Note: Questa è una
delle poche serie in cui tutto grida allo slash. È
impossibile non pensare ad una possibile relazione amorosa tra
Artù e Merlino ù.ù Stanno
semplicemente da dio insieme. Anche perché guardando Gwen e
Morgana… brrrrrr!!!!!! Questa fic è un piccolo
esperimento per scoprire come me la cavo con questa coppia.
È rivisitazione della puntata 1x04, il calice avvelenato,
tutta dal punto di vista di Artù in cui finalmente si rende
conto di quello che prova per Merlino. Spero che il risultato sia
decente e che non abbia combinato chissà quali
casini… ^^’’’
Ringraziamenti:
Ringrazio chiunque leggerà e commenterà.
Ora
vi lascio alla lettura, alla prossima gente.
L’impronta sul cuore
Artù
socchiuse svogliatamente gli occhi, incrociando il solido soffitto di
legno scuro del baldacchino. La stanza era immersa in un profondo
silenzio, nessun rumore giungeva dall’esterno, come se tutto
il castello fosse ancora immerso nel sonno. Lame di luce dorata
filtravano dagli scuri accostati, rischiarando la penombra con un
leggero lucore. Il principe richiuse gli occhi desiderando godere
ancora di quel morbido torpore che lo aveva avviluppato quella mattina.
Erano
giorni che non riusciva a dormire, e, se per caso il sonno arrivava a
stringerlo fra le sue spire, sogni infuocati gli riempivano la mente,
facendolo svegliare più stanco di quando si era coricato.
Non poteva andare avanti così, si stava riducendo ad un
relitto! La sua mente seguiva percorsi tutti suoi, che conducevano
tutti ad un’unica conclusione, che presto lo avrebbe
trascinato al punto di non ritorno.
E
tutto per causa di quell’idiota che era piombato
all’improvviso nella sua vita ingarbugliandola! Di
quell’impiastro che suo padre gli aveva messo alle costole,
che non ne faceva mai una giusta, che combinava continuamente disastri
e si cacciava sempre nei guai.
Strinse
i denti: non poteva nutrire simili desideri, era inconcepibile!
Perché, cercava di convincersi, era di questo che si
trattava: un mero desiderio sessuale che sarebbe scomparso appena
soddisfatto! Era così, doveva essere
così! E per quel genere di bisogni c’erano decine
di cortigiane e serve pronte ad aiutarlo: una soluzione molto meno
compromettente e rischiosa; non voleva nemmeno immaginare cosa avrebbe
potuto scatenare suo padre se avesse saputo. Non poteva rischiare tutto
per uno sfizio!
Non
avevano alcun significato i minuti che scorrevano lenti e snervanti
quando lo attendeva, il senso d’irritazione che lo ghermiva
quando quell’idiota tardava, né la sottile euforia
che gli riempiva il petto quando quegli occhi limpidi ed ingenui di un
caldo color noce, misteriosi ed antichi, lo fissavano attenti, o quando
quell’odore di erbe impregnava l’aria quando gli
era vicino e lui faceva di tutto per ispirarne il più
possibile…
Spalancò
gli occhi, madido di sudore ed affannato, cercando di sfuggire a se
stesso e di riportare la sua mente sulla giusta strada. A giudicare
dall’intensità della luce al di la degli scuri, il
sole doveva essere alto nel cielo ed il suo servo sarebbe arrivato
presto per ricevere gli ordini della giornata. Un crampo di desiderio
gli contorse le viscere al pensiero di quanto sarebbero stati vicini di
li a poco. Batté più volte la nuca contro il
cuscino come per punirsi di quei pensieri inopportuni.
Continuava
a ripetersi che non poteva, ma il suo corpo urlava indignato reclamando
quanto gli spettava!
-
Ma come, siete ancora a letto?- la voce dolorosamente familiare di
Merlino lo sorprese nel mezzo dei suoi pensieri.
Preso
alla sprovvista Artù sussultò. Spostò
velocemente la testa alla ricerca del suo servitore, trovando la sua
figura snella e fragile in piedi davanti il tavolo. Nella penombra
poteva intuirne solo le linee essenziali, ma era lo stesso invitante.
-
Mi sono appena svegliato.- spiegò distrattamente, troppo
preso ad osservare ogni suo movimento.
-
Vedete di muovervi allora: il re ha richiesto la vostra presenza ed io
non ho alcuna intenzione di finire sulla gogna per voi!- e storse la
bocca in una smorfia al pensiero di tutta quella gente che si divertiva
a tirargli verdura marcia.
-
Sei sfinente, Merlino!- sbottò calciando via le lenzuola.
Intanto
il mago si spostò verso la finestra e spalancò
gli scuri, lasciando che una doccia di luce dorata illuminasse la
stanza. Artù mugugnò infastidito, gli occhi
feriti dalla luce improvvisa. Quando ritornò a vedere ogni
insulto verso il suo servitore gli morì in gola. Merlino era
ancora in piedi, di spalle alla finestra, le ombre giocavano con il suo
fisico disegnandolo spietatamente, mentre la luce colpiva la sua pelle
lattea rivestendola di una miriade di riflessi cangianti. Sembrava
un’eterea creatura fantastica in quel momento. Ogni pensiero
svaporò dalla mente del principe, che poté solo
stringere forte le lenzuola tra i pugni per evitare di assalirlo.
-
Per quale motivo mio padre mi ha cercato?- gli chiese per distrarsi.
Merlino,
che aveva appena preso gli abiti del principe dall’armadio,
si girò di scatto per fissarlo perplesso, quindi
sollevò gli occhi al cielo sconsolato.
-
Oggi arriverà a palazzo re Bayard con il suo seguito per
rinnovare il trattato di pace, non ditemi che lo avevate dimenticato?-
esclamò chiudendo le ante.
-
No che non lo avevo dimenticato. Come ti viene in mente?-
sbottò Artù indignato, alzandosi dal letto ed
avvicinandosi a lui.
-
Parlando con un asino non si sa mai…- ghignò il
mago perfidamente divertito.
Artù
incrociò le braccia al petto e si godette appieno
quell’espressione che adorava, prima di lasciare che un
sorriso cattivo gli schiudesse le labbra.
-
Merlino oggi riparerai tutte le mie selle, rinforzerai tutti i miei
scudi ed affilerai tutte le mie spade nell’armeria!- voleva
proprio vedere se dopo avesse avuto ancora voglia di prenderlo in giro.
-
Tu… tutte?- chiese Merlino improvvisamente spaventato.
-
Tutte!- confermò il biondo con un sorriso spietato.
Il
mago deglutì a vuoto: il giovane Pendragon possedeva il
più grosso assortimento di selle di tutto il regno, non era
umanamente possibile contare i suoi scudi e le sue armi! Nemmeno con
tutta la sua magia sarebbe riuscito a fare quanto gli aveva ordinato!
Gli ci sarebbero voluti giorni…
Sogghignando
per l’appagante reazione del suo servo, Artù gli
fece segno di seguirlo dietro il paravento per aiutarlo a vestirsi.
Aveva scoperto che quello era uno dei momenti più piacevoli
di tutta la giornata, un momento perfetto, di assoluta calma e
serenità, in cui le parole non servivano, si sentiva
rinchiuso in morbida bolla che lo isolava dal resto del mondo, e poteva
prendersi tutto il tempo che voleva per osservare quella buffa
espressione concentrata che ogni volta si disegnava sul volto di
Merlino.
Il
mago gli scoccò un’occhiataccia che lo fece
ridacchiare ancora di più, mentre si avvicinava per
adempiere ai suoi doveri di servitore.
In
piedi dietro il paravento, Merlino iniziò a slacciare la
camicia del principe, mentre sfilava i lacci le sue dita scivolavano
sulla pelle dell’altro. Ognuno di quei tocchi rapidi e
leggeri aveva il potere di strappare il fiato dai polmoni del biondo e
di arroventargli la pelle. Era così vicino che sarebbe
bastato un lieve movimento del capo per poterlo baciare e scoprire se
quelle labbra erano davvero dolci come sembrava. Artù
socchiuse gli occhi mentre sentiva il sangue iniziare a ruggirgli nelle
vene. Era stato con molte donne, ma mai nessuna aveva avuto un simile
potere su di lui e sui suoi sensi. A quel ragazzo bastava sfiorarlo per
fargli sciogliere il cervello, non osava immaginare cosa avrebbe
provato nello stringersi a lui pelle contro pelle, di sentire le sue
mani scorrergli sul corpo. Un gemito frustrato gli vibrò in
gola, scuotendolo quel tanto che bastava per farlo ritornare cosciente
e fargli riaprire gli occhi. Merlino sembrava non essersi accorto di
nulla, si era allontanato per prendere la giacca dal tavolo; ora gli
era alle spalle e lo stava aiutando ad infilarla. Quando il mago si
sporse su di lui per sistemargli la stoffa sulle spalle,
Artù venne investito da quell’odore di erbe che
caratterizzava il suo servitore, quel giorno molto più
prepotente del solito; schiuse le labbra inspirando a fondo,
riempiendosene i polmoni, immaginando di assaporarlo direttamente dalla
pelle di Merlino nudo sotto di sé, sconvolto dal piacere.
Artù
si allontanò velocemente, cercando di mettere quanta
più distanza possibile tra loro: il desiderio che provava
per quel ragazzo stava diventando sempre più
incontrollabile, come un veleno dolce e letale che lo stava
intossicando lentamente, e che presto lo avrebbe portato a commettere
qualche sciocchezza di cui si sarebbe pentito amaramente. Non sarebbe
mai riuscito a sopportare la consapevolezza di avergli fatto del
male…
Prese
dall’armadio un involto rosso e lo lanciò contro
Merlino, colpendolo in piena faccia. Aveva bisogno di ritornare ai loro
ruoli, di recitare la parte del principe arrogante che tormentava per
divertimento il suo valletto. Era l’unico modo per restare in
sé.
Il
giovane mago allontanò immediatamente da sé il
fagotto per poi fissarlo con espressione disgustata.
-
Ma che roba è? Puzza terribilmente!- protestò
storcendo il naso.
-
È la tunica per il ricevimento di stasera: devi lavarla!-
gli ordinò con un sorriso sadico.
Merlino
sollevò la stoffa tenendola tra indice e pollice,
assolutamente contrariato all’idea di doverla pulire.
-
Da quant’è che non vede un po’
d’acqua e sapone?- .
-
Credo che non sia più stata lavata dal ricevimento
dell’anno scorso.- rispose il biondo principe con una
semplice scrollata di spalle.
Con
un sospiro sconfitto Merlino infilò la tunica nella cesta
degli altri indumenti da lavare: sarebbe stata una lunga, lunga
giornata quella!
-
Ah Merlino?- lo richiamò Artù quando era quasi
arrivato alla porta.
Quando
lo chiamava in quel modo ingenuo ed amichevole significavano solo altri
guai per lui. Enormi guai, ponderò indietreggiando
inconsciamente quando vide lo scintillio divertito in quegli occhi blu.
-
In quanto mio servitore dovrai presenziare anche tu al banchetto di
stasera. – il principe fece scorrere uno sguardo veloce sui
suoi vestiti – E dovrai indossare la divisa ufficiale dei
valletti di corte!- lo informò.
Questa
non sembrava una notizia così brutta…
Curioso
osservò Artù sporgersi dietro il paravento per
poi tirare fuori altri abiti rossi che gli mostrò con un
sorriso ammiccante. Il sorriso scomparve dal volto di Merlino,
sostituito da un’espressione terrorizzata. Chissà
se il drago avesse preso male l’assassinio di Artù
per mano sua…
-
State scherzando?- chiese con voce tremula ed allarmata.
-
Starai benissimo!- esclamò convinto il principe distruggendo
le sue speranze.
Indignato
Merlino strappò la tunica dalle mani del principe e la
nascose tra le altre, per poi uscire dalla stanza borbottando e
sbattendo la porta.
Una
volta solo nella stanza, Artù non riuscì
più a trattenersi ed esplose in una fragorosa risata, un
suono che echeggiò nella stanza vuota come il tintinnio di
campanellino d’argento. Quel ragazzo era un vero spasso! Era
così ingenuo che sarebbe caduto in qualsiasi inganno gli
avrebbe teso; era pronto a scommettere qualsiasi cosa che quella sera
si sarebbe presentato conciato in quel modo! Ed immaginandolo un nuovo
scroscio di risate lo scosse. Si lasciò cadere di peso sulla
sua sedia ricoperta di pellicce e poggiò la testa sullo
schienale, i morbidi peli gli solleticarono la pelle. Merlino era
l’unico in tutto il regno ad avere il potere di farlo ridere
in quel modo sereno, per la prima volta in tutta la sua vita grazie a
quel ragazzo aveva scoperto cosa volesse dire ridere con il cuore.
Merlino era divertente nella sua ingenuità e goffaggine,
eppure era anche stato il primo a guardarlo negli occhi ed a sfidarlo.
Non si era mai piegato né a lui né al suo titolo,
l’aveva sempre trattato da pari, l’aveva sfidato
ben sapendo di essere in svantaggio e chissà come era anche
quasi riuscito a batterlo. Quella volta non aveva provato umiliazione.
Non sapeva perché ma si era sentito quasi soddisfatto che
quelle del ragazzo non fossero solo vane parole. Ogni volta che lo
guardava negli occhi provava la sensazione che lui fosse molto
più forte di quanto lasciasse intendere il suo aspetto
delicato.
Strinse
i denti davanti l’immagine di Merlino che era nuovamente
sbucata nella sua mente e serrò le mani fino a conficcarsi
le unghie nei palmi.
Forse
un incontro amoroso con una bella dama gli avrebbe raffreddato i
bollori, infondo si trattava solo di dare libero sfogo a determinati
bisogni…
Ma
era proprio sicuro che Merlino fosse un semplice capriccio da
togliersi? Insinuò una vocina melliflua da qualche parte
nella sua mente.
Come
ogni altra volta, arrivato a questo punto indietreggiò
impaurito, rannicchiandosi su se stesso, incapace di saltare al di la
del baratro oscuro che si apriva davanti a lui, spaventato dalla
risposta che avrebbe dovuto dare a quella domanda e che avrebbe potuto
stravolgergli la vita. Una risposta che in qualche modo intuiva, che
era li dentro di lui, ben radicata e solida, e che lui continuava ad
ignorare per vigliaccheria.
Scacciò
quei pensieri e si rimise in piedi: suo padre lo attendeva, era
arrivato il momento di pensare alle cose serie.
Merlino
superava di molto le sue aspettative quella sera!
Dal
tavolo al quale suo padre e Bayard stavano firmando il nuovo trattato,
Artù si volse appena per osservare il suo servitore. Un
ghigno compiaciuto gli stirò le labbra facendogli guadagnare
un’occhiata irata dell’altro. Il pennacchio rosso e
blu del cappello gli scivolava ai lati del volto tirato in
un’espressione irritata, che i tentativi di calmarlo di Gwen
facevano solo aumentare. Una casacca rossa bordata di verde scuro, con
lo stemma dei Pendragon intessuto in oro al centro del petto, gli
ricopriva la tunica ed i pantaloni dello stesso colore. Non si era mai
sentito più umiliato di così! Con un gesto
stizzito il mago si strappò dalla testa il cappello
gettandolo in qualche angolo della sala. Cosa che fece divertire
maggiormente il principe.
Artù
riportò lo sguardo davanti a sé prima che suo
padre si rendesse conto della sua distrazione: Uther e Bayard aveva
appena terminato di firmare il trattato ed ora il re aveva dato ordine
che si procedesse con il banchetto. Servitori iniziarono ad
affaccendarsi per la sala portando caraffe di vino ed enormi vassoi
pieni di cibi caldi.
Quegli
incontri istituzionali non erano altro che una noiosa sequela di frasi
ed atteggiamenti formali, in cui i due re mostravano il rispetto che
nutrivano per l’altro, il più delle volte falso,
nato solo dalla necessità di mantenere un’utile
alleanza. Artù sorseggiava il vino dal suo calice annoiato,
ascoltando distrattamente le discussioni che si alternavano attorno a
lui: per fortuna il banchetto era quasi finito, ancora poco e avrebbe
potuto ritirarsi nelle sue stanze…
Bayard
si sollevò in piedi tenendo alto il calice sopra la testa,
una delle sue serve portò una scatola di legno al tavolo di
Uther e del principe.
-
Per ringraziare il mio ospite della sua perfetta accoglienza.-
esclamò con un leggero inchino del capo.
-
Il minimo per un vecchio amico!- rispose il re con un sorriso cordiale.
Uther
aprì la scatola che conteneva due calici in metallo
elegantemente lavorati. Li prese e li depose sul tavolo al posto di
quelli che avevano usato fino a quel momento.
-
Li useremo per brindare a te, amico mio.- ed un servo riempì
prontamente le coppe di vino.
Artù
portò il calice alle labbra già pronto a bere,
quando gli venne strappato dalle mani.
-
È avvelenata!- urlò una voce accanto a lui.
Non
ebbe bisogno di sollevare la testa per scoprire a chi appartenesse.
Soltanto Merlino poteva fare un’idiozia simile!
-
Che cosa stai dicendo?- ruggì furibondo il re.
-
Bayard ha avvelenato la coppa destinata ad Artù!-
continuò il mago serio e deciso.
-
Ma è assurdo! Uther permetti che un servo possa accusare un
re?- sbottò l’altro re irritato.
Il
re di Camelot si portò al centro della sala, mettendosi tra
Bayard ed il valletto di suo figlio, prese la coppa e ne
annusò il contenuto, constatando che non emanava odori
particolari. Con un sospiro rassegnato Artù lo
seguì: avrebbe dovuto immaginare che Merlino avrebbe creato
un bel fuori programma, esattamente come nel suo stile…
-
Ragazzo ti rendi conto della gravità delle accuse che stai
muovendo al mio amico?- chiese Uther calcando bene la voce sulle ultime
parole.
Quel
servo stava accusando un suo pari, un importante alleato…
…
Stava mettendo in serio pericolo la sua dignità e tutto il
lavoro diplomatico che aveva accuratamente portato avanti in quegli
anni…
-
Una persona lo ha visto mettere il veleno nella coppa del principe.-
annuì convinto della sua posizione.
Il
re lo scrutò pensieroso per un po’, doveva
scoprire se quel ragazzo diceva il vero o no, ed avrebbe fatto in modo
che si prendesse la responsabilità delle sue azioni.
-
Berrai tu dalla coppa di mio figlio!- ordinò tendendogli la
coppa.
-
Ma padre…- provò a protestare Artù
atterrito da quella prospettiva.
-
È il tuo valletto: è suo dovere assaggiare vino e
cibo prima di te per scoprire se è avvelenato!-
tagliò corto il re imponendo a Merlino con un gesto
perentorio di prendere la coppa.
Allarmato
ed impotente, Artù osservò Merlino allungare la
mano e prendere la coppa, portarla alle labbra, esitare soltanto un
istante, prima di vuotarlo.
Quel
ragazzo era pazzo! Pensò il principe mentre
l’altro beveva. Come poteva bere da una coppa avvelenata
senza pensarci due volte, come se la sua vita non avesse alcun valore,
come se l’unica cosa veramente importante fosse la sua
vita…
Aveva
guardato negli occhi di Merlino prima che bevesse: erano gli occhi
decisi e sinceri di una persona che aveva fatto già da tempo
la sua scelta, che aveva accettato il suo destino, qualunque esso
fosse, e lo avrebbe portato a compimento. Lo aveva invidiato per quel
coraggio. Ci voleva coraggio per impugnare una spada e scendere in
battaglia, ma ci voleva molto più coraggio a sacrificare la
propria vita per qualcun altro. Era quel genere di coraggio che sperava
di possedere anche lui.
Merlino
allontanò la coppa ormai vuota dalle labbra e
fissò lo sguardo su Bayard. Per un lungo istante non accadde
nulla, il mago sembrava in perfetta salute. Artù lo
osservò non sapendo se sentirsi sollevato perché
quello sciocco temerario era salvo, o irritato per tutto lo scompiglio
che aveva creato inutilmente.
Ma
l’istante successivo il volto del ragazzo si contrasse in una
smorfia dolorante, mentre barcollava pericolosamente. Come in una lenta
sequenza da incubo lo vide accasciarsi al suolo, senza un gemito, il
rumore metallico del calice che rotolava sul pavimento
rimbombò cupo nella sala silenziosa.
Ancora
prima di capire di essersi mosso, Artù si
precipitò accanto a Merlino.
-
Merlino! Merlino! Mi senti? Svegliati!- e gli batteva la mano sulla
guancia.
Gaius
e Gwen lo raggiunsero subito. Il medico eseguì un esame
preliminare e rivolse agli altri uno sguardo preoccupato mentre
spiegava che dovevano portarlo nel suo laboratorio. Senza pensarci due
volte, ignorando il rumore dei passi e delle armi con cui i suoi
soldati stavano arrestando Bayard ed il suo seguito, si
caricò sulle spalle in corpo di Merlino. Si stupì
di quanto fosse leggero.
Velocemente
raggiunsero la casa del medico di corte ed il principe lo
adagiò delicatamente sulla branda. Gaius gli
toccò la fronte: la pelle era bollente, la febbre era
già salita.
-
Prendi dell’acqua! – ordinò a Gwen
– Io cercherò un rimedio tra i miei libri.-
borbottò tra sé, salendo le scale e dirigendosi
al piano rialzato.
Rimasto
solo, Artù si concesse per la prima volta di guardare
Merlino: il volto era sofferente e sudato, tremava e mormorava frasi
sconnesse a fior di labbra. Gli parve infinitamente fragile. Quella
sensazione di stasi dentro di lui si infranse e venne travolto da tutte
le emozioni che fino a quel momento era riuscito a tenere a bada.
Paura, rabbia, angoscia, frustrazione e mille altri sentimenti lo
avvolsero, straziandogli l’anima, trascinandolo in un baratro
oscuro in cui avrebbe potuto annegare da un momento all’altro.
A
tenerlo a galla era solo la consapevolezza. Solo ora che lo stava
perdendo si rese conto che Merlino non era uno sfizio, un desiderio
insignificante, ma che era importante per lui, così
importante da cancellare ogni altra cosa. Era stato uno sciocco,
avrebbe dovuto capirlo prima dalle sue reazioni che non si trattava di
una infatuazione passeggera…
…
Ed ora rischiava di non aver tempo per stare con lui…
Gwen
tornò tenendo un secchio d’acqua in mano, prese un
panno, lo inumidì e lo passò sulla pelle
accaldata di Merlino, strappandogli ansiti spezzati.
-
Trovato!- esclamò Gaius all’improvviso.
Scese
velocemente la scala con un volume aperto in mano e si
appoggiò al suo scrittoio ingombro di libri.
-
Hai capito cos’ha?- chiese speranzosa la ragazza, ancora
inginocchiata al capezzale del mago.
-
Sul fondo del calice ho trovato dei petali essiccati. Si tratta del
Fiore della Morte. È un veleno estremamente letale, che
agisce lentamente e tra atroci sofferenze.- spiegò senza
alzare lo sguardo dal tomo.
-
E tu puoi creare un antidoto?- chiese Artù portandosi al suo
fianco, cercando di mascherare la sua ansia.
-
Certo. Ma ho bisogno dei fiori per estrarre il veleno. Purtroppo
crescono solo in una caverna nella Foresta di Baloc, un luogo che
nasconde insidie mortali.- la voce del mago si spense in un tetro
mormorio che spiegò con maggiore efficacia la
gravità della situazione in cui si trovavano.
Artù
riportò lo sguardo sul suo servo che si agitava sotto le
coperte in preda ai dolori.
-
Quanto tempo gli rimane?- .
-
Quattro, massimo cinque giorni.- .
Il
principe serrò la mascella, aveva preso la sua decisione.
Poggiato
contro la mensola del camino osservava furioso le fiamme scoppiettare
allegramente. Suo padre gli aveva vietato di partire, di pagare il suo
debito con la persona che gli aveva salvato la vita. Le parole di
Morgana suonarono beffarde nella sua mente. Il popolo aveva bisogno di
un re giusto, capace di sacrificarsi per loro, non di un codardo che
ubbidiva ad ordini ingiusti.
Chiuse
gli occhi e rivide con sadica precisione Merlino bere dal calice senza
esitare, ingerire quel veleno destinato a lui, che ora lo stava
uccidendo.
Una
morsa gelida gli strinse il cuore al pensiero di non averlo
più attorno, di non poter più godere dei suoi
sorrisi, di non poter più sentire il suono irriverente della
sua voce. Improvvisamente si rese conto di quanto potesse essere buio
il mondo senza di lui. Merlino era entrato così a fondo
dentro di lui da rendere insignificante la vita senza di lui.
Già
in quel momento Artù si sentiva vuoto, solo, perso. Era come
se qualcosa dentro di lui si stesse spegnendo. Una lenta, straziante
agonia.
Non
poteva lasciarlo morire! Non voleva lasciarlo
morire!
Il
re avrebbe potuto imprigionarlo, frustarlo, fargli qualsiasi cosa, non
sarebbe stato niente davanti la morte del suo servitore.
Riaprì gli occhi e raddrizzò la schiena, ormai
pronto a partire.
Le
strade erano buie e silenziose, l’unico ostacolo erano le
guardie alla porta. Aveva ancora una cosa da fare prima di partire.
Legò il cavallo ad uno degli anelli sul muro ed
entrò in casa di Gaius.
Il
vecchio medico era seduto al capezzale di Merlino, un libro aperto
sulle ginocchia alla ricerca di una qualsiasi pozione capace di
rallentare l’avanzata del veleno. Sollevò la testa
nell’udire i passi pesanti del principe. Lo
osservò curioso ma non sorpreso.
-
Puoi darmi qualche minuto?- chiese Artù.
Gaius
annuì con un piccolo sorriso ed uscì dalla
stanza. Il giovane Pendragon avanzò incerto nella stanza,
fino a sedersi accanto alla branda, nello stesso punto
dov’era stato il medico fino a poco prima.
Guardò
quel volto sofferente, constatando quando fosse vicina la Morte in quel
momento. Prese il panno umido, lo immerse nell’acqua fresca e
lo passò delicatamente su quel volto dai tratti gentili.
Lentamente
avvicinò il volto a quello di Merlino, fino a portare le
labbra al suo orecchio.
-
Resisti! Tra poco porterò a Gaius i fiori per
l’antidoto, quindi vedi di resistere. Resisti e guarisci,
fallo per me Merlino!- aveva mormorato in un tono straziato.
Raddrizzò
la testa ed il collo, fino a ritornare di fronte a lui. E quella volta
davvero non riuscì a resistere. Si chinò fino a
sfiorare le labbra del mago con le sue, in una carezza leggera e
riverente. Solo un assaggio, si disse, di quello che avrebbe avuto una
volta che l’altro fosse guarito.
-
Un portafortuna!- disse con uno di quei ghigni arroganti che facevano
sempre arrabbiare Merlino.
A
malincuore si allontanò da lui, rimettendosi in piedi: il
tempo scorreva veloce e cinque giorni erano davvero pochi. Ma lui ce
l’avrebbe fatta di sicuro: non era un addio quello.
Montò
in sella e lanciò il suo cavallo al galoppo, travolgendo
quasi le guardie, cercando di allontanarsi il più
velocemente possibile prima che suo padre riuscisse a riorganizzare i
suoi uomini ed a sguinzagliarglieli alle costole per riportarlo al
castello.
L’impresa
era difficile e pericolosa, ma lui sarebbe tornato. Non si sarebbe
lasciato uccidere, non ora che la persona più importante
della sua vita dipendeva da lui. Non ora che aveva scoperto quanto
amasse quel rompiscatole combina guai. Senza chiedere nulla Merlino era
riuscito ad ottenere il suo cuore, vi aveva impresso
un’impronta indelebile. Qualsiasi cosa gli avesse riservato
il futuro sapeva che Merlino sarebbe rimasto fermo ed indelebile dentro
di lui. Mentre il sole sorgeva sulle cime della Foresta di Baloc, si
ripromise che sarebbe ritornato a Camelot ed avrebbe salvato Merlino,
che avrebbe fatto di tutto per averlo con sé, che non
avrebbe mai rinunciato a lui a costo di mettersi contro tutto il regno.
Perché lui
è solo mio!