Seiji si avvicinò e gli agitò una mano davanti al viso:
"Sei
tra noi, scimmietta?".
Gli
rispose un vago borbottio, il cui senso si rivelò indecifrabile.
"Dov'è
Shin?" domandò ancora Korin, convinto che l'argomento avrebbe
acutizzato
l'attenzione di Shu. Invece Kongo rimase del tutto immobile e all
apparenza
indifferente.
"Sono
in cucina Seiji, ora arrivo!".
E
dove poteva mai essere, altrimenti, il premuroso Suiko, se non a
preparare
lo
spuntino pomeridiano per tutti?
L'istinto
guidò i passi di Seiji fino a lui e lo trovò indaffarato a versare
il
tè nelle tazze; quando percepì la sua presenza, Shin sollevò il capo e
gli
sorrise. Seiji ricambiò il sorriso, ma poi si preoccupò nel notare gli
occhi
lucidi e il viso un po' sofferente del compagno.
"Shin,
stai male? Non hai un bell'aspetto".
Il
giovane Mori scosse il capo, rassicurante:
"E'
solo raffreddore, durante l'inverno mi viene facilmente".
Seiji
si accostò e gli posò una mano sulla fronte, ignorando il tentativo
dell'altro
di ritrarsi; forse scottava un poco? Le sue mani erano fredde e
questo
poteva falsare la percezione della temperatura di Shin.
"Sei
sicuro di non avere la febbre?".
"Ma...
ma certo" si schernì Suiko, in preda all'imbarazzo. Aveva posato la
teiera
per non rischiare di rovesciarne il contenuto in seguito al contatto
imposto
da Korin; quando fece per riprenderla, il samurai della luce lo
prevenne:
"Vai
a sederti al caldo, qui finisco io".
"No...
davvero... sto bene!".
Korin
sollevò su di lui uno sguardo gentile ma fermo:
"Non
te lo chiedevo pesciolino, era un ordine, se decido una cosa non voglio
essere
contraddetto".
Shin
sbatté le palpebre e strinse le labbra in una buffa smorfia di
sconcerto
e timore reverenziale che intenerì profondamente Korin, come poco
prima
gli era accaduto con Ryo. Non se ne stupiva più, in fondo gli accadeva
tanto
spesso ormai, con tutti i suoi compagni, a turno: i sentimenti nei
loro
confronti si alternavano e rincorrevano in un turbine senza freno... e
la
tenerezza... quella non mancava mai. A turno, almeno una volta al
giorno,
compivano
un gesto, pronunciavano una parola, assumevano un'espressione tale
da
provocare al suo cuore una reazione incontrollata... un balzo più forte,
una
stretta... o la sensazione che si fermasse, troppo avvinto in quell
abbraccio
soffocante generato dall'amore. E niente di tutto questo, ormai,
gli
pesava più.
Non
poté impedirsi di tornare a sorridergli e di sfiorargli una guancia con
una
carezza:
"Sul
serio, Shin, lascia che mi renda utile in qualcosa, non siamo bambini
da
accudire, tu ci vizi troppo".
Il
samurai dell'acqua chinò il capo, un umile sorriso ad addolcire ancora
di
più
i suoi lineamenti gentili:
"Se
mi pesasse, non lo farei".
"Lo
so" ribatté Seiji arruffandogli la chioma fulva "Ma abbiamo qualche
lezione
da imparare, al di là della scuola, lasciaci arrangiare ogni tanto".
Il
volto di Shin si sollevò di scatto, sgusciò un po' più lontano e
saltellò
con
la grazia degna di un delfino per fermarsi accanto al piano cottura;
allungò
le mani verso un armadietto appeso abbastanza in alto ed aprì lo
sportello.
Intanto, per sfuggire all'imbarazzo creatogli da Seiji, cinguettò
con
la sua voce cristallina:
"Possiamo
finire insieme, tu porta il tè, io prendo qualcosa da mangiare! Ho
fatto
rifornimento di dolci!".
Seiji
scosse il capo ghignando: incorreggibile, testardo, adorabile Shin...
mammina
Shin...
D'altronde
non aveva il diritto di biasimarlo: a loro modo, testardi lo
erano
tutti. Ci voleva davvero un grande miracolo ed un amore senza pari
perché
cinque teste come le loro, più una tigre, tanto cocciute quanto
diverse,
trovassero il modo di convivere sotto lo stesso tetto senza
procurarsi
danni irreparabili e tollerandosi con una tale pazienza. E loro
convivevano...
bene... nonostante tutti i problemi che una convivenza può
apportare.
Loro resistevano, anzi, si nutrivano gli uni degli altri, del
calore
che sapevano donarsi. Sei teste e sei cuori che non avrebbero mai più
per
nessun motivo, saputo stare lontani.
Fu
distratto dai propri pensieri dalla piccola tempesta che si svolse
davanti
ai suoi occhi: la mano di Shin si era allungata verso un pacco di
biscotti
confezionati e, con ogni evidenza, faticava a raggiungerla. Per
tentare
di risolvere la situazione di stallo, fece un piccolo balzo al fine
di
afferrare il sacchetto; Seiji seppe cosa sarebbe accaduto con qualche
secondo
di anticipo, ma non poté intervenire abbastanza velocemente da
impedirlo.
Con
un sorprendente effetto domino, il sacchetto afferrato malamente scontrò
un
barattolo di latta che, a sua volta, colpì un vasetto di marmellata e
sacchetto,
barattolo e vasetto precipitarono uno dopo l'altro addosso a Shin
Il
ragazzo, con una prontezza di riflessi invidiabile, raccolse al volo il
contenitore
con la marmellata, impedendo che si frantumasse al suolo, con l
altra
mano riuscì a prendere i biscotti, fortunatamente ancora sigillati, ma
non
poté impedire al barattolo di colpirgli con violenza la nuca, prima di
toccare
terra con un clangore metallico. Il fatto che fosse vuoto lo rendeva
più
leggero ma l'effetto della botta si fece ugualmente sentire e Shin emise
un'esclamazione
di doloroso stupore.
Seiji
era già al suo fianco:
"Shin,
ma cosa fai?".
Intanto
si affrettava a prendere dalle sue mani biscotti e marmellata e a
posarli
sul tavolo, per poi tornare a controllare le condizioni dell'amico,
che
si massaggiava la nuca con aria imbarazzata e comicamente contrita.
"Ti
fa male?".
"No"
borbottò Shin, con una scrollata di spalle, la mano ancora sul capo, le
labbra
atteggiate ad un broncio che lo rendeva simile ad un bimbo
dispiaciuto
per un'azione maldestra.
Shin
era così... il più grande, faceva del suo meglio per mostrarsi sempre
maturo,
all'altezza della situazione, ma poi recava in sé tante di quelle
insicurezze
e tanta poca fiducia in se stesso che, se commetteva un piccolo
errore,
poteva anche farne una tragedia. Voleva tanto bene a tutti, ma non
aveva
mai imparato a volerne abbastanza a se stesso, ad avere della propria
persona
una considerazione abbastanza positiva; per quanto facesse riteneva
di
non fare mai abbastanza e chiedeva sempre di più alle proprie capacità.
"Che
è successo?" gridò la voce di Touma dall'altra stanza. Evidentemente,
il
fragore dell'incidente era giunto alle orecchie dei compagni.
Shin
riprese subito la padronanza di sé e si affrettò a rispondere:
"Niente,
è solo caduta una cosa!".
Era
chiaro che mentiva, di sicuro non si era fatto nulla di grave ma il modo
in
cui continuava a massaggiarsi la parte colpita suggeriva che la botta,
comunque,
gli faceva abbastanza male.
Seiji
si avvicinò:
"Fammi
vedere".
Quando
fu sul punto di toccarlo, Shin indietreggiò di un passo, come sulla
difensiva,
ma sorrise:
"Non
è nulla, davvero".
Quel
riserbo, quell'esagerato rispetto nei suoi confronti, resero Seiji un
po'
triste: a volte Shin sembrava aver quasi paura di lui e gli dispiaceva,
perché
forse la cosa si era accentuata da quando vivevano insieme. Il solare
Shin,
col tempo, si era fatto più cupo e malinconico, mentre Seiji aveva
accentuato
il proprio cipiglio severo ed una certa rigidità di atteggiamenti
in
seguito all'incontro con Suzunagi. Tra l'altro, entrambi riservati
seppure
in maniera diversa, finivano per non parlare molto; Seiji era l
ultimo
con cui Shin riusciva a sfogarsi quando le sue fragilità diventavano
troppo
insopportabili per tenerle chiuse dentro di sé.
E
Seiji era altresì consapevole di essere, per Shin, un mistero
insondabile,
più
degli altri compagni, di essere l'unico cui non riusciva a leggere nel
cuore,
non poteva leggere i suoi sentimenti, le sue emozioni.
Eppure,
Korin lo seppe improvvisamente, desiderava tanto aprirgli il suo
cuore,
desiderava che Shin leggesse dentro di lui.
Si
impose, con gentile fermezza scostò la mano di Suiko dal punto contuso e
vi
sostituì le proprie; il samurai dell'acqua fece per protestare, ma Seiji
non
si lasciò intimidire:
"Smettila
di fare i capricci, so che hai la testa dura ma se posso
alleviarti
il dolore non vedo perché non farlo".
L'ironia
delle parole era lenita dal tono carezzevole e Shin non poté fare
altro
che arrendersi, chinando il capo con un sospiro nel quale Seiji
percepì
una buona dose di grata beatitudine; a Shin piacevano le coccole, ma
la
sua riservatezza gli impediva di chiederle ogni volta che ne aveva
bisogno,
così colmava questa sua necessità riempiendo di coccole gli altri.
Le
mani di Seiji frugarono un po' tra i suoi capelli rossicci e, come aveva
immaginato,
non trovò nessun segno notevole, ma decise comunque di alleviare
il
dolore fisico di Shin, era il minimo per ringraziarlo, dopo tutto quello
che
il dolce Suiko faceva costantemente per allietare le giornate di tutti
loro.
Posò
il palmo, con delicatezza, sulla sua nuca:
"E'
qui che ti fa male?".
"Non...
mi fa... male..." pigolò la vocetta di Shin, che sapeva essere tanto
sottile
nei momenti di imbarazzo e timidezza come quello, o diventare acuta
in
maniera assordante quando esplodeva per rabbia, spirito combattivo... o
anche
disperazione e paura.
"Shin..."
insisté Korin, insinuante, indagatore, fintamente severo.
Il
samurai dell'acqua si rannicchiò un po' su se stesso e sussurrò, in un
soffio
rassegnato:
"Sì...
è lì...".
Seiji
rispose con una risatina, ma così affettuosa che Suiko non ebbe
davvero
motivo di offendersi.
Korin
chiuse gli occhi, si concentrò, lasciò che i poteri positivi della
luce
fluissero lungo il suo corpo e, attraverso le sue mani, si facessero
strada
verso l'esterno, a lambire gentilmente il punto dolorante dell'amico.
Un
alone di energia dalla trasparenza dorata si formò tra le mani di Seiji
e
la
nuca di Shin e questi, colto di sorpresa dal calore pulsante, fu scosso
da
un lieve sussulto, ma subito dopo si rilassò, con un sospiro che
esprimeva
solo pura felicità.
Quando
Seiji ritenne che fosse sufficiente, allentò la concentrazione e
richiamò,
con calma, il flusso, per farlo rientrare dentro di sé, portandolo
ad
estinguersi pian piano; infine riaprì gli occhi e sorrise, attardandosi
con
una mano tra i capelli di Shin.
"Va
meglio?".
Il
coetaneo annuì velocemente, senza tuttavia trovare il coraggio di
sollevare
il volto; Seiji ridacchiò ancora e gli lasciò una carezza:
"Sapevo
che non ci sarebbe voluto molto, la tua testa dura e già una
protezione
sufficiente".
La
presa in giro riuscì a far sciogliere Shin come Seiji desiderava: il
ragazzo
alzò di scatto il capo e gli rivolse una teatrale linguaccia che
suscitò
ulteriormente l'ilarità dell'amico e una nuova carezza. Poi Korin
gli
diede le spalle e tornò alle tazze di tè.
La
voce gentile di Shin giunse come un canto alle sue orecchie:
"Seiji...".
Il
samurai della luce si voltò a contemplare ancora quel viso che, seppur
maturato
rispetto al ragazzino che aveva incontrato, la prima volta, una
lontana
primavera, non dimostrava i suoi diciotto anni; nessuno avrebbe
potuto
indovinare, a prima vista, che fosse il più anziano del gruppo per
quanto,
in effetti, una questione anagrafica di pochi mesi potesse avere
senso.
L'unico particolare che lo rendeva più grande, sotto l'aspetto
strettamente
pratico, era l'essere avanti di un anno scolastico, il
frequentare
già l'università mentre Seiji e gli altri affrontavano ancora
gli
esami dell'ultimo anno di superiori.
"Dimmi...".
"Grazie...".
Gli
scappò un altro sorriso, da quanti giorni non sorrideva con una tale
frequenza?
"Mica
possiamo permetterci di avere una mammina infortunata...".
"Seiji!"
sbottò Shin, stizzito, i pugni stretti lungo i fianchi, ottenendo
unicamente
di risultare ancor più disarmante ed infantile agli occhi di
Korin
che, di nuovo, non poté impedirsi di scoppiargli a ridere in faccia.
Shin
lo squadrò per qualche istante, imbronciato poi, però, l'ilarità vinse
anche
lui e si ritrovarono a ridere insieme, come non accadeva da tanto.
"Ehi,
vi state divertendo? Qui qualcuno ha fame!".
Dalla
sala da pranzo ancora una voce scherzosa e supponente li fece zittire
entrambi,
poi si scambiarono uno sguardo d'intesa e, in perfetto accordo,
fecero
udire il loro ammonimento:
"Touma,
taci!".
Rispose
un insulto ed i due scossero i visi sorridenti.
"Panda
pigro e goloso" borbottò Korin, posizionando le tazze in un vassoio.
"Ah,
Seiji" lo richiamò ancora Suiko "Non una parola con Ryo riguardo al mio
piccolo
incidente, lo sai come è fatto e oggi deve stare il più possibile
tranquillo".
Seiji
annuì, mentre continuava a sorridere; oh, eccome se lo sapeva. Il loro
amatissimo
capo, crescendo in anni e maturità aveva visto crescere anche le
sue
tendenze ansiose, che spesso lo rendevano quasi paranoico nei loro
confronti.
Korin pensava spesso che fosse necessario trovare una soluzione a
quel
suo atteggiamento, perché li metteva in crisi tutti e rischiava di fare
del
male a se stesso.
"Quando
ci saremo lasciati alle spalle gli esami" sentenziò mentre camminava
tenendo
in equilibrio sulle mani il vassoio con le tazze, "dovremo fare un
discorsino
a Ryo... e magari una terapia di gruppo".
Shin
strinse al petto i biscotti e sorrise.
"Sono
serio" insisté Seiji.
"Lo
so ma... mi fa buffo lo stesso... significherebbe che siamo proprio
messi
male".
"Dei
casi disperati".
Seiji
non sapeva se la sua voleva essere una battuta o se lo credesse
davvero.
Forse un po' entrambe le cose; il tono con cui l'aveva asserito,
tuttavia,
fece ancora ridere Shin e probabilmente era un bene che il
permaloso
compagno l'avesse presa in quel modo.
Quando
raggiunsero l'altra stanza, ai loro occhi si presentò una scena
abbastanza
desolante; Ryo non distolse gli occhi dagli appunti. Sembrava
aver
persino dimenticato l'ordine di Shin che aveva sempre applicato alla
lettera:
niente materiale scolastico durante pasti e spuntini. Suiko non
disse
nulla tuttavia e Korin si chiese se si trattasse dei suoi soliti
favoritismi
nei confronti di Ryo o se, come era più probabile, era
intenzionato
a fare uno strappo alla regola, dato che il giorno dopo li
attendevano
i fatidici esami.
L'immagine
più triste era quella di Shu... triste perché non sollevò neanche
il
viso. Nemmeno la tensione era mai riuscita a renderlo indifferente alle
leccornie
preparate da Shin... ma la tensione aveva evidentemente raggiunto
un
punto di non ritorno. La posizione era la medesima nella quale Seiji l
aveva
lasciato prima di raggiungere Shin in cucina, volto sulle braccia
incrociate
sul kotatsu, occhi semichiusi, un po' lucidi, vacui... assonnati.
Il
capo di Korin si scosse, mesto: il suo più grande desiderio,
attualmente,
era
che giungesse senza intoppi né drammi la sera del giorno dopo.
"Nonostante
tutti i tragici eventi che abbiamo affrontato" pensava, al colmo
dell'esasperazione,
"ci lasciamo atterrare come bambini indifesi da
normalissimi
esami scolastici... proprio Shu poi... devo trovarmelo in
questo
stato pietoso".
Shu
che si gettava anima, corpo e cuore in battaglia, con tutta la furia
dettata
dalla necessità e dall'istinto a proteggere... istinto che gli
donava
entusiasmo e calore pur in pericoli estremi... tutto quell'entusiasmo
che
non riusciva ad infondere nelle faccende scolastiche.
Il
samurai della luce andò a posare il vassoio in mezzo al tavolo, ma poi
sgranò
gli occhi quando la canzonatoria voce dal buffo accento di Tenku si
levò,
falsamente melliflua:
"Ce
ne avete messo di tempo, cominciavo ad insospettirmi un po', non vorrete
rendermi
geloso".
Stava
per partire lui stesso, ma venne anticipato da Shin; il samurai dell
acqua,
cucchiaio in mano, lo sbatté con ben poca delicatezza sulla nuca di
Touma,
che rispose al colpo chiudendo gli occhi e rintanando il volto tra le
spalle.
"Piccolo
panda, avevi paura che stessimo combinando chissà cosa di là?
Avresti
potuto smuovere le tue sacre membra e venire a vedere di persona...
pigrone!".
Il
tutto con quel sorriso da diavoletto e quella vocina che rendeva
adorabile
Shin persino nei più ambigui e crudeli dispetti. Serio e
flemmatico,
anche Seiji si avvicinò a Touma ed aggiunse al trattamento di
Shin
una pacca violenta sul capo:
"Solo
la lingua riesci sempre a muovere, vero?".
Touma
si riprese piuttosto in fretta, la battuta pronta dietro alla smorfia
di
disappunto:
"E
anche molto bene, non è vero Seiji? Soprattutto quando siamo soli!".
Le
labbra di Korin si strinsero in una linea drittissima, le sopracciglia
si
corrugarono;
poi chiuse gli occhi e contò mentalmente fino a dieci, mentre
si
andava a sedere lontano da Touma ed accanto a Shu, fingendo di non aver
sentito,
ostentando quella flemma che, se non fosse accorsa in suo aiuto,
non
avrebbe potuto impedirgli di saltare al collo di Tenku e fargli pagare
caro
il doppio senso che riusciva a trovare in ogni minima cosa.
Era
certo che Touma non si sarebbe arreso e, dentro di sé, fu grato a Shin,
che
prevenne ogni ulteriore parola del samurai dell'aria infilandogli
direttamente
in bocca un biscotto proprio mentre era sul punto di parlare.
Tenku
lanciò al compagno uno sguardo torvo, mentre Suiko gli faceva l
occhiolino,
ma poi si mise a sgranocchiare raccogliendosi totalmente in se
stesso.
Seiji
rivolse un'occhiata in tralice a Shu, per spiare le sue reazioni: il
nulla
assoluto. Fece lo stesso con Ryo: lo sguardo affondato nei suoi
inseparabili
fogli.
Non
riconosceva neanche più se stesso, perché la tensione accumulata l
avrebbe
di sicuro spinto ad urlare se non fosse riuscito a mantenere un
minimo
di autocontrollo; mai avrebbe creduto che il caos cosmico provocato
da
Ryo e Shu in casa in tempi normali gli sarebbe mancato a tal punto, mai
avrebbe
creduto di provare nostalgia per le chiacchiere senza freno e su
ogni
minima cosa di Shu e per la frenetica iperattività di Ryo. Rivoleva i
suoi
compagni nella loro normalità, più di ogni altra cosa al mondo.
Uno
sbuffo, il volto che si chinava sul kotatsu mentre avvicinava alle
labbra
la tazza con il suo contenuto bollente, che scese dentro di lui,
accolto
con gratitudine, ricordandogli ben altro e ancor più agognato tepore
..
quello dei suoi nakama quando le cose tra loro andavano bene. Non che
andassero
male... erano solo esami... ma tali esami erano in grado di
turbare
l'atmosfera come mai avrebbe creduto possibile.
Be',
dopotutto lui aveva contribuito pesantemente affinché l'atmosfera non
fosse
delle migliori e se desiderava che si rimediasse, spettava a lui
cominciare.
Aprì gli occhi e fece correre nuovamente lo sguardo intorno; la
prima
cosa che lo colpì fu Shin ancora in piedi, non stava facendo nulla,
semplicemente
li osservava, ma stava in piedi. Korin lo conosceva bene ormai
era
in grado di indovinare le motivazioni dei loro atteggiamenti senza
neanche
troppo sforzo: Suiko stava in piedi per essere pronto a scattare nel
momento
stesso in cui intuiva un bisogno, un desiderio di qualcuno tra loro.
.
per essere pronto a servirli insomma.
Era
ora di darci un taglio e, anche in quel caso, non poteva rimproverare
nulla
a nessuno, perché lui stesso non ci aveva mai fatto troppo caso, era
semplicemente
naturale avere alle loro spalle quella presenza premurosa,
costante,
lui stesso se n'era sempre approfittato, senza volerlo, ovvio...
senza
rendersi conto... o forse senza volersene rendere conto.
Lo
fissò con i suoi occhi d'ametista, severi ed intensi:
"Shin,
non è il caso che fai la bella statuina, vieniti a sedere".
L'interpellato
avvampò, sorrise, distolse lo sguardo ma, prima che potesse
rispondere
qualunque cosa, Ryo si unì all'invito di Seiji:
"Sì,
Shin, vieni!".
E
strisciò un po' più in là, facendosi più piccolo, con l'intenzione di
lasciargli
spazio accanto a sé; Shin chinò il capo, si abbandonò ad un
sospiro
e ad una risatina e infine obbedì, decidendosi anche a prendere il
proprio
tè insieme ad un biscotto.
Seiji
non poté fare a meno di notare l'occhiata languida ed adorante con il
quale
Rekka seguì ogni suo movimento e con la quale continuò a fissarlo
anche
dal momento in cui Suiko cominciò a bere e a mangiare. Avrebbe
probabilmente
ridacchiato per la tenerezza se non si fosse nuovamente
concentrato
sull'atteggiamento del tutto incomprensibile di Shu: solitamente
lui
e Ryo facevano a gara per contemplare ogni mossa di Shin... Shu
insisteva
nel suo isolamento mentale.
"Come
va il raffreddore, Shin?" si levò la vocetta un po' ansiosa di Ryo.
"Meglio
Ryo, non preoccuparti".
Shin
aveva risposto senza guardare il compagno e Seiji sapeva che non si
trattava
di timidezza: se si fosse lasciato guardare troppo in viso chiunque
avrebbe
potuto notare che mentiva. Il raffreddore non era migliorato per
nulla
e, probabilmente, aveva anche un po' di febbre, ma avrebbe cercato di
nasconderlo
al mondo intero almeno fino alla fine degli esami. Non volendo
metterlo
in imbarazzo, Seiji non disse nulla ed ostentò indifferenza. Si
limitò
a studiare ancora Shu: sapere che Shin stava poco bene, solitamente,
lo
rendeva paranoico quasi al livello di Ryo e invece... sembrava non
accorgersene
nemmeno.
Brontolò
qualcosa tra sé, colpito da quanto si potesse sentire la mancanza
di
una scimmietta dispettosa per casa; il bisogno di coinvolgerlo in
qualche
modo
nella loro reciproca compagnia divenne disperato.
"Shu...
sei molto stanco?".
Non
giunse nessuna risposta dall'interessato, ma la sua domanda aveva
attirato
le attenzioni di tutti gli altri che, a loro volta, si misero ad
osservare
il samurai del Diamante.
"Sembra
dormire della grossa" sentenziò Touma.
Seiji
corrugò la fronte, strinse un po' le palpebre: non si era accorto che
gli
occhi di Kongo si erano chiusi del tutto. Sorrise:
"E
lasciamolo dormire allora".
Seiji
scrutò alternativamente gli altri tre:
"Anche
voi sembrate piuttosto stanchi.".
"Tu
sei riposatissimo invece, non è vero?" ridacchiò Tenku e Korin si
strinse
nelle spalle.
"Sono
temprato contro la fatica fisica e morale".
"Oh,
certo" cantilenò il samurai dell'aria sollevando gli occhi al cielo.
Sorrise
enigmatico e si rimise a fissare il tè nella sua tazza, facendola
girare
tra le dita con una sorta di tenerezza; in effetti era vero,
stranamente
non si sentiva stanco, in qualche modo era... euforico. In quel
momento
neanche gli esami lo preoccupavano più, che importavano degli
stupidi
esami scolastici quando poteva godere di quel calore, di tutta
quella
bellezza da cui era circondato? Che importava di tutto il resto
quando
si trovava lì, con tutti loro e il suo cuore si riempiva di loro? Il
suo
cuore... che ora batteva, pulsava come impazzito... cosa stava
succedendo?
Forse la consapevolezza improvvisa della loro presenza... e di
quanto
gli faceva bene? Possibile che dare tutto per scontato si rivelasse
così
deleterio? Aveva rischiato di non accogliere tutto quel tepore solo
perché...
era diventata abitudine... era naturale?
Non
era così... non era abitudine... si erano scelti, avevano deciso di
vivere
insieme, di condividere una medesima esistenza, di far sì che i loro
cuori
battessero come uno anche al di là di Yoroi, di Samurai Troopers, di
Masho
e impietose battaglie... i loro cuori un solo cuore nella quotidianità
come
nella squadra e lui era stato uno sciocco insensibile a non accorgersi.
. a
non sentire... a non essersi mai davvero concentrato sui loro cuori che,
ormai,
erano tutti frammenti del proprio.
Ed
erano bellissimi i loro cuori, che rendevano il suo ancor più completo,
lo
rendevano più grande, i loro battiti erano le note musicali che si
univano
a quelle del suo; che senso aveva ricercare il proprio
perfezionamento
interiore... senza quei frammenti? Senza quelle note? La
perfezione
era lì, quella sera, al caldo, tutti riuniti mentre fuori il
mondo
si tingeva di bianco, la perfezione era la completa simbiosi dei loro
spiriti
che, anche nel silenzio, dialogavano tra loro parlando di reciproco
amore.
Non c'era bisogno di parole, lui non ne aveva bisogno perché gli
bastava
concentrarsi un attimo e li sentiva, uno per uno, pur nella coralità
inebriante
delle pulsazioni, li sapeva distinguere, sapeva dare un nome a
ciascuno
di quei battiti, sapeva interpretarli, capirli ed amarli per quello
che
erano.
Davvero,
aveva perso anni inutilmente, quando la risposta era lì, a portata
di
mano... così facile... e così straordinariamente bella che avrebbe
desiderato
che anche loro lo sentissero; ma forse era così. Vi era una tale
tranquillità,
in quel momento, tra loro, che era quasi convinto che tutti
stessero
ascoltando il silenzio intriso dei loro cuori pulsanti, vivi e
innamorati.
O
forse erano semplicemente troppo stanchi, ma a lui andava bene così,
anzi,
se
poteva aiutarli a riposare, non chiedeva di meglio; in quale altro modo
dimostrare
la propria gratitudine a Touma, a Shin, la propria comprensione a
Ryo
ed a Shu?
Aprì
un attimo gli occhi per guardarli e trovò più o meno lo scenario che si
era
aspettato: Ryo si era raggomitolato per terra, accanto a Byakuen, la
testa
corvina sul fianco della tigre ed entrambi dormivano profondamente.
Touma
pendeva il capo, dava l'impressione che, tra poco, avrebbe dato una
testata
violenta contro il tavolo, perché tentava di resistere al sonno,
così
Seiji sorrise, allungò una mano, gli sfiorò una guancia:
"Devi
dormire To-chan... hai riposato meno di tutti in questi giorni e...
per
quanto tu sia preparatissimo, ci sono gli esami anche per te. Fallo per
me...
dormi...".
Il
ragazzo del Kansai sbatté le palpebre, scosse il capo come un cucciolo
che
tentava di riscuotersi dal torpore, si stropicciò gli occhi con una
mano:
"Oh...
Seiji... scusa... credo... di avere davvero sonno... e non è pigrizia
questa
volta...".
"Ma
lo so" ridacchiò Korin, strisciando accanto a lui per abbracciarlo e
spingerlo
verso terra, preoccupandosi di mettergli un cuscino sotto la nuca
e
assicurandosi che gambe e fianchi rimanessero al calduccio sotto al
kotatsu.
Touma rimase del tutto passivo e probabilmente si era già
abbandonato
al sonno ancor prima di posare la testa sul cuscino.
Seiji
non poté impedirsi di contemplarlo qualche istante e di sfiorargli la
capigliatura
ispida con una mano, soffiandogli nell'orecchio un sussurro:
"Sogni
d'oro... e meritati... piccolo panda...".
Era
del tutto certo che due occhi attenti se ne stavano fissi sulla sua
schiena
a contemplare lo spettacolo e infatti, quando si voltò, incontrò lo
sguardo
dolce e sorridente di Shin. Il caro Suiko avrebbe potuto restare
ispirato
dalla scena nei modi più svariati, a seconda della disposizione d
animo:
presa in giro, battutina adorabilmente ironica o silenziosa tenerezza
In
quel momento sembrava prevalere l'ultima reazione e Seiji gliene fu
grato.
Era un momento troppo sacro per lui... e, forse... per tutti loro.
Shin
si mosse e Korin indovinò subito quali fossero i suoi intenti: si
sarebbe
alzato, avrebbe prelevato i resti dello spuntino dal tavolo e si
sarebbe
messo a riordinare. Fece un balzo in avanti e, con le mani sulle
spalle,
lo costrinse a restare seduto:
"Non
pensarci neanche".
"Seiji"
lo interrogò l'altro, gli occhi sgranati.
"Faccio
io".
"Ma...".
"Non
era una richiesta...".
"...ma
un ordine... lo so..." piagnucolò Suiko, con una smorfia rassegnata,
rintanando
la testa tra le spalle.
Seiji
osservò per qualche istante, un po' preoccupato, i suoi occhi lucidi,
il
naso arrossato ed infiammato e gli si fece più vicino:
"Stai
prendendo qualcosa contro l'influenza?".
Shin
si rannicchiò su se stesso, dando l'impressione di voler scomparire:
"Sì
e comunque sta passando".
"Non
cercare di prendere in giro anche me!".
Il
samurai della luce si sentì in colpa per aver utilizzato quell
inflessione
severa, accorgendosi del sussulto di Shin, così cercò di
imprimere
una decisa gentilezza nel nuovo tocco della sua mano sulla fronte
del
giovane Mori e, questa volta, non ebbe dubbi:
"Come
immaginavo, sei caldissimo; dovresti prenderti più cura di te... e noi
non
ci siamo accorti di nulla".
Parlò
con tenerezza, il tono quasi commosso e il guerriero dell'acqua fu
scosso
da un tremito.
"Ma...
non..." balbettò, fissandosi le mani che si tormentavano nervosamente
l'un
l'altra. Si bloccò senza riuscire a trovar le parole, poi si riscosse
un
poco e proseguì:
"E'...
solo un po' di influenza... mi sto curando, passerà presto...
tranquillo...".
"Oh,
certo e passerebbe ancora prima se evitassi di trascurarla".
"Non
la sto trascurando!".
Era
come un bambino capriccioso che doveva negare a tutti i costi l'evidenza
"Se
non la stessi trascurando, staresti qualche giorno a casa al caldo,
invece
non hai mai smesso di uscire per ogni minima commissione o di andare
all'Università".
"Perché
sentivo di poterlo fare, conosco il mio corpo!".
In
tutto questo manteneva il volto a terra e la voce ridotta ad un sibilo
per
non correre il rischio di svegliare i compagni. Anche Seiji tentava di
parlare
a bassa voce:
"Se
ti chiedessi di stare a casa, domani, lo faresti?".
"No,
farei preoccupare i ragazzi e poi ho dei corsi importanti in facoltà ai
quali
non posso mancare".
"Li
farai preoccupare di più se le tue condizioni dovessero peggiorare".
Il
volto di Shin si sollevò di scatto e i suoi occhi, ora ardenti per la
frustrazione
oltre che per la febbre, lo trapassarono come lame:
"Seiji
per favore, sto bene!".
Intanto
cercò di alzarsi, ma fu colto da un evidente capogiro e crollò
addosso
al compagno che lo raccolse prontamente:
"Certo...
vedo... stai benissimo".
"E'
che... mi stai destabilizzando e rendendo nervoso!".
Seiji
scosse il capo con fare condiscendente, mentre lo stringeva a sé,
protettivo,
una mano a carezzargli i capelli:
"D'accordo,
io mi rilasso ma... un piacere proprio non me lo vuoi fare?".
"Un...
piacere?".
Il
capo di Shin si sollevò quel tanto che bastò a cercare i suoi occhi, il
volto
atteggiato ad un punto interrogativo.
"Siccome
tutti si stanno concedendo un po' di riposo, faresti in modo di
permettertelo
anche tu e di andartene a letto, almeno per il resto di questa
giornata?
Alla cena ci penserò io e dirò che ti sei addormentato e che ho
preferito
lasciarti dormire".
Gli
occhi di Suiko sfuggirono subito, strofinò un po' la guancia sul petto
di
Seiji mentre riabbassava il viso e dalle sue labbra uscirono timide
parole
che somigliavano, in qualche modo, ad una supplica:
"Io...
veramente... preferirei restare qui... sto bene qui... con voi...".
Seiji
si rese conto di come il tono si facesse strano, vacuo... pesante e
sospirò
nel rendersi conto che il compagno stava scivolando nel sonno.
Scosse
il capo e sussurrò tra i denti:
"Testone,
testone... più testone di Touma, il che è tutto dire...".
Ma
al tempo stesso non poteva impedirsi di sorridere mentre, con
delicatezza
compiva
per lui i medesimi gesti con i quali poco prima aveva messo a nanna
Tenku.
Anche Shin venne adagiato sul tatami, un cuscino sotto alla nuca e
Korin
lo sistemò in modo che potesse essere più comodo e caldo possibile.
Poi
rimase immobile, a contemplarli ancora uno ad uno per parecchi istanti,
sembrava
incapace di distogliere gli occhi dai suoi... i suoi tesori
addormentati.
Scosse il capo tra sé, prendendosi in giro per i termini con
cui
ormai pensava a loro, ma non poteva fare a meno di considerarli tali.
Infine
si mise all'opera, raccogliendo tutto nel vassoio per poi recarsi in
cucina,
dove rovesciò i restanti biscotti in una biscottiera di ceramica,
richiudendola
con cura perché si mantenessero freschi, impilò tazze e teiera
nell'acquaio,
passò un panno sul vassoio e lo ripose al proprio posto.
Quindi
si dedicò al lavaggio delle porcellane facendo attenzione allo scopo
di
ridurre al minimo ogni rumore.
Terminò
nel giro di pochi minuti, diede una pulita extra e, alla fine, si
guardò
intorno, soddisfatto, le mani sui fianchi:
"Shin
sarà orgoglioso di me quando vedrà come ho trattato la sua amata
cucina".
Tornò
nell'altra stanza e li ritrovò come li aveva lasciati; eppure, benché
lo
scenario fosse esattamente lo stesso di prima, si immobilizzò in una
sorta
di incantato stupore, quasi stesse assistendo ad un miracolo. Ma, in
fin
dei conti, per lui quella vista era un miracolo... così come ciò che
sentiva
nel proprio petto... certo che era un miracolo... il miracolo che
aveva
risvegliato davvero il suo cuore e che l'aveva reso completo.
Compì
qualche timido passo, fino a lasciarsi cadere al suo posto, delicato,
timoroso
al solo pensiero di poter turbare quel sonno, quei respiri... quei
battiti.
Era davvero possibile ascoltare i battiti dei cuori nel silenzio,
se
ci si concentrava e lui voleva farlo ancora, voleva ascoltarli ancora.
Richiuse
gli occhi, cercò i loro sospiri, i loro aliti vitali, uno per uno e
li
trovò, anche i battiti giunsero, non alle orecchie ma allo spirito, uno
per
uno ed armonizzò il proprio con i loro. Quella era l'occupazione
migliore
per rilassarsi prima degli esami... cercare la pace dentro di sé
cogliendo
l'armonia di tutto l'amore che lo avvolgeva... e il giorno dopo,
così
come i giorni a venire, quei battiti li avrebbe portati con sé, per
questo
decise di imprimere nella memoria ogni pulsazione, ogni sfumatura che
li
rendeva tutti tanto diversi ma tanto indispensabili gli uni agli altri.
Benevolenza,
altruismo, esplosione scarlatta, il rosso del fuoco e delle
emozioni,
del calore, delle passioni portate all'estremo, senza mezze misure
ma
dettate solo dal desiderio di cancellare ogni sofferenza dal mondo...
Rekka...
Ryo...
Giustizia,
determinazione, il color ocra della terra, la testardaggine e l
abnegazione
di chi per proteggere coloro che amava si gettava a testa bassa
nel
pericolo, con la rabbia disperata di chi non comprendeva la crudeltà
gratuita...
Kongo... Shu...
Fiducia,
sincerità, l'azzurro dell'acqua che non è semplice azzurro perché è
più
il trasparente, limpido cristallo, che in sé riflette l'azzurro puro e
pulito,
ma anche le tenebre degli abissi più oscuri e profondi... le tenebre
del
tormento, della sofferenza provocata dalla troppa bontà... Suiko... Shin
..
Saggezza,
strategia, intelligenza, il blu del cielo, che sa essere sereno e
sgombro
di nubi ma anche burrascoso, sa essere chiaro come il giorno ma
anche
scuro come la notte... e la notte può essere punteggiata di stelle.
Contraddizioni,
insicurezze, bisogno di sentirsi amato e di voler solo amare
fare
tutto per loro, fino al sacrificio di sé, fino ad annullarsi in loro..
Tenku...
Touma...
E
poi c'era un altro cuore, non meno importante, non meno fondamentale, a
tutti
gli effetti ormai parte di tutti loro, il cuore di un antico spirito
cui
Kaosu li aveva affidati tutti, uno spirito in forma di tigre che su di
loro
vegliava, come un padre con i cuccioli e che, Korin a volte non aveva
dubbi
a riguardo, era il più forte, l'autentica guida.
***
Giunse
la sera e, ormai, i ragazzi avevano deciso di abbandonare ogni studio
dell'ultim'ora.
Ryo era stato precettato da Shin e Touma messi assieme e si
era
arreso solo quando anche Byakuen si era imposto con un ruggito severo.
Nuovamente
attorno al kotatsu, sedevano tutti con aria arrendevole, un po'
preoccupata
ma decisamente stanca: sul volto di tutti e cinque il desiderio
inespresso
che tutto fosse già concluso e alle spalle.
Shu,
più di tutti, era quello che aveva dormito meno: si concedeva poco per
pura
testardaggine, ma era arrivato a un punto di non ritorno. Quella sera
il
sonno e il nervosismo lo rendevano simile a una pericolosa bomba a mano
o
a
una corda di violino tirata fin quasi al punto di rottura.
Desiderava
ingurgitare qualunque cosa ci fosse da mangiare per poi dedicarsi
solo
al sonno. Sonno e nient'altro.
Touma,
nel silenzio generale, fu il primo a parlare tra uno sbadiglio e l
altro.
"Domani
sera a quest'ora saremo a posto. A scuola ci tornerò solo per il
diploma".
"Sei
terribile Touma..." replicò Shin. "Dovresti goderti gli ultimi giorni
da
liceale".
"Non
ho voglia di tornare a Osaka per qualche giorno. Qui sto meglio".
"E
tu Seiji?" chiese Shin con un sorriso curioso.
"Andrò
anche io per il diploma... tecnicamente è meglio".
"Per
la tua famiglia?".
"Diciamo
di sì...".
"E
tu Ryo? Almeno tu andrai?".
"Pensavo
di stare con voi, a dire il vero".
Shin
non riuscì a trattenere un moto di tenerezza nei confronti del micetto
di
casa.
"Ho
idea che ci ritroverai tutti nel letto".
"E
allora dormiremo tutti assieme!".
Il
buffo cipiglio che lo aveva animato fece sorridere anche Seiji, mentre
Touma
ricordava al ragazzo che l'unico letto capace di ospitarli era il
kotatsu.
"Che,
tecnicamente, non è un letto".
"L'importante
è stare assieme, Touma...".
"E
dormire anche..." e l'arciere soffocò uno sbadiglio.
"E
tu, Shu?"
Gli
occhi verdi di Shin si posarono amorevolmente sul più silenzioso dei
compagni
che, braccia incrociate sul tavolino, osservava ogni cosa dietro
una
cortina di nebbia di stanchezza.
Era
silenzioso, così tranquillo da non sembrare nemmeno lui: la casa senza
la
sua voce calda e squillante sembrava decisamente strana. Gli mancava la
sua
scimmietta sempre sorridente, sempre positiva. Shin ringraziò il cielo
che
l'indomani avrebbe segnato la fine di quel piccolo incubo.
"Cosa...?"
mormorò Kongo con aria e voce spente. Non aveva assolutamente
seguito
il discorso. A dire il vero, temeva di essere in preda ad un sogno.
"Rimani
qui a casa o torni a Yokohama?".
Il
capo di Shu si alzò leggermente, mentre gli occhi fluttuavano sul
tavolo,
poi
verso gli occhi di Shin che, sempre e comunque, lo rendeva partecipe di
tutto
ciò che avveniva.
"Non...
non so...".
"Devi
tornare a casa?" chiese Suiko.
"Forse...
ma ora... non so ancora".
"Oh,
Shu... dai, rimani con noi!" Gli occhi blu di Ryo lo pregavano
insistentemente,
ma...
"L'ho
promesso... prima... dell'Università...".
"Tua
madre ti vuole vedere? Questioni di famiglia?".
Il
capo di Shu si scosse e un'espressione seria gli attraversò il viso.
"Dobbiamo
sistemare delle cose. Mia madre... mah...".
Una
mano andò a sfregare il viso, mentre cercava di farsi forza, anche nelle
parole.
"Ci
sono dei problemi?" chiese Seiji serio serio, mentre cercava di leggere
in
quel cuore stanco e un poco distaccato dalla realtà.
Shu
scosse un attimo la testa e pensò che sarebbe stato perfetto infilarsi
nel
letto, invece di queste conversazioni... poteva risparmiarsele per
quella
sera.
"Problemi?
Ma Shu... tu... sei sempre così sorridente. Tu..." Ryo si allungò
verso
il compagno, con un sorriso. "Sei sempre così positivo. Riusciresti a
superare
tutto!".
Povero
Ryo. E dire che lui aveva inteso altro. Mai si sarebbe aspettato il
putiferio
che avrebbe scatenato.
Furono
le mani che scendevano pesanti sul tavolino a dare inizio a tutto: la
figura
di Shu si levò terribilmente minacciosa, pur nella sua stanchezza ed
aprì
bocca.
"Positivo?
Io... sarei sempre... positivo?".
Lo
sguardo a terra si alzò e negli occhi tutti poterono intravvedere le
lacrime.
"S-Shu?"
mormorò Shin intimorito mentre, davanti ai suoi occhi, il ragazzo
cominciava
a gettare fuori ogni cosa.
"IO
NON SONO POSITIVO! ANCHE IO SONO TRISTE E SONO STANCO E SONO... SONO..."
la
bocca del ragazzo si chiuse per un attimo e le lacrime cominciarono a
scorrere.
"E VOI... NEI MIEI SOGNI... SCOMPARITE... E POI VI RITROVO QUI E
POI..."
una mano si mosse ad asciugare le lacrime ma a nulla valse quel
gesto.
Il viso era distrutto, sconvolto. Così triste... "OGNI NOTTE VI PERDO
..
E POI VI RITROVO E POI HO PAURA DI SVEGLIARMI E... E NON TROVARVI PIU'!
E
VOI
DITE CHE IO SONO POSITIVO?! IO... IO..." nascose dietro il braccio la
bocca
ed il singhiozzo giunse privo di freni a scuoterlo del tutto.
Attorno
al tavolo si era fatto il silenzio più tombale, tutti gli occhi non
riuscivano
a staccarsi dalla sua figura: Ryo e Shin furono i primi ad
alzarsi
per raggiungerlo, ma Shu arretrò i propri passi verso le scale,
quasi
senza rendersene conto.
"...non
sono positivo... perché lo pensate...?" la voce si abbassò, rotta
dal
pianto, gli occhi blu si chiusero, lasciando altre lacrime a scendere
sul
suo viso. "...è perché... rido e scherzo... e voi pensate...".
"Shu...
io... perdonami..." mormorò Ryo.
E
gli sembrò che fossero le sue parole a far caracollare Shu su per la
scala
e
in camera sua.
"Ho...
ho fatto... un danno..." bisbigliò Rekka con un viso che diceva tutto
quanto.
Shin raggiunse la sua mano e la strinse: in quegli occhi verdi
brillava
una cortina di pioggia trattenuta ma sul punto di crollargli
addosso.
"Shu...
è... solo triste... io credo che... i suoi pensieri siano usciti
solo
perché il suo cuore non riusciva più a trattenerli. È stanco... così
stanco...
come lo siamo tutti...".
Le
mani strette sciolsero il loro legame e Ryo si ritrovò a percorrere i
passi
che poco prima aveva compiuto Shu: si sentiva uno sciocco, si sentiva
stupido,
si sentiva... come poteva definirsi nakama di Shu se riusciva ad
uscirsene
con una frase così idiota?!
Però...
non avrebbe mai voluto ferire Shu: per lui dire che Shu era positivo
era...
era semplicemente ammirare quell'energia, quel flusso di calore che
il
sorriso del ragazzo riusciva a infondergli. Il suo sorriso era così
bello
dava
speranza...
Ma
dargli del positivo, dell'ottimista... aveva forse ignorato le sue
paure,
i
suoi demoni? Aveva creduto che fosse perfetto, che su di lui le
battaglie
fossero
rimaste come un vago ricordo impotente davanti a quel carattere
solare?
Le
ferite lasciavano sempre cicatrici.
La
mano di Ryo spinse dolcemente la porta della camera che Shu divideva
assieme
a Shin e lo ritrovò sdraiato col viso affondato nel cuscino,
visibilmente
addormentato, tale era la stanchezza.
Fece
qualche passo timido, lottando contro le lacrime che gli salivano agli
occhi;
aveva fatto il danno e ora piangeva? Era davvero così immaturo?
"Dovrei
essere un uomo, dovrei essere il capo, si presuppone che io sia la
loro
guida... ed eccomi a piangere come un bambino colpevole di aver ferito
un
proprio... familiare...".
Sussultò
a quel pensiero... sì... si sentiva esattamente così; far del male
a
chi si ama tanto... e a coloro da cui si è tanto amati... era senza
dubbio
una
delle sensazioni più orribili con cui si potessero fare i conti. E avere
una
famiglia implicava anche quello... perché a stare sempre insieme, a
condividere
tanto... il rischio di ferirsi era per forza sempre in agguato.
E i
bambini ignoranti ed impulsivi erano coloro che sbagliavano di più, per
poi
piagnucolare sul latte versato, con il cuore in pezzi, desiderando di
non
aver neanche mai imparato a parlare se la propria bocca sapeva formulare
unicamente
sciocchezze e frasi infelici.
Shu...
chi poteva immaginare quanto avesse sofferto nel corso delle
drammatiche
esperienze che avevano condiviso? Il coraggioso, impulsivo,
esuberante
Diamante che si gettava come un kamikaze nella lotta, incosciente
con
il sorriso birichino sulle labbra a volte, con la fiamma dell'ardore e
della
disperazione negli occhi nei momenti più drammatici, quando il terrore
di
perdere uno di loro... o tutti... lo rendeva folle. Il loro Shu, che li
amava
e li aveva accolti dentro di sé fino a renderli... nakama... una cosa
sola...
fino a non poter fare a meno di loro. Non l'aveva forse detto? Non l
aveva
dimostrato costantemente? E non l'aveva ulteriormente confermato in
quella
sfuriata cui Ryo stesso aveva dato adito?
Si
fermò a pochi centimetri dal letto, continuando a fissarlo, senza più
trattenere
le lacrime, carezzando quella figura massiccia ma al tempo stesso
piccola...
così piccola... raccolta tra le coperte, il volto ancora intriso
di
pianto pur nel suo sonno nervoso. Lo accarezzò, con le dita leggere
sulle
guance
umide e con lievi sussurri:
"Paura
di perderci? E' questo il tuo peggior incubo, Shu? Hai persino paura
di
lasciarci la sera per dormire... temendo di non ritrovarci più al
risveglio?
Era questo che temevi anche in battaglia, quando cercavi di fare
il
forte con quel sorriso strafottente? E quando ti gettavi come una furia
senza
preoccuparti della tua sicurezza? Ed è questo che ti ha lasciato l
incontro
con Suzunagi?".
Si
inginocchiò, continuando a piangere, continuando ad accarezzarlo, ora
passando
il dito sul naso che sembrava quello di un bimbo, continuando a
mormorare:
"Tu...
ogni volta che uno di noi veniva colpito... o ferito... tu lo sentivi
vero?
Era come se facessero del male a te... lo so... l'ho capito... e
perdona
questo stupido leader che non è neanche capace di rispettare la
vostra
sensibilità senza commettere sciocchezze".
Gli
sfuggì un singhiozzo più forte:
"Fratellino...".
Ecco...
l'aveva detto... era così bello avere tanti fratelli... era così
bello
avere una famiglia... il sangue... quello... cosa poteva importare se
c'era
un tale amore?
Non
resistette oltre, si gettò sul compagno, si aggrappò a lui in un
abbraccio
disperato:
"Fratellino!".
Nel
mezzo di un sonno profondo, Shu fu scosso all'improvviso dalla
sensazione
di calore che aveva avviluppato il suo corpo: con difficoltà
riaprì
gli occhi su una luce soffusa e la prima cosa che percepì fu il
sussurro
dolce di una voce familiare.
"R-Ryo...?".
La
bocca impastata dalla troppa spossatezza, gli occhi che bruciavano, la
testa
che non riusciva a comprendere tempo e spazio... la stanchezza...
Dietro
quella cortina sfumata di stanchezza c'erano gli occhi azzurri di Ryo
occhi
preoccupati, occhi lucidi e occhi che sembravano...
Poi
ricordò tutto.
Una
certa lucidità sembrò avvolgere la sua mente e dal suo cuore
traboccarono
tanti sentimenti contrastanti: vergogna, tristezza, senso di
colpa
e di sconfitta. Nuovamente, le lacrime scesero.
"Sono
uno stupido... tanto stupido..." una mano cercò di lavarsi via le
lacrime
ma scoprì di non riuscire a muovere le proprie braccia: esse
giacevano
incastrate tra il proprio corpo e quello di Ryo.
"Shu,
non piangere... ti prego...".
"R-Ryo,
io...".
La
stretta delle braccia del compagno si fece più sicura, più forte, più
protettiva...
pareva non volesse lasciarlo andare.
"Tu
non te ne vai, vero? Perché noi non lo faremo... vorrei cancellare
quegli
incubi Shu...".
Il
samurai della Terra tremò al ricordo di certe scene, certi pensieri che
l
avevano
travolto in quei giorni sfiancanti e terribili.
"Vorrei
solo che tu sapessi che noi... ci saremo sempre... io sento che è
così...
e... ed è solo... solo il momento che... solo quello. Io... io lo so
Shu".
"Io
non volevo... Ryo..."
Un
sospiro da parte di Shu, il suo abbandonarsi fino a far scivolare il
viso
contro
la sua spalla, per poi fermarsi sul petto, lì dove Rekka sentiva
battere
il proprio cuore, fino a scoppiare; sperava che Shu potesse
percepire
quel battito, tanto da venire cullato da esso... e che potesse
cacciare
i suoi incubi, non solo quelli legati agli esami ma soprattutto gli
altri...
tutti gli incubi della sua adolescenza costellata di traumi e paure
"Perdonami
Ryo... è stanchezza... sono... sono tanto stanco...".
La
sua voce era ridotta ad un soffuso mormorio e fu accompagnata da un
nuovo
sospiro,
quando il samurai del fuoco gli accarezzò i capelli, mentre con l
altra
mano lo teneva stretto a sé.
"Scusami
tu, Shu-kun... la mia bocca non era in sintonia con il cuore, temo
di
essermi espresso molto, molto male...".
Shu
tentò di scuotere il capo ma ne uscì solo un debole strofinare della
guancia
contro il petto di Ryo:
"Sarei...
scattato per qualunque cosa...".
"E
io me ne sono uscito con una qualunque scemenza" ridacchiò Rekka senza
riuscire
a smettere di accarezzarlo.
"Oh...
Ryo..." sbuffò Shu, forse tentando di ridacchiare a sua volta ma
troppo
spossato per farlo. Lo fece ancora Ryo al suo posto mentre pensava
che,
un po', gli sembrava davvero di abbracciare e coccolare una scimmietta,
ma
preferì non confessarglielo a voce alta, aveva già combinato abbastanza
guai
con la sua lingua precipitosa.
Però
non si trattenne dal sussurrare qualcosa il cui senso non era molto
diverso:
"Vuoi
dormire, scimmietta?"
"Mmmh...
forse... ma... posso addormentarmi così?".
Ryo
sussultò, non era certo che, già rapito dal dormiveglia, Shu si fosse
reso
realmente conto di quel che aveva detto. E tuttavia, se desiderava
tanto
addormentarsi tra le sue braccia, perché no? Era dovere di capo,
dovere
di amico... dovere di fratello... E Rekka si sentiva così felice se,
in
quel semplice modo, poteva apportare al suo caro Kongo un po' di
sollievo
Forse,
in quel modo, addormentandosi nell'abbraccio di uno di loro, la
paura
di perderli, di vederli scomparire, non sarebbe giunta a tormentarlo
nel
sogno. Se bastava davvero così poco, Ryo era disposto a restare così
anche
tutto il resto della sera, tutta la notte... e condurlo poi, per mano,
agli
esami.
Seppe
che si era addormentato dal respiro regolare e profondo, dalla
pesantezza
con cui si era definitivamente abbandonato a lui.
"Ryo...".
Il
samurai del fuoco si voltò a quel sussurro e vide Shin sulla soglia
della
stanza,
una mano sullo stipite, l'altro braccio abbandonato lungo il fianco;
sembrava
così stanco... c'era qualcosa di strano nel viso di Shin ma era
anche
tanto bello, come circondato da un'aura incantata... sacra... materna.
Rekka
sussultò e scosse il capo: che andava pensando?
E
poi, senza risoluzione, di nuovo giunse la consapevolezza che,
dopotutto,
non
vi era nulla di male nel definire Shin materno; lo era perché era
gentile,
era buono e protettivo, era il calore e la tenerezza di un
abbraccio,
di una piccola premura che significava tanto, di un amore totale
che
li avvolgeva tutti in uno spirituale abbraccio e tutto ciò lo rendeva
bello
e Ryo non si sarebbe mai stancato di contemplarlo. Gli sorrise:
"Si
è addormentato".
Shin
rispose al sorriso e Rekka seppe, una volta di più, che anche lui
desiderava
proteggerlo, preservarlo da dubbi e insicurezze, dai suoi
pensieri
che tanto spesso si aggrovigliavano su se stessi e non gli davano
tregua,
dalla paura dell'abbandono... una delle irrazionali paure di Shin...
quella
di perdere l'amore.
Ma
non si poteva smettere di amare Shin; Ryo gli tese una mano e Suiko
accolse
quell'invito senza esitare, benché il passo apparisse un po'
malfermo.
Ryo non ci fece molto caso, poteva essere l'emozione... le
emozioni
agivano in maniera talmente intensa su Shin...
Il
samurai dell'acqua si inginocchiò accanto al letto e si mise ad
osservare
Shu
con la disarmante dolcezza del suo sguardo che, da solo, senza bisogno
di
ulteriori gesti, sapeva accarezzare ed emanare un fluido d'amore.
"Poverino..."
sospirò, un po' triste.
"Mi
dispiace Shin" sussurrò Rekka accentuando l'abbraccio con cui avvolgeva
Kongo
e distogliendo momentaneamente lo sguardo da Suiko perché, a volte,
guardarlo
a lungo gli faceva male al cuore "Per quello che è successo a
tavola,
intendo...".
La
testa dell'altro si scosse, lenta:
"Nessuno
ha frainteso... solo Shu... è stato un crollo nervoso, che sarebbe
avvenuto
per qualunque parola in quel momento".
"Anche
lui ha detto una cosa simile...".
Ancora
non lo guardava, ma poi una mano passò tra i suoi capelli, tenera,
rassicurante
e risollevò gli occhi su quelli di Shin che, adesso, fissavano
lui,
sorridenti nelle iridi verdi-azzurre e sulle labbra:
"Posso
stare io con Shu, tu dovresti riposare".
Ryo
sorrise a propria volta, colmo di convinzione:
"Non
lo lascio... non lo posso lasciare adesso... ma puoi stare con noi...
anzi...
io credo che dovremmo stare tutti con lui... per fargli sentire...
che
non ce ne andremo... che non scompariremo...".
Parole
un po' sconnesse, Ryo non sapeva come altro esprimere ci che riteneva
giusto,
poteva solo sperare che Shin, con la sua profonda empatia, avrebbe
compreso;
il samurai dell'acqua lo scrutò, inclinando lievemente il viso su
una
spalla, una domanda sul volto. Era incredibile quanto ogni suo
atteggiamento
potesse apparire incantevole, si trovò a pensare Rekka.
"Lui...
teme di vederci scomparire... di non trovarci più al risveglio...
perché..."
Tornò
il sorriso sul bel volto di Suiko, che si illuminò di consapevolezza e
lo
interruppe, salvandolo da ogni ulteriore, confusionaria necessità di
spiegazione:
"Va
bene Ryo... hai ragione...".
"Serviamo
anche noi a quanto pare".
Sia
Ryo che Shin sorridevano mentre si voltavano ad incontrare gli sguardi
dei
compagni: Touma era appoggiato con la schiena allo stipite della porta,
le
braccia incrociate sul petto e lanciava loro un'occhiata obliqua. Alle
sue
spalle faceva capolino Seiji e, tra loro, spuntava il muso attento e
saggio
di Byakuen.
Mentre
si avvicinavano, mentre tutti si stringevano in un comune abbraccio
atto
a scacciare gli incubi dal sonno di uno di loro, ma che in realtà li
avrebbe
protetti tutti, Ryo cominciò a sentirla, la gioia completa della
famiglia,
la bellezza dell'essere lì, gli uni per gli altri, anche per una
cosa
così piccola, ma che aveva un significato immenso. Perché tra familiari
non
erano sempre necessari gesti estremi per dimostrare l'amore; era anzi
proprio
nei minimi eventi quotidiani che si cercava di capirsi, di venirsi
incontro,
di far giungere all'altro la propria presenza, insieme alla
promessa
di esserci sempre... che mai nessuno se ne sarebbe andato.
"E
nessuno di loro se ne andrà" pensava mentre si crogiolava in
quell'unione
di
corpi, anime e cuori "Io non me ne andrò da loro, loro non se ne
andranno
da
me... nessuno lascerà nessuno...".
Era
la felicità, la gioia dell'essere amici ma anche dell'essere famiglia...
dell'essere,
gli uni per gli altri madri, padri, fratelli... e amori...
E
proprio quell'ultima notte che precedeva gli esami Ryo seppe,
definitivamente, che non sarebbe mai più stato solo.