Note:
Questa fic è ambientata alla fine della puntata 1x04 in cui
Connor perde il suo amico Tom a causa di un parassita preistorico
contenuti in alcuni dodo che hanno attraversato un’anomalia.
Ho preso spunto da questo e sono partita a scrivere la mia shot. Non ci
sono riferimenti diretti alla puntata in questione, ma solo qualche
vago accenno alla morte di Tom. Man mano che scrivevo è
venuta fuori una fic sexy ed erotica, che mi sono divertita un casino a
scrivere -__^
Ringraziamenti:
Ringrazio chiunque leggerà e commenterà.
Adesso
vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo gente -____^
La casa del
sole
Stephen
lanciò con noncuranza il cellulare sul letto per poi
lasciarsi ricadere indietro, tra le lenzuola sfatte, con un pesante
sospiro. Non faceva altro che causargli un mucchio di guai quello li!
Abby lo aveva
appena chiamato perché Connor non era ancora rientrato e lei
era preoccupata che gli fosse accaduto qualcosa. E come poteva essere
altrimenti? Quel pomeriggio aveva visto morire il suo migliore amico
ucciso da un parassita preistorico, un modo così assurdo ed
allucinante di andarsene che se fosse stato al suo posto avrebbe dato
di matto. Quel ragazzo invece dopo aver versato qualche lacrima sulla
spalla di Cutter aveva conservato un autocontrollo invidiabile per una
persona come lui; e dopo aver svolto le solite faccende burocratiche
con il Ministero degli Interni, aveva salutato tutti con un sorriso
tirato dicendo che voleva fare due passi da solo. Quegli occhi neri
lucidi di pianto e quella voce tremula, avevano colpito Stephen
più forte di un pugno allo stomaco.
Si
massaggiò il viso con le mani mentre nel buio della sua
mente emergeva la figura di Connor che si allontanava dallo stadio di
football, con le mani infossate nelle tasche dello spolverino nero, le
spalle scosse dai singhiozzi e la schiena incurvata in avanti, come se
fosse schiacciata dal senso di colpa.
Senso di colpa
perché, nonostante quei due lo avessero seguito di nascosto
immaginando che il loro amico fosse coinvolto in chissà
quale complotto intergalattico, Connor si sentiva responsabile della
morte del suo amico. Perché se non si fosse lasciato
coinvolgere da quella storia, se non avesse iniziato a raccontargli
bugie ed a fare il misterioso, loro non si sarebbero incuriositi e non
avrebbero iniziato a sospettare ed ad indagare. Per fortuna Cutter era
riuscito a farlo ragionare, a non fargli commettere lo sbaglio di
lasciare la loro squadra.
Lo capiva. Perdere
qualcuno di caro, a cui si vuole bene è un dolore
allucinante, che soffoca. Anche lui aveva perso una persona che amava
tanti anni prima ed ora non voleva perdere anche lui.
Non voleva perdere
quel ventenne pestifero ed un po’ folle che sembrava vivere
dentro un eterno videogame, così fuori dagli schemi e
chiassoso che non si riusciva a non notarlo. Voleva poter ancora vedere
quel sorriso entusiasta che gli illuminava il volto, decorato da quelle
deliziose fossette sulle guance. Voleva poter ancora sentire quella
voce chiamare il suo nome con quei toni irriverenti o lamentosi.
Tra i palmi delle
mani che ancora gli coprivano il volto, Stephen sorrise divertito.
Aveva cercato di scacciare quei sentimenti, allontanarli e nasconderli
nelle profondità della sua anima. Aveva combattuto a lungo
per non lasciarsi andare ad essi, concentrandosi su Abby, riuscendo a
credere per qualche tempo che fosse passata. Invece quei sentimenti
erano ben radicati dentro di lui, lo avevano avviluppato con resistenti
fili d’acciaio e non sembravano volerlo liberare.
Più tentava di allontanarsi da Connor più quei
dannati fili lo avvincevano, imprigionandolo e piegandone la
volontà, soffocandolo.
Non sapeva quando
era iniziata davvero, forse quando aveva cominciato
a notare che Connor non era più il ranocchietto appena
iscritto all’università che bazzicava lo studio di
Cutter. Ora non aveva più l’aria del secchione
stralunato. Certo era ancora bizzarro e sopra le righe nel modo di fare
e di vestire, ma era diverso…
Stephen tolse le
mani dal volto ed abbandonò le braccia aperte al lato del
corpo sulle lenzuola, osservando le lame che la luce proveniente
dall’esterno disegnava sul soffitto. Non sapeva come
spiegarlo, ma non riusciva più a vederlo come un bambinetto,
ora vedeva l’uomo che si stava formando sotto gli
atteggiamenti ancora fanciulleschi…
… un
uomo dannatamente sexy, per giunta!
Sembrava non
rendersene minimamente conto, ma lui si, eccome! Ed il suo corpo aveva
iniziato a reagine in maniera quantomeno imbarazzante alla sua
presenza. Come faceva a non notare che c’erano sempre
più occhi puntati su di lui, che c’erano sempre
più ragazzi e ragazze interessati a lui, e che, per fortuna,
rimanevano lontani, spaventati dal suo modo di fare stravagante e
cervellotico?
Socchiuse un
attimo gli occhi e si concentrò sul suo respiro per
ritrovare un po’ della sua proverbiale calma. Non poteva
restare li disteso sul letto a rimuginare: Connor aveva un vero talento
naturale nel cacciarsi nei guai e quando non riusciva a trovarli erano
i guai a venire da lui.
Scattò
in piedi e si rivestì con gli abiti che aveva abbandonato
sullo schienale della sedia la sera prima, prese chiavi, cellulare e
portafoglio ed uscì di casa imprecando furiosamente.
Girò a
vuoto per il centro di Londra per un’ora intera, senza
riuscire a trovare traccia di Connor e sempre più
innervosito. Alla fine accostò l’auto ad un
marciapiede e si fermò. Batté le mani sul volante
in un gesto di rabbia e frustrazione, per poi puntare i gomiti sulla
gomma dura e nascondere il volto tra i palmi.
Così
non sarebbe mai riuscito a trovarlo, doveva calmarsi e pensare come
Connor. Già, facile a dirsi, ma come pensava una persona
come lui? Lui era troppo razionale e pragmatico per poterlo
fare…
Poi un sorriso gli
scivolò sulle labbra: uno come Connor non sarebbe mai
entrato in un locale ordinario, doveva cercare qualcosa di
assolutamente fuori di testa come lui. Poi una luce si accese
illuminando il groviglio di pensieri che si dibatteva nella sua testa.
Ora che ci pensava bene un paio di volte lo aveva sentito parlare di un
locale in particolare, ‘La casa del Sole’ o
qualcosa del genere.
Galvanizzato
Stephen scese dall’auto ed iniziò a guardarsi
intorno, chiedendo a chiunque incontrasse. Solo dopo quattro tentativi
a vuotò Stephen trovò qualcuno che conoscesse
quel locale. Sentendo il nome del locale il ragazzo lo
squadrò con una strana espressione prima di fornirgli le
indicazioni che cercava con un ghigno malizioso.
- Se avessi
bisogno di altro chiamami!- gli sorrise invitante e
gli cacciò il suo biglietto a visita in mano prima di
strizzagli l’occhio ed andarsene.
Stephen
passò uno sguardo confuso dal biglietto che teneva in mano
alle spalle del ragazzo che si stava allontanando. Non sapeva
perché, ma gli sembrava di aver perso qualche passaggio di
quella storia… Scosse la testa, quello che importava in quel
momento era solo ritrovare Connor, intero possibilmente, tutto il resto
era inutile.
Anche con le
indicazioni, trovare il locale non fu facile. Si trovava nel
seminterrato di un palazzo al quale si accedeva mediante una piccola
scalinata in pietra con un passamano ad arco in metallo nero per ogni
lato. Non aveva insegna e dall’interno proveniva una debole
melodia.
Entrò e
la prima cosa che gli passò per la testa fu chiedersi che
razza di locali frequentasse quel ragazzo! Il locale era completamente
in penombra, solo alcune sorgenti di luce azzurra, disposte
strategicamente sui muri, illuminavano l’ambiente. Una serie
di tavolinetti rotondi erano sparsi nell’ambiente, mentre su
un palco posto infondo al locale, un ragazzo stava suonando una melodia
bellissima al piano. Un bancone correva perpendicolarmente alla porta e
sulla parete alle sue spalle uno scaffale di metallo nero pieno di
bottiglie di alcoolici ricopriva uno specchio. Era tutto
così pacato e silenzioso, come se fosse finito
inavvertitamente in un mondo parallelo, dove tutto era
tranquillità, come se quello fosse un bozzolo caldo e sicuro
in cui rifugiarsi.
Stephen
lanciò un’occhiata al tavolo più vicino
e finalmente comprese il perché della strana reazione di
quel ragazzo che aveva incontrato per strada. Due ragazzi si stavano
baciando con una dolcezza disarmante, mentre le loro mani intrecciate
sul tavolo si cercano in lunghe carezze.
Distolse lo
sguardo, incredulo che Connor frequentasse un locale gay: da quello che
ne sapeva era sempre corso dietro le ragazze, non ultima Abby, e non
credeva nemmeno che fosse così ingenuo da essere entrato li
dentro per caso. Poi una vocina nella sua testa gli fece notare che
quella scoperta poteva rivolgersi a suo favore, forse poteva davvero
smetterla di guardarlo da lontano torturandosi nell’inutile
tentativo di tenere a bada il desiderio che nutriva per lui.
Fece scorrere uno
sguardo tutt’intorno cercando di scorgerlo nella penombra, e
finalmente lo scorse seduto al bancone, mentre sorseggiava un drink e
parlava tranquillamente con un ragazzo seduto accanto a lui, che teneva
un bracciò poggiato sul bordo dello schienale della sua
sedia come se lo stesse abbracciando e le cui intenzioni erano fin
troppo palesi, pensò con una nota di fastidio.
Mentre si
avvicinava ai due con piglio marziale, vide il ragazzo chinarsi in
avanti fin quasi a toccare il volto di Connor con il proprio,
sussurrargli qualcosa e farlo scoppiare a ridere. Un’ondata
di gelosia montò dentro Stephen che in un paio di falcate li
raggiunse.
- Finalmente ti ho
trovato idiota!- sbottò arrabbiato alle sue spalle.
Connor
sobbalzò preso alla sprovvista, per poi voltarsi verso
l’amico con un’espressione stupita e colpevole,
come se ritrovarselo li in quel momento, fosse l’ultima cosa
a cui avesse pensato. Aveva il volto arrossato e gli occhi lucidi,
dalla quantità di bicchieri vuoti abbandonati sul bancone
davanti a loro doveva aver bevuto parecchio.
- S…
Stephen? – balbettò pietosamente un po’
per l’alcool che aveva bevuto un po’ per
l’espressione pericolosa che l’altro gli aveva
piantato in faccia – Che ci fai qui?- .
Stephen chiuse gli
occhi cercando di ignorare la voglia che aveva di dargli un pugno: come
poteva fargli una domanda così stupida?
- Tu che dici?
– ringhiò mettendosi le mani sui fianchi
– Sono venuto a recuperare uno scemo che è
scomparso per tutto il giorno facendo preoccupare tutti!- .
- Beh…
ecco… io…- .
Connor avrebbe
voluto davvero avere una risposta convincente da dargli, ma in quel
momento era così ubriaco che non sarebbe riuscito a nessun
pensiero coerente, era già tanto che lo avesse riconosciuto.
- Tu
adesso vieni via con me!- gli ordinò con un piglio che non
ammetteva repliche.
Peccato che
l’altro non fosse contento della piega che stava prendendo
quella storia: aveva fatto dei progetti per quella serata e non gli
piaceva vederli sfumare da sotto il suo naso.
- E tu chi ti
credi di essere per dargli ordini? Qui ci stavamo divertendo prima che
arrivassi!- gli disse con tono irritato.
Sentendo
l’altro intervenire, Stephen sollevò su di lui il
suo peggior sguardo: era più grosso di lui e dai muscoli che
la t-shirt attillata evidenziava doveva essere anche ben allenato, ma
lui aveva affrontato creature ancora più grandi e
pericolose. Sapeva che, visto il premio in palio, non si sarebbe
arreso, quindi avrebbe dovuto mettere le cose in chiaro una volta per
tutte.
- Lui è
mio!- ringhiò in un tono basso e letale,
mentre Connor spalancava gli occhi stupito.
Più che
una bugia quella era una mezza verità che sperava potesse
davvero divenire la realtà. L’altro ragazzo non
sembrava un tipo per il quale una simile notizia potesse costituire un
deterrente, ma qualcosa nell’espressione di Stephen dovette
convincerlo a non protestare ulteriormente, quindi si alzò
sbuffando contrariato e si allontanò alla ricerca di qualcun
altro con cui chiudere la serata.
Stephen invece
spostò il proprio sguardo su Connor, che lo stava fissando
ancora stupefatto per quanto aveva detto prima, sentendosi in imbarazzo
afferrò la collottola del suo spolverino e lo rimise in
piedi.
- Ed adesso andiamo!-
e senza nemmeno aspettare una sua risposta lo trascinò verso
l’uscita del locale.
Connor lo seguiva
meglio che poteva cercando di capire quale delle due strade che vedeva
fosse quella giusta, di non sbandare troppo e, soprattutto, di non
incespicare nei suoi stessi piedi. Stephen continuava a camminare a
passo sostenuto, ignorando le sue deboli proteste e la gente che li
fissava divertita e perplessa. Si fermò solo quando
raggiunsero la sua auto.
- Sali!- e gli
aprì la portiera dal lato del passeggero.
Connor
ubbidì immediatamente perché anche in quello
stato di alterazione dei sensi sapeva che non era
saggio contraddire l’altro quando era arrabbiato. Quando
anche Stephen fu montato sull’auto, si volse a guardare il
suo profilo teso, la sfumatura grigia che avevano assunto i suoi occhi.
Era arrabbiato per colpa sua. Aveva fatto qualcosa che lo aveva fatto
arrabbiare. Non sapeva cosa, ma voleva rimediare perché non
gli piaceva che fosse arrabbiato con lui. Agendo di puro istinto,
sollevò la mano e ne poggiò il palmo sulla
guancia dell’amico, spingendo delicatamente per fargli girare
il volto verso di sé.
Stephen
sussultò a quel contatto inaspettato e si lasciò
guidare da quella mano sottile e ruvida, calda. Connor era seduto di
tre quarti, il busto proteso verso di lui, l’altra mano era
stretta al bordo del sedile per mantenere l’equilibrio; il
volto era a pochi centimetri dal suo, la pelle lattea appena accesa da
un lieve rossore sulle guance, il respiro che scivolava lento e
regolare tre le labbra rosse ed umide schiuse, e gli occhi, quei grandi
ed ingenui occhi neri…
… tutto
di lui sembrava attrarlo come una calamita.
Stephen rimase a
guardare il ragazzo a lungo, cercando di mantenere il controllo e di
non compiere gesti che avrebbero potuto allontanarlo definitivamente da
lui.
- Sei tanto
arrabbiato con me Stephen?- gli chiese infrangendo il silenzio con la
sua voce ora bassa, roca, dannatamente sensuale.
Una scarica
elettrica spiraleggiò lungo la colonna vertebrale di
Stephen, che si ritrovò a deglutire a vuoto mentre un senso
di vertigine mescolava tutti i colori davanti ai suoi occhi. Ma si
rendeva conto dell’effetto devastante che aveva su di lui?
Stava già per muoversi e baciarlo, quando la solita vocina
nella sua testa gli ricordò che non era corretto
farlo ora che l’altro era completamente ubriaco. Stephen
strinse i denti, forte, cercando di ricacciare indietro quel desiderio
che gli stava bruciando il sangue e le viscere, ed imprecò
violentemente contro di sé nella sua testa: eppure non si
era mai fatto tanti scrupoli mentre si rotolava tra le lenzuola con
Helen Cutter, anzi!
- Si
può sapere che diavolo ti è saltato in mente?
Quello voleva portarti a letto!- gli chiese irritato invece di
rispondere alla sua domanda.
Doveva distrarsi
dalla tentazione di quegli occhi e quelle labbra, prima di commettere
uno sbaglio che avrebbe compromesso tutto.
- Lo so!- rispose
Connor con un candido sorriso, lasciandolo a bocca aperta.
- Lo sapevi?! Lo
sapevi? Allora perché stavi per fare una simile cavolata?-
gli abbaiò contro.
Il sorriso di
Connor assunse una sfumatura triste mentre abbassava lo sguardo.
- Avevo troppe
cose da dimenticare…- rispose evasivo prima di tornare a
fissarlo negli occhi.
- E tu per
dimenticare vai al letto con il primo che capita?- sbottò
acido.
Sapeva di essere
troppo duro con lui, soprattutto dopo quello che aveva dovuto
affrontare quel giorno, ma la gelosia era troppo forte, si impastava
alle parole e scoppiava prima che potesse controllarla.
- È
stata la prima volta!- rispose con un sorriso imbarazzato.
Stephen sentiva di
stare perdendo sempre più il controllo del suo corpo, mentre
portava la sua mano su quella Connor teneva ancora sul suo viso e si
avvicinava sempre più al suo volto.
- Allora la
prossima volta che vuoi fare una stupidaggine simile…- un
sussurro doloroso che si spense sulle sue labbra prima di essere
concluso.
Vieni da
me! Ruggì disperatamente la propria voce nella sua
testa. Se proprio voleva fare una cosa simile che almeno andasse da
lui, da lui che non lo avrebbe considerato solo sesso, ma che, invece,
lo avrebbe amato così a fondo e così tante volte
da farlo innamorare di sé, per non permettergli di andarsene
via. Scosse la testa cercando di imbrigliare quella corrente che lo
sospingeva verso Connor, continuando a ripetersi che ci sarebbe stata
un’altra occasione…
Delicatamente
allontanò la mano dell’altro dalla sua guancia,
stringendo le sue dita con le proprie, prima di rimettersi a sedere
dritto ed accendere il motore dell’auto. Non notò
che Connor per tutto il tragitto non staccò mai lo sguardo
da lui, mentre un sorriso dolce gli scioglieva le labbra.
+ VAI AL CAPITOLO II +