Note
dell'autore: Forse la storia è andata un po' per la tangente, spero sia
comunque una piacevole lettura!!!!
Faccio
due premesse: 1. Non so quasi nulla di cavalli, quindi potrei aver
scritto delle enormi cavolate, internet non è sempre affidabile! Se ci
fosse qualcosa di estremamente assurdo provvederò a correggerlo:PP
2.
Non ho idea di quanto guadagni un servo o se venga pagato per il suo
lavoro, Gwen una volta aveva dell'oro, e tutti sembrano volere un
lavoro a palazzo, così ne ho dedotto che qualcosa riceveranno, anche se
credo sia poco. Perciò, anche le cifre che ho scritto nella storia,
forse risulteranno un po' esagerate.
Isil*
La
puledra era molto più grande di quanto avrebbe immaginato con lunghe
zampe ossute, che sembrava incapace di controllare, e piccole orecchie
dritte sulla testa.
Era
nera come il carbone, sembrava uscita da un camino sporco più che da
una cavalla bianca come la neve, eppure lì, sul lungo muso, c'era una
macchia bianca candida come il mantello della madre, dalla forma
strana, simile ad una stella.
Merlin
se ne innamorò al primo sguardo.
Purtroppo
la puledra sembrava nata sotto un pessimo cielo.
“La
rifiuta” mormorò Robert al suo fianco cercando di sospingere la puledra
verso Camille, ma la cavalla continuava a scuotere il capo e
indietreggiare come spaventata.
Merlin
non capiva cosa stesse accadendo, ma le imprecazioni di Robert non
sembravano un buon segno.
“Non
va bene, la rifiuta” ripeté lo stalliere con aria desolata, guardando
verso il viso sempre più confuso di Merlin, come cercando consiglio.
Purtroppo
non poteva aiutarlo dato che non capiva cosa stesse accadendo.
Merlin
guardò di nuovo verso la puledra, a stento si tratteneva dall'andarla
ad accarezzare, e solo perché lo stalliere glielo aveva proibito
dicendogli che l'avrebbe spaventata.
D'altronde
la madre era una delle migliori cavalle di Camelot, bianca, forte,
dalla lunga criniera setosa.
Non
aveva mai partorito prima d'allora, era un destriero dopotutto,
addestrata per la battaglia, non per essere montata. Nessuno sapeva chi
l'avesse fatto o quando, ma Sir Geraint non era stato affatto contento
all'idea che qualche stallone si fosse approfittato di Camille.
Merlin
aveva sentito tutto dagli altri stallieri. In fondo, se a corte si
parlava di amori e tradimenti tra i nobili più prestigiosi, forse era
normale che nelle stalle si creassero voci sui cavalli.
Lui
non ne capiva molto, d'altronde dov'era cresciuto, ad Ealdor,
difficilmente si vedevano abbastanza cavalli da sapere qualcosa di
puledri e stalloni. Avere un asino era già una fortuna. E che ne
sapesse lui, la vecchia Reb aveva ben poche storie d'amore da
raccontare.
Nella
sua mente un puledro era solo un nuovo cavallo, il cucciolo nasceva e
la madre se ne prendeva cura, ma forse le cose non erano così semplici
dopotutto.
“Cosa
succede?” chiese preoccupato a Robert, guardando la cavalla dare un
ultimo spintone alla puledra e rifiutarsi di allattarla.
La
puledra inciampò e cadde sulle zampe posteriori scuotendo il muso, il
verso lamentoso che seguì strinse il cuore di Merlin.
Lo
stalliere non rispose, imprecando ancora una volta, si avvicinò al
destriero per afferrarla dal muso e cercare di calmarla “E' tua” le
mormorò accarezzandola “Non la riconosci?” ma Camille sbatté gli
zoccoli a terra, scuotendo il capo e indietreggiando, Robert sospirò
sconfitto.
Rimasero
a lungo con lei quella notte, per quella che a Merlin sembrò
un'eternità, mentre la piccola puledra, sempre più affamata, sembrava
perdere la speranza e i suoi tremori si facevano più pronunciati. I
suoi versi lunghi e striduli, simili al pianto di un bambino.
“Non
c'è niente da fare” scosse infine la testa lo stalliere,
mentre con mani esperte tirava su la puledra piangente portandola in
un'altra stalla.
“Può
capitare che la madre li attacchi in questi casi” spiegò poi al servo
“E' meglio non rischiare”.
Merlin
si sentiva frastornato, ancora non era certo di aver capito cosa fosse
accaduto.
La
puledra era sana, forte, non riusciva a capire perché era stata
rifiutata, ma Robert non aveva tempo di spiegarglielo.
Aveva
preso un vecchio guanto e aveva bucato una delle dita di vecchia pelle
usurata per coprire una tazza piena di latte “E' di capra, non ci sono
altre cavalle che possano prendersi cura di lei per adesso” gli disse
con la fronte madida di sudore “Non è lo stesso, ma almeno non morirà
di fame, se lo beve”.
La
puledra, però, scuoteva il muso e si allontanava spaventata ogni volta
che Robert le si avvicinava Sembrava impossibile convincerla a nutrirsi.
Dopo
quelle che a Merlin parvero ore di tentativi andati a vuoto, lo
stalliere si allontanò con un sospiro. Il servo fissò a lungo la tazza
abbandonata sul pavimento prima di alzarsi e andare dalla puledra
rannicchiata nel fieno.
I
suoi occhi enormi sembrarono studiarlo diffidenti e il mago le sorrise
“Non dargliela vinta, non arrenderti. Dimostrale che sbaglia”.
La
puledra continuò a fissarlo, come per chiedendogli il perché di tutto.
Il perché del rifiuto. Sfortunatamente non aveva una spiegazione da
darle e, in qualche modo, questo lo feriva più di tutto il resto. La
puledra, però, sembrò trovare la risposta che cercava nel viso di
Merlin e poco dopo il latte della tazza era scomparso.
Sentendosi
stranamente felice e soddisfatto, Merlin coprì la puledra con una
coperta rossa, lo stemma di Camelot, scucito e pallido, sembrava fatto
apposta per lei.
“E'
difficile che sopravvivano, quando succede. E' per via delle malattie.
Se la madre non si prende cura di loro crescono deboli, e un cavallo
debole non fa mai una bella fine” Robert comparve alle sue spalle, le
braccia incrociate sul petto e l'aria curiosa.
“Che
intendi dire?” chiese il servo percependo uno strano nodo alla gola nel
guardare Robert chiudere la stalla per la notte “Diciamo solo che a
Camelot un cavallo è buono solo per combattere o finire all'altro
mondo... e quelli deboli di certo non diventano guerrieri”gli spiegò
con tono rassegnato.
Merlin
lo osservò allontanarsi nella notte, la sua torcia l'unica luce rimasta.
I
suoi sogni vennero tormentati da lamenti strazianti e da occhi neri che
lo supplicavano di aiutarli.
La
mattina dopo, Merlin si ripromise che avrebbe fatto qualunque cosa per
salvare Isil.
Come
avesse scelto il nome, o quando, non lo sapeva, ma da allora in avanti
fu così che la chiamò.
Isil
era debole rispetto agli altri puledri di cui si era occupato, ma
probabilmente, con un po' di fortuna, sarebbe sopravvissuta. O almeno
così gli disse Robert dopo qualche giorno.
Merlin
era felice di sentirglielo dire, ormai era lui ad occuparsi della
giovane puledra e, per quanto lo riguardava, debole o no, Isil non
aveva niente da invidiare agli altri cavalli.
Dopo
la notte della sua nascita, Robert aveva più volte cercato di nutrirla,
ma senza successo. La giovane puledra sembrava decisa a farsi
avvicinare solo da Merlin e lo stalliere dai capelli rossi, che era già
carico di impegni per tutti i cavalieri, gli aveva lasciato più che
volentieri il compito di prendersene cura.
Così,
usando un vecchio guanto sgualcito del re, aveva cominciato ad andare
avanti e indietro dal castello a tutte le ore del giorno e della notte
per portarle i suoi pasti. Isil mangiava poco e spesso, piccole razioni
di latte di capra mischiato a miele, su consiglio di Gaius,
per aiutarla a digerirlo con più facilità.
La
puledra sembrava condividere uno strano legame col mago, nitrendo ogni
volta che lo sentiva entrare nelle stalle e porgendogli il muso per una
carezza. Merlin sorrideva sempre nel vederla ed era convinto che fosse
il suo modo per ringraziarlo e dirgli che stava bene.
Forse
era assurdo, ma sentiva davvero che lei potesse capirlo.
Il
nome Isil gli era venuto senza una ragione, non era neppure certo di
cosa significasse, ma credeva fosse collegato in qualche modo al cielo,
qualunque fosse il suo significato, la cavalla sembrava felice di
portarlo e, ogni volta che la chiamava per nome, si voltava a
guardarlo. Come se potesse capirlo.
A
chi l'avesse chiesto, non avrebbe saputo spiegare perché fosse così
importante prendersi cura di lei o perché provasse quell'improvviso
affetto verso un animale, a dire la verità i cavalli non gli erano mai
davvero piaciuti, c'era qualcosa di spaventoso in loro.
Troppo
alti, troppo facili da spaventare, troppo veloci da cavalcare, Merlin
si era sempre fidato più volentieri delle sue gambe, che dei quadrupedi
di cui a Camelot sembravano andare tanto fieri, ma Isil era diversa.
A
volte la sognava già adulta, sognava di cavalcare con lei nei boschi e,
per quanto fosse stupido o imbarazzante, Merlin si svegliava contento e
più affezionato a lei di quanto fosse salutare.
Perché,
per quanto lo desiderasse, Isil non era sua e non lo sarebbe mai stata.
Lui
era solo un servo e i servi non possedevano cavalli. Nemmeno quelli
considerati deboli e malaticci.
Certo,
si fosse trattato del cavallo di sir Leon o magari di Gwaine, o
Parcifal anche, avrebbe potuto chiedere il favore di prendersene cura,
ma purtroppo il proprietario di Isil non era uno dei cavalieri buoni.
“Quella
puledra è ancora qui? Credevo fosse morta”.
Sir
Geraint era uno dei cavalieri scelti da Uther tra i nobili che gli
avevano giurato fedeltà. Un uomo di mezza età, dal corpo segnato dalle
guerre. Aveva una lunga cicatrice sulla guancia sinistra, se l'era
guadagnata salvando la vita al vecchio re, e questo gli aveva portato
prestigio per tutta la vita.
Prestigio
che sembrava autorizzarlo a trattare tutti come schiavi inutili. Era
una delle persone più arroganti che Merlin avesse mai incontrato,
cambiava servitori più in fretta di quanto cambiasse vestiti e si
diceva che non esitasse a punirli corporalmente, se lo riteneva
necessario.
Non
avendolo mai servito, Merlin non era certo di quanto fossero vere
quelle voci, ma non credeva che Arthur, per quanto asino fosse, sarebbe
mai rimasto in silenzio di fronte ad un comportamento del genere.
Del
resto la misera simpatia del nuovo re, per uno dei più vecchi cavalieri
del regno, non era una novità. Quando era ancora un principe, Arthur
era stato provocato più di una volta da Geraint, che non faceva altro
che tentare di metterlo in ridicolo di fronte agli altri cavalieri.
L'unico motivo per cui era ancora membro del consiglio era il rispetto
che il re nutriva per la memoria di suo padre.
Purtroppo,
quel detestabile cavaliere, era anche l'orgoglioso proprietario di
Camille, e di conseguenza, di Isil.
“Merlin
si sta prendendo cura di lei, mio signore. Sembra crescere in fretta,
potrebbe anche sopravvivere all'abbandono della madre” spiegò Robert
con un vago sorriso rivolto verso il servo che, dopo aver portato il
pranzo di Isil, era rimasto seduto con lei nella stalla.
Gli
occhi scostanti di Geraint, verdi, ma senza vitalità, trovarono quelli
di Merlin, studiandolo per un breve istante prima di fissare Isil con
vago disgusto.
“E
chi ha dato a questo servo il permesso di toccare uno dei miei
cavalli?” chiese in tono severo, rivolgendosi a Robert e ignorando
totalmente il servo in questione, come se Merlin non fosse neppure lì.
Il
primo istinto del mago fu quello di rispondergli a tono, ma un'occhiata
quasi spaventata dello stalliere, le cui guance si erano fatte più
rosse dei suoi capelli, lo convinsero a restare in silenzio.
D'altronde, se vivere a Camelot gli aveva insegnato qualcosa, era che a
volte era meglio ingoiare l'orgoglio, sopratutto quando si rischiava di
mettersi contro un nobile.
“Ho
pensato non ci fosse nulla di male, mio signore. La puledra sembrava
destinata a morire e io non avevo il tempo di darle tutte le cure che-”
iniziò a mormorare in fretta, con voce tremante.
“Vi
pagano per pensare adesso? Quante novità in questo regno” lo fermò il
cavaliere, ovviamente irritato “Mi dispiace davvero che il servo abbia
perso tutto questo tempo, quella cavalla è talmente debole che non
varrebbe la pena neppure venderla come asino da soma. Che dovrei
farmene di un tale spreco di spazio? Ha solo indebolito la mia cavalla,
è una vera dannazione” brontolò con rabbia incrociando le braccia sul
petto. Continuava a rivolgersi solo a Robert, come se si fosse scordato
della presenza di Merlin o non lo ritenesse degno della sua attenzione
“Perciò riferisci pure a quel servo che le sue cure non sono
necessarie, la cavalla non vale nulla e sarà abbattuta”.
A
quelle parole, Merlin sgranò gli occhi inorridito e strinse
inconsapevolmente l'ignara Isil a sé, il fiato caldo della puledra lo
tranquillizzò del fatto che stesse ancora bene. Per ora.
“Forse
potreste lasciarla a Merlin, mio signore” suggerì Robert con un filo di
voce, tenendo il capo chino “Sarebbe un gesto molto nobile da parte
vostra”.
Merlin
si sentì grato allo stalliere, ma non aveva alcuna speranza che il
cavaliere si mostrasse generoso. Non con un servo, ovviamente non con
lui. Per qualche ragione sentiva che essere il servo di Arthur, lo
aveva in qualche modo messo nella lista di nemici di Geraint.
Lo
sguardo di quest'ultimo a quel suggerimento fu più loquace di mille
parole “E che può farsene un servo di un cavallo, seppur debole come un
asino?” chiese sembrando sinceramente meravigliato della richiesta.
Come se l'idea di un servo a cavallo fosse per lui del tutto
inconcepibile.
“Non
ha nulla da invidiare a nessun altro cavallo e non ne sceglierei un
altro per i miei viaggi” intervenne Merlin, incapace di controllarsi
ancora. In verità , avrebbe voluto usare la sua magia per trasformarlo
in un asino ragliante, visto che il paragone sembrava piacergli così
tanto.
Geraint
si voltò finalmente verso di lui, i suoi pallidi occhi verdi fissi nei
suoi, sembrò stranamente colpito dal fatto che Merlin si trovasse lì, o
forse dal fatto che avesse osato rispondergli a dovere, ma la
soddisfazione del servo ebbe breve durata.
Il
cavaliere si accarezzò la rada barba nera sul mento e sorrise, ma non
era un sorriso cordiale, era crudele, pronto a ferire, e Merlin trasalì
maledicendosi per la sua boccaccia.
“Forse
hai ragione, ai tuoi occhi deve proprio sembrare un buon cavallo” gli
disse fingendosi gentile. Merlin si morse la lingua per trattenere la
risposta che gli era salita alle labbra a quell'ennesimo insulto “Ma
devi capire che non posso semplicemente regalarti uno dei miei cavalli,
sarebbe assurdo. Diciamo che posso vendertela... per cinquecento monete
d'oro”.
Merlin
inghiottì a fatica, cinquecento monete. Dove credeva che potesse
trovarle?
“Non
ho quella cifra” mormorò a stento, sentendosi furioso.
“Ma
certo, ti darò un po' di tempo, ovviamente. Che ne dici di due
settimane, mi sembra più che generoso, non diresti? Ovviamente, mi
rincresce dirlo, se non riuscirai a comprarla dovrò farla uccidere, è
il minimo visto il suo stato” continuò con aria di sincero rimpianto.
No,
non è affatto generoso. E lo sapete benissimo, avrebbe voluto gridargli
Merlin.
Era
ovvio che non avesse alcuna intenzione di lasciargli Isil,
probabilmente voleva ucciderla solo per ferirlo. Geraint era quel tipo
di nobile in fondo, il tipo a cui piaceva mostrare ai servi che erano
impotenti. Per questo aveva proposto quella cifra assurda, una cifra
che nessun servo al mondo avrebbe mai potuto permettersi. Neppure il
servo del re.
“Mio
signore, con tutto il dovuto il rispetto, sarebbe una cifra enorme
perfino per un nobile” provò a intromettersi Robert, la voce tremante.
Merlin apprezzava il suo coraggio, ma sapeva che era inutile. Geraint
si stava divertendo.
“Sono
certo che Merlin si dimostrerà abbastanza astuto da trovare quanto gli
serve, dopotutto è il servo del re” disse con una nota di sarcasmo
nella voce “Ma se non vuoi accettare non sei certo obbligato, posso
prendere il cavallo anche adesso” finì con aria delusa, come se il
pensiero di dover davvero far uccidere Isil lo ferisse. Merlin immaginò
con soddisfazione di colpirlo.
“Va
bene, accetto” sussurrò infine tra labbra secche, sentendosi già nel
panico.
Non
avrebbe mai trovato quella cifra, non nel poco tempo a disposizione,
forse nemmeno in tutta la vita.
Chiederli
ad Arthur era fuori questione, avrebbe dovuto spiegargli a cosa
servivano e dubitava che il re gli avrebbe prestato tutto quel denaro
per salvare un puledro malaticcio, Arthur non era esattamente il tipo
che capiva l'affetto per un animale. Figuriamoci per un cavallo, gli
avrebbe detto di farlo abbattere. Senza contare che i soldi venivano
dal regno, dalle tasse, non poteva chiedergli un sacrificio simile solo
perché era il suo amante. Era ingiusto verso gli altri. Lui non stava
col re per averne un vantaggio e l'ultima cosa che desiderava, era che
Arthur o altri lo credessero.
Restavano
i cavalieri, ma anche loro non disponevano di cifre simili, e comunque,
non sarebbe mai stato in grado di restituire tutto quel denaro.
Il
muso di Isil si poggiò contro la sua spalla, come se volesse
confortarlo, Merlin chiuse per un istante gli occhi e sospirò. Non
importava davvero come, ma non avrebbe lasciato che la uccidesse.
“Perfetto
allora, ci vediamo tra due settimane” rispose soddisfatto il cavaliere.
Merlin
lo guardò allontanarsi con Robert, il cuore una furia nel petto.
Non
sapeva cosa fare e, stavolta, neppure tutta la magia del mondo avrebbe
potuto aiutarlo.
“Merlin,
da quando lavori per sir Bedivere?”
Arthur
lo fissava accigliato, seduto ai piedi del letto. Indossava solo i
pantaloni, dato che era tarda sera, e teneva la bocca imbronciava come
faceva sempre quando si reputava offeso in qualche modo. Inutile dire
che, il più delle volte, era l'espressione dedicata al suo servo.
Quest'ultimo
sospirò finendo di accatastare i piatti della cena in un angolo del
tavolo, avrebbero dovuto attendere lì fino al mattino, non aveva la
forza necessaria per portarli fino alla cucina.
L'ultima
settimana non era stata delle migliori per il povero mago, cosa
testimoniata dai profondi cerchi intorno agli occhi e dall'aria stanca
e pallida che sembrava trascinarsi dietro ovunque andasse.
Per
quanto lavoro facesse, però, i soldi non erano mai sufficienti, era una
corsa disperata contro il tempo. L'unica cosa che lo obbligava a
continuare a tentare era Isil, che ignara di tutto, continuava a
crescere sotto le sue cure, a rizzare le piccole orecchie nere
sentendolo arrivare, a nitrire come fosse contenta di vederlo, a
strofinare il muso contro il palmo della sua mano in segno di saluto.
Così
aiutava i cavalieri con armature e spade, i nobili con qualsiasi lavoro
servisse loro, gli abitanti del villaggio con piccole commissioni. La
povera gente per lo più pagava in cibo, e sebbene molto di quello che
otteneva poteva rivenderlo al mercato, a volte preferiva portarlo a
Gaius, per offrirgli un buon pasto. Non era così semplice mangiare bene
per i servi di Camelot.
Tra
nobili e cavalieri, qualcosa era riuscito a guadagnare, ma non
abbastanza. Considerando anche quello che aveva messo da parte
lavorando per Arthur negli ultimi anni, arrivava a malapena a cento
monete.
Il
fallimento sembrava sempre più inevitabile e, sebbene Merlin fosse
generalmente ottimista, le ultime notti erano state un incubo di morte
e grida spaventose.
Perfino
lui iniziava a sentirsi disperato.
“Ho
bisogno di un po' d'oro, tutto qui” rispose senza alzare lo sguardo dal
tavolo che ormai fingeva solamente di ripulire.
Era
ovvio che Arthur si fosse accorto di qualcosa, dalla nascita di Isil il
servo era sempre occupato, sempre in giro per il castello.
“Per
fare cosa? Spenderli alla taverna?” ribatté ovviamente seccato il re.
Non
gli piaceva quando Merlin lo ignorava o ignorava i suoi doveri “Merlin”
il servo si voltò a guardarlo sospirando mentalmente, a volte il re era
peggio di un bambino.
Arthur
gli fece cenno di andare a sedersi al suo fianco, il letto sembrava
molto invitante in quel momento, perciò Merlin non se lo fece ripetere
due volte.
“Si
tratta di un puledro” gli spiegò una volta seduto “La cavalla di sir
Geraint ha rifiutato il cucciolo, Robert diceva che sarebbe morta, così
me ne prendo cura io finché non sarà in grado di mangiare da sola”.
Arthur
lo ascoltò in silenzio, il viso vagamente confuso “Che c'entri tu?”
chiese sfiorandogli il fianco con la punta delle dita, Merlin
rabbrividì al tocco leggero e si avvicinò di più alla sua mano “Nessun
altro voleva farlo, nessuno voleva darle una possibilità, così io-” si
fermò incerto “Volevo aiutarla” mormorò infine.
La
bocca di Arthur scese ad accarezzargli il lobo dell'orecchio, il suo
respiro caldo lo fece di nuovo rabbrividire. Il profumo della lavanda,
che gli aveva messo nell'acqua del bagno per farlo rilassare, sembrava
intossicante adesso che gli stava così vicino.
“Ah”
mormorò contro la sua spalla, una mano sul suo ginocchio, l'altra
intenta a sciogliere il nodo del fazzoletto rosso che teneva sempre
legato intorno al collo “E da quando sai prenderti cura di un puledro?”
gli chiese in tono un po' troppo incredulo.
Se
non avesse avuto la lingua del re premuta proprio in quel punto dietro
all'orecchio, capace di farlo impazzire, probabilmente Merlin si
sarebbe sentito insultato da quelle parole. Viste le sue condizioni,
invece, si limitò a soffocare un gemito “Le do da mangiare, la
spazzolo, so come occuparmi di un cavallo”.
“Crescerà
debole senza la madre” mormorò Arthur sfilandogli la tunica dal capo,
Merlin si sentì irritato dalle sue parole. Tutti sembravano
sottovalutare Isil, tutti la trattavano con sufficienza solo perché la
madre l'aveva rifiutata. Nessuno voleva metterla alla prova, capire se
poteva farcela o meno.
“Sarà
viva” rispose secco, ma le labbra di Arthur sulla sua spalla scelsero
quel momento per morderlo, Merlin gemette dimenticando il fastidio di
poco prima e chiuse gli occhi.
Arthur
sorrise contro la sua pelle, le sue mani lo spinsero sul letto, sulle
soffici coperte profumate che aveva cambiato solo quella mattina.
“Non
ti stavo rimproverando, Merlin. Puoi occuparti di tutti i pargoli del
regno per quanto mi riguarda, basta che non trascuri i tuoi doveri”
soffiò contro le sue labbra.
“E
quali doveri sentite che starei trascurando, sire?” chiese Merlin tra
un sospiro e l'altro.
“Non
saprei” mormorò il re contro il suo petto “Affilare la mia spada,
lucidare la mia armatura” scese lungo lo stomaco, mordendo e baciando
ogni centimetro di pelle “E non dimentichiamo il più importante...”
posò un bacio sul suo ventre, mordendolo per poi passare la lingua
sullo stesso punto, Merlin gemette e afferrò le coperte con forza “E...
quale sarebbe?” chiese quasi balbettando.
Arthur
rise e scese ancora, oltre i fianchi pallidi e magri del suo amante.
Merlin
li alzò d'istinto gemendo il nome del re, Arthur lo tenne fermo gemendo
soddisfatto “Riscaldare il mio letto” gli sibilò contro la pelle
sensibile, prima di fargli scordare ogni altra cosa.
Le
due settimane passarono troppo in fretta.
Merlin
guardò quasi con le lacrime agli occhi la borsa che avrebbe dovuto
consegnare a sir Geraint, inutile dire che non conteneva neppure la
metà della somma che gli aveva chiesto. Duecentododici monete d'oro,
era tutto ciò che era riuscito a racimolare e, per quante volte le
contasse, il numero restava sempre quello.
Troppo
poco per salvare Isil.
Fu
con un nodo nello stomaco che quella sera entrò nelle stalle.
Ormai
non c'era più bisogno di allattare la puledra, secondo Robert era un
buon segno che avesse già iniziato ad accettare cibo solido, stava
diventando più forte e questo avrebbe diminuito il rischio che si
ammalasse.
Qualcosa
gli diceva che nemmeno quell'informazione avrebbe fatto cambiare idea
al cavaliere, Merlin sapeva che non voleva liberarsi di Isil perché era
debole, ma solo perché poteva. E perché così avrebbe ferito lui.
Si
passò il palmo della mano sugli occhi umidi, non poteva farsi prendere
dallo sconforto ora. Doveva trovare il modo per salvarla. Anche se non
aveva il denaro doveva esserci una soluzione, forse poteva portarla
fuori da Camelot, nasconderla nella foresta per un paio di giorni e
regalarla a qualche viaggiatore.
Gli
si spezzava il cuore all'idea di non poterla tenere con sé, di non
vederla più, ma era meglio saperla lontana e al sicuro, che vederla
morta.
Il
suo vago piano di salvataggio, però, fallì sul nascere.
Sir
Geraint lo attendeva davanti alla stalla di Isil, le braccia conserte e
la solita espressione arrogante stampata sul viso.
Era
vestito in modo semplice, solo tunica e pantaloni, niente mantello né
spada, era strano per lui, che non se ne separava mai.
Al
contrario gli stivali erano lucidi e impeccabili, le dita ricche di
anelli “Ti stavo aspettando” gli disse non appena lo vide entrare. Le
sottili labbra distese in un sorriso minaccioso.
Con
la coda dell'occhio, Merlin vide Robert muoversi nella stalla affianco,
sembrava stranamente silenzioso, ma probabilmente l'ultima volta era
stato rimproverato dal cavaliere per la sua condotta. L'ira di Geraint
non doveva essere una cosa piacevole.
“Cosa
ci fate qui, mio signore?” chiese gettando un'occhiata preoccupata
verso Isil, vederla lo fece sentire sollevato. Per un attimo aveva
temuto che Geraint l'avesse già fatta portare via.
Come
ogni volta che entrava lì, le piccole orecchie del cavallo si rizzarono
sulla testa, Isil alzò il capo verso di lui e nitrì contenta, stavolta
nemmeno quel suono riuscì a farlo sorridere.
Il
cavaliere scosse le spalle, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi
“Ho deciso di rendere tutto più semplice venendo qui, hai trovato i
soldi, vero?”
Sentendosi
soffocare da paura e incertezza, rimpiangendo di non aver chiesto aiuto
al re o a un altro dei cavalieri, maledicendosi per quella sua assurda
mania di dover risolvere tutto da solo, Merlin tese il sacchetto
all'uomo.
Geraint
lo guardò con aria confusa “Dovrei contarle? Sembra un po' leggero”.
“Sono
solo duecento monete, il resto non l'ho trovato” mormorò Merlin, la
voce tremante “Ma se avessi più tempo-”
Geraint
sospirò, come se tutto il peso del mondo fosse sulle sue spalle
“Avevamo un accordo, non l'hai rispettato”.
“Vi
prego” supplicò Merlin “Vi darò di più” provò a convincerlo, sperando
che la sua avidità superasse la sua cattiveria. Non fu così fortunato.
“Pensi
forse che abbia bisogno dei soldi di un servo?” gli chiese Geraint con
disprezzo, quasi offeso dalle sue parole. Merlin indietreggiò chinando
il capo. Non era sua intenzione farlo arrabbiare, doveva fingere di
rispettarlo, di temerlo. Per Isil.
“Farò
quello che volete, qualsiasi cosa” mormorò stringendo i pugni lungo i
fianchi fin quasi a farsi male, mordendosi le guance per sotterrare il
suo orgoglio.
Non
aveva bisogno d'onore, non se si trattata di salvare qualcuno che
amava. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per Isil.
Geraint
si mosse e Merlin chiuse gli occhi nel timore di vederlo andare via,
distruggendo ogni speranza di salvare la puledra che lo fissava
preoccupata dalla sua stalla.
Ruvide
dita si posarono sulla sua guancia, il fiato caldo intriso di vino di
Geraint gli sfiorò le labbra e Merlin, spaventato e disgustato da quel
tocco sconosciuto e involuto, si ritrasse.
“E
se volessi qualcosa di più prezioso di un paio di monete d'oro?
Qualcosa che solo il re di Camelot, ha avuto il piacere di possedere?
Mi concederesti anche questo, per il tuo prezioso cavallo?” il viscido
sussurro sembrò rimbalzare tra le pareti di legno della stalla, Merlin
trattenne il fiato, confuso e stupito, inorridito da quelle parole.
Non
lo stupiva che sapesse di Arthur. A Camelot, non esistevano segreti,
c'era sempre qualcuno che raccontava di aver sentito qualcosa, qualcuno
che giurava di aver visto, anche le storie nate per lo stupido scherzo
di qualcuno, a volte finivano col diventare verità. Non era stata una
novità per nessuno che il principe e il servo avessero una relazione
piuttosto particolare.
Non
era stato neppure un vero scandalo, a dire di Arthur capitava molto
spesso che i nobili intraprendessero relazioni simili, eliminava tutti
i drammi di figli illegittimi, di cuori infranti e duelli.
No,
non era che Geraint parlasse così apertamente di ciò che condivideva
col re a scioccarlo, ma il fatto che osasse chiedergli di...
Nei
due anni in cui era stato con Arthur come più di un semplice servo,
nessuno aveva mai osato avvicinarsi a lui in quel modo.
Nessuno
si permetteva di toccare ciò che apparteneva ad un reale in fondo, e
Arthur non era certo noto per condividere le sue compagnie. O per
condividere Merlin.
Lo
aveva reso noto in più di un'occasione, perfino a Gwaine.
Se
generalmente si sentiva quasi offeso dalla possessività del re nei suoi
confronti, adesso Merlin non avrebbe desiderato altro che averlo lì con
sé. Geraint non si sarebbe mai permesso simili parole di fronte al re.
Ma
Arthur non era con lui e la verità era che Merlin non aveva scelta. Non
poteva scappare, non poteva rifiutare e non poteva chiedere aiuto ad
Arthur.
Le
mani del cavaliere tornarono sul suo viso, carezzandogli gli zigomi, ma
non era un tocco gentile, le mani di Geraint erano ruvide e pesanti,
non risvegliavano la stessa eccitazione, lo stesso calore di quelle del
re. Con quelle mani addosso, Merlin provava solo disgusto e paura.
“Il
re non lo permetterà” mormorò flebile, sentendosi la testa vuota e
confusa, non sapeva cosa fare, cosa dire, per tirarsi fuori da quella
situazione.
“Il
re non deve saperlo” gli bisbigliò contro le labbra “Pensaci bene
Merlin, la lascerai morire così?” indicò col capo la piccola Isil, che
sembrava aver avvertito la tensione nell'aria e li guardava entrambi
con la testa inclinata.
Merlin
inghiottì a fatica, il cuore in gola. Sarebbe morta. L'avrebbe davvero
uccisa.
Ma
come poteva acconsentire? Significava tradire Arthur, distruggere tutto
ciò che erano.
Non
avrebbe mai potuto tenergli nascosta una cosa simile. Non l'avrebbe mai
perdonato per una cosa del genere. Non poteva farlo, pensò nel panico.
Non poteva riuscirci.
L'orribile
suono che Isil aveva emesso la notte della sua nascita, il pianto
straziato con cui aveva cercato sua madre, tornò a tormentarlo. Merlin
scosse il capo, non c'era scelta. Non aveva via di fuga. Non questa
volta.
Lentamente,
combattendo la nausea che minacciava di sopraffarlo, il mago annuì e le
labbra di Geraint si posarono avide sulle sue, l'improvviso disgusto lo
fece quasi vomitare.
Con
la gola bruciata dalla bile e il cuore nello stomaco, Merlin voltò il
capo “Niente baci” mormorò mordendosi le labbra, trattenendosi a stento
da ripulirle con il dorso della mano “Niente baci” ripeté con voce
roca, sull'orlo delle lacrime, rifiutandosi di guardare il viso
trionfante del suo aguzzino.
Geraint
ridacchiò facendo scivolare le mani lungo i suoi fianchi “Come
desideri, in fondo non è a questo che mi serve la tua bocca” il
cavaliere sorrise, le sue mani si strinsero sulle sue spalle,
Merlin sgranò gli occhi e scosse lievemente la
testa.
La
pressione sulle sue spalle aumentò fino a farlo gemere per il dolore.
“Avanti,
non fingere di non esserci abituato, scommetto che davanti al nostro
re, non fai tutte queste storie”.
“Io
non ho mai...” mormorò Merlin nel panico, capiva cosa il cavaliere gli
stesse chiedendo, ma si sbagliava se pensava che Arthur gli avesse mai
ordinato una cosa simile.
Certo,
Merlin ci aveva pensato, più di una volta negli ultimi tempi, ma era
sempre stato troppo imbarazzato per farlo davvero, e il re non aveva
mai chiesto nulla.
D'altronde,
quando erano finiti insieme, poco meno di due anni prima, Merlin era
ancora vergine.
Era
stato difficile e imbarazzante lasciarsi andare con un'altra persona,
sentirsi così vulnerabile, provare tutte quelle emozioni insieme.
Arthur non lo aveva mai forzato, non gli aveva mai chiesto più di
quanto volesse o potesse concedere.
In
confronto, anche il tocco più lieve di Geraint, sembrava una tortura.
“Non
fare l'innocente ora, o la tua cavalla non vale più niente?”
“Per
favore”.
“Hai
detto niente baci, ti ho accontentato. Sono stato fin troppo generoso
con te, o ti metti in ginocchio o lei è morta. Scegli in fretta, servo”.
Tremando
spaventato e disgustato, Merlin fece come gli aveva ordinato.
Il
pavimento non gli era mai sembrato più duro e scomodo, con un nodo in
gola allungò le mani verso i pantaloni del cavaliere.
Le
mani di Geraint si strinsero attorno alla sua testa “Bravo” mormorò
soddisfatto e Merlin, di nuovo, fu sul punto di vomitare.
“Sir
Geraint, sei pregato di allontanarti dal mio servo, subito”.
La
voce di Arthur tagliò l'aria come un fendente, le mani attorno alla sua
testa sembrarono gelare e Merlin cadde all'indietro, voltandosi
terrorizzato verso il re.
Come
temeva, il viso di Arthur non prometteva nulla di buono.
“Sire”
disse Geraint, ma si bloccò, incapace di trovare una scusa convincente.
Non
era importante, il re non lo degnò neppure di uno sguardo, i suoi occhi
ridotti a fessure furenti erano fissi sul suo servo. Incapace di
sostenerne lo sguardo, Merlin chinò il capo.
“Alzati”
gli ordinò secco, il corpo fremente dall'ira, le mani strette a pugni
lungo i fianchi.
Merlin
cercò di ubbidire, sentendosi umiliato e impaurito, le ginocchia gli
tremavano e aveva solo una gran voglia di piangere, ma sapeva che le
sue lacrime avrebbero solo fatto arrabbiare Arthur ancora di più, per
questo le trattenne con tutte le sue forze.
“Con
tutto il rispetto, sire. C'è qualche problema?” Geraint parlò in tono
sereno, confuso, come se davvero non riuscisse a spiegarsi cosa stesse
accadendo.
Arthur
gli rispose con voce ferma, quasi indifferente, ma gli occhi, che
rimasero tutto il tempo fissi su Merlin, raccontavano una storia ben
diversa “Sì, c'è. Merlin è il mio servo, come credo non ti sia
sfuggito, e come tale non è libero di fraternizzare con i miei
cavalieri. Non senza il mio consenso” aggiunse infine in un sibilo.
Merlin
si sentì avvampare, sapeva che non lo pensava davvero, che non
l'avrebbe mai condiviso con altri, ma solo che lo avesse detto lo
feriva. Non che non lo meritasse.
“Oh,
vi assicuro che non era mia intenz-”
“Se
ti avvicinerai di nuovo a lui, Geraint, verrai bandito” lo interruppe
il re “Adesso puoi andartene” gli ordinò secco, perfino il cavaliere
dovette capire che era al limite della pazienza, perché se ne andò
senza dire nulla.
Rimasti
soli, Merlin attese che Arthur si sfogasse, incapace di trovare una
sola parola che potesse risolvere le cose.
“Allora?”
sibilò il re, dopo pochi attimi di silenzio.
In
tutta risposta, Merlin chinò ancora di più il capo, forse sperando che
il pavimento della stalla lo inghiottisse, o di svegliarsi nel suo
letto per accorgersi che le ultime settimane erano state solo un brutto
incubo.
“Non
hai nulla da dirmi? Nessuna strana spiegazione?”
Il
servo si morse le labbra, rifiutandosi di alzare lo sguardo. Gli occhi
di nuovo colmi di lacrime.
“Rispondimi!”
gridò Arthur “O all'improvviso hai perso la voce?”
Merlin
indietreggiò “Mi dispiace” sussurrò incapace di dire altro.
Che
cosa c'era da dire, in fondo? Non c'era modo di cancellare ciò che
aveva fatto.
Arthur
rise, ma non era il suono caldo e confortante della sua risata. Era
amaro, secco, deluso.
Merlin
si odiò per aver provocato quel suono nel suo re, proprio lui, che era
destinato a proteggerlo.
“Tutto
qui? Ti dispiace?” lo imitò con sarcasmo, in un sibilo velenoso che
sembrava così estraneo all'Arthur di sempre “Per l'amor del cielo,
almeno guardami in faccia” gli ordinò furioso “In tutti questi anni non
sei mai stato rispettoso come adesso”.
“Io...”
la voce gli si spezzò in gola con un tremito, Merlin prese fiato e alzò
il capo, gli occhi di Arthur erano ancora furenti e feriti, le braccia
strette sul petto “La puledra” bisbigliò schiarendosi la voce “La
puledra di cui ti avevo parlato, è di sir Geraint, lui...voleva
ucciderla” gli spiegò gettando un'occhiata ad Isil, che per tutto il
tempo era rimasta a fissarli, e che adesso scuoteva il capo nella
stalla, innervosita dalle grida.
“Lo
so” lo interruppe Arthur, Merlin lo guardò stupito.
“Come
credi che ti abbia trovato? Robert è venuto a cercarmi per dirmi cosa
stava succedendo. Quello che voglio sapere è come hai potuto fare una
cosa tanto stupida?”
“Volevo
solo salvarla, io...”
“Tradendomi?
Era questo il tuo piano?” spalancò le braccia, come incapace di restare
fermo.
“No,
io non volevo, ma lui-”
“O
è una scusa? Ti sei stufato di me e non sapevi come dirmelo? Volevi
provare qualcosa di nuovo?” gli disse con ovvio disprezzo, Merlin si
sentì come se lo avesse colpito.
“No!
Arthur, cerca di capire, io non sapevo cosa fare, non ho riflettuto.
Ero spaventato”.
“No,
Merlin” gli disse il re fissandolo con rammarico “Hai semplicemente
deciso che uno stupido cavallo valesse più di me, più di noi. Per te la
scelta è stata molto facile.”
Merlin
scosse il capo, non era vero, come poteva pensare una cosa simile?
Arthur
doveva capire, Isil era speciale, era unica, avrebbe fatto di tutto per
salvarla, ma questo non significava che il re fosse meno importante.
“Non
è vero, tu lo sai. Sai benissimo che ti amo, più di ogni cosa” mormorò
con voce roca.
Il
re non rispose, lo fissò a lungo, la rabbia sostituita da qualcosa di
ben peggiore: dolore.
Una
ferita immensa che Merlin non sapeva come curare.
“Da
oggi in poi ti limiterai a eseguire i tuoi doveri, terrai la testa
bassa, parlerai solo quando devi e ti rivolgerai a me col rispetto che
merito”gli disse infine, con voce piatta e monotona, come se non gli
ordinasse nulla di diverso dal portargli la colazione o il pranzo. Come
se non stesse distruggendo gli ultimi due anni della loro vita.
“Arthur,
ti prego...” mormorò cercando ancora una volta di farlo ragionare, di
fargli capire.
“E'
sire o vostra maestà, resterai al tuo posto da ora in avanti. Ricordati
che sei solo un servo” sputò infine velenoso e Merlin non poté fare a
meno di arrendersi, conscio che, almeno per quella notte, il re non
avrebbe ragionato. E forse non l'avrebbe mai fatto.
Non
poteva lamentarsi, era solo colpa sua. Era davvero un'idiota.
“Resta
qui” gli ordinò Arthur prima di uscire dalle stalle. Il mago attese in
ansia, la nausea era tornata a farsi sentire e la testa gli doleva.
Andò
verso Isil per accarezzarle il muso “Va tutto bene” le disse, ma gli
occhi del cavallo continuavano a fissarlo impauriti.
“E'
quella, portatela via” la voce del re lo fece sobbalzare, non si era
accorto del suo ritorno.
Stavolta
non era da solo, con lui c'erano due stallieri. Alle sue parole
entrambi si fecero avanti, uno teneva una lunga corda tra le mani,
Merlin inghiottì spaventato “Ar- sire?” provò a chiedere confuso, ma il
re non lo guardò neppure “Cosa succede?” provò di nuovo con voce
tremante, mentre gli stallieri legavano la corda attorno al collo di
Isil e la trascinavano fuori dalla stalla.
Nessuno
gli rispose e Merlin non sapeva cosa fare “Arthur, ti prego”.
Lo
sguardo furente del re lo zittì subito “Ti ho forse autorizzato a
parlare?” gli chiese in un sibilo “La prossima volta finirai in
prigione per la notte, ricordati il tuo posto”.
Spaventato,
arrabbiato, il servo esplose “Sei il solito arrogante bastardo, come
osi-”
Gli
occhi di Arthur, se possibile, si fecero ancora più sprezzanti “Fuori
dalla mia vista” sibilò.
Il
seguito fu così confuso e veloce, che quando l'incredulo e impaurito
Merlin sentì la porta della cella chiudersi alle sue spalle, non
ricordava neppure come c'era finito.
Tre
giorni.
Tre
giorni chiuso in prigione. Senza notizie, senza visite, senza una
parola di conforto da nessuno.
Solo
e infreddolito. Non c'era punizione peggiore per lui.
In
fondo Arthur lo conosceva bene.
Merlin
aveva finito le lacrime, era troppo stanco ed affamato perfino per
quelle.
Non
sapeva per quanto tempo Arthur lo avrebbe punito, non sapeva nemmeno se
quella sarebbe stata la sua pena o solo l'inizio. Poteva decidere di
esiliarlo, o trattarlo come un nemico per tutta la vita, solo per
ferirlo.
A
questo punto dubitava che lo attendesse qualcosa di diverso da un
autentico inferno in terra. Arthur non l'avrebbe mai perdonato.
E
onestamente Merlin non sapeva se avrebbe mai perdonato ciò che il re
aveva fatto a Isil.
Ucciderla
per il suo errore, per il suo tradimento, era stato meschino. Ma per
quanto cercasse di convincersi che non era possibile, che Arthur non
avrebbe mai fatto una cosa simile, quella era l'unica spiegazione
possibile. Perché, altrimenti, l'avrebbe fatta portare via? Perché non
dirgli cosa ne aveva fatto?
Una
guardia comparve davanti alle sbarre “Sei libero” gli disse con aria
annoiata, le chiavi arrugginite girarono nella serratura, ma anche
fuori dalla sua cella, Merlin non si sentì meglio.
Non
sapeva se era ancora il servo di Arthur o se era stato licenziato, il
buon senso gli diceva che il re non l'avrebbe voluto vedere, ma mentre
scendeva verso le stanze di Gaius, una guardia lo fermò ordinandogli di
prendere il pranzo del re dalla cucina e portarglielo.
Merlin
non sapeva cosa provare.
In
parte terrore per cosa avrebbe trovato, in parte speranza di poter
riaggiustare le cose, ma ciò che lo aspettava era ben peggiore di
qualunque aspettativa.
Una
donna dai folti riccioli rossi fuoco e la pelle bianca come la neve era
seduta a cavalcioni sul re. Non poteva avere più di vent'anni e,quei
pochi vestiti, che aveva ancora indosso, erano ovviamente costosi, Una
nobile allora, pensò con un nodo allo stomaco.
Il
vassoio che teneva tra le mani tremò vistosamente, Merlin lo posò sul
tavolo, cercando di non guardare lo spettacolo che il re aveva
organizzato per lui sulla sedia al lato opposto.
“Ah,
il pranzo” arrivò la voce di Arthur, una delle sue mani si tese verso
il piatto rubando un acino d'uva, Merlin fece l'errore di guardare
verso di lui.
Il
re tese l'acino verso la bocca tinta di rosso della donna, che lo morse
senza pudore, gemendo di piacere.
Il
servo indietreggiò inorridito, un dolore sordo all'altezza del petto.
Andò
a sbattere contro l'armadio sulla parete opposta, il vaso sopra di esso
traballò e cadde al suolo finendo in frantumi.
Il
rumore distrasse i due dal loro gioco, gli occhi del re si posarono
indifferenti su Merlin, come se essere scoperto in quelle condizioni
non gli importasse affatto.
Probabilmente
era proprio così.
“Devi
scusare il mio servo, Caroline, è terribilmente goffo” disse con voce
arrogante.
Caroline
ridacchiò e lo baciò sul collo “Dovevi avvertirmi che era entrato, non
me n'ero accorta”.
“Oh
tranquilla, Merlin sa essere discreto. Pulisci il pavimento” gli ordinò
fissandolo dritto negli occhi, come sfidandolo a disubbidire.
Anche
volendo, Merlin non aveva più la forza per farlo.
Senza
dire nulla si chinò e usò il fazzoletto che teneva al collo per
asciugare l'acqua dei fiori sparsi a terra.
Il
vaso era un suo regalo, l'aveva dipinto pochi mesi prima per una festa
di cui non ricordava neppure più il nome.
Era
stato così soddisfatto quando l'aveva finito, e adesso era in frantumi.
Come
tutto il resto.
Sentendosi
vuoto e improvvisamente troppo stanco, Merlin raccolse le schegge una
ad una, incurante degli occhi di Arthur, incurante delle risatine della
donna e del sangue che colava dai graffi che i frammenti del vaso gli
procuravano alle mani.
Una
volta finito, si inchinò brevemente e scappò dalla stanza.
Il
suo sguardo non incrociò più quello del re, perché ormai non aveva più
senso.
Si
ritrovò sulla torre, lontano da tutto e da tutti, seduto sul davanzale
della finestra, le gambe a penzoloni nel vuoto.
L'aria
fredda e pungente dell'autunno gli pizzicava le guance bagnate, lì in
cima il vento era molto più forte, capace di soffocare ogni suono.
Anche quello dei suoi singhiozzi.
Il
sole stava tramontando, quando dei passi risuonarono alle sue spalle.
Merlin rimase immobile sperando, che chiunque fosse, decidesse di
lasciarlo solo.
“E'
difficile trovarti, quando ti nascondi”.
La
voce di Arthur lo fece sobbalzare, Merlin strinse i pugni sulle
ginocchia e si morse le labbra.
Era
lì per sbattergli in faccia la sua nuova conquista? O aveva in mente
qualche altro metodo per ferirlo? In tre giorni doveva averne
pianificati molti.
“Non
ti avevo congedato”.
Merlin
non rispose, non si voltò. Non voleva parlare con lui. Non voleva
nemmeno vederlo.
Non
in quel momento. Forse mai più.
Il
re sospirò “Non è successo niente, con lei” gli disse.
“Non
dovete giustificarvi, sire” rispose Merlin chiudendo gli occhi contro
il vento. Non era vero, ma non gli avrebbe permesso di vedere la sua
ferita solo per farsi deridere ed umiliare.
“E'
la verità, non nego di averci pensato. Speravo che ripagandoti con la
stessa moneta mi sarei sentito finalmente soddisfatto, meno arrabbiato”
mormorò il re, la sua voce più vicina di prima.
Merlin
non si voltò per vedere dove fosse “E ci siete riuscito?”
“No,
direi di no” mormorò l'altro “Mi dispiace, Merlin” aggiunse dopo
qualche attimo di riflessione, come se la parole gli avessero richiesto
uno sforzo particolare “Ho lasciato che la rabbia mi accecasse e guarda
come ci siamo ridotti. Sembriamo ridicoli”.
Le
braccia del re scivolarono intorno alla sua vita trascinandolo contro
di sé, lontano dalla finestra, tra la sicurezza delle mura di palazzo,
Merlin non oppose resistenza. Per quanto non lo desiderasse, il solo
contatto con l'altro lo faceva sentire al sicuro, tranquillo, ma Arthur
aveva fatto qualcosa di irreparabile. Distrutto qualcosa che non sapeva
se poteva essere ricostruito.
Finirono
sul pavimento, la schiena premuta contro il petto del re “Per un
attimo, quando ti ho visto, ho temuto che volessi buttarti di sotto”.
Merlin
non colse la battuta, non aveva voglia di ridere e non sapeva come
Arthur potesse fare finta di nulla.
“In
fondo, sei una tale ragazzina” le braccia lo strinsero più forte “Sono
perdonato, Merlin?” gli sussurrò contro l'orecchio. Il tono più serio,
quasi pregante.
Merlin
si sentì stringere il cuore, non voleva sentire quel tono di voce, non
voleva che Arthur stesse male per lui, ma quando aprì la bocca per
dirgli di sì, gli occhi lucidi di Isil tornarono a tormentarlo,
costringendolo a rimanere in silenzio.
“Merlin?”
Arthur si ritrasse obbligandolo a voltarsi “Se è per Caroline, ti giuro
che sono sincero”.
“Non
è per lei” scosse la testa il servo “E' per... come hai potuto farle
questo? Arthur, come hai potuto? Io non posso...”
Il
re lo fissò confuso, senza capire “Sapeva che era una farsa, l'ho
pagata per questo e non sai quanto. Era solo per vendicarmi, Merlin.
Non ci avrei fatto nulla, doveva solo fingersi nobile, tutto qui”
cominciò a spiegare il re, il viso arrossato, le parole veloci, quasi
pregandolo di capire, ma stavolta era Merlin a non capire “Arthur, di
cosa parli?”
“Di
Caroline, è una prostituta, lo sai vero? Non è davvero una nobile, non
c'è rimasta male in nessun modo, sapeva già tutto. L'ho incontrata alla
taverna, ero ubriaco, e lei...”
“Hai
pagato una prostituta per farmi ingelosire?”
Arthur
diventò paonazzo “Ero ubriaco” si giustificò con voce strozzata.
Merlin
sorrise e scosse la testa, il re era proprio un'idiota “Non posso dire
che la cosa mi renda felice, ma non è per questo che sono arrabbiato”.
“E
per cosa, allora? La prigione?”
Quella
fu l'ultima goccia, di fronte alla totale mancanza di sensibilità del
re, il mago finalmente esplose “Per Isil, Arthur! Come puoi essere così
stupido? Non te ne importa davvero niente? Io le volevo bene e tu lo
sapevi!”
Il
re lo guardò confuso, stupito dalla sua sfuriata “E' legata dietro alla
casa di Elyan” mormorò in fretta.
“Cosa?”
“Volevo
che credessi che l'avevo uccisa, così l'ho nascosta... ho già detto che
sono stato piuttosto... avventato in questi giorni” mormorò
imbronciandosi.
“Avventato?
Arthur! Pensavo fosse morta! Tu asino...” il re lo baciò “Possiamo
smetterla di litigare adesso?” gli chiese accarezzandogli il viso.
“E
Geraint?” gli chiese timoroso il servo “Isil è ancora sua”.
“Non
più” disse Arthur non senza una nota d'astio ”E ti sarei grato se non
lo nominassi più in mia presenza”.
“Ma...”
“Sono
il re, Merlin. Una cosa che sembri dimenticare troppo spesso. Se dico
che un cavallo è mio, allora è mio” brontolò Arthur tornando a baciarlo.
“Oh”.
“Già,
ovviamente non posso togliere un cavallo ad un nobile per darlo ad un
servo, ma per ciò che conta, Isil è tua”.
“Diventerà
un bellissimo cavallo” sorrise Merlin.
“Con
una madre come te diventerà pigra e goffa, sarà la cavalla più ridicola
che Camelot abbia mai visto”.
“Visto
il modo in cui ti sei comportato negli ultimi giorni, direi che lo
meriti più tu il ruolo della madre” ridacchiò Merlin.
“Che
vorresti dire?”
“Hai
avuto una reazione da isterica”.
Arthur
lo fissò contrariato “Merlin?”
“Sire?”
“Sta
zitto”.
“Lo
dicevo che eravate isterica, mia signora” rise il servo.
“Bene,
non ci resta che provare e vedere chi di noi sarà la madre, Merlin. In
fondo ad Isil servirà un fratellino” sorrise malizioso il re,
insidiando le mani sotto la sua tunica.
“Siamo
nella torre, Arthur” si lamentò Merlin, quando si trovò sdraiato sul
pavimento.
“E
allora? Non ci viene mai nessuno”.
“Arthur”
si lamentò il servo.
“Cosa
c'è ancora?” sospirò esasperato il re.
“Ho
le mani indolenzite” si lamentò il mago, accorgendosi solo allora delle
fastidiose fitte che gli provenivano dalle dita, era come se fossero
puntellate di aghi.
Preoccupato
il re, guardò verso le dita dell'altro trovandole graffiate e
insanguinate “Idiota!”
Merlin
venne minacciato di finire in prigione per la sua deficienza almeno una
ventina di volte lungo il tragitto verso le stanze del medico, ma
almeno tutto sembrava tornato a posto.
end
*Isil
è l'elfico per stella!O almeno così ho letto in un forum!