In nome dell’amore
A passo lento e pesante Subaru
attraversò l’immenso giardino e si diresse verso
l’ingresso della villa. Sentiva la stanchezza pesargli sulle
spalle come un macigno: era appena tornato a Tokyo dopo aver accettato
uno degli incarichi che gli aveva proposto la sua famiglia, tanto per
tenersi occupato in quel periodo di relativa calma, e che lo aveva
portato a viaggiare per metà Giappone.
A volte si chiedeva se la sua potesse essere davvero definita vita: si
trascinava da un giorno all’altro senza alcun interesse e
tutto quello che lo circondava gli scivolava addosso privo di
significato. Non c’era nulla al mondo che riuscisse a
scuoterlo dall’apatia in cui era precipitato e dal desiderio
di amore e vendetta che nutriva verso Seishiro. Si fermò e
sollevò lo sguardo sul secondo piano della villa su una
finestra oscurata da spesse tende bianche ed illuminata
dall’interno da un lieve chiarore dorato.
No, forse, se solo avesse avuto il coraggio di accettarlo, qualcosa per
cui valesse vivere esisteva e aveva il poter di spingerlo fuori dal
limbo in cui si era rinchiuso per sfuggire a se stesso e ai propri
sentimenti, pensò con un sorriso malinconico.
Entrò nell’immenso atrio e subito fu colpito dal
profondo silenzio che vi aleggiava, probabilmente, vista
l’ora tarda, gli altri Draghi dovevano già essersi
ritirati nelle proprie camere. Salì le scale con passo
pesante e strascicato, dirigendosi verso la stanza che gli era stata
assegnata: aprì piano la porta e, mentre la richiudeva alle
proprie spalle, fece scorrere lo sguardo tutt’intorno.
Anche quello non era null’altro che un luogo di passaggio.
Ormai non si sentiva più legato a nessun posto, nemmeno la
casa della sua famiglia sentiva più come propria…
era come una foglia sbattuta e graffiata dai venti gelidi del rancore
che non riusciva mai a toccare il suolo e non trovava mai requie.
Estrasse il pacchetto di sigarette e l’accendino dalla tasca,
poggiandoli sul comodino accanto al letto, e si liberò
stancamente del trench. Si svestì lentamente, lasciando i
vestiti ammonticchiati alla rinfusa sul pavimento e si diresse nel
bagno: aveva bisogno di una doccia, possibilmente lunga, per allentare
la tensione dei muscoli e per poter credere, anche per un solo istante,
di riuscire a cancellare dalla mente il ricordo di Seishiro.
Inclinò la testa indietro, lasciando che le gocce
d’acqua picchiettassero e scivolassero lungo la sua pelle,
sciogliendogli i capelli attorno alla testa, prima di iniziare a
scorrere lungo il corpo in piccoli rivoli traslucidi e trasparenti.
Pian piano avvertì i muscoli del collo e della schiena
sciogliersi in un doloroso calore sotto il massaggio
dell’acqua calda, rilassando il corpo e la mente per riflesso.
Solo allora chiuse la manopola dell’acqua e uscì
dal box passandosi addosso un asciugamano bianco che poi
legò attorno alla vita. Appena rientrò nella
stanza notò che c’era qualcosa di diverso,
guardandosi intorno cercando il motivo per quella sensazione: i vestiti
che si era tolto si trovavano ancora ammucchiati disordinatamente sul
pavimento, il trench abbandonato sul letto e le sigarette sul comodino
accanto all’accendino, la finestra dalla quale spirava una
leggere brezza, aperta esattamente come l’aveva
lasciata…
… cosa c’era di diverso, allora?
Si concentrò maggiormente e percepì sciolto
nell’aria un lieve, delicato, profumo d’arancia che
carezzava il suo olfatto quietando sensi. Conosceva
quell’odore d’arancio, considerò
confusamente, anche se al momento non riusciva a ricordare a chi
appartenesse. Solo alla fine, scorse il debole chiarore dorato di una
candela accesa sulla scrivania. A passi lenti e incerti, come se
già avesse intuito cosa fosse, si avvicinò. Sul
ripiano del mobile faceva mostra di sé una candela dalla
cera azzurra e bianca elegantemente lavorata, e accanto a essa una rosa
bianca e una busta chiusa.
Un brivido gelido serpeggiò lungo la sua schiena. La
settimana precedente era stato il suo compleanno, ma aveva fatto finta
di nulla, come se fosse un giorno come un altro, perché
ricordare quel giorno, avrebbe riportato alla mente anche sua sorella
e, quindi, la sua morte per mano di Seishiro. Era convinto che nessuno
dei Draghi conoscesse quell’anniversario…
Facendo forza su se stesso, allungò la mano e prese la
busta, si sedette di peso sulla sponda del letto e, con dita tremanti
di aspettativa e timore, l’aprì.
Su carta da lettera pregiata erano state scritte poche righe in una
calligrafia che non conosceva, che si snodava sul foglio incerta,
traballante, quasi che chi l’avesse vergata fosse ancora
insicuro su quello che doveva esprimere.
“So benissimo che tu non vuoi, che il tuo cuore
appartiene a un altro e che non sarai mai mio, ma permettimi ugualmente
di amarti. Prometto che sarà solo nei miei sogni, che ti
guarderò da lontano immaginando un mondo solo nostro. Non ti
disturberò né ti chiederò nulla, se
non il permesso di amarti nel mio silenzio. Perché mai
più abbandonerai il mio cuore e la mia anima e come miele il
tuo nome si scioglierà sulle mie labbra che ti invocano
invano.
Ti amo.”
Subaru si lasciò ricadere indietro sul
materasso, come se non avesse più forze in corpo, con il
volto nascosto dalle mani, la lettera lasciata cadere da qualche parte
sul pavimento ai piedi del letto. Fra tutti, quello era il disastro
peggiore che potesse accadere, quello che avrebbe voluto evitare sopra
ogni altra cosa.
Il solo pensiero che ci fosse qualcuno innamorato di lui, con
quell’intensità appassionata, lo faceva sentire
male, perché sapeva che ormai non sarebbe mai stato in grado
di ricambiarlo, che dentro di lui tutto si era spento e spezzato per
sempre. Seishiro aveva prosciugato tutti i suoi sentimenti,
trasformandolo in un involucro vuoto che si trascinava stancamente
nella vita, senza radici, senza desideri, con la sola aspirazione di
ucciderlo e vendicare, così, sua sorella; il ragazzino
ingenuo e timido aveva da tempo lasciato il posto ad un uomo morto
dentro.
Tolse le mani dal volto, lasciando che le braccia ricadessero inerti ai
lati del corpo; il soffitto era una macchia scura davanti ai suoi
occhi, striata appena dalla debole luce che proveniva
dall’esterno e che sembrava tentare di inghiottirlo.
Subaru avrebbe voluto trovare quella persona sconosciuta e dirle che
non doveva perdere tempo con lui, che doveva dimenticarlo e guardarsi
intorno, cercare qualcun altro, perché meritava molto di
più di uno come lui. Eppure dentro di sé sentiva
pulsare appena una debole eco lusingata, come se una piccola parte di
lui sembrasse felice di quella scoperta. Quelle parole erano
così intrise di amore, di dolore e di rassegnazione da
dargli l’impressione che gliele avessero davvero sussurrate
all’orecchio e qualcosa si era scosso dentro di lui in
reazione.
Ed ebbe paura. Paura di quello che sarebbe potuto accadere a lui e
all’altra persona se avesse ceduto ancora una volta ai
sentimenti. Paura che Seishiro venisse sradicato dal suo cuore,
facendo’ così, venir meno tutte le motivazioni che
lo avevano tenuto in piedi fino a quel momento. Paura di scoprire di
aver vissuto nella menzogna per tutto quel tempo.
Subaru provò una paura profonda perché aveva
avvertito chiaramente che quelle poche righe avevano gettato dentro di
lui un seme che presto sarebbe fiorito, e allora non avrebbe
più potuto ignorarlo, non avrebbe più potuto far
finta che quel qualcosa dentro di sé non esistesse e allora
avrebbe dovuto affrontarlo a viso aperto e scegliere.