lLA VITTORIA DEL DEMONE
 
 
Lo osservavo da lontano e mi chiedevo perché, perché io dovevo fingere di non esistere e tenermi celato al mondo, mentre lui era circondato dal rispetto, era amato come il più puro, l’angelo intoccabile dei sacri guerrieri di Athena?
Quando cominciò, lui, a considerarmi una specie di rifiuto? Forse da sempre e non me ne sono mai accorto?  Anche quando si rifugiava tra le mie braccia, terrorizzato dai suoi incubi, dalle sue ossessioni… da quella doppia identità che nessuno avrebbe mai immaginato… anche allora mi consideravi un rifiuto, fratello? Ti facevo comodo, però, non è vero? Perché ero l’unico appiglio che potesse darti conforto, l’unico che potesse realmente capirti ed accettarti per quello che eri… ero il tuo oggetto, la tua via di fuga, il tuo salvagente… e null’altro.
Quando hai compreso che tra noi eri tu il più forte, l’eletto, il favorito di Athena, mi hai escluso dalla tua vita e gettato in mezzo all’immondizia, proprio come il rifiuto che, in fondo, alle tue percezioni, sono sempre stato.
Perché?
Perché, in qualche modo, io cercavo di tirar fuori quel lato oscuro di te che ti sforzavi di tenere nascosto, perché già allora sapevo che non avresti potuto farlo per sempre, che se non lo avessi in qualche modo lasciato sfogare, ti avrebbe logorato interiormente fino a ridurti ad una larva di te stesso…
Lo dicevo per te… perché ti amavo troppo per lasciare che quel demone ti rosicchiasse, ti facesse spegnere poco a poco e allora sì, avrei preferito vederti accettare questa parte, anche a costo di permetterle atti ignominiosi, piuttosto che saperti angosciato, che saperti distrutto nell’intimo… e piuttosto che permetterti di tenermi a distanza.
Perché solo grazie a lui, grazie al tuo demone, ora potremmo essere, davvero, vicini.
 
 
 
***
 
 
Kanon non ricordava neanche l’età esatta che avevano quando il gemello Saga indossò, per la prima volta, il sacro cloth di Gemini, non la ricordava perché erano, entrambi, così piccoli che un semplice numero aveva ben poco significato. Solo due bambini, non ancora in grado di gestire le leggi che scandivano la realtà umana, ma perfettamente consapevoli delle vie del cosmo, del volere di Athena e di ciò che diventare gold saint dovesse rappresentare.
Quanto meno uno di loro si era impossessato di tutto questo; Kanon no. Considerato troppo superficiale, troppo aggressivo, a tratti cattivo negli atteggiamenti di rifiuto nei confronti del genere umano, non era giunto a competere con Saga per il possesso del cloth, probabilmente non aveva mai desiderato neanche provarci. Dentro di sé aveva sempre saputo che il predestinato ad Athena sarebbe stato il gemello e così si era nascosto, lasciando che tutti credessero nella sua cattiveria, nella sua completa mancanza di ogni capacità spirituale che andasse oltre il mero attaccamento ai sensi.
Anzi, faceva di tutto per supportare tali impressioni: lo volevano cattivo? E lui avrebbe dimostrato quanto cattivo sarebbe potuto diventare. Innanzitutto tentando di plagiare quel gemello puro, ritenuto dalla gente un angelo disceso in terra.
Perché Kanon conosceva perfettamente i punti deboli di quel fratellino triste, era l’unico al mondo cui Saga aveva avuto il coraggio di mostrarli. Perché Kanon era come uno specchio, che rifletteva quei lati oscuri, facendo credere al gemello buono di poterli rigettare tutti su di lui; forse si era illuso che proprio Kanon rappresentasse il demone interno pronto a spuntare in ogni momento dietro quelle iridi chiare e belle.
E Kanon glielo lasciava credere.
Un giorno, quando già Kanon era stato allontanato dal Santuario, perché non poteva vivere accanto agli autentici saints da essere umano senza alcuna prerogativa sacra, abbandonato quindi a vagare, solo e sperduto, malamente curato da una coppia anziana di Rodario, aveva avuto con Saga uno degli ultimi contatti che, in qualche modo, potevano dirsi affettuosi… terminato con il germe inevitabile dell’ostilità.
Se ne stava seduto su una roccia, in riva al mare, a guardare l’orizzonte, i vestiti stracciati e il viso graffiato in seguito all’ennesima lite contro altri ragazzi che, nonostante la loro superiorità numerica, erano usciti dalla mischia ridotti molto peggio di lui. Probabilmente ad uno di loro aveva spezzato qualche osso, ma non se ne era realmente interessato, cosa avrebbe dovuto importargli, in fondo? E gli dava fastidio, tantissimo che, nonostante tutto, la sua mente continuasse a tornarci, insistente, quasi un’ossessione.
Sputò un grumo di saliva che andò a mischiarsi con la spuma del mare, mosso e borbottante come il suo animo colmo d’ira verso l’intero universo.
Poi, per un bizzarro richiamo dell’istinto, si era voltato verso la terraferma, in tempo per scorgere una figurina, dapprima un puntino, poi sempre in più concreta forma di essere umano, per quanto piccolo, che correva verso di lui. Corrugò la fronte, non gli ci volle molto per riconoscerlo.
Balzò giù dallo scoglio sul quale stava appollaiato e attese, finché il bambino si fermò, il viso colmo di lacrime, e lo fissò con quello sguardo speculare al suo, per quanto contrastanti risultassero le espressioni. Effettivamente, vedere i due ragazzini in piedi, l’uno di fronte all’altro, era come assistere ad un’immagine sdoppiata, a due frammenti di una medesima esistenza complementari ed opposti ad un tempo.
Tanto Kanon era sporco, ferito, scarmigliato, disordinato nell’aspetto, così il suo doppio, materializzatosi in quel tramonto infuocato, appariva lindo, bello, bianco di pelle, composto in ogni singolo abito, i capelli lucenti ben acconciati e puliti che scendevano in volute luminose lungo le spalle. Tuttavia, la disperazione che aveva dipinta sul volto, incrinava la perfezione apparente dell’angelo che, reprimendo i singhiozzi, tirava su col naso, come qualunque bambino in preda alle lacrime.
A quella vista, l’espressione di Kanon mutò, passò da feroce a qualcosa che ricordava, in qualche modo, l’amore, benché non scomparvero il broncio e l’oscurità dello sguardo. Le sue labbra si aprirono in un morbido sussurro:
“Saga…”
Un semplice suono, un nome, che bastò a smuovere l’altro bambino dalla propria immobilità; il piccolo fece un passetto, quindi, con un singhiozzo disperato, si gettò tra le braccia del suo riflesso, che lo accolse dapprima un po’ perplesso, ma che poi non poté fare a meno di sollevare una mano e attirarlo ancor più verso di sé.
La perplessità di Kanon non era rifiuto, un tempo contatti di quel genere, tra lui e Saga, erano normali; da quando Saga aveva indossato il cloth, ed erano stati allontanati, il novello piccolo Gemini non aveva fatto assolutamente nulla per cercarlo, per ripristinare un rapporto che sembrava concluso per sempre. Aveva vinto, le vestigia erano sue, Kanon aveva dimostrato la propria incapacità e, evidentemente, Saga si era reso conto di vergognarsi perché aveva un fratello fallito.
“Non mi ha più cercato… ora sono qui, che lo sto abbracciando perché ha bisogno di un appoggio… gli servo… perché ancora tollero tutto questo?”
Mentre così pensava, accarezzava la testa del fratello e le sue labbra pronunciavano parole in contrasto con i pensieri:
“Dimmi cosa c’è che non va, lo sai che su di me potrai sempre contare.”
E Saga sollevò il visetto arrossato dalle lacrime, fissò gli occhi color giada in quelli del fratello, dai medesimi, intensi riflessi, come se il mare si specchiasse negli sguardi di entrambi, in tutte le sue contrastanti sfumature:
“E’ tornato…”
Kanon non ebbe bisogno di chiedere a chi il gemello si stesse riferendo: il suo demone, colui che tormentava gli incubi del bambino da quando era nato, una creatura malvagia che aveva trovato rifugio nell’animo puro di Saga… o meglio… una creatura che aveva visto la luce insieme a lui, perché era semplicemente l’altro se stesso.
“Eppure… sembra quasi che esista per colpa mia… sembra che quella parte oscura di Saga sia una mia intromissione nella sua purezza…”
Poteva essere vero, d’altronde, perché negarlo? Fin dalla loro nascita le loro essenze si erano rivelate talmente opposte che, forse, una parte di Kanon, gelosa, particolarmente malvagia, si era proiettata nell’anima di Saga e lì aveva trovato il proprio nido, la propria tana. E forse per questo Kanon si era sempre sentito in dovere di proteggere il gemello da quel doppio terribile ed invasivo.
Se tali supposizioni erano fondate, Saga aveva quel problema a causa sua e quindi andava bene che si rivolgesse a lui in caso di bisogno, che Kanon lo aiutasse ad esorcizzarlo. Si sentiva usato? Pazienza, così doveva essere.
“E’ la mia punizione per espiare, d’altronde…”
“Non potrebbe essere che sia tornato… perché gli mancavi?”
Non sapeva dove avesse trovato lo spunto per parlare in quel modo, gli era venuto dal cuore e non era pentito del proprio istinto; qualcosa si stava muovendo in lui. Dopo anni passati a tentare di convincere Saga ad ignorare l’entità persecutrice, una parte di lui lo spingeva sempre più verso il contrario, un pensiero ossessivo ritornava, sempre più costante, sempre più vivo ed accettabile alle sue percezioni:
“Perché non provi ad assecondarlo? A dargli ascolto? Forse ha da dirti qualcosa che potrebbe allettarti, forse potresti scoprire che potreste andare d’accordo… proprio come vai d’accordo con me.”
Gli rispose un’esclamazione alterata, il corpicino stretto a lui si ritrasse, quasi si rendesse improvvisamente conto di star abbracciando un insetto repellente, gli occhi di Saga si erano fatti grandi, increduli mentre lo scrutavano, lo sguardo sconvolto:
“E’ una creatura malvagia, fratello e mi perseguita, vuole farmi fare brutte cose!”
“Forse… è solo la parte più sincera di te; ci hai mai pensato?”
Saga si allontanò ancora, scrutandolo come se fosse un estraneo:
“E’ vero quello che mi hanno detto, tu non mi vuoi bene! Tu vuoi che io diventi come te, perché sei invidioso!”
Gli occhi di Kanon si strinsero:
“Cosa… cosa dici… fratello?”
Poi la sua voce si alzò, si fece stridente, acuta:
“Ti hanno convinto, non è vero? Che io sono il cattivo, che il tuo lato oscuro è nato per colpa mia, che in realtà è stato il mio influsso negativo su di te a dargli vita!”
Saga deglutì, evidentemente incapace di ribattere, ma rimase a guardarlo, mentre Kanon continuava, sempre più infervorato:
“Oh, ma può essere che abbiano ragione, sai? Anzi, ti dirò, quella parte di te che rispecchia me stesso è quella che amo di più, perché… perché…”
Il gemello cattivo si bloccò, improvvisamente terrorizzato da quanto aveva detto, ma ancor più angosciato da ciò che leggeva nello sguardo del gemello: orrore puro mentre lo ascoltava e… persino odio. Nonostante questo, Kanon soggiunse, a voce più bassa, non potendo però impedirsi di distogliere gli occhi da Saga, facendoli vagare a terra, ad osservare i propri piedi nudi che affondavano nella sabbia:
“Perché… quell’essere che hai dentro, ormai, è tutto ciò che potrebbe riavvicinarti a me… che potrebbe renderci, di nuovo, uniti e gemelli…”
“Quell’essere… che adesso si è materializzato qui, davanti a me…” mormorò, roca, la vocina di Saga, con il tono di chi aveva raggiunto una sconcertante consapevolezza. “Sei davvero tu che gli hai dato vita, per tenermi per sempre legato a te… e ora… me lo stai confermando…”
“Non ti sto confermando nulla” ribatté Kanon, questa volta esasperato, stringendo i pugni. “Sei tu che ti stai costruendo castelli in aria, perché vuoi vederla così, ti fa comodo gettare tutta la colpa su di me e tornare a considerare te stesso come il più puro degli angeli! Rifiutare i tuoi lati oscuri ed attribuirli a me! Troppo facile, fratellino e, ti dirò di più, non ci riuscirai per sempre! A nascondere il demone intendo, ti logorerà, una briciola dopo l’altra se continuerai a rifiutarlo e finirai per diventare pazzo davvero, più di quanto tu lo sia già!”
Il gemello tremava, continuava ad arretrare, ma Kanon aveva la sensazione che, dentro di sé, avrebbe voluto attaccarlo, usare il potere di Gemini e porre fine alla sua vita. E infatti, un barlume di cosmo si accese intorno a Saga, nessuno sapeva che Kanon era in grado di percepirlo, nessuno sapeva che anche Kanon aveva un cosmo.
“Sei pericoloso, fratello” lo apostrofò Saga puntandogli un dito contro. “Devo tenermi lontano da te, e tu devi tenerti lontano dal Santuario, non osare avvicinarti o sarò costretto a porre fine per sempre alla tua presenza minacciosa!”
Quindi si voltò e, semplicemente, scappò via, mentre Kanon rimaneva a fissare la sagoma sempre più piccola che, dopo pochi istanti, simili ad un’eternità per il gemello immobile, scomparve.
 
 
***
 
 
Non lo vidi per lungo tempo dopo quell’episodio e non osò mai più avvicinarsi a me. So che mantenne la sua promessa, perché dalla memoria degli abitanti del Santuario venni cancellato, come un brutto ricordo o una specie di spirito che tormentava gli incubi dei più sensibili o di chi più vividamente si manteneva legato ad un passato lontano.
Venni dimenticato, ma non sapevano che io li spiavo e che, soprattutto, spiavo lui; non sapeva, lui, che io conoscevo il suo segreto, perché non sconfisse mai il suo demone. Probabilmente anche allora mi colpevolizzava, riteneva che, in qualche modo, il mio influsso l’avesse ormai rovinato, compromesso per sempre… povero ingenuo… mio fratello era un illuso, non era migliore di me… io non sono mai stato peggiore di lui.
Alla pena nei suoi confronti si sostituì, sempre di più, dentro di me, una rabbia insopprimibile; trovavo patetica quella sua lotta interiore, il suo respingere ciò che gli apparteneva profondamente. Trovavo patetico il suo intestardirsi nel non voler portare a proprio vantaggio ciò che avrebbe potuto renderlo il padrone assoluto.
E tutto perché si aggrappava a quegli sciocchi ideali inculcati da Athena… e all’amore… non poteva accettare la propria invidia nei confronti di colui che amava… Aiolos di Sagitter, il favorito del sommo sacerdote… e colui che sarebbe stato il principale responsabile dell’esplosione demoniaca di mio fratello. Non io, paradossalmente, ma il suo amore avrebbe segnato la sconfitta dell’angelo e la vittoria del diavolo.
La conferma giunse il giorno in cui il sommo sacerdote li chiamò entrambi a sé, per annunciare loro chi avrebbe designato come suo successore: e la scelta ricadde su Aiolos. Vero, fratello? Nonostante tutti i tuoi buoni propositi, nonostante l’apparente manifestazione di umiltà che hai saputo sfoderare di fronte a questo fatto, l’invidia ha gettato il suo seme e ha nutrito l’oscurità che ha sempre tanto bisogno di sentimenti negativi. Ed è stata tutta opera tua, fratellino, non riuscirai più a convincermi del contrario; ci ho creduto anche io, per lungo tempo, forse troppo, ho lasciato che mi considerassi il capro espiatorio della tua nefandezza interiore…
 
 
***
Anche Kanon aveva visto la meteora che si staccava dal cielo ed andava ad illuminare, con la sua pioggia cosmica, il Santuario e la zona circostante. Probabilmente tante persone comuni avevano assistito al fenomeno e le voci si aggiravano, contrastanti, ammaliate, terrorizzate, scettiche: chi parlava di premonizione inquietante, chi di un miracolo, chi di un segnale divino.
Kanon sapeva quanto valide, in qualche modo, potessero essere considerate tutte le ipotesi ed era altresì consapevole che stava per iniziare una nuova era, che tante dinamiche erano in gioco e che lui doveva trovare il modo di entrare in quel gioco, di sfruttarlo, di rigirarlo a proprio comodo.
Era stanco di rimanere nell’ombra, di essere nessuno, di non riuscire a rendersi, in alcun modo, protagonista degli eventi; ma l’intuito gli suggeriva che qualcosa, da quel momento, sarebbe cambiato.
“Athena è giunta” aveva sussurrato quella notte, rivolto al Santuario ma con il suono del mare, suo ispiratore di sempre, nelle orecchie, “e si sentirà parlare di me.”
Passarono pochi giorni dall’evento e il fato sembrò venirgli incontro: dopo tanto tempo suo fratello giungeva ancora a lui, volontariamente, sempre sulla medesima spiaggia ma, in qualche modo, Kanon sentiva che i loro contrasti si erano in parte attenuati.
“Ci somigliamo sempre di più” mormorò un po’ tra sé, un po’ desideroso che quell’osservazione giungesse all’udito del fratello, ormai vicino, eretto, fiero nel cloth dorato e nel mantello che danzava alle sue spalle.
E Saga udì, strinse le palpebre riducendo gli occhi a due fessure, i pugni stretti lungo i fianchi.
“Certo…” proseguì Kanon, “tu sei più nobile, tu sei elegante e pulito, sei avvolto dalle sacre vestigia di Gemini, mentre io sono vestito di una tunica stracciata e non mi lavo da giorni, ma i nostri occhi, ciò che abbiamo dentro, finirà per coincidere… sempre di più…”
“Bada a come parli, fratello” sbottò l’altro, il tono alterato da un nervosismo palese ad occhio nudo, “non sono venuto fin qui per tollerare i tuoi approcci malsani!”
“E perché sei venuto, allora? Per precipitarti ancora nelle mie braccia in lacrime, confidandomi che il tuo demone è tornato, che ti ha suggerito gesti malvagi, che dovevi cercarmi per attribuire nuovamente tutto a me?”
“Calmati…” tentò di interromperlo Saga, benché l’innaturale vibrazione insita in quell’invito rivelava come avrebbe dovuto rivolgerlo anche a se stesso.
“Cosa ti ha suggerito il tuo demone, fratellino?” proseguì Kanon, implacabile, “che non è giusto ciò che hai subito? Che sia stato scelto Aiolos al posto tuo per la successione al trono sacerdotale? Che la piccola Dea appena rinata ti ha portato unicamente sventura e che meriterebbe di scomparire subito dal mondo?”
“Kanon, bada!”
L’urlo di Saga fu accompagnato dal sollevarsi dei pugni, gocce di sudore scesero lungo la fronte del santo di Gemini.
“Ti ha suggerito di vendicarti, non è vero, Saga? Di farla pagare sia al sacerdote… che ad Athena… e magari anche al povero, innocente Aiolos, colpevole unicamente di essere più puro di te, nonostante le apparenze?”
“Tu come…” balbettò Saga sconvolto, indietreggiando di un passo.
“Come faccio a saperlo? Perché il demone lo invio io a perseguitare i tuoi sogni, non l’hai sempre pensato, in fondo?”
Ci fu un attimo di silenzio, durante il quale Saga serrò i denti in un ringhio muto, tuttavia fu ancora Kanon a parlare:
“Ma la verità è un’altra, fratello… la verità è che semplicemente ti conosco meglio di chiunque, meglio di quanto tu conosca te stesso. Non appartiene a me il demone, non appartengono a me quei terribili pensieri, sono frutto della tenebra che hai insita dentro di te e che prima o poi dovrai smettere di rinnegare, perché non potrai trattenerla per sempre!”
Lo sciabordio delle onde riempì l’ulteriore istante di sospensione, al termine del quale si riudì la domanda di Kanon, più pacata, quasi gentile, o forse beffarda nelle intenzioni:
“Perché sei venuto, fratello?”
Saga rispose con un ringhio, un movimento di negazione del capo che, subito dopo, si chinò:
“Non lo so, sono sincero, non lo so… forse speravo…”
“Che cosa? Di trovare un fratello ravveduto che sapesse consigliarti per il meglio? Questo speravi? O di esorcizzarti tramite me, come quand’eri piccolo?”
“Kanon… vogliamo… tentare di parlare da persone civili?”
“Non chiedo di meglio” ridacchiò il gemello cattivo. “Tu non te ne rendi conto, ma insieme potremmo fare grandi cose.”
“Di che cosa stai parlando?” sbottò Saga, nuovamente sulla difensiva.
“Basterebbe solo che tu accettassi, che ti rendessi conto di quel che potresti fare, che potresti ottenere!” Kanon andava infervorandosi istante dopo istante, al ghigno sul suo volto si erano sostituite seriosità e determinazione. “Saga, rifletti, tutto quel che voglio è vederti soddisfatto, vederti realizzare quelli che sono i tuoi reali intenti, smetti di lottare contro te stesso e ascoltati, asseconda ciò che realmente vuoi!”
“E quali sarebbero i miei reali intenti, fratello?” lo apostrofò Gemini, senza mutare atteggiamento e posizione, rigido come una statua.
“Tu non sei un angelo, tu non sei umile, tu vuoi il potere, tu volevi diventare gran sacerdote, tu in questo momento stai odiando il sommo Sion e stai odiando pure Aiolos, io ti leggo dentro, non provare a negarlo con me!”
“Odiare Aiolos? Tu vaneggi!”
Gli occhi di Saga si erano sgranati e a Kanon venne da sorridere per ciò che lesse sotto quella superficie di smeraldo: vi era come un lampo rosso fiamma, l’ossessione della follia che si alimentava, cresceva, pronta a sgorgare.
“Io vaneggio? Chi ha udito voci che gli suggerivano atti nefandi, chi ha udito l’invito a sollevare il pugnale sulla culla? Tu o io, fratello?”
Saga aprì la bocca, con l’intento di rispondere, ma uscì solo un suono soffocato che non poté tradursi in parole; affondò le dita nei capelli, sulle tempie, strinse la palpebre, tremando in ogni frammento del corpo. In quel momento era profondamente fragile, Kanon ebbe per un istante l’impressione di rivedere il bambino bisognoso del suo affetto di tanti anni prima e il suo cuore venne toccato, come allora; non aveva mentito, né a Saga né a se stesso quando aveva asserito di voler vedere il fratello soddisfatto, Kanon era convinto di non conservare nell’animo un’ombra di buoni sentimenti, ma quel fratello era l’unico essere al mondo che contasse per lui, per quel fratello, nonostante tutto, era convinto che avrebbe dato la vita.
Fece qualche passo e, mentre il fratello non lo vedeva, allungò una mano, per posarla sulla sua spalla.
“Saga… ascoltami…”
Il gemello si scostò come se fosse rimasto scottato e lo spintonò malamente, con un ruggito furioso; mentre barcollava all’indietro, Kanon scorse nuovamente la fiamma nei suoi occhi, ancora più intensa e viva.
“Voglio solo aiutarti” insisté, “voglio che provi a fidarti di me!”
“E quale consiglio mi daresti se accettassi di fidarmi di te?” lo aggredì verbalmente Saga, tenendosi a distanza come se si trovasse di fronte ad un animale pericoloso.
“Quello che già sai, quello che tu stesso vorresti seguire, anche se ancora non lo ammetti; pensa quanta libertà avresti senza Athena, pensa a quello che potresti fare liberandoti di chi ti ostacola il cammino verso la possibilità di importi. Il Santuario sarebbe ai tuoi piedi e non solo il Santuario; tu, con il mio aiuto, potresti insediarti sul trono del sacerdote e da lì dominare il mondo!”
“Non credo alle mie orecchie!” gridò Saga, gettandosi come una furia sul fratello. Il gemello venne colpito da un pugno feroce ancor prima di rendersi conto del movimento e cadde a terra, mentre il santo di Gemini incombeva su di lui, simile a un angelo vendicatore.
“Kanon, prova a ripetere! Benché siamo fratelli hai superato i limiti! Mi chiedi di uccidere Athena che si è appena reincarnata al Santuario?!”
L’altro si sollevò a fatica, passandosi una mano sul viso contuso, ma non si mostrò intimidito nel fronteggiare ancora il gemello:
“Sì, Saga e non solo Athena.”
Si rimise in piedi, stentando ancora un poco a causa dello sconvolgimento fisico subito dal proprio corpo in seguito alla colluttazione ma, inflessibile, non rinunciò al proprio scopo:
“Devi anche eliminare quel sacerdote che ha scelto Aiolos come successore.”
“Come?”
Saga era evidentemente inebetito, livido, pronto a scattare come un serpente minacciato e Kanon non avrebbe saputo dire se tale rabbia fosse più indirizzata contro di lui o contro se stesso.
“Fortunatamente, nessuno sa della mia esistenza” insisté ancora, “ti posso aiutare, così il mondo intero ci apparterrà!”
Il santo di Gemini gli si avvicinò e gli afferrò il colletto della tunica azzurra, logora e sporca:
“Sei diventato pazzo? Noi siamo i santi protettori di Athena! Kanon, se dovesse succedermi qualcosa, sarai tu a dover diventare il sacro guerriero di Gemini, e tu osi…”
Allentò la presa, mentre il gemello, con un sorriso sardonico, gli afferrò il polso per staccare da sé quell’artiglio feroce; si fronteggiarono ancora, faccia a faccia:
“Fratello, vorrai infine essere onesto con te stesso?”
“Cosa dici?”
“E’ vero, fin dalla nostra infanzia viene detto di te che sei dolce e generoso come un dio, tutto il contrario di me.” Mentre parlava, Kanon si voltò, distolse lo sguardo dal fratello e lo puntò lontano; “io ho accumulato misfatti; malgrado il nostro essere gemelli, siamo opposti, come un angelo e un demone; ma io so che nel tuo cuore dorme un male simile al mio.”
Si rivoltò verso Saga e il suo sorriso si fece, in qualche modo, malefico.
“Come?” ripeté ancora Gemini, i lineamenti stravolti.
“L’angelo è, in realtà, un demone!”
Kanon scoppiò a ridere e Saga strinse i denti, aggredendolo fisicamente una seconda volta, mirando ancora al volto con un ruggito:
“Taci!”
Il gemello barcollò all’indietro, ma non cadde e fissò seriamente il santo di Gemini, pulendosi il viso:
“Non dico altro che la verità, fratello mio.”
“Taci!” ribadì nuovamente Saga, risollevando il pugno e affondandolo nello stomaco dell’altro.
Resistendo al dolore, Kanon ridacchiò:
“Più negherai l’evidenza, più lascerai intravvedere...” si premette lo stomaco, mentre il pugno di Saga si staccava, “… il tuo vero volto!”
Si ripiegò su se stesso, reggendosi il punto dolorante, tremando per la sofferenza; ma anche Saga tremava, scosso dall’indignazione.
“Non posso più lasciare un demone par tuo in libertà; ti rinchiuderò nelle prigioni di Cape Sounion!”
 
 
***
 
 
Furono le ultime parole che udii quel giorno, l’ultima possibilità che mi fu data per tentare un dialogo con quel gemello che preferiva punire me piuttosto che ascoltare se stesso. Ma ebbi la mia soddisfazione, quando per l’ultima volta mi degnò di uno sguardo, mentre mi trovavo dietro le sbarre, in quella prigione tra le rocce alla quale mi destinò: la sua ultima occhiata fu quella del male ed io gli sorrisi, perché lo sapevo… avevo vinto… quel suo gesto volto al fratricidio segnò la condanna dell’angelo e la vittoria del demone.