In nome dell’amore



Capitolo I: La lettera

A passo lento e pesante Subaru attraversò l’immenso giardino e si diresse verso l’ingresso della villa. Sentiva la stanchezza pesargli sulle spalle come un macigno: era appena tornato a Tokyo dopo aver accettato uno degli incarichi che gli aveva proposto la sua famiglia, tanto per tenersi occupato in quel periodo di relativa calma, e che lo aveva portato a viaggiare per metà Giappone.
A volte si chiedeva se la sua potesse essere davvero definita vita: si trascinava da un giorno all’altro senza alcun interesse e tutto quello che lo circondava gli scivolava addosso privo di significato. Non c’era nulla al mondo che riuscisse a scuoterlo dall’apatia in cui era precipitato e dal desiderio di amore e vendetta che nutriva verso Seishiro. Si fermò e sollevò lo sguardo sul secondo piano della villa su una finestra oscurata da spesse tende bianche ed illuminata dall’interno da un lieve chiarore dorato.
No, forse, se solo avesse avuto il coraggio di accettarlo, qualcosa per cui valesse vivere esisteva e aveva il poter di spingerlo fuori dal limbo in cui si era rinchiuso per sfuggire a se stesso e ai propri sentimenti, pensò con un sorriso malinconico.
Entrò nell’immenso atrio e subito fu colpito dal profondo silenzio che vi aleggiava, probabilmente, vista l’ora tarda, gli altri Draghi dovevano già essersi ritirati nelle proprie camere. Salì le scale con passo pesante e strascicato, dirigendosi verso la stanza che gli era stata assegnata: aprì piano la porta e, mentre la richiudeva alle proprie spalle, fece scorrere lo sguardo tutt’intorno.
Anche quello non era null’altro che un luogo di passaggio.
Ormai non si sentiva più legato a nessun posto, nemmeno la casa della sua famiglia sentiva più come propria… era come una foglia sbattuta e graffiata dai venti gelidi del rancore che non riusciva mai a toccare il suolo e non trovava mai requie.
Estrasse il pacchetto di sigarette e l’accendino dalla tasca, poggiandoli sul comodino accanto al letto, e si liberò stancamente del trench. Si svestì lentamente, lasciando i vestiti ammonticchiati alla rinfusa sul pavimento e si diresse nel bagno: aveva bisogno di una doccia, possibilmente lunga, per allentare la tensione dei muscoli e per poter credere, anche per un solo istante, di riuscire a cancellare dalla mente il ricordo di Seishiro. Inclinò la testa indietro, lasciando che le gocce d’acqua picchiettassero e scivolassero lungo la sua pelle, sciogliendogli i capelli attorno alla testa, prima di iniziare a scorrere lungo il corpo in piccoli rivoli traslucidi e trasparenti.
Pian piano avvertì i muscoli del collo e della schiena sciogliersi in un doloroso calore sotto il massaggio dell’acqua calda, rilassando il corpo e la mente per riflesso.
Solo allora chiuse la manopola dell’acqua e uscì dal box passandosi addosso un asciugamano bianco che poi legò attorno alla vita. Appena rientrò nella stanza notò che c’era qualcosa di diverso, guardandosi intorno cercando il motivo per quella sensazione: i vestiti che si era tolto si trovavano ancora ammucchiati disordinatamente sul pavimento, il trench abbandonato sul letto e le sigarette sul comodino accanto all’accendino, la finestra dalla quale spirava una leggere brezza, aperta esattamente come l’aveva lasciata…
… cosa c’era di diverso, allora?
Si concentrò maggiormente e percepì sciolto nell’aria un lieve, delicato, profumo d’arancia che carezzava il suo olfatto quietando sensi. Conosceva quell’odore d’arancio, considerò confusamente, anche se al momento non riusciva a ricordare a chi appartenesse. Solo alla fine, scorse il debole chiarore dorato di una candela accesa sulla scrivania. A passi lenti e incerti, come se già avesse intuito cosa fosse, si avvicinò. Sul ripiano del mobile faceva mostra di sé una candela dalla cera azzurra e bianca elegantemente lavorata, e accanto a essa una rosa bianca e una busta chiusa.
Un brivido gelido serpeggiò lungo la sua schiena. La settimana precedente era stato il suo compleanno, ma aveva fatto finta di nulla, come se fosse un giorno come un altro, perché ricordare quel giorno, avrebbe riportato alla mente anche sua sorella e, quindi, la sua morte per mano di Seishiro. Era convinto che nessuno dei Draghi conoscesse quell’anniversario…
Facendo forza su se stesso, allungò la mano e prese la busta, si sedette di peso sulla sponda del letto e, con dita tremanti di aspettativa e timore, l’aprì.
Su carta da lettera pregiata erano state scritte poche righe in una calligrafia che non conosceva, che si snodava sul foglio incerta, traballante, quasi che chi l’avesse vergata fosse ancora insicuro su quello che doveva esprimere.

“So benissimo che tu non vuoi, che il tuo cuore appartiene a un altro e che non sarai mai mio, ma permettimi ugualmente di amarti. Prometto che sarà solo nei miei sogni, che ti guarderò da lontano immaginando un mondo solo nostro. Non ti disturberò né ti chiederò nulla, se non il permesso di amarti nel mio silenzio. Perché mai più abbandonerai il mio cuore e la mia anima e come miele il tuo nome si scioglierà sulle mie labbra che ti invocano invano.


Ti amo.”



Subaru si lasciò ricadere indietro sul materasso, come se non avesse più forze in corpo, con il volto nascosto dalle mani, la lettera lasciata cadere da qualche parte sul pavimento ai piedi del letto. Fra tutti, quello era il disastro peggiore che potesse accadere, quello che avrebbe voluto evitare sopra ogni altra cosa.
Il solo pensiero che ci fosse qualcuno innamorato di lui, con quell’intensità appassionata, lo faceva sentire male, perché sapeva che ormai non sarebbe mai stato in grado di ricambiarlo, che dentro di lui tutto si era spento e spezzato per sempre. Seishiro aveva prosciugato tutti i suoi sentimenti, trasformandolo in un involucro vuoto che si trascinava stancamente nella vita, senza radici, senza desideri, con la sola aspirazione di ucciderlo e vendicare, così, sua sorella; il ragazzino ingenuo e timido aveva da tempo lasciato il posto ad un uomo morto dentro.
Tolse le mani dal volto, lasciando che le braccia ricadessero inerti ai lati del corpo; il soffitto era una macchia scura davanti ai suoi occhi, striata appena dalla debole luce che proveniva dall’esterno e che sembrava tentare di inghiottirlo.
Subaru avrebbe voluto trovare quella persona sconosciuta e dirle che non doveva perdere tempo con lui, che doveva dimenticarlo e guardarsi intorno, cercare qualcun altro, perché meritava molto di più di uno come lui. Eppure dentro di sé sentiva pulsare appena una debole eco lusingata, come se una piccola parte di lui sembrasse felice di quella scoperta. Quelle parole erano così intrise di amore, di dolore e di rassegnazione da dargli l’impressione che gliele avessero davvero sussurrate all’orecchio e qualcosa si era scosso dentro di lui in reazione.
Ed ebbe paura. Paura di quello che sarebbe potuto accadere a lui e all’altra persona se avesse ceduto ancora una volta ai sentimenti. Paura che Seishiro venisse sradicato dal suo cuore, facendo’ così, venir meno tutte le motivazioni che lo avevano tenuto in piedi fino a quel momento. Paura di scoprire di aver vissuto nella menzogna per tutto quel tempo.
Subaru provò una paura profonda perché aveva avvertito chiaramente che quelle poche righe avevano gettato dentro di lui un seme che presto sarebbe fiorito, e allora non avrebbe più potuto ignorarlo, non avrebbe più potuto far finta che quel qualcosa dentro di sé non esistesse e allora avrebbe dovuto affrontarlo a viso aperto e scegliere.