La mia rondine

Ti vorrei, ti vorrei, come sempre ti vorrei
notte farà, mi penserai
ma tu che ne sai dei sogni
quelli son miei non li vendo

Che ne sai, che ne sai, chissà che mi scriverai
forse un addio o forse no
ma tu che ne sai dei sogni
...

nonostante tu sia la mia rondine andata via
sei il mio volo a metà
sei il mio passo nel vuoto

dove sei dove sei
dove sei dove sei dove sei
unico amore che rivivrei.

sai di vento del nord
sai di buono ma non di noi
stessa luna a metà
sei nel cielo sbagliato.

Non lo so, non lo so
quanto tempo ammazzerò
mio libro mio
non ti leggerò

baciandoti sulla bocca
lo scriverò un'altra volta.

nonostante tu sia la mia rondine andata via
sei il mio volo a metà
sei il mio passo nel vuoto

dove sei dove sei
dove sei dove sei dove sei
unico amore che rivivrei.

sai di vento del nord
sai di buono ma non di noi
stessa luna a metà
sei nel cielo sbagliato.

nonostante tu sia la mia rondine andata via
stessa luna a metà
sei nel cielo sbagliato.

(Mango - “La rondine”)

Lo guardo e la sensazione che mi sfuggirà, una volta di più, mi stringe lo
stomaco e il cuore. Lui è così, ti sembra di averlo raggiunto, di poterlo
stringere a te, di poter raccogliere le intricate sfumature del suo animo in
eterno subbuglio e, l'attimo successivo, lui sguscia via, con il corpo e con
tutto se stesso, geloso della propria, ombrosa, intimità.
E io mi chiedo come può essere così limpido l'azzurro dei suoi occhi, così
luminoso l'oro dei suoi capelli e così immerso in un'inintelligibile tenebra
il suo spirito infelice?
E' immobile sul prato, in piedi, gli occhi rivolti al cielo, somiglia ad un
poeta romantico perso nella contemplazione di un misterioso infinito e come
un poeta, come accade agli artisti smarriti nel proprio mondo personale,
impenetrabile per chiunque, è distante da me, perché in quel suo mondo non
accetta neanche la mia presenza.
Ci siamo avvicinati tanto Hyoga ed io, non avrei mai osato sperarlo, dal
giorno del nostro rincontro alle Galaxian Wars e forse, davvero, non ho il
diritto di pretendere nulla di più; eppure, ogni volta che mi concede
qualcosa, mi illudo che il nostro percorso l'uno in direzione dell'altro
possa giungere al definitivo, inscindibile contatto.
Invece mi concede un passo, poi mi respinge ad una distanza più incolmabile
e il vuoto tra noi si intensifica.
Ma potrebbe anche essere che, in realtà, sia sempre tutto uguale e sono io a
desiderare... a desiderarlo sempre di più... e per questo anche le mie
sensazioni si amplificano.
E' primavera, la prima bella stagione da quando le nostre battaglie sembrano
essere, definitivamente, terminate, ma anche in questo caso ho paura, non
vorrei correre il rischio di illudermi e disilludermi ancora.
E' primavera eppure fa freddo e il vento danza con l'erba, accarezza i fiori
appena sbocciati nel parco di questa gabbia dorata che è Villa Kido. Il mio
corpo di saint dovrebbe aver imparato a sopportare i climi più rigidi e
invece io patisco tanto il freddo... quello del clima e quello che assorbo
dalle altre persone...da lui che dal gelo di Siberia sembra plasmato... la
sua amata Siberia che, tanto spesso, mi rende geloso, anche se mi vergogno
di provare un simile sentimento.
Il mio corpo è avvolto in una morbida felpa, ma sento il bisogno di
stringere le braccia al petto quando mi assale una folata di vento più
feroce, che mi fa rabbrividire; mi massaggio con forza le braccia, per
trasmettere un po' di calore alla mia pelle attraverso lo strato di tessuto
che non soddisfa il bisogno che ho di sentire calore.
Lui invece non si muove, nella sua solita maglietta blu, le maniche
arrotolate sulle spalle, le braccia nude, forti, quelle braccia che vorrei
mi afferrassero e stringessero forte, liberandomi da tutto il gelo che sento
fuori e dentro di me.
I miei timidi passi non producono il minimo rumore mentre mi avvicino, per
fermarmi al suo fianco, ad ammirare il suo profilo innalzato verso il cielo.
. il suo sguardo che non si accorge della mia presenza... che non vuole
accorgersene. E io non parlo, timoroso all'idea di infrangere la sacralità
di quella contemplazione.
Tanto per cambiare mi considero di troppo, non ho alcun diritto di invadere
i suoi pensieri, non ho alcun diritto di pretendere nulla di più da lui.
Infilo le mani nelle tasche e distolgo i miei occhi, portandoli a terra,
consapevole di sentirmi immensamente triste... e solo...
Non so perché... non dovrei... i miei fratelli sono al mio fianco, anche
Ikki-Niisan... i cloth riposano nei loro scrigni da tempo...
Ma dentro di me le battaglie si ripetono, giorno dopo giorno nei ricordi e
notte dopo notte, negli incubi.
“Shun...”
La sua voce giunge inattesa e mi spinge a sollevare il viso di scatto, per
scoprire i suoi occhi, diamanti di ghiaccio che mi fissano, tra le palpebre
un poco socchiuse... un'espressione così dolce, rivolta a me, e il cuore mi
balza in gola in un moto di commozione.
“Hyokkun...”
Non so che altro dire, ma tremo e lui se ne accorge.
“Hai freddo?”
Mi stringo nelle spalle, nuovamente mi abbraccio, desiderando che a compiere
quel gesto sia lui e sposto ancora lo sguardo verso il basso, perché non
riesco a sostenere a lungo il suo.
“Non morirò di sicuro per questo.”
Spero che ribatta qualcosa, una frase tenera magari... o che faccia qualcosa
.. che mi circondi le spalle in un abbraccio e mi porti più vicino a sé.
Ma attendo invano e mi scopro a tentare di indovinare quale sia la sua
espressione mentre mi scruta, cosa stia pensando di me; forse che sono
ancora un fragile bambino che non ha neanche imparato a sopportare i disagi
del corpo. Ma lui non può sapere che il freddo che sento viene soprattutto
da dentro.
Sposto appena gli occhi di lato per cogliere, di sbieco, il suo volto... per
vederlo già disinteressato a me; è di nuovo lontano, in quel suo mondo all
interno del quale non accetta nessuno. Ma sono io che, questa volta, non
riesco ad accettare, perché ho bisogno della sua considerazione così
disperatamente come dell'aria che respiro, non voglio stare senza di lui...
e non voglio che lui stia senza di me, perché se io sono solo, lui lo è di
più, lui si rifugia nella sua solitudine e, senza avvedersene, di essa si
rende prigioniero.
Così non rispetto più la sua scelta e gli parlo, deciso, sentendomi al tempo
stesso colpevole:
“Cosa guardi con tanta insistenza?”
“Le rondini stanno tornando.”
Con mia sorpresa mi risponde calmo, un po' avevo temuto che mi avrebbe
addirittura ignorato o che si sarebbe rivolto a me come ad una una seccatura
lo fa a volte, forse senza rendersi conto di ferire, quando si sente invaso
oppresso da attenzioni nei suoi confronti che al momento non ha piacere di
ricevere. Invece la risposta è neutra, non dura ma neanche affettuosa, come
se in realtà non gli importasse, se la mia presenza gli fosse indifferente e
in qualche modo, la cosa mi addolora ancor più che se mi trattasse male.
“Il richiamo di casa è troppo forte per loro, tornare al luogo in cui sono
nate...”
Sta parlando a me o, piuttosto, a se stesso? Me lo chiedo perché non dà
davvero l'impressione di trovarsi al mio fianco, ma in un universo parallelo
che lo isola da quello tangibile.
“Ed è... quello che vuoi fare anche tu, non è vero?”
Il mio volto si abbassa mentre, in perfetta concomitanza con la frase che
pronuncio, giunge il pentimento per essermi lasciato andare in un modo che
non avrei voluto: l'ultima cosa che desidero è dargli l'impressione che io
voglia violare il suo mondo... non voglio essere io, per lui, una delle
tante persone che gli pesa avere intorno a sé, non lo potrei sopportare.
Forse per questo tento sempre di mantenermi una presenza discreta, pur
seguendolo, in ogni sua mossa, ma da lontano, senza che lui lo sappia...
spero che non lo sappia almeno. Ma, probabilmente, se si fosse reso conto di
qualcosa, me l'avrebbe fatto capire, mi avrebbe forse assalito con i suoi
rimproveri che sanno essere tanto taglienti da risultare insopportabili per
chi, come me, desidererebbe unicamente il suo affetto.
La stretta delle mie braccia si fa spasmodica, tanto che arrivo vicino a
conficcarmi le unghie nella carne e, quando trovo il coraggio di sollevare
lo sguardo, incontro i suoi occhi, meravigliosi e dolorosi a un tempo, che
mi fissano, un poco socchiusi, le sopracciglia aggrondate. Temo di averlo
fatto arrabbiare e vorrei chiedergli scusa ma... la voce non esce... non
esce per scusarsi quanto meno... perché le mie labbra si muovono e
sussurrano qualcos'altro, che neanche io stesso mi sarei aspettato di poter
dire:
“Perché? Perché ti fa così male restare qui?”
Le sue palpebre si stringono di più, le labbra diventano una linea sottile,
una leggera scossa delle sue mani mi fa capire che le dita vorrebbero
stringersi in pugni... e magari per colpirmi, ma non ho paura, non mi
farebbe più male del pensiero di non vederlo per tanto tempo... forse per
sempre. Sostengo il suo sguardo, anche se mi provoca tanta sofferenza è per
me come una calamita alla cui attrazione non so assolutamente resistere.
“Cosa ti aspetti che risponda?”
Deglutisco al suo tono senza espressione, ancor più di quanto risulti il suo
volto, i brividi che scuotono il mio corpo si fanno più intensi e questa
volta non posso fare a meno di distogliere gli occhi, abbassandoli; non so
neanche perché sto soffrendo dentro a tal punto... cosa mi aspetto? Mi
aspetto davvero qualcosa? Lui si aspetta che io... pretenda qualcosa da lui?
Scuoto appena il capo, ma è ancora Hyoga a parlare:
“Se hai tanto freddo, sarebbe meglio che rientrassi.”
Ora lo so, decisamente aspettavo qualcosa da lui, quello che ho sempre
aspettato: una sua parola dolce, un suo interessamento a ciò che sto
provando e, invece, sembra che voglia consapevolmente ignorare l'angoscia
che ho infuso nella domanda da me posta.
“Non posso rientrare perché...”
Mi blocco e ancora sollevo il viso, perché rivoglio la sua attenzione e
voglio che mi guardi, voglio che noti la mia commozione infinita... e i miei
sentimenti.
“...perché... se ora rientrassi e poi mi guardassi indietro, avrei il
terrore di non vederti più... di non trovarti più...”
Mi sembra che la sua espressione non sia più così tagliente, ha assunto una
sfumatura di morbidezza dettata dalla curiosità impressasi nei suoi
lineamenti... o mi voglio solo illudere che sia così?
“Si può sapere cosa ti succede? Perché sei così strano?”
Davvero non si rende conto di nulla? Davvero non capisce?
Il groppo che mi ostruisce la gola vorrebbe sciogliersi, vorrebbe esplodere.
. io vorrei poter dare via libera al pianto gettandomi tra le sue braccia,
ma non lo posso fare, se ora mi respingesse significherebbe il totale
annientamento per me.
Sospiro, il mio volto torna a terra, scuoto ancora il capo in un breve cenno
e mormoro una parola leggera come il volo delle rondini su nel cielo:
“Nulla...”
Poi gli do le spalle, se non me ne vado da qui finirò per crollare e, se
crollassi, potrei ottenere soltanto di peggiorare la mia situazione; una
gamba davanti all'altra mi impongo di muovermi, in realtà vorrei mettermi a
correre ma sento le membra rigide come se fossero di pietra, come se
nuovamente Algor avesse usato contro di me il suo terribile scudo. E poi, se
mi mettessi a correre, come spiegare a Hyoga un atteggiamento che
risulterebbe ancora più bizzarro?
Un altro passo... due... tre... e il mio braccio viene preso in una morsa
che mi strappa un gemito dettato più dalla sorpresa che dal dolore.
Non oso voltarmi e guardare il suo volto adesso, anche se non riesco ad
immaginare quale possa essere la sua espressione; mi tira indietro e mi
trovo ad aderire con la schiena contro il suo petto così accogliente. Oh no,
Hyoga, ti prego, se mi fai questo adesso io non credo che riuscirò a
resistere!
Trattengo il respiro, quasi esternarlo significasse per me perdere
totalmente il controllo, ho i nervi così tesi che mi fanno male mentre cerco
di arginare le loro violente vibrazioni e sembrano sul punto di spezzarsi.
“Per favore, Shun, non rendermi tutto più difficile...”
E' supplichevole, adesso, il tono della sua voce, è dolce... ma non
pronuncia le parole che ho sempre sognato di sentirmi rivolgere da lui; per
questo il mio cuore perde un colpo, poi si mette a battere più forte, sembra
volermi saltare fuori dal petto. Mi divincolo e so di avere perso, di dover
ormai abbandonare tutti i miei propositi, perché le lacrime scorrono lungo
le mie guance... neanche questa volta sono riuscito a resistere, a mostrare
un briciolo di dominio sui miei sentimenti che si rivelano sempre così
esplosivi... e tanto più forti di me, mi sconfiggono sempre.
E tra i miei sentimenti, come raramente accade, ora c'è anche la rabbia,
tanta, anche se non riesco a capire se essa è rivolta più a lui o a me
stesso. Mi dibatto con una tale forza che Hyoga, evidentemente, non si
aspettava, così le sue braccia si allargano e io mi giro fulmineo,
trovandomi faccia a faccia con lui; prima ancora che possa ordinare alla mia
voce il contrario, essa esce, spezzata dai singhiozzi:
“Io... rendere tutto più difficile a te? Che cosa ho mai fatto, io, per
renderti la vita difficile?”
No, così non va, non voglio apparire una vittima, non voglio piangermi
addosso, non mi piace... ma mi sembra così ingiusta la sua incomprensione
nei miei confronti!
“Shun...”
Un mormorio perplesso, indifeso... in questo momento, al giovane guerriero
plasmato dai ghiacci si è sostituito un bambino fragile e così solo che
vorrei stringerlo a me... non come un amante, ma come una madre stringe in
grembo il suo bambino... per promettergli che non lo lascerà mai più. Le mie
braccia si tendono, non è la ragione a comandare le mie azioni, e quando mai
è stato così? Io posso solo farmi trascinare dal cuore, difficilmente riesco
a fare altro... e quando mi rendo conto di ciò che sta accadendo, le mie
mani sono già sollevate, su quel viso tanto più in alto del mio, posate
sulle sue guance. Apparentemente lui rimane impassibile.
“Perché non vuoi che nessuno colmi la tua solitudine? Perché non vuoi... che
almeno lo faccia io... o non mi concedi di provare?”
Le sue mani si innalzano, fino a sfiorare le mie, sembrano esitare qualche
istante, poi le sue dita si chiudono, fanno forza sulle mie mani e le
allontanano, è evidente che desidera interrompere il contatto da me
instaurato. Lo sapevo, sapevo che l'avrei oppresso, che non avrei dovuto
farlo eppure, nonostante tutto, mi ritrovo a non accettare il suo rifiuto e
oppongo resistenza.
Si blocca e, per istanti che a me paiono infiniti, rimaniamo così, lui che
stringe le mie mani per non lasciarle posare sul suo volto, gli occhi negli
occhi, immobili, attimi sospesi senza che io possa prevedere cosa ad essi
seguirà; per quel che mi riguarda potrebbero anche rivelarsi eterni, come se
dopo non ci fosse niente.
Invece accade qualcosa che mi spiazza; Hyoga mi lascia e, in un gesto
speculare al mio, questa volta è lui a posare le mani sulle mie guance e io
sussulto, rabbrividisco ancora ma non di freddo, anzi, mi sento avvampare
interiormente, una fiamma che arde, che brucia tanto da costringermi quasi
ad urlare. Stringo i denti, serrò un po' le palpebre per trattenere le
lacrime che vorrebbero sgorgare.
“Tu mi farai impazzire, lo sai leprotto?”
Quel nomignolo che usa spesso con me... frutto di un ricordo... dell
esperienza che forse maggiormente ci ha uniti... non lo sa che si tratta
dell'arma con la quale riesce definitivamente a sconfiggere ogni mio
tentativo di resistere ai palpiti del mio cuore.
“E' che...” bisbiglio tra i denti, ingoiando le lacrime, “... più il tempo
passa e più mi è difficile fare a meno di te... io vorrei stare per sempre
con tutti i miei fratelli ma tu... tu... non so come spiegarlo Hyokkun, è
qualcosa di diverso, qualcosa a cui non riesco a dare un nome e che, quando
diventa così intenso, mi fa tanta paura perché...”
Non mi consente di dire altro, sono costretto a porre un termine alle parole
che pronuncio a precipizio, sconnesse, insensate; non ho la possibilità di
rendermi conto del suo movimento, dell'abbassarsi del suo volto, non posso
rilevare la frazione di tempo che passa dalla mia ultima parola all'attimo
in cui le sue labbra si posano sulle mie. In ogni modo, il tempo non ha più
alcuna ragion d'essere per me, potrei morire in questo medesimo istante.
Spalanco gli occhi sul nulla provocato dalla sorpresa inattesa, ma questo
nulla si trasforma ben presto in tante altre cose, avvinto come sono dalla
passione che mi afferra e mi trascina, facendomi affogare in questo bacio
con il quale Hyoga sembra volermi impedire persino di respirare, nel tocco
bruciante delle sue dita sul mio viso che mi stringono fino a farmi male e
mi sollevano, senza che io riesca ad oppormi... senza che io voglia oppormi.
Cosa mi stai facendo, Hyoga? Perché? Lo sai che mi stai dando il colpo di
grazia? Lo sai che da quel che mi stai donando adesso, io non mi libererò
più? Da questo momento in poi io dipenderò dalle tue decisioni, potrai
regalarmi la vita, o condannarmi alla morte dell'anima, perché con questo
bacio mi stai dando tutto te stesso... e accettandolo, io, ti sto concedendo
tutto me stesso.
Temo di non avere più consistenza dentro di me, sento le braccia che
ricadono, inermi, lungo i fianchi, i miei occhi si chiudono e io mi reggo in
piedi solo grazie alla forza delle mani di Hyoga sul mio viso, altrimenti,
lo so, crollerei a terra, e resterei abbandonato come uno straccio, incapace
come sono di conferire una qualunque reazione sia al corpo che allo spirito.
Di colpo, tutto finisce, lui si stacca da me e mi toglie ogni appiglio, quel
che avevo temuto accade; ho le gambe così molli che non posso evitare di
cadere in ginocchio, senza osare di aprire gli occhi, vedere i suoi, adesso,
potrebbe condurmi al totale annientamento. Potrei dire che il mio corpo è
assente, che non esiste in questo momento, se non fosse per le sensazioni
così vive, il sapore delle sue labbra che è rimasto sulle mie, il calore
delle sue dita sulla mia pelle... e le lacrime che mi solcano il viso, anch
esse caldissime... gli occhi mi bruciano e pulsano, in maniera insistente.
“Che cosa mi hai fatto, Shun? Io, non capisco niente...”
Quel che ho pensato, senza trovare la forza di esprimerlo ad alta voce, al
tempo stesso lo pensa anche lui... ci riteniamo davvero vittime l'uno dell
altro? Vittime di cosa, poi? Di un sentimento talmente intenso da
terrorizzarci? Un sentimento che sarebbe considerato, di fatto, proibito? Ma
perché, allora, per me è anche tanto bello? Possono coesistere, insieme,
tante emozioni così contrastanti?
Sì, a questo so rispondere, in fondo, per me, è sempre stato così, da quando
combatto... la gioia immensa di poter servire Athena e l'angoscia
altrettanto insopprimibile del dover affrontare tanta violenza, con tutto
ciò che ne deriva... non vivo da sempre immerso, io, in una contraddizione
che mi fa sentire spezzato in due? Quello che mi sta accadendo adesso è
unicamente un tassello in più aggiunto alla confusione della mia esistenza.
Schiudo un poco le palpebre, la vista annebbiata dal caos emotivo oltre che
dalle lacrime e lo vedo, come una maestosa creatura che torreggia su di me,
sembra ancora più grande, immenso, adesso che sono in ginocchio, mentre lui,
in piedi, mi osserva dall'alto in basso. La sua mano tesa compare davanti al
mio naso:
“Dai, alzati...”
Riuscirò a muovermi? A sollevare il mio braccio e a posare la mia mano nella
sua? Non è così difficile. Meccanicamente tento i primi movimenti, accetto
il suo invito e lui mi trascina, fino a farmi alzare, sono così inerte che
lo aiuto molto poco. Poi mi lascia, si volta:
“Scusami... sono stato uno stupido... non accadrà più niente del genere...
te lo prometto, Shun.”
I miei occhi si aprono, in tutta la loro ampiezza, improvvisamente ritrovo
la lucidità sufficiente per trovare assurdo il discorso che mi sta facendo.
Tutto qui? Perdonami... non accadrà più... ma cosa pensa... cosa vuole
realmente?
“Perché... non dovrebbe più accadere?” mormoro io e ho la sensazione che le
mie parole rimbalzino sulla sua schiena senza giungere affatto al suo udito.
Invece ferma i passi che aveva intrapreso, pur mantenendosi di spalle.
“Tu... vuoi che non accada più? Lo vuoi davvero?”
Insisto, so che sto rischiando di andare troppo oltre, ma non l'abbiamo
ormai superata la soglia? Non l'ha, dopotutto, superata lui?
“Io... non so cosa dire...”
Non posso vedere il suo volto, ma percepisco l'incertezza della sua voce,
percepisco la sua paura... lui, il guerriero che, con volto impavido e
ostentando una sicurezza che, probabilmente, come tutti noi, non ha mai
realmente posseduto, si è sempre gettato senza reticenze incontro alla morte
in una situazione come quella in cui adesso ci troviamo è persino più
spaventato di me. E' assurdo... noi siamo assurdi... cosa dovrebbe esserci,
dopotutto, di così complicato?
Faccio un passo, giungo a sfiorarlo, allungo una mano, ma non oso
posargliela sulla spalla:
“Io... so cosa voglio...”
La mia voce è più ferma di quel che avrei creduto e lui, finalmente, si
degna di voltarsi verso di me e di guardarmi, non riesco ad interpretare se
si tratti di uno sguardo in cui prevale rabbia, seccatura... o curiosità...
eppure trovo la forza di ripetere:
“So cosa voglio... ma non so cosa vuoi tu...”
Le sue braccia si muovono con una tale aggressività che, per un istante,
vengo colto dal timore che voglia colpirmi, invece mi afferra poco sotto le
spalle, con foga, mi scuote un poco, appare sconvolto:
“E cosa vuoi tu? Dimmelo, una volta per tutte!”
“Davvero non te ne sei ancora reso conto?”
“Shun, tu... non capisci cosa significa tutto questo...”
“Non attribuire a me quelli che sono tuoi dubbi e paure. Per me significa
solo una cosa, che non ha nulla di spaventoso, è anzi forse una delle più
straordinarie che potessero capitarmi; ben altre cose spaventose abbiamo
visto, nel corso della nostra vita!”
La sua stretta si allenta, improvvisamente pare quasi disarmato, schiude un
poco le labbra, ma in questo istante sembra incapace di esprimere qualunque
pensiero; si aspetta che sia io a prendere ogni iniziativa?
D'altronde, forse, è giusto così, in fondo lui, con quel bacio, ha preso la
sua, mi ha aiutato a comprendere che le mie sensazioni non erano del tutto
errate; mi ha fatto un regalo, il migliore che potesse farmi, anche se ora
la paura lo porta a pentirsi e si tira indietro, vorrebbe rinnegare tutto,
ciò che quel bacio ha significato per me e, spero, anche per lui. Ma io non
posso permettere che le sue incertezze rovinino tutto! Per questo, in un
impeto di orgoglio, prendo le sue mani tra le mie, anziché rifuggire il suo
sguardo come la soggezione mi porta solitamente a fare, lo rincorro con
insistenza, per poi fissare i miei occhi nei suoi.
Non è la prima volta che mi accade di trovare tutto il coraggio che mi serve
in un colpo solo, quando la situazione richiede una svolta e tale svolta
deve giungere da parte mia.
“L'impulso che ti ha spinto verso quel bacio può significare solo che anche
tu condividi i miei sentimenti; e allora perché negarli o ritenerli
spaventosi?”
Scuote il capo, malinconicamente:
“Vorrei possedere la tua capacità di rendere tutto così semplice, Shun.”
Sussulto appena, incredulo; mi sta dando del superficiale? O, forse, del
bambino immaturo. La cosa mi ferisce, dimostra che, nonostante tutti gli
sforzi che ho sempre fatto per mostrarmi in grado di affrontare questioni
per me troppo dure da accettare, lui non ha poi una così alta opinione di me

Come se mi avesse letto nel pensiero, con espressione contrita riprende,
distogliendo un poco lo sguardo:
“Non intendevo dire niente di offensivo, Shun, sono stato anzi molto sincero
davvero lo vorrei, vivere tutti i sentimenti con la tua stessa purezza... e
invece, non riesco ad affrontare con serenità neanche l'onore di essere
tanto amato da una persona speciale come te...”
Questo non me l'aspettavo, fiacca nuovamente ogni mia buona intenzione di
trovare le parole giuste; lui non se ne rende conto, ma quella che mi ha
rivolto, con tono così infelice e dimesso, è un'autentica dichiarazione d
amore, la più toccante delle dichiarazioni d'amore.
Seguono istanti di sospensione assoluta e noi ci fissiamo negli occhi,
finalmente vicini, lo sento, vicini come quando, da piccoli, ci scambiavamo
confidenze negli angoli più reconditi dell'immensa reggia dei Kido. O come
quando, nella casa di Libra, i nostri cosmi si sono fusi nella maniera più
totale.
Attraverso il nostro contatto giunge a me il suo tremito, seguito da un
cedimento nel quale mi trascina o, per meglio dire, dal quale mi lascio
trascinare, accompagnandolo a terra, le mani ancora allacciate, gli occhi
negli occhi...
E ci ritroviamo in ginocchio l'uno di fronte all'altro; le ultime parole
sono le sue, gentili come le carezze che ho sempre desiderato ricevere da
lui, ma tanto dolorose nella loro essenza:
“Un po' di tempo, Shun... dammi solo un po' di tempo...”
Mi viene da sorridere, anche se temo si tratti di un sorriso tinto di
rassegnazione, dimesso, scortato da un sospiro; in fondo l'ho sempre saputo,
non ho mai realmente sperato di trattenerlo, di convincerlo a non andarsene.
. tutto quel che ho ottenuto, forse, è una briciola di speranza in più.

***

Passeggio con le mani in tasca, senza scopo, da circa due ore, il volto
sollevato in alto come lui quel giorno, ad osservare le evoluzioni delle
rondini nel cielo; vorrei potermi librare in alto come loro perché forse, da
un punto di vista sopraelevato, potrei vedere le cose sotto un'altra
prospettiva, magari prendendomela meno, affrontando ogni giorno lontano da
lui con maggior serenità e fiducia.
Sì, perché alla fine se ne è andato, come le rondini sono tornate da noi,
allo stesso modo lui è tornato alla sua casa, l'unico luogo al quale, temo,
sia sempre realmente appartenuto.
Le mani affondate nelle tasche, la mia espressione rivolta al cielo, i miei
passi distratti, tutto in me deve apparire svagato e assente, ma magari
dentro mi sentissi realmente così, almeno non passerei il mio tempo a
rimuginare... su Hyoga sì... ma anche su tante altre cose, quelle medesime
cose su cui rimugino da tutta la vita e che vanno a toccare il mio ruolo nel
mondo, una posizione che ho sempre affrontato con un conflitto mai sanato.
Ho indosso la mia giacca color nocciola, abbastanza leggera da non risultare
ingombrante ma calda a sufficienza in queste giornate che non si decidono a
lasciare definitivamente spazio ad un clima tiepido; o sono io, dopotutto,
che mi ostino a non percepire i frammenti caldi di un sole che mi appare
ancora lontano, troppo lontano.
Lo so perché; il mio sole, quello che realmente illuminerebbe e scalderebbe
le mie giornate, non è qui in Giappone, ma ha deciso di andare a riscaldare
il freddo della Siberia... e chissà se tornerà mai. Il giorno in cui è
partito ho tentato di non mostrarmi fragile davanti a Hyoga, le lacrime
volevano uscire ma ho cercato di non rendergli tutto più difficile, come ama
tanto spesso dire lui. Sono crollato dopo, all'aeroporto di Narita, alla
vista dell'aereo che si librava alto nei cieli di Tokyo, portandolo via da
me; sono caduto in ginocchio, reggendomi alla rete metallica, ignorando il
dolore che sentivo alle dita.
Mi raggiunse invece il tocco della mano di Seiya sulla mia spalla; il mio
fratellino, con la sua solare sensibilità, ha intuito più cose di quelle che
voglia far credere e non se l'è sentita di mandarmi da solo a salutare Hyoga
Da quel giorno fa del suo meglio per non lasciarmi un momento, ma non
unicamente lui... tutti sanno... hanno compreso... forse persino Ikki-Niisan
che sembra aver messo da parte la sua gelosia per recarmi tutto il conforto
possibile.
Sono davvero così egoista da non saper fare tesoro di quello che ho? Li ho
tutti intorno, come ho sempre sognato, in pace, senza battaglie, senza il
rischio di vederli cadere sotto i colpi di nemici troppo potenti... ma non c
è lui...
La mancanza di uno solo di noi è sufficiente a dare la sensazione che il
puzzle delle nostre anime manchi di completezza; è così per tutti, ne sono
sicuro, a tutti manca Hyoga... ma sanno affrontare la sua assenza meglio di
quanto riesca a farlo io.
In fin dei conti, dopo quel che è accaduto tra noi, dopo la nostra reciproca
confessione, mi sembra il minimo... lo sto pensando per giustificarmi?
Perché, a dispetto di tutto l'amore da cui sono circondato, sento come se
mancasse una parte fondamentale, essenziale di me? Perché sento che senza
quella parte, quel particolare tassello del puzzle, io sono... vuoto dentro?
Mi fermo, ma il mio capo non si abbassa; i miei occhi si concentrano su una
rondine, che sembra volersi lasciare guardare da me. La vedo andare e venire
sopra la mia testa, dandomi l'impressione che stia tentando di parlarmi.
“Vuoi portarmi un suo messaggio? L'hai visto e lui ti ha parlato di me?”
Sono uno stupido; come può, quella rondinella, aver davvero attraversato i
cieli di Siberia? Non merita lei, libera e al tempo stesso costretta ad
affrontare ben altri problemi concernenti la sua stessa sopravvivenza, che
io la investa con il mio malessere, non è giusto.
“Scusami...” mormoro sollevando una mano, tentando istintivamente di ridurre
le distanze tra me e lei, di stabilire un contatto... e forse, tramite quel
contatto... raggiungere qualcuno... rendere davvero la rondinella messaggera
l'anello di una catena con la quale avvincermi più strettamente a lui.
Mi viene da sorridere, perché, in uno strano gioco di specchi rifrangenti,
mi scopro ad identificare quella rondine con il mio Hyoga... lui che è un
cigno maestoso, che è tanto vicino alle creature signore del cielo, perché
non potrebbe, per una volta, fondere il suo spirito con un uccello tanto più
semplice ma che, in questo momento, mi sembra tanto in sintonia con la sua
anima?
Una rondine che va e viene, che non riesce a mettere radici in un luogo, che
forse non appartiene realmente a nessun luogo, perché l'istinto la spinge a
spostarsi, anno dopo anno, seguendo ininterrottamente il ritmo delle
stagioni, per una necessità interiore, un bisogno che, probabilmente,
surclassa ogni volontà razionale.
E il bisogno che ha Hyoga di tornare in Siberia, supera davvero la sua
volontà... forse una parte di lui vorrebbe fermarsi per sempre accanto a me.
. sarà questa parte abbastanza forte da farlo tornare?
Tornare... farlo tornare da me....
Non so reggere oltre, gli occhi mi si appannano, la rondine diventa un
indistinta macchia nera su uno sfondo azzurro, tra le chiazze verdi e
marroni che prima riconoscevo come rami e foglie degli alberi. La mia voce
si rompe in un'invocazione sconnessa:
“Torna... al nostro gruppo manca il frammento che lo renderebbe davvero
speciale...”
Mi blocco, mentre abbasso lentamente il braccio ed il volto, serrando con
forza le palpebre:
“Ma la verità è che manchi troppo a me... amore...”
Un garrito calamita la mia attenzione, spronandomi a sollevare nuovamente il
viso; hai voluto chiamarmi, rondinella? Vuoi davvero dirmi qualcosa? O
desideri semplicemente recare conforto ad uno sciocco, insignificante
ragazzino, tu che, così piccola, sai elevarti al di sopra delle miserie
umane ed affrontare la vita con tanto coraggio?
Infondine un po' in me di quel coraggio, perché sono tanto più fragile di te
e, senza di lui, non so dove trovare la forza per andare avanti e per
affrontare i ricordi che rischiano, giorno dopo giorno, di sopraffarmi. Se
fondere il proprio cuore con quello di qualcun altro significa questo,
significa stare tanto male quando l'altra metà è distante, allora, forse,
sarebbe meglio non amare, tenere il proprio cuore tutto per sé... ma non
sono mai stato capace di farlo, quindi è ancor più inutile porsi il problema
ormai dovrei avere imparato ad accettare definitivamente quello che sono,
senza trovare sempre un nuovo alibi per odiarmi.
L'isolamento che mi autoimpongo, immergendomi tra alberi, cielo e rondini, è
dopotutto dettato dal mio solito terrore di essere di troppo... di risultare
insopportabile. E loro sono troppo abili, ormai, a leggermi dentro; se Hyoga
fosse qui e se potesse conoscere i miei pensieri, forse poserebbe una mano
tra i miei capelli, arruffandomeli con affetto e dandomi del piccolo stupido
..
Ecco che il mio pensiero ritorna a lui... ma quando l'ha mai abbandonato? La
mia rondine in un cielo sbagliato, perché non è lo stesso che posso
contemplare io... non è lo stesso nel quale permetterebbe anche a me di
volare insieme a lui.
Ho perso del tutto la cognizione del tempo, me ne rendo conto notando che
sta lentamente scendendo la sera; le rondini si sono ritirate nei loro
ripari notturni... tutte... tranne una.
“Sei ancora qui? Non vuoi lasciarmi come ha fatto lui? Hai paura di farmi
del male anche tu? Ma non devi temere, sai? Io me la caverò, mentre tu non
puoi trattenerti fuori fino a tardi, non saresti al sicuro...”
Per illudermi ancor più che il mio messaggio la raggiunga, ristabilisco il
contatto esattamente come avevo fatto prima; sono razionalmente consapevole
che non può realmente sentire la carezza della mia mano allungata verso di
lei, ma non ho mai creduto che le leggi della ragione siano le uniche valide
e nessuno mi convincerà di questo! Chissà che, davvero, in questo modo non
riesca a far arrivare la mia carezza anche a Hyoga? In fondo, nella mia
fervida immaginazione, la mia amica pennuta è il tramite tra me e lui, colei
che mi sta aiutando a sentirlo più vicino.
Quando riabbasso il braccio, tuttavia, lei è scomparsa e il macigno di
solitudine che, per un po', ero riuscito in parte a fugare, mi aggredisce
con violenza tale da costringermi a portare la mano al petto, afferrando con
forza il tessuto della giacca; sento il bisogno di sedermi e appoggio la
schiena alla corteccia di un albero, lasciandomi scivolare a terra per poi
rannicchiarmi sul tenero tappeto d'erba.
Anche i miei sensi scivolano via, vinti da un'ondata di sonno alla quale non
so resistere. Così lascio ricadere la testa all'indietro contro il tronco e
non ricordo altro, fino al momento in cui vengo svegliato da una carezza sul
viso e i miei occhi si aprono sulle tenebre notturne, tra le quali
intravvedo appena i lineamenti duri di un volto arcigno, ma da me tanto
amato.
“Ti sei addormentato qui fuori, piccolo pazzo?”
“Ikki... Niichan...”
“Sei incorreggibile, dai, vieni qui...”
In questo momento non chiedo altro se non di potermi crogiolare nell
abbraccio di qualcuno che mi voglia bene, anche se non vorrei mai far
preoccupare proprio lui, che ha in me la sua principale ragione di vita,
ormai non prova neanche più a nasconderlo, né a se stesso né a me, me lo
dice costantemente.
E comunque, ora non avrei la forza di rifiutare il suo appoggio anche perché
una parte di me, è consapevole che lo ferirei; il mio cuore ferito non
desidera ferire a sua volta, proprio perché sa quanto si sta male... e
soprattutto, preferirei essere torturato a morte piuttosto che ferire lui...
il mio Ikki-Niisan al quale devo tutto.
Così lascio che mi avvolga tra le sue forti braccia, alle quali mi abbandono
totalmente; non si limita a sostenermi ma mi solleva come se fossi una piuma
e io poggio il capo sulla sua spalla, restando così, mentre mi trasporta
fino in casa e mi deposita sul letto, tra le coperte. Poi, anziché andarsene
rimane lì a contemplarmi, con il suo sguardo che sa diventare, nei miei
confronti, tanto tenero e intenso.
Gli sorrido più dolcemente che posso:
“Grazie, Niisan...”
Le sue mani si posano su di me e iniziano a sbottonarmi la giacca:
“Su, toglila...”
Lascio che mi aiuti a spogliarmi e a restare solo con i vestiti leggeri che
ho sotto: in casa fa caldo, soprattutto il mio adorato fratellone mi
riscalda il cuore e vorrei trovare il mezzo più efficace per mostrargli la
mia gratitudine, meriterebbe ben altro che prendersi cura del mio umore
deprimente:
“Mi dispiace così tanto...”
So benissimo che nessuna scusa è sufficiente, ma voglio almeno che lo sappia
che sia a conoscenza del fatto che io mi rendo conto di tutto e che sento
quanto tiene a me, me ne rendo totalmente conto e vorrei tanto riuscire ad
essere meno egoista.
Mi sollevo fino a mettermi seduto e abbasso lo sguardo sulle mani
abbandonate in grembo, che si tormentano tra loro; la sua voce giunge alle
mie orecchie:
“Se solo potessi stringere tra le mie dita la gola di quel maledetto Cigno,
io...”
Mi muovo con uno scatto fulmineo verso di lui e gli poso una mano sulla
bocca:
“No Niisan, ti prego!”
Si blocca, quindi prende delicatamente la mia mano e la scosta dal suo volto
permettendomi di scorgere le sue labbra piegate in un sorriso:
“Hai ragione... non sono poi proprio io a poter criticare gli altri... Chi
ti ha causato più sofferenze di me, dopotutto?”
Scuoto con foga il capo, sono il genere di discorsi che meno vorrei udire da
lui, ma ho la mente troppo confusa per trovare le parole adatte a ribattere;
mi lascio così, come sempre, trasportare dall'istinto e mi getto contro di
lui, circondandogli il busto con le braccia e nascondendo il volto sul suo
petto.
Percepisco distintamente il suo condiscendente sospiro, cui segue la carezza
che affonda, protettiva, tra i miei capelli.
“Cerca di dormire un po' adesso e non pensare a nulla fino a domani.”
Ho sonno in effetti, forse causato dalle contorsioni mentali in cui mi
imbarco dal mattino alla sera; in battaglia non c'era tutto questo tempo per
pensare... ma non oso certo dire che stavo meglio... non sarei tormentato
dagli incubi se non fosse stato per quel periodo sanguinoso che ha
caratterizzato gran parte della mia esistenza.
“Dormiresti con me stanotte?”
Lo sussurro piano, mentre la sua mano accompagna la mia testa sul cuscino;
in sua presenza vengo vinto ancora troppo spesso da questa debolezza... da
questa regressione infantile... o che più probabilmente vorrebbe ricondurmi
ad un'infanzia che non ho mai realmente conosciuto. Averlo al mio fianco
mentre dormo, ha la capacità di tenere lontani gli incubi che mi
terrorizzano, dovuti a tutti i traumi accumulati.
Facciamo tutti brutti sogni a causa delle nostre esperienze passate, vissute
in un'età nella quale gli esseri umani dovrebbero godere fino in fondo il
loro essere bambini... spero, così, che anche a lui serva un po' la mia
vicinanza... che dormire con me lo protegga dai suoi di incubi i quali, di
sicuro, non devono essere meno spaventosi di quelli che tormentano me.
“Non ti lascio...”
La risposta culla il mio lento scivolare in un nuovo sonno, questa volta più
tranquillo... non farò incubi, ma avrei tanto desiderio di trovare tutti i
miei fratelli al risveglio...
Mi abbandono al nulla imponendomi di concentrarmi solo su Ikki-Niisan, per
sfuggire al vuoto che mi assalirebbe se solo pensassi a un altro nome... a
un altro volto che temo non abbia bisogno di me come io ne ho di lui.

***

Al mio risveglio, Ikki-Niisan è ancora accanto a me; ha davvero dormito
tutta la notte al mio fianco. Il mio letto non è larghissimo, ma stringermi
a lui è stato bello. Scopro con piacere che il suo braccio mi circonda
protettivo e sorrido al suo cipiglio ombroso anche mentre è immerso nel
sonno.
Tuttavia è tranquillo, direi sereno ed è un'autentica conquista.
Io invece, nonostante tutto, dopo l'attimo di tenerezza e sollievo che mi
avvolge come il suo abbraccio, mi ritrovo immerso nel senso di mancanza che
non mi ha più abbandonato da quando Hyokkun è partito... e che... lo so...
non mi abbandonerà mai, se lui non dovesse tornare.
Sguscio con tutta l'attenzione e la gentilezza che mi è possibile dalla
stretta di mio fratello; non voglio rischiare di svegliarlo, finché dorme
così sta bene e non ho nessuna intenzione di turbare i suoi pochi momenti di
tranquillità emotiva.
Io però non riesco più a stare a letto, il sonno è passato e se ora rimango
qui, sdraiato, a far nulla, verrò sopraffatto dalla depressione; sono
comunque un guerriero e non mi va di crogiolarmi nella mia angoscia senza
affrontarla... negli unici modi che conosco... rendendomi quanto meno attivo

Riesco nel mio intento e Ikki-Niisan rimane totalmente immobile anche mentre
io mi metto in piedi, senza risolvermi a distogliere lo sguardo da lui: è
troppa la tenerezza che mi trasmette, vorrei vederlo sempre così, lontano
dai tormenti, dai problemi... dai sensi di colpa, soprattutto nei miei
confronti, che vorrei trovare il modo di cancellare, tutti in una volta,
perché entriamo entrambi in un circolo vizioso... se lui si sente in colpa
verso di me, genera in me altrettanti sensi di colpa... e andiamo avanti all
infinito.
Non potremmo semplicemente smetterla, e vivere, insieme e in pace, come
sempre abbiamo sognato?
La tentazione di posargli un bacio sulla fronte, o sulla guancia, è
pressoché irresistibile, ma faccio violenza su me stesso e mi trattengo, se
dovessi svegliarlo a causa di un capriccio non me lo perdonerei mai!
Così mi impongo di lasciarlo tranquillo e di distogliere, mio malgrado, l
attenzione da lui, anche se ricacciarmi nella mia triste realtà non è
piacevole, per nulla.
Passeggio verso la finestra; ieri notte abbiamo lasciato le persiane aperte,
così i primi raggi dell'alba si infiltrano attraverso le tendine senza
alcuna difficoltà; mi avvicino e apro appena la vetrata, silenziosamente, un
piccolo spiraglio che mi permette di infilarmici attraverso per raggiungere
il terrazzino su cui la mia stanza si affaccia. Cammino fino alla balaustra
di candido marmo e vi appoggio gli avambracci, sporgendomi in avanti,
perdendo il mio sguardo lontano... vorrei che arrivasse tanto lontano fino
ad incontrare due occhi azzurri che adesso staranno contemplando le distese
siberiane con i loro ghiacci perenni.
Scuoto tristemente il capo, perché mi sto facendo pena da solo e, al tempo
stesso, mi considero irritante e patetico, privo di considerazione per chi
mi sta intorno.
Mi chino di più sul parapetto e appoggio il mento sulle mani, liberando un
sospiro nell'aria fredda di questo mattino prossimo alla primavera. Però,
questa volta, il freddo non mi infastidisce, non lo accolgo male, forse
perché mi illudo che possa rinfrescarmi le idee rendendo tutto meno doloroso
o, forse, perché, semplicemente, mi fa sentire più vicino a lui...
Lui è il gelo che, a tratti, si tramuta in una fiamma che divampa, incapace
di contenere passioni troppo intense.
Un suono dolce mi giunge alle orecchie e sollevo il capo con un sorriso,
riconoscendone immediatamente la fonte.
“Sei tu...”
La rondine garrisce ancora e voglio credere che si tratti di un saluto
rivolto proprio a me, magari da parte di Hyoga.
La parte di me che ancora riesce a conservare una parvenza di razionalità mi
spinge a ridere tra me di me stesso. E quella stessa parte è consapevole di
quanto basse siano le probabilità che la creatura volteggiante sopra la mia
testa sia la medesima rondine con cui mi intrattenevo ieri. Ma metto
risolutamente a tacere quella parte, niente e nessuno, neanche la ragione e
il senso pratico della vita potranno togliermi i sogni.
“Sono uno sciocco” mormoro rivolgendomi a lei, senza smettere di sorridere
del mio autocompatimento misto ad una sorta di bizzarro orgoglio.
La rondine continua a volteggiare sopra ad un punto del parco che il mio
sguardo non riesce a raggiungere.
“Cosa vuoi mostrarmi?” continuo quel singolare dialogo a mezza voce che,
nella mia fantasia, lei sta intrattenendo con la mia persona.
Come se fosse la cosa più naturale del mondo, mi arrampico fino a mettermi
in piedi sul parapetto e, da lì, senza distogliere lo sguardo dalla mia
messaggera, servendomi di tappe intermedie costituite dalle complesse
architetture dell'edificio, giungo fino a terra, tra l'erba. Non è certo un
problema per me e constato con piacere che non ho perso del tutto l'agilità
inculcatami dal mio passato di addestramento guerriero.
“Ma perché devi sempre scegliere la strada più complicata?”
Sussulto, mentre dall'angolo della mansion che mi era celato alla vista,
accompagnata dai voli della rondine nel frammento di cielo sopra di lei,
sbuca una figura, con passi solenni, il viso momentaneamente oscurato da un
baluginio del sole che, tuttavia, non mi impedisce di sorridere, incredulo.
“Era anche la via più breve però” sussurro con voce tremula, “e ora capisco
che avevo i miei buoni motivi per fare presto...”
Allarga le braccia e, in pochi istanti, io sono aggrappato a lui e strofino
il volto sul suo petto accogliente, inebriandomi nella stretta delle sue
braccia forti.... e tanto per cambiare non so trattenere le lacrime che
tuttavia, questa volta, sono liberatorie.
Rimaniamo così per parecchio tempo, non saprei dire quanto ed è lui ad
interrompere questi istanti di sospensione:
“Vuoi restare aggrappato a me per sempre?” ridacchia.
Io non mi muovo e rispondo, restando assolutamente immobile nella mia
posizione:
“Se mi stacco e sollevo lo sguardo... temo di vederti svanire... sono così
propenso ai sogni che, a volte, non so distinguerli dalla realtà...”
Un'altra risatina dalla sua voce che non mi è mai sembrata tanto tenera; con
gentilezza si libera dall'abbraccio, ma non interrompe del tutto il contatto
mantenendo le sue mani sulle mie spalle. Lo fa per mettere l'uno di fronte
all'altro i nostri sguardi e ora posso vedere benissimo i suoi occhi che,
stranamente, non mi appaiono gelidi, figli dei ghiacci tra i quali si
aprirono per la prima volta, anni fa. Sono invece dolci, accesi di una luce
che non ho mai scorto in essi.
Le sue mani si sollevano fino al mio viso, mi circondano le guance e sono
salde, in quel tocco imprime una violenza che, lo so, è voluta, ma non con l
intento di fare del male.
“Continui a vedermi? A sentirmi? Sono concreto, leprotto? Ti sembro
convincente?”
Non so che dire, la paura non mi abbandona del tutto ma, nonostante questo,
annuisco e le sue dita accompagnano il mio cenno del capo, regalandomi una
carezza che mi porta a chiudere un attimo gli occhi con un sospiro di
beatitudine. Ma li riapro subito, non vorrei mai rendermi conto di essere
immerso in un'onirica fantasticheria... e ogni gesto potrebbe confermarmelo,
potrebbe farmi svegliare all'improvviso, portandomi ad urlare per la
delusione che mi risulterebbe insopportabile a questo punto.
E' ancora qui... forse dopotutto è reale... meravigliosamente reale.
Lo fisso, con insistenza, come a voler imprimere ogni tratto del suo volto,
ogni prezioso filo dei suoi capelli d'oro nella memoria... così, anche se
dovesse svanire, i miei sogni saranno ancor più realistici.
Infine, le mie labbra formulano da sole una domanda che, in qualche modo, dà
voce alle paure che non riesco a cacciare:
“Sei tornato... per restare?”
“Sono tornato perché neanche la Siberia era in grado di colmare quel vuoto
che... un solo essere al mondo, ormai, sarebbe in grado di colmare...”
Non oso dare un'interpretazione alle sue parole, ho paura di indovinare il
loro significato. E' ancora lui a volermi dare ineluttabili indizi,
avvicinando le sue labbra al mio volto, a sfiorarmi l'orecchio, come a
volerle rimarcare con assoluta certezza:
“Mi hai catturato, Shun... sono tuo prigioniero e... mai, in nessun modo,
vorrei liberarmi dalla trappola che mi hai teso... sei quanto di più bello
mi sia mai capitato nella vita e sarei uno sciocco a voler scappare da tanta
bellezza...”
Non so cosa rispondere, se non con un sorriso che non si libera affatto dell
incredulità che mi porto dentro; dopotutto, credevo di essere io il suo
prigioniero, che ormai tutto, in me, dipendesse dai suoi umori e dalle sue
decisioni.
Ma forse, in fin dei conti, è normale... lui ama me e io amo lui... siamo
prigionieri l'uno dell'altro... e al tempo stesso liberi di volare,
finalmente, nel medesimo cielo, insieme alla rondine che ci saluta con il
suo trillo felice.