Note:
Mi scuso per il vergognoso ritardo, ma ero rimasta così
tanto scioccata dall’ultima puntata della terza serie di
Numb3rs da rifiutarmi di scrivere altre fic su questa coppia. Per
fortuna nella puntata di domenica si è tutto chiarito ^o^
così ho deciso di rispolverare questa fic che ho scritto
l’estate scorsa e che ho accantonato per la delusione.
È una fic senza pretese, che potrebbe anche ricollegarsi ad
‘As a man’, ma spero comunque che vi piaccia. Io ci
ho messo la mia buona volontà e la voglia di divertirmi.
Dediche:
Dedico questa fic alla mia sensei Akane che anche
se ho letto che si è affezionata alle Don/Colby sono sicura
che non disdegnarà di leggere questa fic e di darmi il suo
parere ^o^ Spero che ti piaccia sensei.
Ringraziamenti:
Ringrazio Betta90 Sono felice che questa fic ti sia
piaciuta e che sia riuscita ad entrare almeno un po’ nella
testa di Charlie: grazie per aver inserito l'altra fic tra i tuoi
preferiti! ^o^ Darcy Non ho mai pensato a Charlie e
Don… comunque sono contenta che questa fic sia piaciuta
anche a te, spero che ti piaccia anche questa ^^ Ringrazio coloro che
hanno anche solo letto, e tutti coloro che leggeranno e commenteranno
questa fic.
Alla
prossima fic gente, buona lettura ^o^
Labyrinth
Scostò
la porta quel tanto che gli consentisse di spiare
all’interno. Un ghigno gli schiuse le labbra scorgendo il suo
obbiettivo di spalle, completamente concentrato sul suo lavoro,
estraneo al mondo che lo circondava grazie alla musica che stava
ascoltando con l’i-pod.
Entrò
cercando di non far cigolare i cardini della porta ed
osservò perplesso il caos che regnava nella stanza.
Muovendosi silenzioso ed agile superò facilmente le pile di
tomi accatastati un po’ ovunque sul pavimento, ringraziando
sentitamente i suoi istruttori a Quantico. Si chiese l’altro
come facesse a trovare quello che gli serviva in un simile
disordine…
…
probabilmente era un qualcosa che faceva parte del dna dei geni come
lui!
Scavalcò
la scrivania ingombra di fogli e cartelline, e fu finalmente alle sue
spalle. Osservò la matassa di capelli ricci aggrovigliata
disordinatamente, la pelle chiara del collo che faceva capolino qua e
la tra le ciocche nere, la curva delicata e gracile della schiena, i
fianchi stretti ed ossuti e le gambe snelle sotto la stoffa scura dei
pantaloni. Non perse nemmeno tempo a sollevare lo sguardo sui numeri e
le lettere che riempivano la superficie scura della lavagna. Con uno
scatto, dettato dal desiderio che quella vista aveva provocato in lui,
bloccò nella sua presa ferrea il polso dell’altro
che si muoveva freneticamente e si premette contro di lui.
Charlie
sussultò spaventato, preso alla sprovvista, ma quando
riconobbe il profumo forte che emanava da quel corpo un sorriso
divertito gli incurvò le labbra.
-
Mi hai messo paura!- protestò poggiandosi contro il torace
di Colby, liberandosi contemporaneamente degli auricolari.
-
Dovresti stare più attento professore Epps: la prossima
volta potrei non essere io!- bisbigliò nel suo orecchio un
po’ divertito ed un po’ serio.
Aiutando
Don si era fatto molti nemici, ma lui sembrava non essersene nemmeno
reso conto. Charlie rise morbidamente: ma se aveva appena dimostrato
che il più pericoloso era proprio lui! Sentendo quella
risata felina, Colby deglutì pesantemente: Dio, ma si
rendeva almeno conto di quanto fosse sensuale, dell’effetto
devastante che aveva su di lui? Gli passò le braccia attorno
alla vita e se lo strinse contro, Charlie si rilassò
completamente contro di lui, poggiando la testa sulla sua spalla ed
intrecciando le sue mani con quelle di lui. Le labbra di Colby
iniziarono a percorrere la sua gola. Sembrava che tra loro non fosse
cambiato quasi niente da quando erano semplici amici: stavano insieme
ormai da alcuni mesi ma non erano mai andati oltre i baci e qualche
carezza, pensandoci non erano mai riusciti a starsene un po’
da soli, c’era sempre qualche caso urgente da risolvere ed
Aminta che non si allontanava mai più di cinque minuti da
lui. La ragazza era stata l’argomento delle peggiori liti che
avessero avuto, e dire che si potevano contare sulla punta delle dita
di una mano. A pelle Colby sapeva che Aminta non si
era mai arresa all’idea di non essere niente più
che un’amica ed una preziosa collaboratrice, per questo gli
stava sempre addosso e lui non lo sopportava! Aveva urlato, pestato i
piedi, ma non c’era stato niente da fare: Lerry ed Aminta
erano gli unici, veri amici che Charlie avesse mai avuto, e non era
disposto a rinunciarci, per nessuna ragione al mondo. Intanto,
però, le cose tra loro si erano bloccate in una posizione di
stallo, che non riuscivano in alcun modo a disincagliare. Riuscivano a
ritagliarsi solo pochi minuti di solitudine, come quello, che
terminavano troppo presto lasciando in bocca un sapore amaro. E pensare
che lo desiderava così tanto da sentire dolore! Le sue notti
erano diventate un inferno popolato da quel corpo candido e gracile,
mentre i suoi giorni trascorrevano a desiderare che si presentasse la
minima occasione stare da soli e, magari, farsi avanti.
-
Come mai sei qui? Ci sono problemi?- la voce preoccupata di Charlie lo
strappò ai suoi pensieri.
Per
quanto gli facesse piacere averlo li in quel momento, era raro che
Colby venisse all’università: più
spesso si incontravano in ufficio quando andava da suo fratello. E se
per caso veniva fin li era per chiedergli aiuto per prendere il
criminale di turno. Ora che ci pensava era strano che Lerry od Aminta
non li avessero ancora interrotti. Quell’impasse tra loro
sembrava senza alcuna via d’uscita: continuavano a danzarsi
attorno a vicenda senza mai riuscire a trovare davvero il modo per
toccarsi.
-
No, volevo solo vederti e… – si interruppe
facendolo voltare per poterlo guardare negli occhi –
… ed invitarti a cena, stasera.- con un gesto delicato gli
scostò alcuni ricci ribelli dalla fronte, sfiorando appena
la pelle con i polpastrelli, portandoli dietro l’orecchio.
-
Stasera?- chiese stupito il matematico.
-
Hai già degli impegni?- ribatté un po’
deluso Colby, mal’interpretando la sua sorpresa.
-
No! No! – si affrettò a rassicurarlo passandogli
le braccia attorno al collo – Sono libero come
l’aria. Ero solo sorpreso, tutto qua! Dove andiamo?- gli
sorrise entusiasta.
-
Sorpresa! – rispose con un piccolo ghigno – Ti
passo a prendere alle otto, ok?- .
Charlie
annuì con un piccolo cenno della testa, godendosi le carezze
delle mani dell’altro sulla sua schiena.
-
Siamo d’accordo, allora! Anche perché non mi hai
ancora ripagato di aver giocato a labyrinth con la mia vita, piccolo
genio!- gli soffiò sulle labbra con malizia, facendolo
avvampare impietosamente.
Adorava
vederlo arrossire in quel modo fanciullesco, per questo lo stuzzicava
spesso. Portò una delle mani al suo volto e ne
carezzò lievemente lo zigomo accaldato con il pollice,
Charlie socchiuse gli occhi mugolando soddisfatto. Cosa avrebbe dovuto
fare con lui? Magari annullare quei pochi millimetri che
c’erano tra loro e baciarlo… gli
consigliò una vocina da qualche parte nella sua testa. E
Colby stava per farlo quando il suo cellulare iniziò a
suonare reclamando perentoriamente la sua attenzione. Charlie
sospirò allontanandosi da lui: la realtà si era
frapposta nuovamente tra loro…
Osservò
Colby parlare animatamente al cellulare, irritato quanto lui per
quell’interruzione.
-
Era Don. Mi dispiace ma devo ritornare in ufficio, ci sono
novità sul caso che stiamo seguendo.- lo informò
chiudendo la comunicazione.
-
Se avete bisogno di me…- e lasciò la frase in
sospeso, tornando a rivolgere la propria attenzione
all’equazione che campeggiava sulla lavagna.
Un
piccolo sorriso divertito incurvò le labbra di Colby: anche
a lui dispiaceva, ma non poteva fare altrimenti. Allungò una
mano poggiandola sulla guancia dell’altro, sentendo la barba
ispida pungere contro la pelle, e lo fece voltare verso di
sé. Scrutò a fondo quegli occhi neri e profondi,
che sembravano racchiudere chissà quali segreti, prima di
avvicinare il proprio volto a quello dell’altro.
-
Stasera, non dimenticarlo!- gli ricordò prima di baciarli
velocemente le labbra.
Come
ogni altra volta a Charlie non rimase che osservare l’ampia
schiena di Colby che si allontanava lasciandolo da solo con il sapore
di un sogno finito troppo presto sulle labbra.
Sempre
che mio fratello e tutti i criminali della città non si
mettano di mezzo! Pensò ricominciando a scrivere.
Don
osservò perplesso suo fratello che continuava a misurare la
stanza ad ampi e rapidi passi, controllando continuamente
l’ora; sembrava stesse aspettando qualcuno,
ipotizzò bevendo un altro sorso di birra dalla bottiglia.
Appena era arrivato a casa, Charlie gli aveva incollato gli occhi
addosso come se avesse dovuto rivelargli chissà quale
importante scoperta, invece, alla fine, aveva semplicemente iniziato a
fargli domande su come andasse il lavoro con un tono fin troppo
casuale. Quella sera poi non indossava i soliti vestiti trasandati che
metteva quotidianamente, ma un dolcevita color ghiaccio abbinato ad un
completo classico nero; solo i capelli erano i soliti e gli
circondavano la testa ed il volto come una nube temporalesca. Il
comportamento insolito di suo fratello aveva stuzzicato il suo istinto
da poliziotto portandolo a studiare i suoi movimenti, ma ancora non era
venuto a capo di niente.
-
Sai per caso cosa sia successo a Charlie?- chiese infine al padre
seduto sul divano accanto a lui.
-
Avrà un appuntamento.- rispose l’uomo
distrattamente senza staccare lo sguardo dall’incontro di
basket che stavano dando in tv.
-
Con Aminta?- chiese ancora.
Gli
risultava che i rapporti tra i due si fossero raffreddati negli ultimi
tempi e che avessero deciso, di comune accordo, di limitarli al solo
campo professionale. Quando si trovavano entrambi a lavorare su un caso
per la sua sezione si comportavano in modo molto formale, come se
volessero mantenere in qualche modo le distanze; un comportamento
strano per due amici come loro. Perché quindi uscire
insieme? E poi le poche volte che era uscito fuori a cena con Aminta
suo fratello si era mai comportato in quel modo ansiogeno.
-
Charlie non mi ha detto nulla.- ammise il padre scuotendo le spalle.
Suo
fratello aveva un appuntamento ma non si sapeva con chi…
Che
ci sia un’altra?
Era
un’ipotesi assurda quella, quei due erano sempre stati
così legati che aveva immaginato che prima o poi avrebbero
smesso di giocare agli amici fraterni e si sarebbero sposati, ma non si
spiegava altrimenti il comportamento strano di suo fratello.
Un
breve squillo del cellulare di Charlie lo riscosse dai suoi pensieri.
Lo vide afferrare l’apparecchio e premere alcuni tasti, prima
che il suo volto si illuminasse di un sorriso felice. Charlie rimise il
cellulare in tasca ed afferrò velocemente la giacca
ripiegata sulla spalliera di una sedia.
-
Io vado!- annunciò dirigendosi fin troppo rapidamente verso
la porta di casa.
-
Torni stanotte?- indagò divertito Don.
Vide
il volto del fratello colorarsi di un tenue rossore che
confermò i suoi sospetti.
-
Non… non lo so…- balbettò imbarazzato.
-
Divertiti!- ghignò malizioso sollevando verso di lui la
bottiglia che aveva tra le mani.
Charlie
arrossì ancora di più all’insinuazione
del fratello, prima di guadagnare il più velocemente
possibile l’uscita.
E
così il suo fratellino stava crescendo…
…
magari, un giorno di quelli, avrebbe potuto chiede informazioni a
Lerry…
Charlie
coprì impaziente la distanza che lo divideva dalla macchina
scura parcheggiata in fondo al vialetto. Gli dispiaceva aver mentito a
suo padre ed a suo fratello, ma non aveva potuto fare altrimenti. Lui e
Colby avevano convenuto che sarebbe stato meglio mantenere segreta la
loro storia per non creare problemi a Don: la sua reputazione sarebbe
dovuta rimanere pulita per poter svolgere il proprio lavoro, e le
insinuazioni su di lui si sarebbero sprecate se fosse trapelata la
notizia che suo fratello ed un suo agente avevano una relazione.
La
vita reale, quella lontana dai suoi numeri, era incredibilmente
complicata!
Il
suo cuore accelerò quando vide Colby abbassare il finestrino
e sporgersi verso di lui.
-
Serve un passaggio professor Epps?- scherzò fissandolo
maliziosamente.
Fece
scorrere uno sguardo interessato sul fisico esile del matematico, che
si stava avvicinando alla sua auto con movimenti inconsapevolmente
languidi e sensuali: era la prima volta che lo vedeva con quello stile
casual ed elegante, e doveva ammettere che creava un effetto devastante
su di lui, ridisegnando ed esaltando le curve acerbe del suo corpo.
Charlie si fermò a pochi passi dal veicolo e finse di essere
indeciso sulla risposta.
-
Si grazie!- e si diresse al lato del passeggero.
Una
volta seduto all’interno dell’abitacolo, Colby gli
prese il volto tra le mani e lo trascinò verso il suo per
quel bacio che non era riuscito a dargli quel pomeriggio. Charlie si
aggrappò con le mani ai suoi bicipiti, affondando forte le
dita nella pelle. Quando si allontanarono per riprendere fiato, Colby
fissò i propri occhi azzurri in quelli neri
dell’altro, lucidi e languidi.
Come
poteva Charlie fargli perdere la testa in quel modo e con un semplice
bacio, per giunta? Non era mica un adolescente alle prese con la sua
prima cotta! Eppure era proprio così che lo faceva sentire,
come un groviglio pulsante di emozioni sempre uguali e sempre nuove,
che si scontravano l’una con l’altra, esplodendo ed
amalgamandosi, facendogli pulsare l’anima di sorpresa e
dolore.
-
Andiamo!- esclamò alla fine allontanandosi a fatica da lui.
Colby
girò la chiave nel cruscotto per poi stringere le mani sul
volante, come se volesse a tutti i costi trattenerle li. Mentre
l’auto scivolava per le strade che iniziavano ad affollarsi,
illuminate dagli ultimi raggi insanguinati del tramonto,
lanciò un’occhiata di sottecchi a Charlie, che
stava osservando i riflessi del sole sulla superficie indaco del mare,
il suo profilo irregolare ma innegabilmente affascinante era appena
sfumato dalla luce sempre più bassa. Ancora si chiedeva come
avesse fatto ad innamorarsi di lui! La prima volta che aveva visto in
ufficio quel ragazzo dall’aria arruffata gli era sembrato
semplicemente ridicolo: apparteneva alla categoria di quei secchioni
stralunati che, al liceo, amava tiranneggiare in tutti i modi per
divertimento. Quando, nonostante il suo scetticismo, avevano trovato il
serial killer grazie all’aiuto delle sue astruse teorie
matematiche aveva smesso di ridere. Gli aveva fatto paura! Lui provava
una profonda sensazione di paura verso tutto quello che non era
‘normale’ e che non riusciva a comprendere, e
Charlie Epps rientrava perfettamente in entrambe le categorie! Dopo la
paura era venuta la curiosità. Aveva iniziato a analizzarlo,
a sezionare e scomporre ogni suo più piccolo movimento, ogni
sua minima espressione, per cercare di capire come potesse funzionare
la sua mente. Gli appariva come un universo infinito occupato da soli
numeri che si addizionavano e sottraevano con il solo scopo di svelare
la realtà. Quante volte si era fermato in corridoio a
scrutarlo mentre era intento a tracciare file di operazioni come se il
resto del mondo non esistesse? Non si era nemmeno reso conto che
più cercava di capire il mistero del professor Epps,
più si legava a lui, e sprofondava in quei sentimenti che
fingeva di non provare. Poi era stato troppo tardi per tornare
indietro. Quando aveva capito ormai era definitivamente perso per lui!
Era iniziato con piccoli segnali che presi separatamente non
significavano nulla, ma che avrebbero dovuto mettere comunque in
allarme un agente FBI come lui. Bastava che Charlie si piegasse un
po’ in avanti mentre illustrava a tutti la sua ultima teoria,
che il suo corpo reagiva istantaneamente ed in modo quantomeno
inopportuno. All’inizio aveva fatto finta di niente,
attribuendo quelle reazioni imbarazzanti al troppo stress, ma quando il
professore era diventato il protagonista assoluto dei suoi sogni aveva
dovuto fare i conti con se stesso. La piena consapevolezza era giunta
accompagnata dalla gelosia: la gelosia di vedere Aminta ronzargli
sempre attorno, di vedere gli sguardi interessati di molte persone
piantati sempre addosso a lui. Fare il primo passo non era stato
facile, ma alla fine era stato ampiamente ricompensato: quella creatura
misteriosa, a volte anche sfuggente, si era lasciata catturare da lui.
Un sorriso dolce gli incurvò le labbra.
-
Ovviamente non vuoi ancora dirmi dove stiamo andando, vero?- la voce
curiosa e morbida di Charlie lo riscosse dai suoi pensieri.
-
Ovviamente!- annuì l’agente, imboccando una svolta
sulla destra.
L’auto
si trovò a percorrere uno stretto viottolo bordato da bassi
terrapieni di sabbia, la ghiaia che lo rivestiva scricchiolava sotto le
gomme. Sbucarono sulla spiaggia, ai piedi di un’elegante
villino a due piani intonacato di bianco, che si amalgamava
perfettamente con l’ambiente circostante.
-
Casa tua?- chiese stupito Charlie scendendo dal veicolo.
Colby
si portò alle sue spalle e gli cinse la vita con le braccia,
stringendoselo contro. Adorava abbracciarlo in quel modo, gli sembrava
che così non avrebbe mai potuto andarsene via da lui.
-
No è di un mio amico, ma me l’ha gentilmente
prestata per stanotte!- rispose prima di baciargli la gola.
Charlie
sospirò di piacere a quel contatto: ogni volta che il
compagno gli baciava il collo si sentiva sciogliere completamente,
persino il suo cervello si riduceva ad una poltiglia informe totalmente
inutilizzabile.
-
Su, entriamo.- ordinò Colby sciogliendo
l’abbraccio e prendendolo per mano.
Il
professore si lasciò condurre docilmente
all’interno della villa, limitandosi ad intrecciare le dita
con quelle dell’altro. Una serata solo per loro finalmente,
senza alcuna interruzioni. Colby lo fece salire al piano superiore
delimitato da un ampio terrazzo che correva lungo tutta la facciata,
dove aveva preparato il tutto. Superarono una stanza e Charlie ebbe
appena il tempo di scorgere un letto in stile giapponese, che il suo
compagno gli aveva fatto attraversare una vasta vetrata facendolo
uscire sul balcone. Si appoggiò al parapetto ed
osservò estasiato la superficie nera e liscia del mare su
cui la luce della luna si scioglieva in mille scintille argentee, ed il
colore perlaceo della sabbia. Sembrava un posto fuori dal mondo,
quello, che esisteva solo per loro e solo per quella notte.
-
È bellissimo!- esclamò all’improvviso,
più a se stesso che all’agente.
-
Già, bellissimo!- ripeté Colby con una strana
voce roca e vibrante.
Incuriosito
da quel tono Charlie si volse verso di lui e si rese conto che non
stava fissando il panorama ma lui, scrutandolo con uno sguardo profondo
e rapito. Si guardarono per un lungo istante senza che nessuno dei due
trovasse la forza per rompere quel momento. Fu Colby a prendere
l’iniziativa, consapevole che se avesse atteso ancora un
po’ non sarebbe più stato in grado di controllarsi.
-
La cena si fredda!- gli ricordò con un sorriso.
Charlie
si riscosse dal suo stato contemplativo e lo seguì in una
piccola rientranza a semicerchio del terrazzo, li il parapetto di
muratura si tramutava in una ringhiera che lasciava libera la vista sul
mare. L’agente accese la luce rivelando un piccolo tavolo
rotondo, incredibilmente basso, già occupato dalle
stoviglie, e dei grossi cuscini disposti a terra, dall’aria
estremamente comoda.
-
Il mio amico adora la cultura orientale.- spiegò Colby con
un tono vagamente imbarazzato.
-
È perfetto!- cercò di rassicurarlo con un sorriso.
-
Siediti pure io vado a prendere la cena!- disse scompigliandogli i
capelli con una mano.
Charlie
si accomodò a gambe incrociate su un cuscino rosso con delle
nappe dorate che gli permetteva di dare le spalle alla parete e di
godersi il panorama. Ascoltò a lungo l’infrangersi
dell’acqua sulla battigia, trovava che fosse un suono
estremamente rilassante. Colby ricomparve poco dopo con in mano dei
sacchetti di carta, li poggiò sul tavolo e si sedette
accanto a lui.
-
Take away?- chiese Charlie scoccandogli un’occhiata divertita.
-
Sono un disastro in cucina!- confessò il biondino con un
ghigno.
-
Anch’io!- rise mentre apriva uno dei sacchetti.
Quella
cena informale scivolò piacevolmente, quasi per un comune
accordo tennero il lavoro lontano dai loro discorsi, fermandosi
soltanto a rievocare vecchi ricordi che strapparono sorrisi e risate
all’altro. Charlie si stupì di come, con Colby,
fosse stato così semplice tenere la matematica lontano da
sé, concentrarsi unicamente su di lui,
sull’intento di farlo ridere. Era facile con lui essere se
stessi, senza dover ricorrere a maschere dietro cui nascondersi, che
erano il suo pallido riflesso…
Aminta
invece non era mai riuscita a concentrare su di sé la
propria attenzione in quel modo così totale, a farlo sentire
così a proprio agio, c’era sempre il lavoro tra
loro, a guidare le loro conversazioni, a dividerli.
-
Stai pensando ad altro.- la voce roca di Colby lo riportò
alla realtà.
Charlie
scosse la testa.
-
Stavo pensando a te!- rispose con estrema semplicità
fissandolo nei suoi occhi azzurri.
Quelle
quattro parole e quello sguardo dolce piantato nel proprio, ebbero il
potere di infrangere quel poco di autocontrollo che era rimasto a
Colby: con uno scatto si avventò sul compagno per
trascinarlo in un bacio devastante. Lo voleva! Lo voleva con una fame
disperata che gli divorava il cervello e gli contorceva le viscere! Lo
voleva con una fame tale da incendiargli il corpo ed i sensi! Lo
desiderava da così tanto tempo che ormai non sarebbe
più riuscito a trattenersi. E da come Charlie si stringeva a
lui e ricambiava il suo bacio, doveva trovarsi nelle stesse condizioni.
Sentendo
i polmoni in fiamme Colby si allontanò da quelle labbra
rosse, ritrovandosi ad annegare nel nero ribollente degli occhi del
compagno. Deglutì pesantemente prima di alzarsi in piedi ed
invitare Charlie a seguirlo. Con un’urgenza che nemmeno loro
credevano di provare raggiunsero la camera da letto. Mentre si
stendevano Charlie avrebbe dovuto pensare che quel letto non era il
loro, che apparteneva ad un’altra persona, ad un estraneo che
era totalmente ignaro delle loro attività; ma le labbra di
Colby che stavano ridisegnando la linea della sua clavicola erano una
distrazione sufficiente a svuotargli la mente. Il calore di quel corpo
sul proprio gli si stava insinuando sottopelle, invadendogli le
viscere, sciogliendogli le ossa ed i muscoli. Presto il resto del mondo
per Charlie evaporò lasciando come unica cosa reale e
tangibile il corpo di Colby, le sue mani e la sua bocca che scorrevano
sulla sua pelle nuda.
Colby
da parte sua era stordito da tutte le emozioni che gli stavano
trafiggendo la mente ed il corpo in quel momento. La pelle di Charlie
era morbida e calda, su cui l’aria marina scivolava lasciando
un lieve sentore di salsedine; il suo corpo di uomo era così
diverso dal proprio: era minuto, quasi gracile, dai contorni appena
accennati, eppure non aveva mai visto niente di così
invitate; i sospiri che gli rotolavano densi fuori dalle labbra schiude
ed umide, scorrevano su di lui come metallo arroventato. Colby
percorreva quelle membra che si contraevano ad ogni suo passaggio con
il bruciante desiderio di imprimere il proprio marchio sotto quella
pelle candida per renderla propria in modo che tutto il mondo sapesse
che era esclusivamente suo.
Quando
avvertì che la testa del suo compagno si era spostata tra le
sue gambe, Charlie urlò forte, inarcandosi violentemente e
premendo la nuca sul cuscino. Colby sorrise compiaciuto sulla sua
pelle, continuando a lavorare fino a che l’altro non perse
completamente il controllo e venne sommerso dal piacere. Si
sollevò sulle ginocchia, leccandosi lascivamente le labbra
per eliminare le ultime tracce che le imperlavano, ed
osservò quel corpo alabastrino abbandonato scompostamente
sul letto, il petto che si alzava ed abbassava a ritmo sostenuto per
inseguire il respiro spezzato, il volto poggiato di lato sul guanciale
con i capelli sparsi disordinatamente sulla stoffa, le guance e le
labbra rosse, gli occhi lucidi sotto le palpebre socchiuse. Esisteva al
mondo qualcosa di altrettanto seducente come lui?
Si
chinò a baciargli la guancia per attirare la sua attenzione.
-
Tutto bene?- gli chiese divertito quando si volse a guardarlo.
Charlie
annuì con un semplice cenno della testa, non fidandosi della
propria voce. L’agente ridacchiò davanti
l’espressione liquida e stralunata che gli stava rivolgendo.
Portò le braccia e le gambe del compagno ad intrecciarsi
attorno alle sue spalle ed alla sua vita.
-
Fermami se il dolore diventerà insopportabile.- e gli
baciò uno zigomo accaldato.
-
Ti amo!- fu la risposta di Charlie.
Una
risposta con cui metteva tutto se stesso nelle mani del compagno, con
cui gli concedeva la sua piena fiducia, che ammetteva soltanto
altrettanto amore e fiducia in risposta.
-
Ti amo!- gli soffiò sulle labbra prima iniziare ad entrare
in lui.
Colby
baciò quelle labbra tese nella speranza di distrarlo dal
dolore, avvertendo le sue dita piantarsi forte nella propria pelle, le
corte unghie graffiarlo. Appena sentì quella voce gemere
senza più sfumature di dolore iniziò a spingersi
in quel corpo ormai rilassato, che lo accoglieva senza più
rifiutarlo. Il piacere crebbe fino a squassare i loro corpi con la
stessa forza di uno tsunami che si infrange sugli scogli, frantumandosi
in mille scintillii argentei.
Poggiato
mollemente contro lo stipite della porta, Colby osservava la luce del
sole appena sorto disegnare decine di percorsi dorati sulla pelle nuda
di Charlie. Dormiva ancora profondamente, disteso sul fianco sinistro,
il lenzuolo bianco che lo copriva solo dalle anche in giù.
Sorrise riportando alla mente i ricordi della notte appena trascorsi,
ed ognuno di fu accompagnato da suoni, profumi e sensazioni peculiari
che si erano impressi a fuoco dentro di lui. Si staccò con
indolenza ed entrò nella stanza, depose una tazza di
caffè fumante sul comodino, producendo un lieve tintinnio,
prima di aggirare il letto e sedersi sull’altra sponda.
Charlie
mugugnò infastidito sentendo il materasso piegarsi. Una mano
gli passò tra i capelli mentre delle labbra morbide si
posavano sulla sua guancia per un lieve bacio.
-
Professor Epps è ora di svegliarsi!- lo richiamò
la voce di Colby.
-
Ancora cinque minuti!- borbottò con voce impastata
rannicchiandosi maggiormente su se stesso.
Il
poliziotto rise divertito: gli sarebbe piaciuto restare ancora a
poltrire a letto, soprattutto se c’era anche lui a poltrire,
ma i rispettivi impegni li attendevano. Spostò la mano dai
capelli alla schiena, dove iniziò a disegnare ampi archi con
la punta delle dita.
-
Avanti piccolo genio, smettila di fare i capricci: è ora di
andare a scuola!- ironizzò mentre gli baciava la gola.
Charlie
mormorò compiaciuto mentre si metteva in posizione supina
per lasciargli maggior spazio di manovra. Svegliarsi in quel modo era
decisamente piacevole! Quando le labbra di Colby si allontanarono dalla
sua pelle, socchiuse lentamente gli occhi e lo vide: seduto accanto a
lui sul letto, la camicia slacciata sul petto nudo, i pantaloni
sbottonati. Così bello da perdere la testa.
-
Buongiorno! – e gli sorrise in modo irresistibile, ottenendo
in risposta solo un brontolio indistinto – Sul comodino
c’è del caffè.- .
Con
il morbido languore di un gatto, Charlie si stiracchio sotto lo sguardo
sempre più scuro di Colby, prima di mettersi a sedere, a
fatica, con la schiena contro la spalliera; allungò una mano
e prese la tazza portandola alle labbra. Sembrava non essersi
minimamente reso conto dell’effetto che aveva scatenato nel
compagno. Per distrarsi Colby prese il proprio cellulare e
guardò il display.
-
Don mi ucciderà!- esclamò divertito e preoccupato.
-
Perché?- chiese Charlie bevendo un altro sorso di
caffè.
Colby
gli mostrò il piccolo schermo su cui campeggiavano
minacciose sedici chiamate a vuoto. Per non essere disturbato in
quell’angolo di paradiso che era riuscito a ritagliarsi
così a fatica, aveva staccato telefono e disattivato la
suoneria del cellulare.
-
Avresti dovuto rispondere, potrebbe essere accaduto qualcosa di grave!
Don sarà su tutte le furie!- lo rimproverò il
professore.
Colby
sollevò la mano portandola alla sua guancia.
-
Non importa! L’unica missione di cui voglio occuparmi sei tu
Charlie!- rispose serio, carezzandogli il labbro inferiore con il
pollice.
Sarebbe
mai riuscito ad abituarsi allo spettacolo del volto imporporato
dall’imbarazzo del suo bel professore? Scacciò
quel pensiero ozioso nel momento stesso in cui le labbra di Charlie
occuparono le sue in un bacio lungo e denso.
Don
e tutto il resto del mondo potevano aspettare: aveva di meglio da fare
in quel momento che correre dietro ad un pazzo criminale!