PREMIO
SPECIALE CARATTERIZZAZIONE:
Mia cara, mi ha incantato il modo in cui hai reso i personaggi, una
cura profonda e precisa che non ho visto usare a nessuno. Le sfumature
che si mostrano, una resa di personaggi che li fa apparire come veri,
una comprensione degli stessi che pur io non li conoscessi, ora è come
se lo fosse. Familiari, presenti. Complimenti vivissimi perché la
caratterizzazione di un personaggio per me è una cosa sacra, vale
quanto una storia intera quindi è un pregio grandissimo, per me,
riuscire a renderli così.
L'amore
è la nostra salvezza
Il
tuo segreto è al sicuro stanotte?
e
noi siamo fuori dalla visuale?
il
nostro mondo andrà in rovina?
troveranno
il nostro nascondiglio?
***
“Il pesciolino è caduto nella rete!”
“E così siamo a meno uno... è solo questione di
tempo, Arago potrà fare di loro quello che desidera”.
“Ma l'hai quasi ucciso, Naaza... non era questo
che dovevi fare, ad Arago servono vivi”.
Una
mano feroce affondò tra i capelli rossi del ragazzino e gli sollevò il
capo.
“Ad Arago servono le yoroi, di quel che
contengono può farne anche a meno”.
Seguì
una risata che squarciò la nebbia ancora densa intorno ai sensi di
Shin, poi il suo viso fu spinto nuovamente a terra, con rabbia e la sua
tempia colpì dolorosamente quella che al contatto gli sembrava gelida
pietra.
Provò
ad aprire gli occhi per poter guardare i suoi aguzzini, anche se ne
conosceva perfettamente l'identità, ma il veleno che gli scorreva in
corpo e le ferite gratuite che ancora gli stavano infliggendo lo
rendevano troppo debole; la vista, già appannata da dolore e
spossatezza, veniva resa ancor più difficoltosa da un velo di sangue
riversato da una ferita probabilmente provocata dalla poca gentilezza
che i Masho avevano usato nei suoi confronti mentre era privo di sensi.
Aveva
compreso di essere in trappola nel momento stesso in cui aveva
riacquistato un barlume di coscienza, circondato solo di tenebra e,
mentre si facevano strada nelle sue percezioni le voci e le azioni dei
demoni che si prendevano gioco di lui, un pensiero lo colpì, più lucido
di ogni altra realtà:
“Mi
dispiace Ryo... ragazzi... Ancora una volta sono stato inutile...
sembra che da solo io non riesca...”.
Poi
il nulla... e la consapevolezza che poteva essere la fine... per lui...
e per tutto quanto.
Toccò
con mano la paura più autentica, ne udì nelle orecchie il pulsare sordo
in sintonia con i battiti del cuore smarrito, ne percepì in bocca e
nello stomaco il sapore acido che lo fece svenire proprio mentre era in
preda ad un autentico attacco di nausea.
Quando
il barlume di coscienza tornò per la seconda volta, il buio era ancora
denso e il dolore continuava a vibrare in ogni terminazione nervosa; le
membra erano rigide come pietra e vagamente, per quanto i sensi glielo
permettevano, pensò all'effetto del veleno. Era accaduto d'altronde...
lo ricordava, non nitidamente, ma lui aveva cercato di proteggere il
mare dal veleno di Naaza, richiamandolo su di sé... l'aveva fatto...
Cercò
a fatica di sollevare il capo.
“Avrà
funzionato? I pesci... Suiki... staranno bene?”.
Provò
a muoversi, ma tutto quel che riuscì ad ottenere fu ricadere del tutto;
la pelle era a contatto con la nuda terra, dov'era la sua yoroi? Intuì
di non avere addosso neanche l'undergear: era a causa di quell'energia
che percepiva intorno a sé? La sentiva, forse contribuiva ad alimentare
la sua debolezza, probabilmente sigillava il potere della sfera ed
impediva al suo organismo di provare anche solo a contrastare il veleno.
Aveva
freddo, il gelo gli penetrava nelle ossa e, man mano che la sua mente
tentava di razionalizzare la situazione, un senso opprimente di panico
lo aggrediva, sempre più insopportabile.
Era
caduto nell'imboscata di Naaza, era stato portato nello Youjakai e
rinchiuso in una cella che sigillava i suoi poteri con un kekkai,
rendendolo del tutto sotto controllo e inoffensivo.
Era
ferito gravemente, nel suo corpo scorreva il veleno letale di Naaza e
con ogni probabilità stava morendo... ed era solo, completamente solo
per la prima volta in una situazione senza apparente via d'uscita.
Oh,
certo, aveva rischiato la vita più volte da quando si era trovato
catapultato in quella situazione assurda, senza quasi avere il tempo di
porsi domande, nel corso di quell'anno pazzesco, ma c'era una
differenza fondamentale: aveva avuto a fianco quattro compagni con i
quali condividere tutto. Con loro si rivelava più facile affrontare
ogni cosa, con loro aveva immediatamente stabilito il contatto che
aveva fatto di loro una squadra, quasi dal primo istante. Grazie a
loro, probabilmente, era andato avanti giorno dopo giorno e non si era
soffermato a pensare, preservando la propria anima dalla follia e
dall'angoscia. Ma ora?
Ora
loro non c'erano, non vi era motivo per cui fossero venuti a conoscenza
della sua cattura, avrebbe potuto contare unicamente sul legame del
cuore, ma lui era stato condotto in un luogo che sovvertiva ogni legge;
avrebbe potuto sforzarsi, cercarli, fare sì che il suo spirito li
raggiungesse, ma la debolezza lo legava a quel pavimento freddo, i
sensi si spegnevano a intermittenza e il suo spirito non si sentiva
saldo. Gocce gelate gli intridevano le membra, colavano lungo il viso e
quel sudore freddo si mischiava al bruciore delle lacrime.
Non
era neanche in grado di ascoltare quella parte di sé che gli imponeva
di non piangere:
“Sei
un guerriero, un samurai, sei coraggioso, sei forte!”.
Forse
la voce del padre, la sua volontà che tentava di giungere fino a lui?
Si morse le labbra a sangue in seguito ad una fitta più forte che lo
portò nuovamente sull'orlo dell'incoscienza. No, non aveva illusioni,
suo padre non c'era, l'aveva lasciato da anni... e neanche i suoi
nakama c'erano... stava morendo, la vita scivolava via dal suo corpo,
lo sentiva, goccia dopo goccia. Quando avessero cominciato a cercarlo,
a rendersi conto della sua assenza, sarebbe stato troppo tardi.
E
non era un guerriero in quel momento, era un bambino di quindici anni
che tremava spaventato nel buio, che vedeva tutti i suoi sogni
infrangersi perché poteva sperare unicamente che l'ultimo respiro
giungesse a porre fine alle sue sofferenze... un bambino al quale, solo
poco più di un anno prima, era stato detto:
“Dovrai
combattere per la salvezza della terra, per evitare che il tuo mondo
vada in rovina, per proteggere tutto ciò che ami”.
Aveva
avuto scelta? Forse... forse no... in ogni modo dentro di sé aveva
sentito di non averne... era quello che ci si aspettava da lui e
avrebbe svolto il suo dovere meglio che poteva. Non era sempre stato
così, d'altronde?
Eppure
era un bambino e in quel momento solo, di fronte alla morte che stava
arrivando, solo di fronte a qualcosa di troppo terribile perché
chiunque fosse in grado di affrontarla in solitudine.
“Fiducia...
la tua virtù Shin... abbi fiducia...”.
Anche
Kaosu non poteva essere che un'illusione, anche lui non c'era più... a
che erano serviti i suoi ultimi consigli? Naaza aveva avuto la meglio
comunque. Vagamente si rendeva conto di quanta negatività offuscasse il
suo cuore, di quanto ogni speranza stesse dissolvendosi insieme alla
sua vita, ma non poteva farci nulla, lui non era forte, non se era da
solo... lui da solo non poteva sopportare tutta quella paura.
Alle
sue orecchie giunse il rumore dell'aprirsi di una porta, poi dei passi.
No,
non di nuovo, avrebbe voluto gridare se le forze glielo avessero
concesso, avere i Masho intorno poteva voler dire altri tormenti, altre
torture, avrebbero gettato altro sale sulla sua agonia.
“Lasciatemi in pace...”.
Le
parole presero un'incerta forma tra le sue labbra screpolate, ma in
tutta risposta i suoi capelli vennero artigliati per l'ennesima volta e
il suo corpo sollevato a forza; un dolore lancinante si diffuse in ogni
fibra, un'ondata di nausea lo scosse accentuando la sofferenza, ma si
trattenne dal vomitare, non avrebbe perso anche quell'ultimo tassello
della sua dignità. Fu lieto di scoprire che poteva ancora esercitare un
certo controllo su se stesso e sulle reazioni del suo organismo.
La
mano tra i suoi capelli lo scosse, strappandogli un gemito e, subito
dopo, il volto dai lineamenti inquietanti di Naaza, con quegli occhi
infossati e il colorito tombale, comparve davanti al suo, anche se i
contorni erano indistinti e sfumati:
“Sei ancora vivo, Suiko? Hai la pelle più dura
di quel che sembra, eh?”
L'altra
mano del demone dei veleni cercò il suo braccio e lo afferrò proprio
nel punto in cui una ferita aperta pulsava selvaggiamente; un fiotto di
sangue abbondante, reso infetto dal veleno, sgorgò dal taglio e Shin si
morse le labbra per non gridare, ma non riuscì a trattenere un lamento
ed una copiosa ondata di lacrime.
La
risata arcigna di Naaza echeggiò tra le mura.
Una
mano dell'altra presenza si materializzò dal buio e le dita gli
strinsero le guance, fino a fargli male:
“Stai piangendo, pesciolino?”.
Rajura...
l'ironia che infuse nella frase ferì il cuore di Shin umiliandolo
all'inverosimile.
“Non dovresti frignare, ho solo fatto uscire un
po' del veleno che hai in corpo” incalzò Naaza, “anche se non so quanto
possa servire.”
Un'altra
risata e Shin serrò le palpebre, avrebbe voluto riuscire a sollevare le
braccia per premersi le mani sulle orecchie, non voleva più sentirli e
si chiese perché, cosa li spingesse ad una tale crudeltà, perché
infliggere dolore li soddisfaceva a tal punto?
“Sei proprio messo male se hai perso persino la
tua linguaccia insolente” lo canzonò ancora Naaza, mentre le loro mani
se lo contendevano in maniera odiosa, dando l'idea che andassero
apposta a ricercare i punti più doloranti per suscitare altro panico e
sofferenza.
All'ennesima
ondata di dolore, Shin sfogò l'urlo che avrebbe voluto uscire dal suo
corpo in un ringhio furioso rivolto ai suoi aguzzini e riuscì anche a
puntare su Naaza un'espressione di pura rabbia tra le lacrime. Naaza
rispose con uno sguardo trasudante odio, lo strappò alle mani di Rajura
e, nell'alzarsi, lo tirò in piedi stringendolo per la gola; Shin si
sforzò di ignorare le fitte accecanti che si diramavano come scosse
elettriche lungo tutto il suo corpo:
“Non osare, piccolo bastardo!”.
Si
limitò ad aprire la mano e a lasciarlo ricadere a peso morto e questa
volta Shin non poté impedirsi di urlare, gli sfuggì persino qualche
singhiozzo mentre il suo corpo, a terra, si raccoglieva dolorante su se
stesso e le sue membra non potevano smettere di tremare. Un altro
gemito fu provocato dal calcio che Naaza gli assestò su un fianco, per
poi posare il piede sul punto appena colpito, premendo come se dovesse
schiacciare un insetto, un gesto nel quale infuse tutto il disprezzo di
cui era capace.
Shin
non poté fare nulla per opporsi, avrebbe voluto, a quel punto,
supplicarli di ucciderlo e smetterla di divertirsi alle sue spalle, ma
ogni residua capacità di formulare parole se n'era andata insieme ai
suoi ultimi barlumi di lucidità; non perse i sensi del tutto, ma la sua
mente si estraniò, vagò lontano e si ritrovò bisognoso di aggrapparsi
ancora a qualcosa. Non ne poteva fare a meno, lui era così: la morte
sarebbe giunta, inesorabile... e se doveva accadere, almeno avere con
sé tutti i ricordi che contavano... i suoi nakama... Suiki... la sua
famiglia...
Pensare
alla madre fece sgorgare lacrime ancor più brucianti, dettate anche
dalla preoccupazione... la sua affettuosa madre dal cuore debole... le
sue condizioni erano peggiorate da quando era rimasta vedova... come
avrebbe reagito alla sua scomparsa? Con il pensiero elevò una preghiera
a Sayoko-neechan, che fosse abbastanza forte per prendersi cura di
lei... e a Ryusuke-Niisan... che potesse prendersi cura di entrambe.
E
la sua disperazione, il suo bisogno di conforto, di un abbraccio, gli
fecero capire di essere ancora, nonostante tutto, totalmente aggrappato
alla vita, di voler ancora credere e sperare... sperare in quattro
persone, che sentissero i suoi richiami, sentissero la sua assenza,
sentissero che aveva bisogno di loro.
Il
suo respiro debole si mutò in una flebile supplica:
“Trovatemi... trovatemi... Io sono qui... venite
a salvarmi...”.
Quelle
parole si mutarono poi in nomi:
“Ryo... Seiji... Touma... Shu...”
Il
piede di Naaza lo spinse, costringendolo a voltarsi in posizione
supina, poi il Masho si chinò su di lui.
“Ho sentito bene? Il pesciolino sta chiedendo
aiuto? Non ti preoccupare, ho idea che il nostro Anubis ti porterà
presto una sorpresina”.
“E adesso” soggiunse la voce di Rajura, “mi
metto al lavoro anch'io, ho un cucciolo di samurai da domare”.
Ancora
risate sardoniche ferirono le sue orecchie, mentre i passi si
allontanavano, ma nonostante la semiincoscienza, le loro parole avevano
colpito il cuore di Shin che si trovò a supplicare, ultimo pensiero
consapevole prima di essere di nuovo rapito dal nulla:
“State attenti... ragazzi... non fatevi
prendere...”.
-2-
questo
è il nostro ultimo abbraccio?
il
mondo smetterà di crollare?
potrebbe
essere sbagliato
potrebbe
essere sbagliato
ma
sarebbe dovuto essere giusto
***
Non
aveva potuto opporsi in alcun modo all'ultimo tranello di Anubis, ci
aveva provato, aveva stabilito fin dall'inizio che avrebbe venduto cara
la pelle, eppure, nonostante tutti i suoi propositi, nonostante
l'orgoglio che non lo aveva abbandonato un solo istante, si era fatto
prendere in giro.
Come
un bambino e nella maniera che più odiava.
Venne
trascinato oltre il portale dalla trappola di energia che non gli
consentiva di muovere un muscolo e quando udì il cancello richiudersi
alle sue spalle, comprese di essere caduto in un tranello dal quale, da
quel momento in poi, gli sarebbe stato molto difficile uscire.
Cadde
in ginocchio, rendendosi improvvisamente conto di quanto il
combattimento l'avesse spossato e quell'ultimo regalo di Anubis aveva
completato l'opera. Non fece neanche in tempo a risollevare il viso che
percepì la sua presenza sopra di lui.
Seiji
di Korin tentò di rialzarsi, la spada stretta in pugno, ma barcollò,
l'atmosfera di quel luogo unita alle sue condizioni non ottimali lo
destabilizzava; Anubis fu lesto a irrompere su di lui, le loro nodachi
si incrociarono.
“Ancora non vuoi arrenderti, Korin?!”.
Le
ginocchia di Seiji si piegarono un poco, ma non cadde: anche se sapeva
che in quel momento le possibilità di Anubis erano decisamente
superiori alle sue, si sarebbe fatto uccidere prima di darsi per vinto.
“E così hai ritrovato la completa simbiosi con
la tua yoroi: mi hai colpito bimbo, davvero! La tua forza di volontà è
stupefacente”.
Seiji
ringhiò, vibrando un fendente con la sua nodachi; benché vi fosse una
sorta di ammirazione nelle parole di Anubis, lui non accettava il
complimento, era caduto in trappola a causa di dubbi e debolezze e se
non fosse stato per l'aiuto di Kaosu, sarebbe finita in maniera ancor
più umiliante. Quel ringhio era quindi rivolto più a se stesso che non
al nemico.
Il
colpo venne parato dalla lama dell'avversario e l'incorrotto vigore di
Anubis lo costrinse ad assumere un atteggiamento difensivo; le due
spade cozzarono, quella di Anubis spingeva contro la sua e i polsi di
Seiji dolevano a causa della forte pressione.
“Hai bisogno di una mano, Anubis?”.
Distratto
da quella voce, il demone dell'oscurità abbassò la guardia e Seiji ne
approfittò per liberare la lama e tentare un attacco ma l'altro, con
un'imprecazione, si riprese abbastanza in fretta da riuscire a scartare
di lato e a rispondere, per vedere il proprio colpo ancora bloccato
dall'agile spadaccino di Miyagi.
Ma
Seiji non si faceva illusioni, l'arrivo dei due compari di Anubis non
era certo un buon segno; d'altronde l'aveva saputo fin dall'inizio che
il solo fatto di essere stato trascinato lì dentro non gli dava alcuna
speranza. Tutto quel che poteva fare era allungare la lotta il più
possibile e creare qualche problema ai sottoposti di Arago, anche solo
indebolirli un poco: eppure sospettava che permettendogli ancora di
combattere si stessero semplicemente divertendo alle sue spalle e le
successive parole di Naaza furono una conferma:
“Quando la smetterai di gingillarti con il tuo
cucciolo di samurai prediletto? Il suo amico lo sta aspettando con
ansia”.
Gli
occhi di Seiji si sgranarono: cosa aveva detto?
“Di cosa stai parlando, Naaza?!”.
“Forse faresti meglio a chiedere di chi” rise
Rajura, mentre Naaza, in un balzo, fu alle spalle di Seiji e gli puntò
alla gola una delle sue tachi.
“Adesso è meglio per te se cominci a fare il
bravo...”.
Seiji
avrebbe voluto reagire, ma ormai l'ansia si era impadronita della sua
persona, i suoi sensi erano tutti concentrati su quel qualcuno cui i
Masho si riferivano.
“Cosa avete fatto?” inveì, tentando di darsi un
tono. Anche i suoi compagni erano dunque caduti vittima di una
trappola?
Rajura
si piantò davanti a lui.
“Tra poco lo vedrai”.
In
quel momento qualcosa lo colpì alla nuca e una fitta dolorosa
precedette l'appannarsi dei sensi; fece in tempo a percepire due paia
di braccia che lo sostenevano prima che cadesse al suolo, la nodachi
gli venne strappata dalle mani e per quello avrebbe protestato ancora,
ma ogni residuo di luce svanì precipitandolo nelle tenebre.
-
“Seiji... Seiji... mi senti?”.
Le
palpebre di Korin si schiusero, dapprima un tremolio incerto, poi la
sua solita prontezza di riflessi, la sua capacità di reagire
velocemente agli stimoli e a non abbassare la guardia, lo riscossero
del tutto, permettendogli anche di ricordare. Il combattimento con
Anubis... la trappola... lo Youjakai e l'ennesimo incontro con i Masho,
le lame puntate alla gola e le parole di Rajura che lo avevano
allarmato.
“Dove...” mormorò nel buio fitto che gli
impediva di mettere a fuoco del tutto la situazione. Ma lui era la
luce, se si concentrava, in qualche modo poteva scalfire le tenebre e
gli occhi che percepiva fissi su di lui lo aiutavano in questo, perché
essi mettevano a contatto le loro anime... e così li vide, due occhi
puri del colore del mare... e vide anche la loro sofferenza.
Con
una mossa veloce si mise seduto, in tempo per raccogliere contro il
proprio petto il ragazzo che gli stava crollando addosso.
“Shin!”.
“Per... fortuna... stai bene...”.
Il
contatto tra loro mise Seiji in allarme, perché il corpo del compagno
bruciava di febbre ed era tutto percorso da tremiti violenti.
“Non credo di poter dire lo stesso di te”
sospirò abbracciandolo e cercando con la mano il suo volto. “Allora...
di questo parlavano i Masho... eri qui anche tu...”.
Shin
rabbrividì, rannicchiandosi un po' contro di lui, come se volesse
proteggersi dal freddo e la sua voce uscì incrinata, non solo
dall'evidente malessere fisico, ma anche da un groppo di pianto e
rabbia.
“Mi dispiace... io... mi sono fatto raggirare...
come un idiota...”.
“Siamo in due allora” ridacchiò Seiji,
desideroso di rassicurarlo, di recare conforto e anche un po' spaesato
perché non aveva mai visto Shin così. Non tanto per la condizione
critica in cui versava, non era la prima volta che i Masho infierivano
così con uno di loro, piuttosto ... percepiva lo stato mentale di
Suiko, la sua confusione, l'insicurezza... e la paura.
Lo
fece distendere supino a terra, intenzionato a controllare l'effettiva
gravità della situazione e riconobbe subito gli effetti del veleno di
Naaza che rendeva infette le numerose ferite distribuite lungo il corpo
del guerriero dell'acqua. Gli abiti erano ridotti praticamente a
brandelli e la yoroi era scomparsa.
“Così come la mia” rifletté tra sé e comprese
così che in quel luogo i loro poteri erano vani. Strinse i denti in un
muto ringhio di disappunto, quello era il motivo per cui l'organismo di
Shin non era stato in grado di rigenerarsi quasi per nulla e poteva
significare solo una cosa: neanche i poteri curativi di Korin si
sarebbero rivelati efficaci.
Avrebbe
urlato perché era chiaro quanto le condizioni di Shin fossero gravi,
addirittura critiche: il compagno rischiava la vita e, benché fosse
accaduto a tutti loro in passato, grazie alla protezione delle yoroi e
ai poteri curativi di Korin uniti alla sapienza pratica di Nasty se
l'erano sempre cavata, ma con un kekkai a bloccare le loro facoltà non
sapeva assolutamente come avrebbe potuto aiutarlo e... se Shin fosse
morto così, tra le sue braccia, di fronte alla sua impotenza...
Non
voleva neanche pensarci.
Gli
sfiorò una guancia con le dita.
“Come ti senti, pesciolino?”.
Al
solo pronunciare quel nomignolo che era il modo da tutti loro usato nei
confronti di Shin per rimarcare l'intimità raggiunta, un groppo si
formò nella sua gola e sapeva anche quanto stupida ed inutile fosse
quella domanda.
“Mi sento... in colpa...”.
Gli
occhi viola di Seiji si sgranarono, in un impeto di stupore.
“Per cosa dovresti mai sentirti in colpa?”.
“Perché...”.
Shin
dovette fermarsi un attimo, lottando contro un colpo di tosse e contro
la fatica che ogni parola gli costava, deglutì, quindi riprese:
“Sei loro prigioniero anche tu ma... credo... di
stare meglio perché... ritrovarmi da solo... era...”.
Se
non fosse stato così preoccupato, probabilmente Seiji avrebbe riso per
la tenerezza; ormai aveva imparato a comprendere qualcosa di più
riguardo a tutti i suoi compagni, anche di Shin, che in quanto a
riservatezza rivaleggiava con lui, pur manifestandola in maniera
diversa. Shin affrontava ogni cosa con una grande forza di volontà,
cercando di mettere a tacere persino i suoi occhi irrimediabilmente
sinceri riguardo alle proprie debolezze, cercando di nascondere tutta
l'insicurezza e la paura che provava dietro alla fiducia altrettanto
incommensurabile che nutriva nei confronti di tutto il gruppo e degli
ideali per cui lottavano. Ma Seiji aveva compreso più di quanto Shin
potesse immaginare, Seiji sapeva vedere quanto spesso,
inconsapevolmente, il dolce Suiko mettesse a nudo le proprie
fragilità... e tra i suoi punti deboli più palesi vi era la paura della
solitudine, tutta la forza che trovava aggrappandosi a coloro che
amava, affidandosi a loro ed agendo per loro, era destinata a crollare
senza speranza quando Shin si sentiva solo.
Un
lieve sorriso Seiji non poté trattenerlo, forse in parte inteso a
rassicurare, anche se dubitava che Shin potesse vederlo bene in volto
in quel luogo oscuro. Gli accarezzò la guancia con maggior decisione.
“Io credo sia un pensiero piuttosto normale,
Shin-chama...”.
“Però... il fatto che dovrai restare solo tu...
mi fa sentire ancora più in colpa...”.
Un'ondata
di acido risalì lungo il corpo di Seiji e il cuore gli balzò in gola.
“Si può sapere di cosa stai parlando?”.
I
brividi che scuotevano il corpo di Shin si fecero più intensi, cercò di
sollevare una mano, senza riuscirci, allora il compagno accorse in suo
aiuto, prendendola tra le sue.
“Io... credo... sto morendo... Seiji... il
veleno di Naaza...”.
La
stretta di Seiji sulla mano dell'amico si fece convulsa, mentre si
chinava su di lui, senza più poter controllare un impeto di rabbia
mista a disperazione.
“Non dire mai più una cosa del genere, tu non
morirai chiaro?! Non voglio che quella parola compaia sulle tue labbra,
mai più!”.
Seiji
sentì la mano di Shin tremare forte, intravvide il suo viso che si
muoveva un poco, probabilmente cercando il suo e allora Korin si
abbassò ancora, perché i loro sguardi potessero incontrarsi.
“Seiji... io... sento che...”.
Una
mano del guerriero della luce abbandonò l'altra per posarsi sulle
labbra del compagno.
“Se devi dire altre sciocchezze non parlare...
sprechi energia inutilmente... tu guarirai... devi solo resistere ed
essere forte...”.
Poi
la mano di Seiji salì sulla fronte, ad asciugare un po' di quel sudore
freddo che intrideva la sua pelle e intanto gli scostò la frangia
solitamente impeccabile, ora incrostata di polvere e sangue.
“Ma io... qui... non so come... come fare...
Seiji...” cercò di insistere il ragazzo e in quelle parole Korin lesse
rassegnazione, paura, impotenza.
Allora
non resistette oltre e lo abbracciò, sollevandolo e portandoselo contro
il petto, senza smettere di accarezzarlo; lo sentì rilassarsi, almeno
un poco e con palese gratitudine, nella sua stretta, ma percepì anche,
in quell'abbandono, lo spegnersi dei sensi. Allarmato si affrettò a
controllare ogni possibile segno di vita finché, sospirando di
sollievo, comprese che era solo svenuto, ma per quanto? Aveva voluto
rassicurarlo, ma Shin aveva ragione, quanto avrebbe potuto resistere
senza che si potesse fare nulla? E da quanto versava in quelle
condizioni, da quanto tempo stava già resistendo?
Sospirò
profondamente, si morse il labbro inferiore; dopotutto provare non
costava nulla, forse almeno un poco sarebbe stato in grado di
oltrepassare il blocco del kekkai: non avrebbe mai lasciato morire Shin
senza tentare il tutto per tutto... non avrebbe mai lasciato morire
Shin. Punto e basta, non c'era altra possibilità.
Ripose
Shin a terra, cercò la concentrazione necessaria, andando a sondare
dentro di sé i recessi spirituali che avrebbero potuto metterlo in
contatto con il potere della luce e nel farlo chiuse gli occhi, tenendo
una mano sollevata sul corpo di Shin ma senza toccarlo, il palmo verso
il basso. Riuscì in questo modo ad interiorizzare la reale situazione
del compagno e la conferma della sua gravità si rivelò frustrante. Ma
al tempo stesso era anche un buon segno il fatto che fosse stato in
grado di analizzarlo con una certa precisione: significava che, se si
impegnava con tutte le proprie forze, poteva neutralizzare, almeno un
poco, l'efficacia del kekkai.
Riaprì
gli occhi e scrutò il ragazzo svenuto, trattenne il respiro.
“Dipende tutto da questo” pensò. Era il momento
della prova decisiva.
Richiamò
ancora il suo potere, questa volta per radunarlo il più possibile tra
cuore e mente e poi liberarlo all'esterno: sotto la sua mano e intorno
al suo corpo prese forma un alone luminoso, leggero, tenue... troppo
poco... un dolore pulsante gli colpì le tempie.
Serrò
le palpebre e digrignò i denti:
“Maledizione!”.
Forse
se non fosse stato solo, se anche gli altri fossero stati lì, radunando
tutte le loro energie, mettendo in contatto i loro cuori... ma scosse
il capo, era un'utopia, di sicuro non si augurava che anche gli amici
venissero catturati e anche se così fosse stato Arago si sarebbe ben
guardato dal metterli tutti assieme, ben conscio che avrebbe
significato renderli forti, troppo forti anche per lui. Da quando
quella guerra maledetta era cominciata, il loro implacabile nemico
aveva fatto di tutto per separarli gli uni dagli altri, di sicuro non
era un ingenuo.
Un
ringhio feroce si dipinse sul volto di Seiji; d'accordo, era poco,
poteva fare poco, ma quel poco l'avrebbe fatto fino in fondo. Ignorando
del tutto il dolore al capo generato da uno sforzo che andava oltre le
sue possibilità, a causa di quel malaugurato impedimento, si guardò
bene dal richiamare il flusso di energia e lo tenne anzi vivo e
pulsante. Forse, goccia dopo goccia, tutte quelle gocce avrebbero
effettivamente aiutato Shin, era l'unica speranza che aveva e se non
avesse funzionato...
“No...
non pensarci” si ordinò, “non pensarci, il nostro Shin non
morirà... nessuno di noi morirà! Finché io sarò in vita, nessuno di
loro mi precederà nella morte!”.
E
non avrebbe mollato, a costo di farsi esplodere la testa in
quell'intervento curativo.
Dopo
qualche minuto, Shin si agitò un po' ed emise un piccolo gemito, quindi
schiuse appena gli occhi e Seiji gli sorrise.
“Seiji... tu...”.
Lo
stava sentendo tutto il calore che si diffondeva attraverso l'organismo
grazie all'intervento del guerriero della luce e già gli aveva
provocato un evidente sollievo, ma Shin realizzò anche, abbastanza in
fretta, ciò che stava accadendo.
“Non... puoi... farcela...”.
Fece
per sollevarsi e portare una mano a ricercare quella del compagno, ma
Seiji lo rispinse a terra con un gesto deciso:
“Non vanificare tutto, pesciolino...”.
Il
suo tono era affaticato, la testa gli doleva in maniera quasi
insopportabile ed era perfettamente consapevole di dover mascherare la
cosa meglio che poteva, perché in alcun modo Shin avrebbe accettato che
qualcuno, tanto meno qualcuno che amava, stesse male o rischiasse
qualunque cosa per salvare lui; Shin rifiutava il sacrificio altrui
almeno tanto quanto concepiva naturale il proprio.
“Mi dispiace solo... non poter fare di meglio.
Mettici del tuo Shin, se ci concentriamo insieme il potere del kekkai
diminuisce un poco”.
“Seiji... non voglio che tu...”.
Il
guerriero della luce interruppe un attimo la sua concentrazione per
dedicare le proprie attenzioni ai dubbi del compagno; lo guardò con
tutta la serietà che il suo sguardo sapeva esternare e in quei momenti
i suoi occhi d'ametista potevano incutere timore. Un tremito più
violento scosse infatti il corpo di Suiko e non si trattava solo della
febbre.
“Ascoltami Shin... non ho nessuna intenzione di
lasciarla vinta ad Arago senza oppormi con tutto ciò che è nelle mie
possibilità e ho bisogno del tuo aiuto per questo, non voglio curarti
solo per...” si fermò e deglutì, perché per lui era difficile
pronunciare parole affettuose, per quanto di affetto nel suo cuore ne
provasse tanto. “Perché ti voglio bene... ma perché dobbiamo essere
insieme... e tornare da Ryo che ha bisogno di tutti i nostri poteri
riuniti. Insieme avremo più possibilità di trovare il modo di
cavarcela!”.
Si
fermò di nuovo di fronte all'espressione stupita e commossa del
guerriero dell'acqua, che sbatté più volte le palpebre nell'evidente
tentativo di trattenere un'ondata di lacrime. Poi Seiji aggiunse, a
voce più bassa e distogliendo un poco lo sguardo:
“Inoltre... come tu non vuoi restare solo...
preferirei non restarci nemmeno io...”.
Tra
loro intercorse qualche attimo di silenzio, spezzato unicamente dal
respiro febbricitante di Shin, che fu il primo a riprendere la parola e
la sua voce, in alcuni momenti, come quand'era in preda alla
sofferenza, poteva diventare delicata e disarmante come quella di un
pulcino:
“Tu credi... che potrei farcela... Seiji?”.
Il
valoroso guerriero dell'acqua, dalla lingua tagliente a tratti, il
compare di monellerie di Shu che si lasciava andare, spesso, a quel suo
lato tanto disarmante e fragile... ormai Seiji non si stupiva più.
Sospirò e gli accarezzò una guancia:
“Non potresti Shin... tu ce la farai... starai
bene... te lo prometto...”
In
quel momento la porta della cella si aprì e Seiji percepì l'accentuarsi
del tremito del compagno; Shin non era un ragazzo pauroso, niente
affatto, era un guerriero come tutti loro, metteva volentieri a
repentaglio la vita per proteggere i compagni ed il mondo, ma era
sensibile ed emotivo e si era ritrovato da solo, sull'orlo della morte,
in quel posto terribile, sottoposto probabilmente a torture fisiche e
psicologiche; comprese quindi la sua ansia e doveva ammettere di non
essere del tutto tranquillo neanche lui. Sollevò gli occhi sulla sagoma
di Naaza, consapevole che, privo della yoroi, gli sarebbe stato
impossibile contrastare efficacemente un guerriero del tutto armato.
Si
portò istintivamente più vicino a Shin, sperando di proteggerlo da
ulteriori accanimenti sul suo corpo ora così vulnerabile e ben conscio
che il demone dei veleni considerava Suiko il suo principale nemico.
L'esordio
canzonatorio di Naaza non si fece attendere:
“Ma guardateli, due cuccioli che si tengono
stretti stretti in attesa di venire calpestati!”.
Il
volto di Seiji si atteggiò ad un ringhio e si chinò ancora di più verso
Shin, pronto a difenderlo con il proprio corpo se si fosse rivelato
necessario.
La
mano di Naaza scattò senza preavviso e un colpo violento si abbattè
sulla guancia di Seiji, scagliandolo a terra e separandolo
definitivamente dall'altro ragazzo.
“Seiji!”.
Con
la forza della disperazione data dalla paura che al compagno accadesse
qualcosa di male, Shin gridò il suo nome e si girò su un fianco,
puntellandosi con le braccia per sollevarsi; stava per tendere una mano
verso il samurai della luce, quando il polso gli venne afferrato
bruscamente e Naaza lo trascinò verso di sé. Shin fu costretto a
mettersi in piedi sulle gambe malferme.
Seiji
si riprese con prontezza, ignorando il rivolo di sangue che fuoriusciva
dal labbro inferiore e si gettò contro il Masho, intenzionato ad
affrontarlo anche a mani nude e del tutto privo di difese, ma Naaza era
sicuramente in vantaggio e lo bloccò stringendogli le dita intorno alla
gola, mentre con l'altra mano manteneva ferrea la presa sul guerriero
dell'acqua.
“Sei un insetto molesto, Korin, Anubis è stato
fin troppo gentile con te, non ti ha reso abbastanza inoffensivo!”.
“Sono spiacente di non essere in grado di
eguagliare i tuoi livelli di sadismo, Naaza” si fece udire il sardonico
commento di una nuova presenza materializzatasi nella cella. Anubis
avanzò poi fino ad accostarsi al compagno, mentre Seiji si ritrovò
libero e si mantenne saldo, in piedi, barcollando appena un poco;
scrutò il suo nemico giurato con il fuoco acceso negli occhi d'ametista
e si mise in posizione di guardia.
Il
demone dell'oscurità ricambiò l'occhiata e il suo sguardo di ghiaccio
lampeggiò dietro la maschera della yoroi, poi la sua testa si mosse e
quegli stessi occhi si posarono su Suiko, ancora inerme nella stretta
feroce di Naaza.
“Sono tuttavia convinto che il tuo giocattolino
sia un po' più malleabile del mio”.
Accompagnò
l'osservazione con una risata maligna e, colpito da quel commento
offensivo che lo sminuiva, Shin sollevò di scatto il volto e i suoi
occhi si sgranarono, furenti. Ma fu la voce di Seiji a farsi udire, in
un ruggito degno di un leone al colmo dell'ira:
“Anubis!”.
L'interpellato
lo osservò in silenzio e rimase immobile, mentre Seiji balzava in
avanti, per fronteggiarlo faccia a faccia.
“Non ti permetto di sottovalutare uno dei miei
compagni!”.
“Seiji...” mormorò la voce stupita e colma di
gratitudine di Shin, mentre i due demoni reagivano con un'unanime
risata.
“Di sicuro sono pulcini interessanti” commentò
divertito Naaza.
“Con loro non ci si annoia” gli fece eco Anubis.
Quindi
Naaza si mosse verso l'uscita trascinandosi dietro il guerriero
dell'acqua; Shin serrò le palpebre, il corpo che urlava per il dolore e
in preda ad una debolezza che lo gettava sull'orlo dell'incoscienza.
“E adesso, mi dispiace ma dovremo separarvi per
un po'”.
La
reazione di Seiji fu immediata, si lanciò in avanti, intenzionato a
fermare Naaza, ma Anubis si parò sul suo percorso, le braccia
incrociate sul petto e il guerriero della luce lo urtò, ricadendo
all'indietro.
“Naaza” gridò allora Seiji, frustrato perché i
loro nemici li avevano resi impotenti, impossibilitati anche solo a
tentare una qualunque difesa, “se osi fargli del male ti ucciderò,
dovessi rincorrerti anche al di là, della morte, mi hai sentito
Naaza?!”.
Intanto
si rialzò, ma il demone dei veleni era già scomparso insieme al suo
compagno e Anubis bloccò il giovane samurai afferrandolo per un braccio
e strattonandolo, per poi scagliarlo a terra brutalmente, accompagnando
il gesto con una risata.
Un'ondata
di rabbia aggredì l'animo di Seiji; lui era una persona tendenzialmente
pacata, finché il furore non lo accendeva e niente era in grado di
generarlo maggiormente della crudeltà gratuita o veder scalfito ciò cui
teneva maggiormente, come coloro cui il suo cuore si era
indissolubilmente legato:
“Cosa avete intenzione di fargli ancora? Siete
talmente vili da infierire su una persona gravemente ferita? Non avete
un minimo di senso dell'onore?!”.
Lo
sguardo di Anubis sembrò scrutarlo con più serietà, un lampo attraversò
i suoi occhi, ma il tono rimase vagamente ironico mentre gli
rispondeva, scomparendo e lasciandolo solo nell'oscurità:
“Te lo riporteremo Korin, ma dobbiamo prima
domare un cucciolo di samurai imbizzarrito!”.
Gli
occhi di Seiji si sgranarono, le labbra si aprirono come per dire
qualcosa, ma rimase muto, mentre ricadeva in ginocchio, consapevole che
un altro compagno era caduto nella loro trappola... e forse, era
questione di tempo, li avrebbero presi tutti... e allora cosa ne
sarebbe stato di loro e della loro missione? Chi avrebbe ancora potuto
preservare il mondo dalla tenebra di Arago?
-3-
l’amore
è la nostra resistenza
facciamoci
una promessa
loro
non smetteranno di farci crollare
stringimi
le
nostre labbra devono
sempre
essere sigillate
***
“Dove sono, maledetti bastardi?! Rajura! Dove
sono i miei compagni?!”.
Il
ragazzino nella sua yoroi dai colori della terra seminava distruzione
tra le armate di Arago; al demone dell'illusione non si era rivelato
difficile attirarlo oltre il portale, la sua capacità di entrare nella
mente altrui per coglierne i punti deboli gli aveva permesso di
comprenderlo bene. Non che fosse difficile leggere nella mente di Shu
di Kongo, i suoi occhi blu erano limpidi come specchi e lasciavano
cogliere la sua anima semplice, non per questo superficiale, un
temperamento appassionato e vigoroso, quella stessa passione che
animava ogni suo gesto ed ogni sua idea, la stessa passione che aveva
acceso d'ardore il suo sguardo nel momento in cui gli era stato
rivelato che due suoi compagni erano già caduti prigionieri di Arago. E
Rajura non aveva dovuto fare nulla per catturarlo, il ragazzo in preda
ad una furia irrefrenabile si era lanciato tra le due immense porte del
Cancello del Male, gettandosi così nelle fauci del nemico nella maniera
più ingenua possibile.
Tuttavia il piccolo Kongo stava dando del filo
da torcere alle armate dello Youjakai, nonostante non avesse speranze
sembrava non importargli, era come un ashura, un demone della distruzione che sarebbe
andato avanti finché un alito di vita l'avesse sostenuto.
Rajura
ridacchiò: il ragazzino non sarebbe stato così felice di sapere che in
quel momento somigliava tanto a quella creatura plasmata solo di rabbia
e odio che il demone dell'illusione gli aveva presentato precipitandolo
in un incubo, benché l'ira fosse generata soprattutto dal senso di
giustizia violato, la furia cieca della disperazione dettata dall'ansia
per i compagni che lo portava a dimenticare se stesso.
Rajura
doveva ammettere che lo colpiva, una parte di lui avrebbe desiderato
comprendere tutto quel fervore e si arrabbiava con se stesso perché...
lo ammirava.
Con
le braccia incrociate sul petto, dall'alto di un torrione studiava la
battaglia di Kongo che non conosceva tregua; dopo averlo attirato
all'interno gli aveva scagliato contro le armate degli youja, pedine
sacrificabili, sapeva che il ragazzo ne avrebbe fatto strage, ma sapeva
anche che il palazzo avrebbe rigurgitato quelle pedine in numero
pressoché infinito e loro compito era soprattutto quello di far
divertire lo spettatore e condurre Kongo allo sfinimento.
Ma
il ragazzino non si stancava, a dispetto delle condizioni fisiche già
compromesse dalla battaglia che aveva sostenuto contro il demone
dell'illusione prima di essere attirato nella trappola, il suo corpo
ferito e malconcio non sembrava intenzionato a crollare e la sensazione
di Rajura era che neanche mostrasse il minimo segno di cedimento;
eppure questo non era possibile, non sarebbe stato umano, molto più
facile credere che Kongo, reso come folle dalla preoccupazione per i
compagni, avesse del tutto annullato se stesso e la considerazione di
sé.
Il
divertimento iniziale di Rajura si era mutato in qualcosa di più
complesso, che lo portava a mordersi il labbro inferiore e a fremere
mentre assisteva alla folle carica con cui Kongo riduceva a brandelli
interminabili ondate di youja; e tutto questo senza aver ancora
distolto lo sguardo da lui, neanche per un solo istante, perché Kongo
puntava a Rajura e, cosa ancor più fuori da ogni logica, riusciva ad
avanzare.
“Restituiscimi i miei compagni, Rajura, tanto li
troverò da solo! Queste mura cadranno ridotte a pezzi dal potere della
terra! GEN TESSAI!”.
E
al grido che annunciava la tecnica più potente di Kongo, come il
ragazzo aveva promesso tutto intorno a Rajura si mise a tremare, simili
a tante formiche folle di youja vennero inghiottite dalle voragini che
si spalancavano nel terreno frantumato; il demone dell'illusione
ringhiò, era certo che il Gen Tessai non fosse mai stato così
distruttivo e poderoso.
“A cosa deve tutta quella potenza?”.
“E' ciò che ci lega, Rajura” giunse alle sue
orecchie una voce sofferente di ragazzo e il masho si voltò di scatto;
Anubis e Naaza erano giunti alle sue spalle, il demone dei veleni
teneva un braccio intorno al busto di Suiko, reggendolo saldamente. Il
prigioniero sembrava aver recuperato un po' di vigore, anche se lo
sguardo che puntava su Rajura era velato e febbricitante e le membra
scosse dai tremiti; probabilmente, se Naaza avesse lasciato la presa su
di lui, non sarebbe stato in grado di reggersi in piedi.
Proprio
Naaza rispose al samurai in maniera sprezzante, mugugnando per il
disgusto, spingendolo con rabbia a terra; il ragazzino cadde malamente
ai piedi di Rajura e si raccolse su se stesso, in un moto di dolore.
Rajura
lo ignorò per riportare la propria attenzione sulla scena che si
svolgeva qualche metro più in basso: Kongo era impegnato a falcidiare
una nuova ondata di avversari che lo pressava particolarmente ed era
momentaneamente impossibilitato a puntare ancora gli occhi sul suo
acerrimo nemico. Il demone dell'illusione lasciò allora che un ghigno
piegasse le sue labbra:
“Ehy, Kongo! Sei in difficoltà?!”.
Dopo
aver tagliato in due l'ennesimo youja, il volto del samurai si levò e a
Rajura sembrò di venire colpito dalle fiamme che i suoi occhi
sprigionavano:
“Mai! Ti raggiungerò dovessi calpestare questa
dannata ferraglia pezzo per pezzo, dovessi far crollare l'intero
Youjakai a suon di pugni!”.
Rajura
emise una risatina, non sapeva dire neanche lui se si trattasse di
divertimento o effettivo interesse per quel carattere così esplosivo.
“Ancora non l'hai messo fuori combattimento,
Rajura? Serve una mano?”.
Il
demone dell'illusione strinse i pugni, trattenendo a stento una
rispostaccia nei confronti di Naaza, che intanto si era portato al suo
fianco.
“E' una furia scatenata quel moccioso” ghignò il
demone dei veleni contemplando lo scempio che Kongo stava seminando tra
le loro armate. “Ma forse conosco un modo efficace per calmare i suoi
bollenti spiriti!”.
Il
suo sguardo si abbassò sulla figura di Suiko, nuovamente caduto in uno
stato di semiincoscienza, si acquattò vicino a lui e prese nel proprio
pugno una ciocca di capelli rossi, per poterlo guardare in viso.
“In fondo, l'abbiamo portato qui apposta”.
Il
samurai dell'acqua si riscosse con un brivido a quel tocco e riuscì a
puntare su Naaza uno sguardo rabbioso, quasi feroce, al quale il demone
rispose con un ringhio:
“Siete un branco di insetti fastidiosi ed
insolenti!”.
Mentre
un pugno di Naaza restava aggrappato ai capelli di Suiko, l'altra mano
si chiuse sul suo braccio e il samurai dell'acqua venne trascinato in
piedi, sospinto sull'orlo del torrione; per un attimo sembrò che Naaza
volesse lasciarlo cadere ma si stava unicamente divertendo alle sue
spalle.
“Kongo, c'è una sorpresina per te qui, che ne
dici di venirtela a prendere?!”.
“Sei un bastardo... Naaza...” mormorò debolmente
il prigioniero e il demone lo scrollò, in preda alla rabbia.
“SHIN!”.
Il
samurai della terra aveva visto l'amico e ciò era stato sufficiente a
distrarlo e a fargli subire una serie di colpi da parte degli youja che
lo fecero cadere in ginocchio.
Le
labbra di Suiko esalarono un altro sussurro, incrinato dall'ansia:
“Shu... attento...”.
Kongo
si riprese immediatamente, si rialzò, in pochi secondi ridusse in pezzi
gli youja responsabili del suo atterramento ma i suoi occhi non
riuscivano a distogliersi dal ragazzo in bilico sul ciglio del
torrione, evidentemente sconvolti dalle condizioni palesemente
drammatiche del ragazzo.
“Che cosa gli avete fatto, vigliacchi ?!”.
“Niente, rispetto a quel che gli faremo se non
ti dai una calmata, Kongo!”.
Naaza
accompagnò la minaccia con una brutale torsione al braccio di Suiko; il
ragazzo non poté trattenere uno strillo acuto e Rajura fu certo che un
tremito scosse le membra di Kongo quando lo udì, fu certo di vedere i
suoi occhi farsi immensi e colmi di terrore.
“Sarebbe questo il legame di cui parlava Suiko?
Stare tanto male per la sofferenza di un compagno senza tenere in
nessun conto la propria e riducendosi quasi alla follia? Ma perché?”.
Se
possibile la furia di Kongo si accentuò, gli youja cadevano come
birilli, ogni singolo colpo del suo tetsubo andava a segno e anche la
velocità, facendosi beffe del logico esaurimento fisico, si era
ulteriormente incrementata. Quella nuova foga era ovviamente provocata
dalla fretta di raggiungere il compagno per strapparlo dalle mani
crudeli di Naaza... o per condividere la medesima sorte; Rajura strinse
le labbra in una smorfia.
Il
nuovo avvertimento di Naaza si levò dall'alto della posizione in cui si
trovavano:
“Allora non hai capito, Kongo!”.
Una
tachi comparve nella sua mano e, come un lampo troppo veloce per essere
prevenuto, tracciò una linea netta sul braccio del ragazzo, una ferita
non profonda ma sufficiente a suscitare ulteriore panico e tormento in
un organismo già debilitato; il samurai dell'acqua urlò e il compagno
distante tese una mano verso di lui, quasi in quel modo potesse
toccarlo e recargli conforto.
“Smettetela, basta!”.
“Sei tu la causa della sua agonia, con il tuo
atteggiamento testardo, Kongo!”.
La
lama impietosa di Naaza colpì ancora, un'altra striscia scarlatta prese
forma poco al di sopra della precedente, Suiko gridò di nuovo ma questa
volta gli sfuggì un insulto; il demone infierì con una ginocchiata
nella schiena in seguito alla quale il ragazzo cadde, sempre più in
bilico sul vuoto sotto di lui.
Sfogando
l'ira in un ultimo ruggito, il samurai della terra fece il vuoto
intorno a sé, quindi gettò al suolo la propria arma e presentò ai Masho
le mani nude, i palmi verso l'alto, poi esclamò, con una rabbia tale
che contraddiceva il senso delle parole:
“Mi arrendo bastardi, smettetela di fargli del
male!”.
“Shu...” singhiozzò flebilmente Suiko, la voce
totalmente sovrastata dalla crudele risata di Naaza.
-
Gli
occhi viola di Seiji erano fissi, attenti, su Shu, che si era incollato
a Shin dal momento in cui li avevano riuniti nella cella; il samurai
della terra era accovacciato al suolo e Shin posava il capo sulle sue
gambe, mentre la mano robusta di Kongo gli accarezzava i capelli. Suiko
sembrava privo di sensi, ma a tratti si agitava e si lamentava
nell'incoscienza.
Gli
occhi grandi e angosciati di Shu erano costantemente calamitati dal
ragazzo sofferente, diventato ormai da tempo fulcro principale dei suoi
sentimenti e del suo affetto; si rivolse tuttavia al guerriero della
luce:
“Mi dispiace Seiji, io... avrei voluto salvarvi,
ci ho provato ma... ho fallito e ho ottenuto solo di farmi catturare
anche io”.
“Conoscendoti ti sarai comportato da
incosciente” sospirò, serio, il compagno.
Shu
scosse il capo.
“Fosse servito almeno a voi... Shin dovrebbe
uscire di qui...”.
Deglutì,
il tono della sua voce era incerto, impregnato di agitazione e ansia.
“Lui... ha bisogno dell'acqua... per
riprendersi... in questi casi. Con l'acqua... guarirebbe di sicuro...”.
Si
bloccò, come spaventato dalle possibili implicazioni di quanto aveva
detto, sentì così il bisogno di correggersi:
“Voglio dire...guarirebbe prima...” i suoi
immensi occhi da eterno bambino si sollevarono su Korin, colmi di
supplica e bisognosi di rassicurazioni. “Perché guarirà, non è vero
Seiji? Riuscirà a riprendersi, giusto? Lui è forte...”.
Il
volto pallido di Seiji si abbassò, l'impulso a dargli conforto fu il
suo primo istinto; certo che Shin ce l'avrebbe fatta! Lui stesso doveva
convincersene ma trovarsi lì, in tre, un altro di loro caduto nella
rete tesa dai Masho, aveva fiaccato anche la sua sicurezza: la
preoccupazione si fece strada in lui, opprimente.
Era
abbastanza sicuro che Ryo e Touma fossero ancora liberi, a meno che
Arago non avesse qualche misterioso asso nella manica i tre Masho,
unici in grado di impensierirli, sembravano essersi concentrati sui
loro tre prigionieri; ma per quanto? E come avrebbero potuto
contrastare gli intenti di Arago, Ryo e Touma da soli? Erano necessari
tutti i loro poteri riuniti per tenere vive le speranze.
Strinse
i denti, adirato con se stesso per quell'imperdonabile ondata di
pessimismo: proprio per mantenere intatta la speranza era necessario
che Shin si salvasse. I loro nakama nn si sarebbero fatti prendere,
sarebbero anzi accorsi in loro aiuto, in qualche modo ce l'avrebbero
fatta e allora sarebbero stati di nuovo insieme, riuniti intorno a Ryo
per permettergli di evocare Kikutei al momento della battaglia finale
contro Arago.
E
Seiji era ben deciso a restituire Shin vivo ai ragazzi, fare in modo
che il loro Suiko potesse accoglierli e ringraziarli per la loro venuta
con il suo sorriso più luminoso e solare.
“Se... Seiji...” lo raggiunse ancora il richiamo
un po' agitato di Shu.
Korin
sollevò di scatto il viso.
“Guarirà Shu, certo che guarirà, perché noi lo
faremo guarire, ma avrò bisogno del tuo aiuto!”.
L'altro
annuì.
“Guidami Seiji; farei qualsiasi cosa per voi...
per lui...”.
“Lo so” mormorò Korin, mentre con la mano andava
a sfiorare le numerose ferite sul corpo di Shin, “ti chiedo solo di
concentrarti e di aiutarmi a superare la barriera del kekkai, in modo
che il mio potere curativo sortisca qualche effetto”.
Shu
deglutì, perfettamente consapevole che le sue facoltà mentali non erano
neanche paragonabili a quelle di Seiji, ma avrebbe fatto ogni cosa
rientrasse nelle sue possibilità e anche di più: Shu di Kongo era fatto
così, donare tutto se stesso, anche consumarsi ardendo interiormente se
si fosse rivelato necessario... era per lui la normalità.
Abbassò
il capo sul petto e chiuse gli occhi, afferrando forte una mano di Shin
e portandosela al petto; Seiji sorrise e ricercò a propria volta la
concentrazione, con la mente rincorse i battiti dei cuori dei compagni,
li trovò, armonizzò il proprio con i loro. Sembrava fin troppo facile.
Si
guardò intorno, in preda alla confusione:
“Il kekkai... non c'è più...”.
Gli
occhi di Shu si aprirono su di lui, altrettanto sorpresi.
“Cosa... cosa significa?”.
“Non lo so...”.
Seiji,
diffidente, scosse con lentezza il capo, poi lo abbassò sul compagno
ferito e vide che anche i suoi occhi erano aperti, più attenti e vitali.
“Credo... di stare meglio...” sussurrò Shin,
mentre il samurai della terra non riusciva a trattenere un'esclamazione
di sollievo.
“Perché non c'è più nulla che impedisca al tuo
organismo di reagire” confermò Seiji accarezzandogli una guancia. Se
avessero avuto a disposizione dell'acqua la salvezza di Suiko sarebbe
stata certa a quel punto, tuttavia Seiji si scrollò di dosso i 'se' e i
'ma': liberi di agire, i suoi poteri si sarebbero rivelati più che
sufficienti. Richiamò la luce, che esplose intensa intorno al suo
corpo, la fece fluire lungo il suo braccio teso e da lì la trasmise
alle membra di Shin.
Gli
occhi di Shu si persero a contemplare le ferite che si rimarginavano e
gli effetti del veleno che andavano scomparendo; era come assistere ad
un miracolo. Il respiro di Shin divenne quasi subito più regolare, i
tremiti andarono lentamente calmandosi, gli occhi verdi si chiusero in
una grata espressione di riposo, le labbra sembravano persino sorridere.
Di
sicuro sorridevano quelle di Shu, mentre stringeva con ancor più forza
la mano di Shin e il suo sguardo radioso si levò ammirato su Seiji; il
samurai della luce sorrise a sua volta, era bello vedere
quell'espressione sul viso di Shu, trasmetteva ottimismo e gioia di
vivere, ovvero tutto ciò di cui in quel momento avevano bisogno.
Stanco,
si lasciò andare ad un sospiro e si concesse il meritato riposo:
“Adesso andrà meglio... andrà tutto meglio...”.
Voleva
e doveva aggrapparsi a quel pensiero, anche se era perfettamente
consapevole che quella tregua concessa non era altro se non il preludio
ad un nuovo motivo di preoccupazione, perché la scomparsa del kekkai
non era certo un regalo concesso da Arago e dai Masho per pura
generosità.
“Cosa avranno in mente?” chiese soprattutto a se
stesso, ma a voce alta, cosicché Shu non poté non udirlo e ribatté,
sollevando un pugno, mentre manteneva l'altra mano salda intorno a
quella di Shin:
“Qualunque cosa sia, adesso siamo pronti ad
affrontarla!”.
Il
suo entusiasmo risvegliò anche il guerriero dell'acqua che lo guardò
per qualche istante, con un sorriso che aveva qualcosa di tenero.
Quindi
Shin si mosse tra le proteste dei compagni e si sedette.
“Ora sto bene, non dovete più preoccuparvi!”
Un
sospiro rassegnato scosse il petto di Shu, da questo momento in poi
pretendere di far cambiare idea a Shin sarebbe stato come prendere a
testate un muro troppo solido persino per lui.
Seiji
si alzò, porse la mano al guerriero dell'acqua aiutandolo a mettersi in
piedi e intanto seguì con attenzione ogni suo movimento, per accertarsi
delle sue condizioni. Infine sorrise con soddisfazione:
“Ho fatto un bel lavoro, vero?”.
Suiko
ridacchiò, dandogli un pugnetto leggero su una spalla.
“Non prenderti tutto il merito, non sono così
debole!”.
In
punta di piedi Kongo giunse alle spalle di Shin per coglierlo di
sorpresa, gli attirò il capo sulla propria spalla e gli arruffò
vivacemente i capelli, suscitando proteste indignate da parte sua e
provocando un'esplosione di ilarità persino nel guerriero della luce:
veder sorridere Shin era un sollievo ed un regalo che, in qualche modo,
faceva apparire tutto più facile. Si trattava di illusione, lo sapeva
Seiji, la loro situazione era critica, ma avere al suo fianco i due
buffoni del gruppo nel pieno delle loro energie si sarebbe rivelato un
sostegno non indifferente.
E
ora i due buffoni erano tornati a giocare e scherzare tra loro
mettendoci l'impegno di due bimbi dell'asilo: era più gratificante
vederli così che in preda allo sconforto ma dopo un po' Seiji pensò che
fosse il caso di richiamarli all'ordine. Senza lasciar cadere il
sorriso dalle proprie labbra, fece un passo avanti per attirare la loro
attenzione:
“Adesso, facciamoci una promessa”.
Ed
eccoli tornare i due seriosi samurai, le espressioni solenni e pronte
ad ascoltarlo. Seiji tese una mano verso di loro ed entrambi, cogliendo
l'invito, posarono le proprie mani sulla sua, in un legame che sapeva
di sacro giuramento.
“Non sappiamo cosa ci aspetta da questo momento
in poi, non sarà facile, tenteranno in tutti i modi di farci crollare
moralmente, di spegnere la nostra speranza e il nostro spirito
combattivo, ma noi...”.
“Noi non crolleremo” esclamò Shu, “assolutamente
no, resteremo saldi ed uniti, qualunque destino ci attenda!”.
“Non mi vedranno più piangere” gli fece eco
Shin, con tono pacato, “non darò loro più alcuna soddisfazione, dalle
mie labbra non uscirà più un solo lamento!”.
“Ne sei sicuro, Suiko?”.
Sussultarono,
si strinsero gli uni agli altri, spalla contro spalla, guardandosi
intorno, pur sapendo che non avrebbero visto nessuno: quella che
riecheggiava tra le mura della cella era la voce di Arago, il padrone
incontrastato di quel luogo ed il suo pensiero giungeva fino a loro, da
chissà quale distanza. Arago era in grado di osservarli, scrutarli,
studiare ogni loro mossa.
“Urlerete ancora cuccioli di samurai, non avete
ancora visto niente!”.
La
risata del loro nemico fece correre un brivido lungo la schiena dei
ragazzi mentre, in contemporanea, la porta si apriva con un tonfo sordo.
“Uscite piccoli samurai, fateci divertire!”.
“Cosa significa questo?” ringhiò Kongo.
Di
comune intesa estrassero le sfere e richiamarono i loro poteri,
permettendo alle yoroi di materializzarsi intorno ai loro corpi;
nessuno di loro nutriva dubbi riguardo al fatto che si trattava di un
altro tranello, ma non potevano fare altro che combattere, rimanere
passivi non era un'opzione contemplabile.
Seiji
in testa si diressero con circospezione verso l'uscita della cella e
nel corridoio buio Seiji tese un braccio per arrestare ogni azione
precipitosa:
“Restiamo vicini, evitiamo di farci separare
ancora”.
Shin
annuì, evidentemente poco propenso anche solo ad immaginare quella
possibilità, Shu sollevò un pugno mentre con l'altra mano estrasse il
tetsubo, brandendolo con un gesto aggressivo:
“Che solo ci provino!”.
“Rimani calmo” lo redarguì Korin, “controllati!”.
Nel
momento in cui con la mano cercò la propria nodachi imprecò,
ricordandosi che gli era stata sottratta. Si voltò a guardare i
compagni e la smorfia di disappunto si mutò in un ringhio: anche la
yari di Shin era scomparsa. Significava che l'unico a poter opporre ai
nemici una resistenza efficace era Shu; Shin poteva contare solo su un
pugnale e sugli artigli del suo bracciale destro.
“E
io... solo sul mio corpo disarmato”
pensò tra sé, “che
intenzioni hanno?”.
Dopo
aver percorso un angusto passaggio che sembrava interminabile, giunsero
in un ambiente molto più ampio, un grande salone fiocamente illuminato
da torce appese ai muri; un suono secco risuonò alle loro spalle,
facendoli sobbalzare.
“Siamo in trappola!” gridò Shin, indicando un
enorme portale che aveva bloccato qualunque possibile via di fuga.
Un
nuovo fragore attirò la loro attenzione su una breccia che andava
aprendosi nella parete opposta, ma la speranza che si trattasse della
salvezza fu ben presto smentita dal materializzarsi, come dal nulla, di
un'orda sterminata di youja.
Seiji
fece un passo indietro e ricercò il contatto con i compagni, essi si
mossero a propria volta verso di lui; si ritrovarono così gli uni
incollati agli altri, in posizione di difesa, preparandosi ad
affrontare l'attacco che sicuramente sarebbe giunto.
Di
nuovo, la voce di Arago giunse, tuonante, accompagnata dal fragore di
tempesta che fece tremare le pareti:
“Bravi piccoli samurai, adesso combattete,
difendetevi fino allo sfinimento e rendete più potenti le yoroi che
indossate... e poi restituimele, ancora più forti!”.
-4-
portateci
via dall’inferno
proteggeteci
per il male che verrà
Resistenza…
***
Una
voce nelle tenebre... non era quella di Arago... quella voce comunicava
amore, comunicava l'invito a resistere e a non lasciarsi andare e fu
ciò che risvegliò Seiji dall'incoscienza nella quale era precipitato
dopo la battaglia senza speranza cui era stato nuovamente sottoposto.
Quella era la voce dei loro nakama che chiamavano i loro nomi... Ryo...
Touma... e c'erano anche Nasty e Jun, ne era certo... anche Byakuen.
Poi
giunse il dolore, le braccia gli facevano male, comprese di averle
sollevate al di sopra del capo, i polsi strettamente imprigionati da
catene che scalfivano la pelle nonostante i bracciali della yoroi.
“Shu... Shin...” gemette, alla disperata ricerca
di un segnale di vita da parte dei due compagni che condividevano la
sua sorte infelice. Pregò tra sé, supplicò di percepirli, di ritrovarli
ancora vivi.
Qualcuno
alla sua destra si mosse, udì un lieve borbottio, come un ringhio
esalato a denti stretti.
Sospirò
di sollievo.
“Shu...”.
Sondò
i dintorni con la mente, il respiro appena percettibile di una presenza
familiare provenne dalla sua sinistra; c'era anche Shin. Erano tutti lì
e tutti vivi, ma di nuovo impossibilitati ad agire in qualunque modo.
“Resistete” sussurrò, “credo... che i ragazzi...
ora sappiano...”.
Un
lampo di luce lo accecò per un attimo, l'aria davanti a lui crepitò e
vibrò, poi dal nulla si materializzò un'immagine; il guerriero della
luce sgranò gli occhi. Si trattava di un passaggio aperto su un'altra
dimensione, una risata di donna gli fece gelare il sangue.
Poi
la vide: la casa di Nasty... e sulla terrazza, gli sguardi sconvolti
puntati nella loro direzione...
“Ryo... Touma...” mormorarono le sue labbra, ma
non riuscì a parlare a voce più alta, sperò che il legame del cuore
giungesse fino a loro.
Purtroppo
c'era quella voce di donna che lo confondeva, si intrometteva nel
contatto, una voce che faceva male e che generava in lui solo rabbia e
dolore... era una voce che minacciava, stava mostrando a Ryo e a Touma
ciò che stava accadendo ai compagni nelle mani di Arago.
Da
qualche parte, in alto, si sprigionò un raggio di energia, Seiji ne
percepì l'arrivo ancor prima che questo andasse a colpire Shin alla sua
sinistra e la sofferenza dell'amico si trasmise al suo cuore in un
concatenarsi immediato di eventi. Tutto avvenne in un attimo, tentò di
voltare il capo verso il compagno ma, quasi nel medesimo istante, lui
stesso venne colpito e, subito dopo, Shu. Ryo, Touma e Nasty chiamarono
disperatamente i loro nomi, adesso ne era certo, avevano visto, adesso
i ragazzi sapevano che tre di loro erano in pericolo e che avevano
bisogno di aiuto.
E
il messaggio del cuore di Seiji giunse a Shin e a Shu, tanto più
fragili di lui e bisognosi del suo sostegno; ormai Seiji ne era certo,
mentre il suo corpo gridava in preda al dolore, il cuore esultava:
“Siamo salvi... verranno a prenderci e insieme
salveremo il nostro mondo... dobbiamo solo resistere, ancora un poco...
solo un poco...”.
Dagli
amici sofferenti giunse la risposta, i loro tre cuori si unirono in un
unico palpito che li avvolse in un abbraccio di speranza.