TRE FRAMMENTI DI UN CUORE


-1-

La corsa sfrenata di Shun si interruppe unicamente quando trovò coloro che
da parecchi minuti stava cercando; il suo bel viso da adolescente era
deformato dall'ansia mentre ansimava, chinandosi in avanti, a posare le mani
sulle ginocchia. Nei suoi occhi luccicavano lacrime che non uscivano ma che
rendevano ancora più evidente l'alterazione morale di cui il ragazzino era
preda.
E quegli occhi si fissarono sul bersaglio che avevano agognato per tutto il
cammino: due ragazzi un po' più grandi, che si fronteggiavano, urlandosi
contro reciprocamente. I loro visi erano coperti di ematomi e graffi, segno
inequivocabile che la loro lotta non era esclusivamente verbale.
Infatti, dopo l'ennesimo insulto, il più alto dei due si slanciò in avanti,
con l'intento di sferrare un pugno violento che l'altro schivò, abbassandosi
e sgusciando sotto il braccio teso che, così, colpì il vuoto.
Nella medesima mossa si scagliò a testa bassa e sferrò un sinistro che andò
ad infrangersi sul mento del rivale; questi barcollò, fece un passo indietro
ma rimase in piedi, saldo, una furia incontenibile negli occhi color della
notte.
“Smettetela!”
Il grido che si levò, suono stesso della disperazione, congelò entrambi e i
due giovani si immobilizzarono in quella plastica posizione come statue di
atleti rappresentate nel compimento della loro attività. Quella voce doveva
esercitare su di loro un notevole ascendente, nessun altro sarebbe riuscito
ad intromettersi tra due belve inferocite par loro senza rischiare, a
propria volta, l'incolumità.
Ma per Shun era diverso, Shun era il loro mondo, la stella intorno a cui
ruotavano i loro pensieri e i loro sentimenti più intensi. Fino a quel
momento in attrito, Ikki e Hyoga reagirono in perfetto accordo simbiotico
quando si voltarono, nel medesimo istante, verso il ragazzino in preda all
ansia, che li fissava con i suoi immensi, supplichevoli occhi di smeraldo.
Le loro espressioni sembrarono terrorizzarlo tanto si mostrarono dure,
astiose, seppur non nei suoi confronti; appartenevano a due fiere pronte ad
attaccare chiunque, mosse da furia cieca e diffidenza.
Tuttavia Shun rimase saldo, era abituato, ormai, a dover sostenere simili
occhiate e conosceva abbastanza bene quelle due persone, amici, fratelli,
compagni d'arme, per sapere che a lui mai avrebbero fatto del male; ma
desiderava ardentemente che non si facessero del male a vicenda, soprattutto
che non si detestassero così tanto a causa sua. Perché lui era perfettamente
consapevole di rappresentare il fulcro della loro discordia, lo percepiva
nello spirito ed in ogni terminazione nervosa, anche se le motivazioni di
una tale situazione gli sfuggivano del tutto.
L'istante di silenzio che seguì crepitò di tensione, nessuno di loro sapeva
cosa dire, tanto meno Shun, il quale era stato guidato fino a lì dall
urgente intento di fermarli.
Trovandosi così, davanti a loro, le gambe presero a tremargli ed ogni parola
che avrebbe potuto pronunciare gli sembrò vuota ed inutile.
Ma infine le parole vennero, gettate fuori con tutta la forza d'animo di cui
era capace quel fanciullo dall'animo puro che aveva affrontato prove
indicibili fin da quando era nato:
“Fatemi un favore, vi supplico! Ogni volta che vi sentite arrabbiati, non
fatevi del male, ma sfogate la rabbia su di me, lo preferisco piuttosto che
vedervi scagliarvi l'uno contro l'altro ricoprendo i vostri corpi di ferite,
spaventandomi a morte!”
Le braccia dei due ragazzi più grandi si abbassarono lungo i fianchi e loro
si misero in posizione eretta; Hyoga distolse lo sguardo e lo abbassò,
scosso da quanto aveva udito mentre Ikki, più truce come al solito,
apostrofò il fratellino con una smorfia che sfiorava il disgusto:
“Quante sciocchezze una dopo l'altra sei riuscito a mettere in fila in un
discorso così breve, Shun!”
Il volto di Hyoga si sollevò di scatto ed i suoi occhi di un azzurro limpido
tanto da sembrare trasparente, ma taglienti come l'acciaio, si piantarono
feroci in quelli del santo di Phoenix:
“Non scaricare su di lui il tuo nervosismo, lascialo in pace!”
Il rimprovero non andò giù al fratello che, già dimentico della tregua, si
scagliò come un ossesso sul responsabile che aveva osato fargli un
osservazione da lui ritenuta umiliante:
“Con quale coraggio ti permetti di farmi la morale, Cygnus?!”
Hyoga era prontissimo a difendersi ma il pugno non arrivò mai a destinazione
perché un corpo tanto più esile dei loro si mise in mezzo, sollevando le
proprie braccia, minuscole al confronto, ad afferrare quello di Ikki.
“Shun!” urlò Hyoga, mentre il santo della Fenice riusciva a stento a frenare
il colpo, quel tanto che bastò per non ingiuriare seriamente il fanciullo
impulsivo, ma non poté trattenere uno strattone violento in seguito al quale
Shun cadde a terra, dopo aver sbattuto malamente la nuca contro la corteccia
di un albero.
“Maledizione” imprecò Ikki stringendo i pugni, palesemente confuso per l
accaduto; Hyoga invece si mostrò più reattivo e si gettò sul ragazzino
rimasto immobile a terra.
In realtà Shun quasi non sentiva il dolore fisico, era avvezzo a ben altro,
il suo corpo dall'apparenza tanto delicata aveva subito ferite
inimmaginabili nel corso delle tante battaglie sostenute, ma la spossatezza
morale lo privava dell'energia necessaria a sollevarsi da solo, quindi
accettò di buon grado l'abbraccio del sacro guerriero di Cygnus che lo aiutò
a mettersi seduto.
“Ti sei fatto male?”
Il ragazzino scosse leggermente il capo, con aria depressa, senza trovare il
coraggio di guardarli in viso. Tra loro era sceso un silenzio colmo di
imbarazzo e tensione che fu tuttavia Shun a spezzare, dopo parecchi istanti,
con la sua voce dolce, in quel momento flebile come un lieve fruscio su un
tessuto pregiato:
“Vi ho visti feriti e coperti di sangue così tante volte nel corso delle
nostre battaglie... e mi costringete a trovarmi ancora davanti agli occhi
quest'immagine che mi perseguita... ferite non provocate in guerra dai
nemici... ma perché vi picchiate come due bambini litigiosi...”
Man mano che parlava il tono andava incrinandosi e, al tempo stesso, si
faceva più acuto, intriso di una rabbia che inizialmente non aveva creduto
di provare; e nel pronunciare le ultime parole il suo sguardo si levò, gli
occhi verdi, grandi ed innocenti come quelli di un bambino ma tanto profondi
da apparire millenari nella loro saggezza, incendiati di una fiamma viva che
scese bruciante nel cuore dei due interlocutori.
Nessuno dei due fratelli fu in grado di sostenere quello sguardo, ma la
reazione di Ikki fu spropositata; diede le spalle agli altri con un
imprecazione colorita non rivolta a nessuno in particolare o, forse a se
stesso e prese a camminare a grandi passi verso il folto del bosco.
“Niisan, dove vai?!” lo chiamò Shun, alzandosi più in fretta che poté, ma la
sua invocazione cadde nel vuoto, perché il fratello maggiore finse di non
udirlo e non accennò neanche a fermarsi. Il fanciullo avrebbe voluto
corrergli dietro ma una morsa ferrea si chiuse sul suo polso.
“Lascialo perdere” gli ordinò Hyoga senza neanche provare a nascondere la
propria durezza.
Shun lo fissò incredulo; non capiva perché Hyoga volesse impedirgli di
portare pace nell'animo di Ikki-Niisan, sembrava infastidirlo il fatto che
lui mostrasse il desiderio di rincorrerlo. Si divincolò un po', ma Cygnus
accentuò la stretta fin quasi a fargli male e, nel frattempo, non lo
guardava, mantenendo i propri occhi di ghiaccio fissi su un punto davanti a
sé; apparentemente continuava a scrutare la direzione nella quale Ikki era
scomparso e, in quello sguardo, con suo grande orrore, a Shun sembrò di
scorgere un'ombra non semplicemente ostile ma addirittura intrisa di odio.
Il volto di Shun si abbassò e due ciocche dei suoi capelli dalle sfumature
preziose, cangianti tra riflessi rossi e dorati, gli carezzarono
morbidamente le guance di neve; si arrese rassegnato alla mano di Hyoga ma
sussurrò, al colmo dell'angoscia:
“Ma perché fate così?”
Solo a quel punto percepì su di sé gli occhi del fratello sovietico ed erano
come due lame che gli attraversavano l'anima da parte a parte; nonostante
questo sollevò il viso ed affrontò quello sguardo che, dopo pochi istanti,
si addolcì. La stretta sul polso si allentò, ma le dita restarono ferme e
non lo lasciarono.
“Scusami” mormorarono tuttavia le labbra di Hyoga e Shun lesse negli specchi
di ghiaccio dei suoi occhi tormento e tristezza.
Quindi il russo sollevò la mano del fanciullo che ancora teneva prigioniera
e se la portò al viso, strofinandolo poi su essa, come a voler assaporare il
profumo di quella pelle delicata e tenera; Shun, colto del tutto alla
sprovvista, fu scosso da un tremito, i suoi occhi si sgranarono, più grandi
che mai, le labbra si schiusero appena ma ad esse non sfuggì un suono.
Cygnus sembrò rendersi improvvisamente conto di quello che stava facendo e
si decise, finalmente, a lasciare libera la mano di Shun, ma il suo corpo
era attraversato da un fremito che non riusciva a dominare.
“Scusami se sono un tale stupido, è che io...”
Shun non sapeva se lo sconvolgesse maggiormente l'atteggiamento bizzarro che
Hyoga stava mostrando o la venatura di pianto che incrinava la sua voce; ma
ancor più straniante fu ciò che accadde successivamente, quando il santo del
Cigno si lasciò cadere in ginocchio e prese entrambe le mani del fratellino
tra le sue, sollevando il proprio sguardo a ricercare disperatamente quello
di Shun, come se volesse chiedergli aiuto.
“E' che io...” tentava intanto di proseguire, smarrito, spaventato alla
stregua di un bambino timido alla scoperta del mondo.
Sospirò profondamente in un modo che somigliava più a un gemito e poggiò la
fronte sulle mani di Shun alle quali si aggrappava, simile ad un naufrago
bisognoso di un appiglio nel mare in tempesta.
“Hyokkun...” sussurrò il santo di Andromeda, il cuore colmo di tenerezza di
fronte a quella reazione assurda e, nel frattempo, si inginocchiò, per
riportare i loro visi alla medesima altezza. Hyoga fu così costretto ad
incontrare nuovamente quegli occhi meravigliosi che erano più profondi dell
oceano da cui attingevano i colori e le sfumature più belle.
Le mani del russo abbandonarono la propria posizione per salire alle guance
del fratello e su esse si posarono.
“Non posso più... nascondere... a me stesso...”
Erano tutti e due seri adesso, consapevoli della solennità di quel momento,
in parte ancora incomprensibile per entrambi. Poi il viso di Hyoga si
avvicinò, con lentezza, a quello di Shun, le loro labbra si sfiorarono e,
infine, si toccarono con maggior decisione; il santo di Cygnus si tuffò
sulla bocca di Shun, sembrava un assetato che da giorni non assaporava il
delizioso sapore dell'acqua.
Shun rimase assolutamente immobile, non provò paura né, in fondo, alcuna
sorpresa; non attendeva forse quel momento da sempre? Non era una risposta
allo stato confusionale nel quale lo gettavano, tanto spesso, gli
atteggiamenti di Hyoga ed Ikki-Niisan? E, al tempo stesso, i suoi sentimenti
nei loro confronti?
Non poté fare altro se non abbandonarsi a ciò che gli stava accadendo, a ciò
che rispecchiava esattamente i suoi desideri; chiuse gli occhi e si lasciò
andare, assecondò ciò che Hyoga voleva perché, dopo tutto, lo volevano
entrambi.
Infine il contatto si interruppe, in maniera piuttosto brusca e, quando Shun
aprì gli occhi, Hyoga era lontano da lui, balzato indietro come un gatto
selvatico colto in flagrante a compiere qualcosa di pericoloso e proibito;
fissava il fratello più piccolo con gli occhi sbarrati e colmi di terrore e
tremava vistosamente mentre cercava di rialzarsi, barcollando, tra sconnessi
balbettii:
“Scu... scusa... scusami... io...”
Shun rimase in ginocchio e, quando Hyoga fu in piedi, tese una mano verso di
lui, con il più rassicurante e tenero dei sorrisi:
“Non preoccuparti Hyokkun... vieni qui...”
Il santo del Cigno continuava a fissarlo dall'alto della sua statura e Shun
era una creatura piccola, così inginocchiato ai suoi piedi eppur tanto più
grande del fratello nel coraggio dei propri sentimenti, nella sua sconfinata
purezza.
Hyoga scosse il capo, indietreggiò e ripetè ancora, incerto ed impaurito:
“Scusami Shun... perdonami... non so cosa mi sia preso...”
Quindi si voltò e corse via, lasciando Shun ancora una volta a fissare
impotente uno dei suoi numerosi, adorati fratelli che fuggiva, incapace di
mettere ordine nel vortice di sentimenti che teneva tre di loro intrappolati
in una rete senza apparenti spiragli attraverso i quali fuggire.
Si rialzò, lentamente, il volto costantemente abbassato a rimuginare sulla
situazione bizzarra nella quale si trovava; lottava tra il piacere che l
improvvisa follia commessa da Hyoga gli aveva procurato e l'incertezza. Si
era trattato di un caso? Il suo compagno e fratello era realmente mosso da
un sentimento tanto forte od era semplicemente confuso?
“Ed io?” si chiese dopo tra sé, “cosa provo realmente?”
Lo amava alla follia e questo non lo metteva in dubbio. Lo amava tanto da
sentirsi male, lo desiderava in maniera tale da struggersi e smarrirsi
spiritualmente mentre pensava a lui; e in tutto questo i sensi di colpa lo
tormentavano... non perché Hyoga era suo fratello ma perché...
“Amo forse Ikki-Niisan in modo diverso?” pensò e si portò le mani agli occhi
a soffocare un singhiozzo.
Cosa doveva fare, come doveva comportarsi?
“Quale mostruosità sono io, che amo i miei fratelli in tutti i sensi che si
possano immaginare... che non potrei donarmi ad uno solo di loro senza
sentirmi spezzato? Che cos'ho che non va?”
E cosa avrebbero pensato i due amori della sua vita se avessero potuto
leggergli dentro? Loro che tanto gli volevano bene l'avrebbero disprezzato,
si sarebbero, forse, trovati finalmente uniti e in perfetto accordo nel
rendersi conto di quanto fossero stati ingannati da quel fratellino tanto
innocente in apparenza quanto era sporco e corrotto nell'anima.
La tentazione di seguire i fratelli era forte, ma erano fuggiti in direzioni
diverse e non avrebbe potuto correre da entrambi a meno di non spezzarsi in
due; scegliere gli era impensabile.
“E' così... terribile non saper scegliere tra loro? E'... così terribile
amarli entrambi così tanto da sentirmi morire?”
Non poté fare altro se non allontanarsi, a passo mesto e volto basso, verso
casa, sperando ardentemente che Ikki-Niisan e Hyoga non si incontrassero
ancora prima di rientrare: avrebbero sicuramente trovato un qualunque
appiglio per scoppiare in un nuovo litigio.


***

“Quando è iniziato tutto questo?” borbottò Seiya, sacro guerriero di Pegasus
in piedi vicino alla finestra, le mani affondate nelle tasche e i grandi
occhi d'ambra puntati sul paesaggio esterno, concentrati sulla triste
figurina che avanzava a capo chino e che sembrava più che mai piccola e
fragile, così sommersa dalla propria sofferenza.
“A cosa ti riferisci?” lo interrogò Shiryu, comparendo alle sue spalle.
Quindi, scorgendo anche lui il loro adorabile angelo al di là del vetro,
comprese e sospirò.
“Shun non accetterà mai del tutto il proprio ruolo nel mondo” commentò, con
la sua voce che sapeva essere calda nei momenti raccolti quanto poteva
suonare grintosa e persino aspra nel pieno della battaglia, “ma Ikki e Hyoga
non lo aiutano di sicuro ad affrontare la propria realtà in maniera più
serena.”
I pugni di Seiya si strinsero e il suo volto di eterno monello fu deformato
da una smorfia rabbiosa:
“Quanto vorrei prenderli a botte fino a far loro sputare l'anima in questo
momento!”
“E otterresti unicamente di contribuire anche tu al malessere di Shun,
dovrebbe tenere a bada una terza belva litigiosa.”
“Ma non possiamo andare avanti così” sbottò Seiya abbassando il capo,
rendendo ancora più convulsi e frementi i propri pugni ricaduti lungo i
fianchi e sembrava sforzarsi di trattenere un singhiozzo. “Non stanno
distruggendo solo Shun ma rendono invivibile l'atmosfera di questa casa;
tutta l'armonia che si era creata tra noi sembra essersi dissolta.”
Shiryu gli mise una mano sulla spalla:
“Non dire così; non accadrà se ci sforzeremo di non lasciarci trascinare
anche noi nel loro vortice assurdo.”
“Non è così semplice, quando siamo tutti insieme l'aura rabbiosa che emana
dai loro corpi si può quasi toccare tanto è intensa.”
“Lo so” sospirò ancora il santo del Dragone; non poteva non ammettere a se
stesso che quanto il compagno e fratello più piccolo asseriva corrispondeva
a verità.
In quel momento la porta si aprì e i loro sguardi si spostarono su colui che
fino a pochi attimi prima avevano osservato attraverso la finestra.
Precedentemente ignaro della loro presenza e sentendo l'attenzione altrui
fissa su di sé, Shun si bloccò sulla soglia e ricambiò le loro occhiate,
piuttosto intimidito; non gli ci volle molto per capire di essere l'oggetto
dell'ansia degli altri due suoi fratelli, in fin dei conti, quando Ikki e
Hyoga avevano cominciato a litigare, si trovavano riuniti e Seiya e Shiryu
avevano assistito alla scena fin dal principio.
Schiuse un poco le labbra ma poi, non sapendo affatto cosa dire, scosse
silenziosamente il capo e rivolse lo sguardo altrove.
Non poté tuttavia sottrarsi al desiderio dei due compagni di mostrargli la
loro comprensione.
“Stai bene?” gli chiese Seiya e, nel frattempo, fece qualche passo verso di
lui, tanto che Shun sussultò a quell'invasione del proprio spazio vitale,
quasi temesse che l'eccessiva vicinanza avrebbe permesso a Seiya di leggere
esattamente i suoi pensieri. Il santo di Andromeda sapeva di essere un libro
aperto per tutti i fratelli e facilmente essi indovinavano cosa gli passava
per la testa: ma ciò che gli si agitava nell'animo era talmente inquietante
e spaventoso in quegli istanti da fargli desiderare di nascondersi più che
poteva.
Così, lui che di solito accettava di buon grado le effusioni e il contatto
fisico, si ritrasse e l'apparente fastidio che mostrò colpi profondamente
Seiya.
“E' successo qualcosa di grave?”
Il ragazzino scosse il capo senza levare lo sguardo e camminò un po' a
ritroso, fino a giungere in prossimità delle scale. Quindi balbettò a mezza
voce, appena udibile:
“Scusatemi, ho bisogno di stare solo per un po'.”
Troppo angustiati per quell'atteggiamento scontroso che impediva loro di
riconoscere il tenero fratellino sempre in cerca della loro compagnia,
Shiryu e Seiya non poterono fare altro che restare a guardarlo, mentre
scompariva su per le scale per andare, con ogni probabilità, a rinchiudersi
nella propria stanza.


***

Quella sera Shun non si presentò a cena e neanche Ikki e Hyoga ricomparvero.
“Se quei due vogliono rovinarsi le giornate sono liberissimi di farlo”
esclamò Seiya in un momento in cui era nuovamente solo con Shiryu, “ma non
posso accettare che Shun stia così male a causa dei loro capricci!”
“Dove stai andando adesso?” lo interrogò Shiryu vedendolo dirigersi come una
furia su per le scale.
Non ottenne risposta ma indovinò comunque da solo quale potesse essere la
meta del fratellino; infatti, poco dopo, udì un bussare energico ad una
porta e la voce di Seiya, affatto controllata, che chiamava insistente:
“Shun-kun, aprimi, pretendo di parlarti, io non c'entro con quei due pazzi
furiosi dei nostri fratelli e non voglio che mi tagli fuori dalla tua vita!”
Shiryu ridacchiò e scosse la testa; sicuramente Shun non avrebbe resistito
ad un richiamo così appassionato.


***

Dopo essersi chiuso nella propria stanza, Shun non era riuscito a dominare
il desiderio di piangere; nel corso di tutta la sua vita le lacrime erano
state sue compagne e mai aveva impedito loro di uscire, anche se spesso i
fratelli lo rimproveravano per questo e così, sempre più spesso, se l
istinto al pianto si faceva insopprimibile, tendeva ad isolarsi.
Forse era stupido piangere come un bambino per questioni così personali,
aveva versato lacrime per tutti gli eventi atroci che avevano costellato la
sua vita e ciò che stava attraversando, al confronto, poteva apparire futile
e piccolo. Eppure, ne andava della serenità di tutti loro, della loro gioia
di stare insieme; se la situazione tra Ikki e Hyoga non avesse accennato a
migliorare e si fosse anzi trascinata, come in effetti prometteva, verso un
peggioramento, il loro gruppo così saldo, tanto da aver raggiunto il culmine
della simbiosi durante la battaglia nell'Ade, avrebbe irrimediabilmente
finito per disgregarsi; e questo lui non l'avrebbe sopportato.
“Io non sono nulla senza i miei fratelli, se loro non volessero più stare
insieme, cosa sarebbe di me?”
E gli avrebbero, definitivamente, chiesto di scegliere?
Trascinato in quel turbine emotivo al quale non sapeva porre un freno, aveva
affondato il viso nel cuscino, afferrandone la stoffa con le sue dita fini
ed era poi rimasto in quella posizione, completamente immobile, assente a
tutto ciò che gli accadeva intorno.
Dopo che ebbe perso del tutto la cognizione del tempo, una serie di colpi
aggressivi contro la sua porta lo fece sobbalzare ed una voce tonante gli
ferì le orecchie:
““Shun-kun, aprimi, pretendo di parlarti, io non c'entro con quei due pazzi
furiosi dei nostri fratelli e non voglio che mi tagli fuori dalla tua vita!”
“Oh, Seiya...” mormorò tra sé, “io non voglio tagliare fuori nessuno dalla
mia vita.”
Si alzò, un po' barcollante; la prolungata immobilità, unita alla tensione
dei suoi nervi, gli aveva indolenzito le membra. Si accostò alla porta e la
aprì, trovandosi davanti il fratello che, le braccia incrociate sul petto e
lo sguardo imbronciato, lo fissava con i suoi grandi occhi infiammati.
“Avevi intenzione di mettere le radici qui dentro?” lo apostrofò Seiya,
spingendolo da parte quel tanto che bastò per poterlo oltrepassare ed
addentrarsi nella camera. Quindi richiuse la porta, mise un braccio intorno
alle spalle di Shun e lo condusse verso il letto, dove lo fece sedere al suo
fianco.
Il santo di Andromeda era rimasto in silenzio, lasciandosi guidare da
Pegasus senza opporre resistenza, ma anche senza mostrare una minima
reazione positiva; in un certo senso sembrava trovarsi da un'altra parte ed
essere disinteressato a qualunque cosa si volesse da lui.
“Allora, che intenzioni hai?”
La domanda di Seiya penetrò la sua passività e il calore del braccio che
ancora lo circondava scendeva nel suo animo, gradevole e colmo d'affetto
sincero; sollevò il viso pallido e i suoi occhi incontrarono quelli del
fratello, essi lo osservavano con un'intensità talmente seriosa e salda che
il fanciullo dai capelli dorati se ne sentì soggiogato.
“In che senso, Seiya?”
“Vuoi passare rinchiuso qui dentro anche i prossimi giorni?”
Shun riabbassò il capo, incrociò le mani in grembo ed osservò le proprie
dita che si tormentavano tra loro senza sosta.
“Almeno, se io non sono presente, forse loro non litigheranno.”
In realtà avrebbe voluto rivolgere quella frase unicamente a se stesso e,
rendendosi conto di aver reso Seiya partecipe di un simile pensiero, si
pentì immediatamente per aver parlato a voce alta.
“Lascia perdere, Seiya-kun” scosse il capo, facendo danzare intorno a sé la
chioma che gli nascondeva il volto abbassato, “non far caso alle sciocchezze
che dico.”
“L'avevo capito, sai, che ti senti in colpa per il modo in cui si comportano
Ikki e Hyoga” sentenziò Pegasus fingendo di non avere udito, “è fin troppo
facile indovinare quello che provi e d'altronde, tu ti senti in colpa per
tutto, anche se non capisco perché, foss'anche di essere nato, per cui ti
cospargi il capo di cenere persino se due idioti passano il tempo a
scannarsi tra loro senza nessun ragionevole motivo.”
“Non parlare così di loro, ti prego” piagnucolò Shun, rintanando la testa
tra le spalle e facendosi ancor più piccolo.
“Solo se tu la smetti di pensare male di te!” ribatté Seiya sciogliendo l
abbraccio e portando la mano a scompigliargli i capelli. “Non hai nessuna
colpa, tu soprattutto, se un colpevole è da trovare non sei certo tu.”
“E' che io...”
Shun si interruppe subito; la disponibilità di Seiya gli aveva trasmesso un
tale conforto che, per poco, l'istinto non lo condusse ad aprirgli del tutto
il proprio cuore. Ma non poteva, non voleva rovinare l'opinione positiva che
il fratello, minore di lui di pochi mesi, nutriva nei suoi confronti, non
voleva rischiare di perdere anche lui come stava perdendo i due fratelli
maggiori. Non poteva dire nulla a nessuno, né pretendere che gli altri
accettassero l'essenza confusa dei suoi sentimenti se prima non avesse
trovato il modo di accettarli lui stesso, o quanto meno di reprimerli fino a
farli scomparire. Anche se quest'ultima possibilità gli appariva
improponibile: rifiutare e cancellare ciò che provava nei confronti di
Ikki-Niisan e Hyoga era spaventoso almeno quanto lo era riconoscerlo ed
accoglierlo come dato di fatto.
“Allora Shun, adesso vuoi dirmelo cosa intendi fare? Ci degnerai della tua
compagnia o rimarrai sepolto qui dentro?”
Il tono vivace di Seiya riuscì a far sorridere il santo di Andromeda, anche
se il sorriso era umile, contenuto, intriso di quella malinconia che, da
quando erano tornati dagli Inferi, non aveva mai abbandonato del tutto il
fanciullo guerriero incapace di affrontare con accettazione completa il
proprio destino ed i propri ricordi.
“Stasera ho molto sonno, Seiya-kun, vorrei solo dormire. Ma domani uscirò,
stai tranquillo, mi vedrete all'ora di colazione.”
“Mmm” mugugnò il santo di Pegasus, scrutandolo con aria sospettosa, ma poi
si alzò, gli arruffò nuovamente i capelli e si diresse verso l'uscita. “Ci
conto, mi raccomando e cerca di dormire davvero, spegni il cervello e non
pensare, ti conosco fin troppo bene.”
Shun sorrise di nuovo, intenerito ed annuì:
“Te lo prometto, dormirò come un ghiro e farò solo bei sogni.”
“Già...” mormorò Seiya, lanciandogli ancora un'occhiata prima di varcare la
soglia e richiudere la porta dietro di sé, lasciando Shun perfettamente
consapevole di non essere stato creduto neanche un poco.
“E così, sono pure un bugiardo” sospirò lasciandosi cadere all'indietro sul
materasso, gli occhi aperti sull'alto soffitto di marmo. Non aveva affatto
sonno ed era fin troppo facile prevedere che la sua notte sarebbe trascorsa
tra il tormento e la paura di addormentarsi per poi cadere in balia degli
incubi, suoi costanti compagni notturni.


***

Seiya e Shiryu si attardavano nel salone; non riuscivano a sentirsi
tranquilli, benchè Shiryu tentasse di minimizzare e tranquillizzare il
fratello meglio che poteva, gli era proprio impossibile non considerare un
problema ciò che stava accadendo al loro gruppo che in passato si era
rivelato così solido.
In quel momento la porta si aprì e il santo del Cigno, in tutta la sua
nordica bellezza, comparve sulla soglia, apparentemente disinteressato alle
presenze nella stanza; i suoi due fratelli invece concentrarono su di lui
gli sguardi severi, accusatori si sarebbe detto e Hyoga non poteva non
notarlo. Quelle espressioni poco rassicuranti lo convinsero che, forse,
Seiya e Shiryu andavano considerati.
Non avrebbe permesso al proprio sguardo di rivelarsi meno freddo e fermo,
così ricambiò le occhiate, facendo correre le proprie lastre di ghiaccio
gelido su entrambi:
“Qualcosa non va?”
La domanda che pose non venne ben accolta da Seiya, il quale scattò come
morso da un serpente e sollevò i pugni, inveendo contro il compagno:
“Hai ancora il coraggio di chiederlo? Ti sembra normale quello che tu e il
tuo degno compare state combinando?”
“Di che ti immischi?” sbottò Hyoga, distogliendo il viso con fare sprezzante
“dovrei lasciarmi calpestare secondo te? Lasciare che si atteggi in quella
maniera odiosa senza reagire?”
“Credi di essere da meno?” la voce di Pegasus si alzò di parecchie ottave e
divenne stridente, tanto poco ormai il ragazzino, il più piccolo membro
della famiglia Kido, si controllava.
“Io vorrei solo essere lasciato in pace, da lui e da tutti voi!”
“Anche noi vorremmo essere lasciati in pace, senza dover tollerare le vostre
uscite di testa quotidianamente!”
“Posso andarmene anche domani se lo desideri, non bramo certo la vostra
perenne compagnia!”
Mentre urlava, Hyoga aveva fatto qualche passo in direzione di Seiya,
sovrastandolo con la sua altezza notevole, ancora aumentata nel corso di
quell'ultimo anno e il santo di Pegasus, il cui sangue puro giapponese lo
aveva fatto restare decisamente basso, appariva minuscolo accanto a lui. Non
per questo si lasciò intimidire, nel corso delle sue battaglie aveva
affrontato con pieno successo dei giganti al cui confronto Hyoga restava un
bambino. Quindi si sollevò in punta di piedi e puntò il naso contro il
mezzosangue russo, benché neanche così gli fosse possibile pareggiare la
loro statura:
“Puoi andartene, sì, e portati magari dietro l'altro pennuto irascibile,
staremo tutti più tranquilli!”
La mano di Hyoga scattò ad afferrare il fratello per il colletto della
t-shirt e lo strattonò con tale forza che Pegasus si sentì sollevare da
terra.
“Potete pure tenervelo” ringhiò tra i denti il santo di Cygnus, “meno
incrocio il suo cammino e meglio sarà per me!”
“Ma la volete finire?!”
Shiryu si intromise, afferrò Hyoga per il polso e, con la forza della
disperazione, separò i due spingendoli l'uno lontano dall'altro.
Improvvisamente libero dalla stretta, Seiya barcollò all'indietro e si tenne
a stento in equilibrio, ma non staccò i suoi occhi accesi di rabbia da
quelli di Hyoga, che lo ricambiavano, altrettanto feroci.
“Stiamo impazzendo tutti quanti?” ansimò il santo del Dragone e intanto si
passò una mano tra i capelli, come a cacciare la confusione che ottenebrava
la razionalità di tutti loro. Il carisma ed il buon senso del fratello
educato tra i monti della Cina, avevano sempre un ascendente positivo su
tutti i ragazzi della casa e, anche questa volta, gli animi sembrarono,
lentamente, raffreddarsi; le braccia dei due litiganti ricaddero lungo i
fianchi. Hyoga sbuffò, distolse lo sguardo e fece per andarsene ma, nel
voltarsi, notò il fanciullo fermo poco distante, entrato nella stanza
evidentemente senza essere notato da nessuno nella confusione, timido e
discreto come sempre, gli accadeva spesso di passare inosservato.
“Shun” esclamò Hyoga, così anche Seiya e Shiryu si accorsero finalmente
della presenza del più gentile membro di quella famiglia sconfinata di
fratelli che erano i Kido.
“Ho... sentito gridare... e così... sono venuto a vedere cosa succedeva...”
Era così flebile la sua voce, così abbattuta eppur musicale, bella come un
canto angelico, questa era la sensazione che scendeva nell'animo di tutti
ogni volta che il loro tesoro parlava. Nessuno trovò il coraggio di
rispondergli e allora lui abbassò il capo:
“Hai... intenzione di andartene davvero, Hyoga?”
Il santo del Cigno sussultò, ci fu qualche istante di teso silenzio, poi il
russo si mosse, si avvicinò al fratellino triste e, senza preavviso, gli
afferrò un braccio e cominciò a trascinarselo dietro, strappandogli un
esclamazione di pura sorpresa.
“Vieni con me!” gli ordinò, ma senza cattiveria, si trattava di un
imposizione intrisa di supplica, una preghiera di poter stare da soli.
Forse perché interpretò correttamente quell'incrinazione Shun non oppose la
minima resistenza e si abbandonò alla guida di Hyoga dopo aver scoccato un
ultima, veloce occhiata ai due fratelli che osservavano perplessi la scena;
il suo sguardo voleva essere un invito a tranquillizzarsi ma non era certo
di aver fatto cadere del tutto il velo di inquietudine dalle pozze
smeraldine.
Hyoga lo trascinò al piano di sopra e si fermò solo davanti alla propria
camera, il tempo di aprire la porta e si infilò dentro con il suo dolce e
remissivo fardello, chiudendo all'esterno il resto del mondo. Solo allora si
decise ad interrompere il prepotente contatto, ma solo quel tanto che bastò
per spostare le mani e posarle sulle spalle del fanciullo, il quale si
sforzava di tenere lo sguardo fisso su quello tagliente del russo.
Stupendo persino se stesso, fu proprio Shun il primo a trovare il coraggio
di rompere l'opprimente mutismo che si era impossessato di loro:
“Non mi hai risposto... Hyokkun...”
La voce gli tremò un po' ma risuonò abbastanza decisa come lo sguardo. Sentì
le dita di Hyoga fremere contro la sua pelle.
“Perché credi che ti abbia portato qui, che desideri tanto restare solo con
te?”
“Immagino... che c'entri quello che è accaduto prima... nel parco...”
Nel ricordare il bacio che il fratello gli aveva rubato, le guance del
fanciullo si tinsero di rosso, ma rimase a testa alta; nonostante si
sentisse tanto sporco nell'anima, scappare non l'avrebbe reso migliore.
“C'entra... sì...” sussurrò Hyoga e Shun ebbe l'impressione che il respiro
del russo si facesse più veloce e convulso. “C'entra perché non voglio
perderti e, in questo momento... non potrei mai andarmene!”
Il sollievo nel cuore di Shun contrastava con il senso di disagio che si
impadronì di lui; con una parte di sé avrebbe voluto accogliere con gioia
ciò che Hyoga gli stava dicendo ma c'era quell'altra parte, che lo legava
indissolubilmente ad Ikki-Niisan... e c'erano i litigi dei suoi due amati,
le loro reciproche incomprensioni. Il suo modo di amarli entrambi, di
desiderarli entrambi, di voler appartenere ad entrambi lo rendeva ancor più
colpevole, anche alla luce dell'ostilità che i due provavano l'uno per l
altro.
Per questo, dopo aver disperatamente tentato di trovare un modo efficace di
ribattere, dopo aver vanamente lottato per trovare una risposta adatta, aprì
le labbra intenzionato a parlare ma, subito dopo, sospirò e non poté fare
altro che abbassare il capo, incapace di reggere la pesantezza della propria
situazione. In quel momento avrebbe desiderato divincolarsi dalle mani di
Hyoga e scappare via da quella stanza che, improvvisamente, gli sembrava una
prigione, bellissima, dorata, perché si trovava al suo interno in compagnia
di uno dei suoi grandi amori, ma pur sempre una gabbia o, per meglio dire,
era la complessità dei suoi sentimenti a rinchiuderlo in una trappola senza
scampo.
“Non hai proprio niente da dirmi?”
L'insistenza di Hyoga lo gettò ancor più nello sconforto; risollevò di
scatto il viso ed esclamò, con il pianto nella voce:
“Quel che desidero di più ora è che voi due la smettiate di litigare sempre,
vorrei tanto che andaste d'accordo, vi volete bene, siete fratelli e non è
giusto che...”
Si bloccò, terrorizzato dall'espressione glaciale che assunse il bel volto
di Cygnus; la stretta sulle sue spalle si fece spasmodica.
“Io ti porto qui per parlare del nostro rapporto e, anche adesso, mentre io
mi sto confessando a te, tu non puoi fare a meno di pensare a lui?!”
Il tono era talmente deluso e feroce che Shun si sentì spaventato e triste a
un tempo.
“Non penso a lui” pigolò, lieve ed insicuro, “io sto pensando a voi... a voi
due... e a tutti noi!”
Il russo lo lasciò e, nell'impulso del movimento, gli diede anche una
piccola spinta in seguito alla quale Shun barcollò e per poco non cadde; un
sapore amaro e un grumo di saliva ostruivano la gola del fanciullo più
piccolo, tanto da dargli la sensazione di respirare a fatica.
“Pretendo troppo se desidero che, per una volta, tu pensi unicamente a me?!”
La voce e gli atteggiamenti di Hyoga erano talmente alterati che Shun ne
ebbe paura ma, più ancora, finì per odiare nuovamente se stesso; non solo
era interiormente corrotto ma non riusciva in alcun modo a rendere felici
coloro che a tal punto amava. Sapeva che per loro avrebbe fatto qualunque
cosa eppure, ogni sua parola, ogni suo gesto contribuivano ad accentuare il
loro malessere.
Scosse il capo e la testa prese a girargli tanto da fargli credere di venire
catturato da un vortice, il suo corpo diventava debole e instabile. Si portò
una mano alla fronte, chiuse gli occhi e provò a respirare profondamente per
affrontare e dominare il capogiro, senza troppo successo.
“Scusami Hyokkun...” mormorò deglutendo a fatica, sapendo di parlare in
maniera sconnessa, “perdonami, tu non sai quanto io ti amo... non lo puoi
neanche immaginare... ma...”
“Ma diresti esattamente la stessa cosa anche al tuo Ikki-Niisan!”
Il santo di Andromeda sussultò, spalancò gli occhi, ma tutto era nebbia; era
stato davvero sul punto di dire a Hyoga ciò che lui, d'altronde, aveva
perfettamente indovinato?
Il suo piccolo cuore provato batteva così forte che sembrava voler esplodere
ormai era in grado di riconoscere con sicurezza un attacco di panico, ne
soffriva da sempre e non voleva assolutamente rendere Hyoga partecipe di uno
dei suoi soliti crolli emotivi, non voleva caricare nessuno dei suoi
fratelli dei problemi che erano solo suoi. Per questo era necessario trovare
al più presto il modo di sgattaiolare via, per rifugiarsi laddove avrebbe
potuto affrontare la crisi in completa solitudine. Ma fuggire in quel
momento avrebbe significato mostrarsi come un vigliacco di fronte al ragazzo
più grande che pretendeva spiegazioni da lui, pretendeva una risposta e non
aveva torto: Hyoga aveva messo in gioco tutto se stesso, sia con il bacio
che richiudendosi in camera con lui, al solo scopo di scambiarsi reciproche
confidenze. Era stato coraggioso nel campo dei sentimenti più di quanto
fosse di solito in grado di farlo e Shun sentiva che lo stava ricambiando
nel peggiore dei modi, desiderando scappare perché, in realtà, piuttosto che
scegliere avrebbe preferito restare per sempre in una sospensione affettiva
che tuttavia non prevedesse continui litigi tra Hyoga ed Ikki-Niisan: il
ritorno della pace era davvero ciò che più gli premeva.
“Vedo che fremi per andartene” lo apostrofò il giovane nordico con la voce
intrisa di rimprovero, “non ti trattengo di sicuro; forse dopotutto non ti
importerebbe così tanto se io me ne tornassi in Siberia!”
“Non dirlo mai più!” strillò Shun, sconvolto al pensiero di aver peggiorato
la situazione e temendo che, a causa sua, Hyoga si fosse convinto del tutto
alla partenza.
La reazione violenta fece peggiorare la condizione del proprio organismo e,
sentendosi cadere, compì qualche passo indietro, fino a sedersi sul letto,
si prese la testa tra le mani e ordinò mentalmente a se stesso di
controllarsi, di riprendere il dominio del proprio corpo.
“Che cosa sta succedendo qui dentro?!”
La porta della stanza si spalancò con un tonfo e la massiccia sagoma di
Phoenix comparve in tutta la sua aura minacciosa.
“Niisan” piagnucolò Shun accompagnando la parola con un gemito; quell
entrata in scena non ci voleva affatto. La posizione del suo volto e delle
sue mani non cambiò, non osò sollevare lo sguardo sul maggiore dei fratelli
e, soprattutto, non osava assistere a ciò che, sicuramente, stava per
accadere tra questi e Hyoga.
“Non vedo il motivo per cui tu debba entrare in camera mia con una tale
prepotenza ed impicciarti di ciò che non ti riguarda!” stava intanto dicendo
il russo e il nervosismo si diffondeva, palpabile e vischioso come una
chiazza densa di petrolio, tra i due guerrieri che si fronteggiavano.
“La voce di mio fratello era chiaramente alterata, era mio dovere
intervenire!”
“Devo forse ricordarti che è anche mio fratello e che forse è ora che tu la
smetta di fargli da balia? Nessuno lo stava ammazzando come nelle battaglie,
non dovevi intervenire a salvare la vita di nessuno e lui è un po' cresciuto
per correrti dietro ad implorare la tua protezione!”
Stavano ricominciando; Shun non si rese conto del momento in cui le lacrime
avevano iniziato a sgorgare, scorrendo lungo le guance e tra le dita. Le sue
orecchie erano troppo intente a percepire quell'astioso scambio di battute.
“Per favore” singhiozzò, premendo con più forza le mani sugli occhi, ma la
supplica uscì cosi flebile da non poter sovrastare le urla che intanto
avevano preso a susseguirsi senza interruzione.
“Non ti permettere mai più di usare quel tono con me, Cygnus!”
“Solo quando tu la smetterai di crederti il re dell'universo, con quel modo
di fare da gradasso che ti porti dietro dovunque tu vada, gettandolo in
faccia agli altri senza il minimo rispetto per nessuno!”
“Sempre meglio che le tue ipocrite buone maniere da cocco di mamma che
ostenti giorno e notte!”
“Non osare nominare mia madre, hai perso il diritto di nominarla il giorno
in cui hai infangato la sua memoria!”
“Te lo ricordi ancora, vero?” ghignò a quel punto Ikki, sarcastico nel
rimembrare un loro combattimento che Shun aveva sperato fosse ormai sepolto
e relegato ad un'epoca da dimenticare, “ti ricordi come piagnucolavi quel
giorno?!”
L'aria crepitava di rabbia, Shun fu colto da brividi di terrore autentico
quando si rese conto che dai corpi dei due compagni si stava levando,
inesorabile e furioso, il cosmo delle loro costellazioni guida; erano quindi
giunti a quel punto? Avrebbero davvero finito per uccidersi a vicenda e
spazzato via tutto ciò che era intorno a loro? Non era dunque più possibile
vivere tutti insieme senza che Ikki-Niisan e Hyoga diventassero un pericolo
autentico per se stessi e per gli altri?
“Questa è follia...” sussurrò, abbassando le mani dal volto e fissando lo
sguardo sui due giovani più che mai possenti nel loro atteggiamento
guerriero, un atteggiamento che non avrebbero dovuto mostrare l'uno contro l
altro. Eppure stava accadendo.
Era pronto ad alzarsi, a scattare per gettarsi in mezzo ai due contendenti;
se volevano ammazzare qualcuno, che ammazzassero lui, così forse sarebbero
rinsaviti di fronte alla tragedia. Ma, mentre già stava per intervenire, un
rumore di passi precipitosi lo precedette e Seiya e Shiryu, accompagnati
dalla dea Saori Athena in persona, si fermarono un istante, sconvolti da ciò
che stava accadendo.
Poi Shun vide, con la coda dell'occhio, l'ergersi della fanciulla divina e,
subito dopo, percepì l'ondata di energia che da lei prese vita. Il flusso fu
talmente violento che anche Shun, Seiya e Shiryu ne furono spiazzati e ne
subirono, in parte, l'effetto doloroso, ma i due bersagli designati si
sentirono per un istante esplodere la testa, colti di sorpresa persero il
controllo sui propri cosmi e si portarono, gemendo, le mani alle tempie.
Barcollarono, solo Hyoga cadde in ginocchio, le dita affondate tra i capelli
mentre Ikki rimase in piedi, le gambe malferme, anche lui stringeva le
ciocche dei propri capelli scuri arruffati fin quasi a volersele strappare.
Fu solo qualche istante, poi tutto passò; gli occhi di Seiya e Shiryu erano
fissi su Athena, mentre Shun non poteva distogliere i propri dalle due
vittime di quell'attacco inatteso che, dopo quell'attimo di sofferenza, ora
fissavano il vuoto con gli occhi sbarrati, ansimando.
Athena, animo di Dea nel corpo della fanciulla adolescente Saori Kido, passò
fiera e a testa alta in mezzo a Pegasus e a Dragone; la sua statura
raggiungeva appena quella di Seiya e Shun, ma il suo carisma non era in
discussione e l'immagine che trasmetteva era quella di una creatura potente
e molto, molto più vecchia di tutti loro. D'altronde la sua essenza
spirituale aveva attraversato i secoli dalle origini del mito.
“Vi siete calmati?”
La sua voce risuonò, altera e musicale a un tempo, impassibile e salda,
mentre si fermava tra Cygnus e a Phoenix, scrutandoli alternativamente con
le sue iridi cerulee, bellissime ma altrettanto severe in quel momento.
“Saori... san...” mormorò Hyoga, la voce ancora spezzata e sofferente.
Ikki invece non disse nulla, lui detestava venire umiliato, fosse anche
dalla sua dea in persona, probabilmente stava lottando tra la consapevolezza
di aver fatto una pessima figura di fronte alla propria signora e al proprio
ruolo e il desiderio di aggredire verbalmente persino lei.
Un'ulteriore sguardo della dea li attraversò uno ad uno, ma la sua
espressione non fu la medesima per tutti e cinque; soprattutto, si ammorbidì
notevolmente quando incontrò il volto costernato di Shun e, nella sua
occhiata, la fanciulla volle infondere dolcezza, rassicurazione, conforto,
un modo silenzioso per dirgli: “Va tutto bene.”
Poi si voltò e si allontanò, pronunciando un ordine con il tono di chi era
abituato a comandare e ad essere obbedito:
“Venite tutti e cinque nel mio studio, subito!”