LA
GEOMETRIA NON E' REATO
Capitolo 1
Stella
era talmente concentrata sul microscopio da non avere nemmeno squillare
il cellulare, che aveva lasciato in borsa. Quando se ne rese conto,
seccata per l'interruzione, prese l'apparecchio, che non aveva smesso
di trillare.
Detective
Bonasera - rispose con voce atona.
Ehi
Stella, sono Gwen! - disse una voce femminile dal tono allegro - Sono
quaggiù…è quasi mezz'ora che ti aspetto! Scendi?
"Diamine"
- pensò Stella. Si era completamente dimenticata dell'appuntamento con
la sua amica, che era appena arrivata a New York.
Stella…ci
sei?guarda che mi sto stancando…proseguì la ragazza.
Gwen…Accidenti!
mi dispiace, ma ho ancora molto lavoro da fare…le rispose Stella.
Cosa?no,
no…aspetta - ribatté l'altra - non mi vorrai dare buca un'altra volta?
Effettivamente,
quando Gwen era venuta in città l'anno precedente lei era stata così
presa da un caso irrisolto che era riuscita a vederla solo una volta,
durante una striminzita pausa pranzo. Si rendeva conto che stava
esagerando. Gwen era la sua migliore amica dai tempi della scuola;
all'epoca erano inseparabili e, invece, ora che lei faceva avanti e
indietro tra l'America ed il Giappone, le occasioni per stare insieme
erano pochissime. E lei stessa non faceva nulla per coglierle.
Mi
dispiace - ripeté - c'è un caso molto urgente al quale sto lavorando,
ne avrò per tutta la notte…
Sei
un vero disastro! - le gridò l'altra - mollare la tua amica tutta sola
la sua prima sera a New York! Non ho voglia di tornare in hotel e qui
non conosco nessuno, a parte te!
Tuttavia,
Stella capiva che Gwen si era già rassegnata, ben sapendo quanta
passione mettesse nel suo lavoro. E poi non erano mai riuscite a
tenersi il broncio a lungo.
Ci
vediamo domani a pranzo? - le propose - Dai, mi farò perdonare!
Ok,
ok… - brontolò Gwen - ma se stanotte andrò a dormire prima di quanto
avrei voluto sarà solo colpa tua…chiuse la comunicazione.
Uff
- penso Gwen - e ora che faccio? Cominciò a camminare mentre cercava di
riporre il cellulare. Si sentiva delusa ed era così assorta che non
fece attenzione all'uomo che camminava nella sua direzione. Lui era
impegnato in una telefonata e non guardava davanti a sé. Lo scontro fu
inevitabile: i telefonini che entrambi avevano in mano caddero a terra.
Gwen
si riscosse.
Mi
scusi… - disse, senza guardarlo - ero distratta. Si chinò a raccogliere
i due apparecchi. Non fa nulla, anzi, scusi lei - rispose l'uomo, con
tono gentile. Senza dire altro, lei gli porse un cellulare, mettendo
l'altro in tasca.
Ciascuno
andò per la propria strada.
Gwen
non aveva fatto che pochi passi quando sentì squillare una suoneria che
non riconosceva. Estrasse dalla tasca il cellulare che vibrava,
sembrava il suo ma…Meccanicamente, rispose.
Detective
Taylor… - disse una voce roca, distorta, che metteva i brividi - sono
ancora io, vuoi giocare con me?
Senza
pensare, lei disse la prima cosa che le veniva in mente. Mi dispiace,
credo abbia sbagliato numero.
Dall'altra
parte, il famigerato serial killer denominato l'Incisore rimase per un
istante senza parole. Poi chiuse la comunicazione, interdetto.
Uff
- disse la ragazza tra sé e sé. Decisamente questa non era la sua
serata. I due apparecchi, chissà per quale coincidenza, erano identici
e lei doveva averli scambiati, tenendosi per sbaglio quello dell'uomo
con cui si era scontrata qualche minuto prima.
Beh
- pensò - quello era evidentemente un poliziotto, magari la telefonata
era importante e, soprattutto, le sarebbe dispiaciuto molto perdere
tutti i suoi numeri di telefono. Insomma, doveva trovare quel tipo. Non
sarebbe stato difficile, era passato pochissimo tempo, sarebbe riuscita
a raggiungerlo.
Cominciò
a camminare velocemente - per quanto i 12 cm delle sue Manolo le
permettessero - nella direzione che aveva preso l'uomo. Dopo pochi
secondi, lo scorse. Era quasi arrivato vicino ad una grossa macchina
nera, parcheggiata vicino al marciapiedi.
Ehi!
lo chiamò. Lui non si girò, preso nei suoi pensieri.
Doveva
attirare la sua attenzione in qualche modo…se fosse salito in auto e
fosse partito non sarebbe più riuscita a raggiungerlo. Si ricordò il
nome che aveva sentito al telefono.
Detective
Taylor! gridò. Lui si girò, sentendosi chiamare. Fece qualche passo
verso di lei.
Uff
- disse lei, fermandosi davanti a lui. Certo che una ragazza deve
faticare parecchio per starle dietro…
Ci
conosciamo? rispose lui, con aria interrogativa, riconoscendo la
ragazza di prima.
Beh,
non proprio… - disse Gwen, porgendogli il cellulare - ma credo di avere
qualcosa di suo, così come lei ha qualcosa che appartiene a me…
Oh,
esclamò lui, tirando fuori dalla tasca l'altro telefonino. Sono
identici. Deve averli scambiati quando ci siamo scontrati. Grazie
mille, comunque - le restituì il suo apparecchio. Sarebbe stato un bel
problema perderlo.
Già,
prima le hanno telefonato, così ho saputo come si chiamava…
Grazie
- ripeté lui, guardandola in faccia per la prima volta. Alla luce di un
lampione, notò che era decisamente carina, con una massa di capelli
rossi che le arrivavano fino alla vita ed una piccola bocca carnosa.
Era stretta in un trench di pitone silver troppo leggero per quel
settembre newyorkese.
Doveva
andare via, ma esitò un istante.
Gwen
lo colse.
Lei
è un poliziotto, giusto? disse, sorridendo.
Perché?-
rispose lui.
Fantastico!
replicò la ragazza - quindi non è né un serial killer, né uno
stupratore…
Beh,
in effetti…no… disse Mac, con un impercettibile sorriso. Non capiva
dove volesse arrivare.
Fantastico!
ripeté lei. Allora è la persona giusta per accompagnarmi a bere
qualcosa stasera…
Lui
fece una smorfia imbarazzata, che voleva dire "non se ne parla nemmeno".
Andiamo,
agente…insisté lei…la mia migliore amica mi ha dato buca proprio la mia
prima sera a New York…io non conosco nessuno in città e non ho nessuna
voglia di andare a dormire. E poi, sono da sola e le strade di New York
sono pericolose per una ragazza sola…
Veramente
io…lui esitò ancora, evidentemente sulle spine.
Fantastico!
disse Gwen per la terza volta, prendendolo sotto braccio come se lo
conoscesse da una vita. Offro io!
Capitolo 2
Fu
bruscamente svegliato da uno squillo familiare. Aprì gli occhi, ancora
intontito da un sonno insolitamente profondo, e cercò il maledetto
cellulare nella penombra di una stanza che non conosceva.
La
luce alta del giorno filtrava appena dalle tende tirate.
Doveva
essere dannatamente tardi.
Taylor
- rispose, una volta trovato l'apparecchio, che era sul pavimento,
nascosto da una pila di vestiti appallottolati.
Cercò
di rendere la sua voce il più normale possibile, ma Danny, che l'aveva
chiamato, capì subito che il suo capo si era appena svegliato e, data
l'ora, la cosa lo sorprese non poco.
Tutto
ok, capo? - gli chiese, temendo che avesse avuto qualche problema; per
come lo conosceva, solo qualcosa di veramente grave lo avrebbe tenuto
lontano dall'ufficio fino a quell'ora.
Tutto
ok - disse lui sbrigativo. "Magnificamente" avrebbe voluto rispondergli.
Mentre
ascoltava il suo agente che gli descriveva brevemente l'ennesimo
delitto commesso durante la notte dal serial killer soprannominato
l'Incisore e gli spiegava dove si trovava il cadavere, non poté fare a
meno di guardare la ragazza. Giaceva sul letto sfatto, ancora
profondamente addormentata, a faccia in giù e coperta solo dai lunghi
capelli rossi. Senza alcun dubbio uno spettacolo migliore di quello che
avrebbe avuto di fronte tra poco…
Arrivo
subito - disse a Danny, chiudendo la comunicazione.
Si
vestì più velocemente che poté, consapevole di essere in ritardo e
cercando a tentoni i suoi abiti sparsi dappertutto per la camera.
Nell'uscire, urtò qualcosa e il rumore destò Gwen, che sollevò la testa.
Ehi!
- gridò vedendo che l'uomo stava uscendo di corsa.
Aspetta,
aspetta! - strillò e scosse le manette che ancora le legavano il polso
destro alla spalliera del letto.
Troppo
tardi. Era già fuori la porta e non la sentì.
"Questa
non ci voleva…" pensò Gwen "e ora come faccio?"
Beh,
in qualche modo se la sarebbe cavata, come sempre. Con la mano libera,
si tirò il cuscino sulla testa, cercò una posizione comoda e si
riaddormentò all'istante.
Era
esausta. Aveva sulle spalle venti ore di volo ed una nottata piuttosto
faticosa…
**********
Mentre
guidava a tutta velocità la sua auto verso la scena del crimine, il
detective Mac Taylor sperava ardentemente che nessuno dei suoi colleghi
notasse che aveva indosso gli stessi abiti del giorno prima, la barba
un po' lunga ed i capelli leggermente spettinati. Cercò di sistemarsi
alla meglio guardandosi nello specchietto retrovisore, ma la situazione
non migliorò granché.
Decisamente,
aveva bisogno di una doccia.
Ma
avrebbe dovuto attendere, adesso c'era un altro crimine che meritava la
sua completa attenzione.
Appena
il detective Don Flack - che poteva vantare un'esperienza in campo
femminile sicuramente superiore alla media - vide arrivare il suo
amico, non poté non riconoscere al primo sguardo quell'aria
inconfondibile, tra lo stravolto e il soddisfatto, e quell'aspetto un
po' stropicciato…
"Ma
guarda un po'…" disse tra sé e sé "Questa proprio non me la aspettavo…"
Moriva dalla voglia di fargli qualche domanda, ma sapeva che non era
quello il momento adatto. Però, alla prima occasione, avrebbe
soddisfatto la sua curiosità. Eccome se l'avrebbe fatto.
**********
Quella
volta toccava a Stella aspettare, ma l'aveva messo in conto e, in
fondo, sapeva di meritarselo.
Era
riuscita ad organizzare quel pranzo con Gwen nel loro ristorante
preferito, da Sushi Samba sulla Settima, ed ora sperava che la sua
amica non fosse troppo in collera per il bidone della sera prima.
Quando
la vide arrivare, notò che, per fortuna, non sembrava assolutamente
imbronciata.
La
sua prima impressione fu confermata dall'entusiasmo con cui
l'abbracciò. Era felice di vederla e si capiva.
Lei
e Stella erano diventate amiche sui banchi di scuola: sebbene
diversissime nell'aspetto e nel carattere, avevano praticamente vissuto
in simbiosi fino al college. Per quanto Stella era seria, affidabile,
tenace, altrettanto Gwen era esuberante, incasinata, incostante.
Anche
un po' stronza, a volte.
Ovviamente,
si erano adorate subito.
Poi,
all'università, ciascuna di loro aveva preso la sua strada e, per forza
di cose, la vita le aveva allontanate. Nonostante ciò, tutto quello che
avevano condiviso costituiva ancora un legame profondissimo ed ogni
occasione di incontro era per loro una specie di festa.
Ehi,
sei in gran forma! - la salutò Stella - sembra che per te il tempo non
passi mai…
E
tu? - le rispose l'altra sfiorandole il braccio - ogni volta che ti
vedo diventi sempre più affascinante!
Spettegolarono
un po'. Il pranzo scivolò via dolcemente.
Ad
un tratto Gwen chiese a bruciapelo a Stella: e allora, come va col tuo
"cavaliere oscuro", qualche passo avanti?
Chiaramente
si riferiva al collega di cui Stella le aveva parlato a volte - il suo
capo tenebroso e, secondo lei, tremendamente triste - che le faceva
batter il cuore ormai da anni. Non ricordava se le avesse mai detto il
suo nome e, in fondo, non le importava molto di saperlo. Quello era
l'unico argomento che mettesse in difficoltà la sua amica e lei si
divertiva a prenderla un po' in giro. Per Gwen era solo "il suo
cavaliere oscuro".
No
- Stella scosse la testa con un mezzo sorriso - nessun passo avanti.
Ma,
insomma - fece Gwen sbuffando - deve essere un vero imbecille per non
accorgersi di te! Mi piacerebbe conoscerlo, sto' tipo…
Non
è questo, è che…è complicato… Stella non completò la frase.
In
imbarazzo, cambiò bruscamente argomento.
Piuttosto,
dimmi, com'è andata la tua serata di ieri, devo sentirmi molto in
colpa? - chiese all'amica.
Ah,
Ah…- fece l'altra, facendo segno di non col dito. Si chinò verso la
poliziotta e, scostando appena l'alto bracciale borchiato che portava,
le mostrò la leggera abrasione che aveva sul polso destro.
Stella
non capì subito.
Vuoi
dire che sei stata arrestata?! - le chiese, incredula.
Beh,
in un certo senso…ribatté l'altra con un sorriso eloquente.
Ah.
Fece Stella, che ora aveva compreso.
Scoppiarono
a ridere all'unisono.
Stella
si sporse verso di lei ridacchiando. Ora hai tutta la mia attenzione…le
disse.
Gwen
cominciò a raccontare.
…e
dopo due ore aveva già dato un nome ai miei seni… disse a un tratto.
Stella rise ancora. Poi la interruppe: Ma come cavolo si chiama sto'
pazzo scatenato? Se è un mio collega magari lo conosco…
Lei
aprì la bocca per rispondere.
In
quell'istante, lo squillo del cellulare di Stella la bloccò. La
poliziotta si alzò da tavola e rispose, facendole con la mano segno di
aspettare. Parlò pochi secondi.
Mi
spiace - disse, prendendo la borsa e il soprabito dalla sedia. Gwen
notò che l'amica aveva già cambiato espressione - c'è stata
un'emergenza in laboratorio e devo correre…comunque sono stata felice
di vederti!
Va
bene, va bene… ti ho già sottratta per troppo tempo al tuo amato lavoro
- sospirò. La trattenne per darle un bacio sulle guance.
Però
- concluse Stella - mi devi raccontare tutto tutto, e la prossima volta
non ci saranno interruzioni…
Gwen
le sorrise un'ultima volta. Guardandola andare via con passo svelto, si
sedette di nuovo a tavola a finire il suo terzo Cosmopolitan. Ripensò
con tenerezza alla sua amica. Era una persona meravigliosa, forte ed
onesta.
Sapeva
che, nonostante la lontananza e le scelte diverse, ci sarebbero sempre
state l'una per l'altra.
Non
dimenticava come le era stata accanto nel momento più difficile della
sua vita, anni prima, quando una grave malattia l'aveva quasi uccisa.
Da
allora, aveva deciso di godersela, senza alcun rimpianto né esitazione.
Non
si sarebbe fermata per niente e nessuno, almeno fino a che la vita non
le avesse inviato un altro segno.
**********
Era
ormai tardo pomeriggio quando Mac riuscì finalmente ad andare a casa.
Sotto
il getto tiepido della doccia, cominciò a rilassarsi e lasciò che il
pensiero tornasse alla notte precedente.
Decisamente,
rifletté, una cosa del genere non gli era mai capitata, nemmeno quando
era al college. Da anni si considerava una persona seria, affidabile,
con la testa sulle spalle…non tipo da avventure di una notte, per
intendersi.
Poi
era arrivata Claire, e la sua vita aveva preso una direzione diversa.
Almeno fino a quel maledetto giorno…ne scacciò via il pensiero, che
come sempre lo aveva turbato.
Perciò,
per lui era ancora più strano essersi lasciato travolgere in quel modo.
"L'unico
motivo per cui ho sempre desiderato andare a letto con un poliziotto"
ricordò quello che la ragazza gli aveva detto con aria maliziosa
infilandogli una mano sotto la giacca e tirando fuori le manette di
ordinanza "è sapere cosa si prova con quelle vere…"
Il
ricordo gli provocò un intenso brivido.
Poi,
improvvisamente, la sua mente fu attraversata da un pensiero:
"Dannazione, le manette!" se ne era completamente dimenticato. Per
quanto ne sapeva, lei poteva essere ancora in hotel, imprigionata alla
spalliera del letto…
Vestitosi
alla velocità della luce, corse all'albergo.
Con
notevole sorpresa, scoprì che era uscita alcune ore prima per un
servizio fotografico a Coney Island. In quel momento, apprese due cose
di lei che non sapeva ancora: il suo cognome e che faceva la fotografa.
"Avrei
dovuto scommetterci" pensò "una così riesce sempre a trarsi d'impaccio".
Comunque,
doveva riprendersi quei dannati aggeggi.
Mancava
ancora un po' al tramonto quando Mac riuscì a trovare il set a Coney
Island: si trattava di un servizio di moda maschile. Tre modelli,
giovanissimi ed efebici, erano strizzati dentro improbabili tute di
pelle in colori fluo. In piedi sul pontile, sembravano fronteggiarsi
con aria di reciproca sfida.
Gwen
era in piedi davanti a loro, assorta, con la macchina fotografica in
mano. Portava un chiodo nero zippato ed una mini di chiffon svolazzante
con teschi stilizzati. La guardò qualche istante andare da una parte
all'altra del pontile, gesticolare. Osservò le movenze flessuose delle
lunghe gambe color miele.
Alla
fine, facendosi coraggio, la chiamò.
Lei
si voltò, guardò dalla sua parte riparandosi con la mano gli occhi da
un raggio di sole obliquo che l'aveva abbagliata, impedendole di
riconoscerlo subito.
Appena
capì che era lui, gli sorrise, per nulla infastidita dall'interruzione.
Bene
ragazzi - disse ai tre - cinque minuti di pausa e, mi raccomando, non
respirate troppo!
Gli
andò incontro; sembrava autenticamente sorpresa di vederlo lì.
Ciao!
- disse infatti con semplicità - non pensavo di rivederti così presto…
Lui
era in imbarazzo. Prima che potesse dire una sola parola, si avvicinò
loro un giovanotto elegantissimo - ciuffo biondo vistoso, andatura
dinoccolata ed una cartellina sotto il braccio. Evidentemente deciso a
curiosare.
Tutto
bene, Gwen? - chiese alla ragazza mentre squadrava Mac da capo a piedi,
non riuscendo a capire cosa ci facesse lì quel tipo, che sembrava un
poliziotto lontano un miglio.
Si
Si, Zach, grazie… và pure - gli rispose lei - riprendiamo subito. Con
un movimento degli occhi gli fece capire che doveva andarsene. E lui se
ne andò, a malincuore e non prima di avere indugiato più di un istante
sul sedere dell'uomo che, invece, non si era accorto di niente.
Gwen
prese Mac per mano. Si allontanarono si qualche passo. Improvvisamente,
lei gli si avvicinò. Gli parlò all'orecchio, nascondendo la bocca con
una mano.
Hai
la pistola, vero? Bisbigliò, con aria esageratamente preoccupata.
Lui
annuì, senza capire esattamente la sua allusione.
Uff…lei
trasse un sospiro di sollievo e lui, d'improvviso, di rese conto che lo
stava prendendo in giro.
Sorrise.
Lei ricambiò il suo sorriso.
Per
qualche istante l'imbarazzo che aveva provato appena l'aveva rivista si
era dissolto.
Allora…come
mai sei qui? - gli chiese la ragazza.
Lui
esitò un istante.
Veramente…credo
che tu abbia qualcosa che mi appartiene…le disse, senza guardarla negli
occhi.
Gwen
aveva capito immediatamente, ma fece finta di pensarci su qualche
secondo, giusto il tempo di metterlo completamente in imbarazzo…
Vuoi
dire, oltre a qualche miliardo di…L'espressione di Mac le impedì di
completare la frase.
Lui
tentò un sorriso, ma era drammaticamente sulle spine.
No,
davvero…continuò.
Lei
si rese conto che era ora di smetterla.
Aaah…
certo, ora capisco - fece Gwen mettendo una mano sul fianco. Assunse
un'espressione un po' incavolata.
Certo
che hai un bel coraggio a venire fin qui per riprenderti le tue dannate
manette! - proseguì - se fosse stato per te a quest'ora sarei ancora
legata a quel letto!
Mi
dispiace…azzardò lui. Ma, a proposito, come hai fatto a … le chiese.
Beh
- rispose lei - diciamo che il fattorino dell'hotel avrà un'altra
storia interessante da raccontare… Comunque, non le ho con me. Le ho
lasciate in albergo.
Anzi,
ora scusami, ma devo terminare il servizio prima che la luce cambi
completamente.
Prima
che Mac riuscisse a dire altro, se ne andò, lasciandolo con un palmo di
naso.
**********
Quella
sera, tornato in ufficio, il detective Mac Taylor non riusciva a
concentrarsi.
Confuso,
pensava e ripensava alla situazione, cercando di fare chiarezza dentro
di sé.
Senza
dubbio, sarebbe stato molto più sensato chiuderla lì.
Per
quanto ne sapeva, lui e quella ragazza non avevano assolutamente niente
in comune.
Avevano
solo condiviso piacevolmente qualche ora, ma era evidente che sarebbe
stata una relazione senza
In
effetti, dopo Claire, tutte le sue relazioni - non molte, in verità -
erano cominciate in maniera completamente diversa: era partito da un
rapporto di amicizia e poi, gradualmente, aveva consentito ad un'altra
donna di entrare nel suo mondo.
Tuttavia,
si rendeva conto che tutte queste cautele non gli avevano evitato di
soffrire…
Sospirò,
guardando la pila di rapporti che, sulla scrivania, attendevano la sua
firma.
Aveva
deciso, non l'avrebbe rivista.
E
al diavolo quelle maledette manette.
Capitolo 3
Era
parecchio tardi quando, quella sera, il detective Mac Taylor, dopo una
lunga giornata di lavoro (con qualche interruzione…), varcò per la
terza volta la soglia dell'hotel Giraffe, a Park Avenue.
Salì
al trentaquattresimo piano.
La
porta era socchiusa. Bussò ugualmente, ma non ebbe risposta.
Entrò.
Gwen
era in piedi, al buio. Lo stava aspettando.
O
forse, no.
A
braccia conserte, fumava una sigaretta e guardava fuori dall'ampia
vetrata, ove si stendeva, scintillante, il manto di luci di New York.
Aveva
addosso solo una corta vestaglia di seta bianca, che lasciava poco
spazio all'immaginazione. I capelli come sempre leggermente arruffati.
L'aria stanca.
Praticamente,
irresistibile.
Oh,
Oh - disse, quando lo vide entrare, spegnendo la sigaretta in un
bicchiere da cocktail pieno a metà che era sul davanzale. So che è
vietato fumare in questo hotel, ma mandare addirittura il capo della
Scientifica mi sembra un tantino esagerato!
La
sua frase gli strappò un sorriso. Ma rispose: Sono qui solo per
riprendere le manette… pensando che, probabilmente, non sarebbe più
riuscito a pronunciare la parola "manette" senza provare imbarazzo.
Già,
certo…disse lei, e, mentre le tirava fuori dal cassetto del comodino e
gliele porgeva, rifletté un istante: le stava mandando segnali
decisamente contraddittori… da quel pochissimo che sapeva di lui, le
sembrava un uomo intelligente, che faceva un lavoro complicato ed era
abituato a prendere decisioni rapidamente.
Possibile
che, in questo caso, gli risultasse tanto difficile ammettere che era
tornato lì soltanto perché desiderava rivederla?
Fece
un altro tentativo.
Allora…
- gli disse in tono allegro - che si fa? Sono tornata da poco, mi
faccio una doccia ed usciamo, oppure mi faccio una doccia e NON
usciamo…gli propose maliziosa, accentuando la parola "non".
No,
davvero - ribatté Mac, sulle spine - sono tentato, ma non credo sia il
caso. E poi domattina devo svegliarmi prestissimo…
La
ragazza sorrise; imprevedibilmente, quell'uomo le stava dando del filo
da torcere.
Meglio
così: sarebbe stato tutto molto più interessante.
"Comunque"
- pensò divertita - "se vuole la guerra… guerra sia".
Gwen
scosse la testa e gli si avvicinò senza dire una parola.
Gli
prese delicatamente i risvolti della giacca e, fissandolo, lo attirò a
sé.
Avvicinò
il viso al suo. Ormai era vicinissima. Mac poteva sentire distintamente
il profumo della sua pelle, il suo respiro tiepido.
Ascolta
- gli disse con dolcezza - io volevo solo rallegrarti la serata, ma non
posso farci niente se per te è più importante essere perbene che
essere…felice.
Senza
dargli il tempo di replicare, si allontanò da lui.
Buonanotte
- gli disse e il suo tono sembrava non tradire alcuna delusione.
Si
voltò e, con un solo gesto, fece scivolare a terra la vestaglia che,
senza rumore, cadde sul pavimento.
Andò
verso il bagno e chiuse la porta. Non a chiave.
"Niente
da fare" si arrese Mac, ancora una volta la sua bellezza e la sua
assoluta mancanza di pudore lo avevano travolto.
Quando
sentì il rumore dell'acqua della doccia, senza pensare spense il
cellulare, l'uomo si tolse la giacca e la seguì in bagno.
**********
Quella
volta il detective Don Flack aveva letteralmente inseguito il suo
collega fuori dal laboratorio. Non resisteva più alla curiosità.
Gli
si parò davanti a gambe larghe.
Mac
lo guardò con aria stupita.
Che
c'è, Don? - gli domandò. Il tono era sbrigativo, ma non sembrava
seccato.
Non
ti lascio andare finché non mi racconti cosa ti sta succedendo… replicò
l'amico.
"Dannazione"
- pensò Mac - " è proprio così evidente?". Scosse la testa con un
leggero sorriso.
Ecco!
- riprese Flack - non posso crederci, l'hai fatto ancora! Ma che
diavolo ti ha preso?
Lui
abbozzò. Non è che non voglia risponderti, Don…è solo che, onestamente,
non lo so neanche io. La verità è che, per la prima volta in vita mia,
non ho la minima idea di come sia iniziata questa cosa, né tanto meno
di come andrà a finire…gli disse, con semplicità.
Flack
era sbalordito, ma sapeva che l'amico non gli avrebbe raccontato altro
per quella volta.
Infatti,
lo salutò e salì in auto.
**********
Allora,
Gwen, ci vediamo sabato sera al Monkey Bar ? - chiese Stella all'amica,
in tono allegro.
Era
riuscita a chiamarla durante una pausa del lavoro.
Lei
esitò un istante. "Sabato" pensò. La sua ultima sera a New York, la
mattina dopo sarebbe ripartita.
Non
le andava di trascorrerla senza vedere Mac, ma non voleva nemmeno
deludere la sua amica. La quale continuò.
Dai…non
puoi mancare, ci sarà anche…Gwen capì e la interruppe, con tono
esageratamente meravigliato. No!Davvero?finalmente mi farai conoscere
il tuo "cavaliere oscuro"?come farai a trascinarlo in quel locale? beh,
allora stai sicura che ci sarò… - ridacchiò - non me lo perderei per
nulla al mondo!
Ok,
a sabato - rise Stella e chiuse la comunicazione.
Sola
in hotel, la ragazza si accese una sigaretta e, stesa sul letto, si
lasciò andare ai pensieri. Avrebbe comunque trovato il modo di vederlo,
nella sua ultima sera nella Grande Mela.
Poi,
Tokio e, fino all'anno successivo, sarebbe tornata al suo lavoro a
Vogue Japan.
O,
magari - rifletté - avrebbe potuto prolungare la sua permanenza in
città: la temibile Anna, chissà perché, l'aveva presa in simpatia e,
forse, insistendo un po', sarebbe riuscita ad ottenere qualche
contratto anche lì a New York, per Vogue America.
Sicuramente
sarebbe stato un salto nel buio, ma questo non la spaventava.
Di
sicuro non aveva voglia di partire.
Forse,
quella volta, aveva un buon motivo per restare.
In
perfetta sintonia con i suoi pensieri, in quell'istante Mac bussò alla
porta.
Senza
domande, senza troppe aspettative, seguendo unicamente il corso dei
loro desideri, avevano continuato a vedersi - ogni sera, ogni notte -
in quella lunghissima settimana.
La
seconda sera c'erano state risate.
La
terza, tenerezza.
La
quarta, confidenze.
La
quinta, ricordi.
Ad
un tratto, mentre era ancora sdraiata su di lui e teneva la testa
appoggiata sul suo petto, Mac si era tirato su a sedere e, guardandola
negli occhi, le aveva chiesto a bruciapelo: Perché non ti trasferisci
da me finché sei qui a New York? Mica puoi restare in questo albergo a
vita?
Lei
lo aveva fissato con aria interrogativa, ma senza riuscire a nascondere
l'emozione.
Dopo
un istante di silenzio, l'uomo era scoppiato a ridere.
Non
posso crederci - disse - sei rimasta senza parole, è un evento storico!
Lei
ormai si era ripresa e, cercando di guadagnare tempo, la buttò sul
ridere.
Ah,
allora l'hai detto solo per questo…rispose sorridendo.
Ma,
insomma - riprese in tono scherzoso - sei proprio sicuro? Sono
disordinata, ritardataria, sono una pessima cuoca…sei certo di volere
in casa una come me?
Mai
stato più sicuro… - ribatté lui.
E
poi non so cosa penserebbero i miei amici se sapessero che vivo con un
poliziotto!
Quindi
è questo il problema…ridacchiò lui.
In
quell'istante, il cellulare che Mac aveva appoggiato sul comodino
iniziò a squillare.
Lei
fu più veloce e lo afferrò, mentre lui cercare di toglierglielo e
rispondere. Dopo una breve lotta, Gwen riuscì rispondere per prima.
Pronto?
- disse con voce un po' affannata e soffocando una risata.
Dall'altra
parte, udì la stessa voce da brivido della prima sera dire: Allora,
detective Taylor, ti sei convinto a giocare con me?
Mi
dispiace, ha sbagliato numero - gli disse nuovamente la ragazza, che
non aveva alcuna voglia di essere interrotta.
Chiuse
la comunicazione e, spento finalmente l'apparecchio, lo restituì
all'uomo.
Avevano
un discorso in sospeso e, tuttavia, non parlarono ancora molto quella
notte.
**********
Stella
e Mac durante quella settimana avevano lavorato a sue casi diversi,
entrambi particolarmente complessi.
Così,
si erano visti di sfuggita ed unicamente per questioni di lavoro.
Eppure,
Stella aveva notato qualcosa di diverso nell'uomo: era come sempre
concentrato ma, ogni tanto, le sembrava perso nei suoi pensieri.
Pensieri
che, evidentemente, per ora non intendeva condividere con lei.
Come
aveva previsto la sua amica, aveva faticato non poco e dovuto fare
appello alla loro pluriennale amicizia per convincerlo ad uscire quel
sabato sera.
Ci
era riuscita ed ora si pregustava la serata ed i commenti spiritosi di
Gwen: lo avrebbe senza dubbio massacrato, ma in maniera adorabile…
**********
Quel
sabato sera, mentre andava all'appuntamento con Stella, Gwen cercava di
fare chiarezza nel tumulto del suo cuore. Partire? Restare? Magari
avrebbe chiesto consiglio alla sua amica, con la quale non era più
riuscita a scambiare due chiacchiere. Certamente la sua saggezza
l'avrebbe aiutata a decidere.
Ma,
probabilmente, lei non ne aveva più bisogno.
Entrò
nel locale, alla moda e molto affollato.
Si
guardò intorno, ma non riuscì subito a scorgere la sua amica. Così, la
chiamò al cellulare.
Stella
rispose con voce squillante. Si, siamo qui, vicino al bancone del bar!
Le disse.
Ok.
Riattaccò.
Guardò
nella direzione del bar.
Effettivamente,
vide Stella sorridente, in compagnia di un uomo, che era di spalle.
Quando
per un istante lui si voltò dalla sua parte, Gwen, nonostante le luci
soffuse, il rumore e la folla, capì immediatamente.
Le
mancava il respiro.
Si
appoggiò con le spalle ad un pilastro, cercando di nascondersi alla
loro vista e sperando che nessuno dei due l'avesse notata.
Com'era
potuto accadere? e per di più in una città di otto milioni di abitanti?
Non
riusciva a pensare lucidamente.
Di
tutte le cose folli e assurde che le erano successe, questa era di
certo la più incredibile. Quasi ridicola, se quella coincidenza non
avesse, di fatto, condannato tre persone all'infelicità.
Respirò
profondamente.
Ora,
era calma.
Aveva
preso la sua decisione.
Capitolo 4
Si,
aveva preso la sua decisione.
Senza
guardarsi indietro, senza dire nulla, Gwen si voltò ed uscì dal locale.
Due
ore dopo era sull'aereo per Sidney; non era riuscita ad anticipare il
volo per Tokio e non poteva aspettare: doveva al più presto mettere un
oceano tra lei ed il gran casino che aveva combinato a New York.
Prima
di partire, chiamò Stella, che era già tornata a casa, per scusarsi. Le
raccontò di un'emergenza ( "sai, anche nel frivolo mondo della moda può
esserci un'emergenza!" le aveva detto in modo scherzoso) e che aveva
dovuto anticipare la partenza di qualche ora. Fingendo un tono allegro,
le chiese come fosse andata la serata con il suo cavaliere; Stella le
rispose che era finita quasi subito, dato che lui sembrava avere una
gran fretta di andarsene…si salutarono con un "a presto".
Poi,
la ragazza spense il cellulare.
**********
Quando
Mac, quella notte, andò in albergo, apprese con stupore che Gwen era
partita già da qualche ora, in fretta e furia e senza preavviso, in
anticipo rispetto alla data stabilita.
Solo,
nella stanza che aveva diviso con lei in quella dannata settimana - e
che era ancora piena di loro - contemplò ancora una volta la sua vita
prendere una direzione inattesa.
Abbandonato.
Ancora
una volta, improvvisamente e senza il conforto di una spiegazione.
Come
con Claire.
Come
con Peyton.
Decisamente,
ora non si sentiva abbastanza forte per sopportarlo.
Cercò
di chiamarla, sebbene non sapesse esattamente cosa dirle.
Effettivamente,
la situazione era abbastanza chiara…d'altronde, come aveva potuto
aspettarsi qualcosa di diverso? Si era trattato di una parentesi. Era
stato un semplice diversivo, nulla di più.
Eppure…avrebbe
giurato di avere visto qualcosa di diverso nei suoi occhi.
Di
solito, lui riusciva sempre a capire quando qualcuno gli mentiva; i
suoi colleghi della Scientifica lo avevano imparato, in alcuni casi a
loro spese.
Nonostante
ciò, stavolta aveva sbagliato.
E
quell'errore gli stava costando maledettamente caro.
Lei
non gli rispose mai.
Lui
smise di cercarla.
**********
Nei
mesi che seguirono, Gwen cercò di riprendere il corso normale della sua
vita: era tornata a casa, aveva il suo lavoro, che tanto
l'appassionava, e poi c'erano le feste, gli amici, i corteggiatori.
Tuttavia,
le sue giornate erano segnate da una tristezza latente e le sue notti
insolitamente solitarie.
Per
carattere, aveva sempre preferito combattere, affrontare a viso aperto
il dolore; in quell'occasione, invece, il silenzio, la menzogna e
l'irrisolto la tormentavano.
Continuava
a sentire Stella regolarmente, chiacchierando come al solito del più e
del meno.
Non
osava chiederle di Mac. Cosa temeva di scoprire? Sarebbe stato meglio
sapere che lui era tranquillo, oppure che stava soffrendo ancora a
causa sua? e poi, doveva stare attenta a non destare sospetti…
Comunque,
si rendeva conto che pensarci significava solo continuare a tormentarsi.
La
ferita doveva rimarginarsi.
Ci
sarebbe voluto solo un altro po' di tempo.
Intanto,
aveva anche qualcos'altro che la preoccupava.
Da
qualche tempo, infatti, non si sentiva bene: era spesso stanca,
spossata, la mattina faticava ad alzarsi e, a volte, l'assaliva una
nausea violenta.
Col
terrore nel cuore, aveva anche smesso di fumare, ma la situazione non
era migliorata, anzi.
E
se la malattia fosse tornata? Stavolta era sola, non ci sarebbe stata
nemmeno Stella vicino a lei…probabilmente non avrebbe avuto la forza di
affrontare tutto di nuovo.
**********
Quella
mattina, aveva appena ritirato gli esiti degli esami, quando incontrò
il dottor Yoshimoto, il medico che la stava seguendo.
Lui
le sorrise in un modo che lei non capì.
Devo
parlarti - le disse, facendola accomodare nel suo studio.
Gwen
tremava. Cosa le avrebbe detto?
Ancora
una volta, tuttavia, nulla andò come se lo aspettava.
Con
un largo sorriso, il buon dottore le prese la mano.
Dottore…iniziò
lei e la sua voce era un sussurro.
È
incredibile - disse lui senza lasciarla - non avrei mai pensato che
potesse accadere, avevamo quasi escluso questa eventualità!
Fece
una pausa. Poi, vedendo che la ragazza non aveva ancora compreso: Sei
incinta! esclamò - non è fantastico?
Lei
per poco non svenne. Barcollò e davvero sarebbe caduta a terra, se il
medico non l'avesse sorretta.
Che
c'è? le disse l'uomo, facendola sedere. Non sei felice? Non sei di
nuovo ammalata…aspetti un bambino!
Felice…disse
lei in tono spento.
Non
mi sembra, eppure dovresti! Con quello che hai passato anni fa le
possibilità che succedesse erano pochissime. Inoltre…- proseguì lui,
guardandola negli occhi - io so quanto tu lo desiderassi…
È
vero - lei sorrise finalmente - lei mi conosce meglio di chiunque altro
da questa parte dell'oceano…
Tornò
a casa col cuore in tumulto, allo stesso tempo euforica ed assalita da
mille dubbi.
Ancora
una volta, la vita le chiedeva di scegliere e, ancora una volta, dalla
sua decisione sarebbe dipesa la felicità o l'infelicità delle persone
che amava: era certa solo di una cosa, non avrebbe rinunciato a quel
bambino per nulla la mondo.
Anche
a costo di affrontare tutto da sola. Di nascondere la verità, forse per
sempre.
Ci
pensò tutta la notte.
Si
sentiva strana, inquieta.
**********
All'alba,
prese il cellulare.
Prima
che potesse comporre il numero, l'apparecchio squillò.
Era
Stella. La sua voce tradiva una recente, violenta, emozione.
Stella,
che hai? chiese. Improvvisamente, ebbe un brivido che la costrinse a
sedersi sul letto.
Stella,
dall'altra parte, era ormai sull'orlo delle lacrime.
Che
cosa è successo? Ripeté. Adesso il terrore si stava impossessando di
lei.
Cosa
è accaduto a Mac? Chiese, per la terza volta. Fu imprudente, ma non
riusciva ad essere del tutto lucida.
Per
fortuna, rifletté poi, Stella doveva essere troppo sconvolta per notare
quel dettaglio.
Lui…
finalmente la detective riuscì a parlare - c'è stata una sparatoria…lui
è rimasto ferito, i medici non sanno se riuscirà…Stella si interruppe,
ma ormai Gwen aveva capito.
Senza
sapere bene come, fu in grado di mormorarle qualche parola di conforto,
di infonderle speranza.
La
tranquillizzò al punto che Stella, rasserenata, la ringraziò e chiuse
la telefonata.
"Ecco"
- disse Gwe tra sé e sé - "mi sono illusa di poter decidere da sola e,
invece, di nuovo la vita ha deciso per me".
Rifletté
brevemente.
Aveva
una cosa da fare, decise, ed anche al più presto.
**********
Chi
può descrivere l'angoscia che visse Gwen durante le lunghissime ore del
volo che la portava a New York? Senza poter avere notizie, senza sapere
se avrebbe trovato Mac vivo o morto. Senza sapere cosa avrebbe
raccontato a Stella, né come lei avrebbe reagito.
Quando,
finalmente, giunse in ospedale, vide Stella seduta in una piccola sala
d'attesa. Aveva gli occhi umidi e il viso pallido quasi scompariva tra
i ricci scomposti.
Evidentemente,
erano ore che vegliava, in attesa di notizie.
Quando
vide entrare Gwen per poco non cadde dalla sedia per la sorpresa.
Le
andò incontro e l'abbracciò forte.
Non
posso crederci! disse - Sei venuta fin qui per starmi vicino, sei la
migliore amica che io potessi desiderare!
Come
sta? le chiese Gwen, sciogliendosi da quell'abbraccio che le sembrava
una bestemmia.
Non
ci hanno ancora detto nulla…rispose Stella, abbassando lo sguardo.
Ma
- riprese - ora che tu sei qui con me sono certa che andrà tutto bene!
Le
rivolse un sorriso, il primo da molte ore.
Non
posso crederci - ripeté - ti sei fatta venti ore di volo per me… cercò
di abbracciarla di nuovo.
Gwen
arretrò di un passo e Stella la guardò con aria interrogativa.
Aspetta…le
disse l'amica - non è come credi, devo dirti una cosa…
Ascolta…proseguì,
prendendole le mani.
Si
sedettero entrambe.
Lei
cominciò a parlare. Stella ascoltava senza un fiato.
Quando
Gwen finì, mentre la notte cedeva il passo ad un'alba livida, le due
donne rimasero in silenzio.
Tra
loro era calato un gelo opprimente.
Sedevano
a pochi centimetri di distanza, in attesa. Eppure, in tutta la loro
vita, non erano mai state più lontane.
Stella
era rimasta letteralmente senza parole…non avrebbe immaginato una cosa
del genere, mai, nemmeno nelle sue più folli fantasie. Rifletté:
possibile che lei lo avesse fatto di proposito, unicamente per farla
soffrire? Fino ad una mezz'ora prima avrebbe messo la mano sul fuoco
sulla lealtà di Gwen, ma ora…
Credimi…disse
lei, come se le leggesse nella mente - io non avrei mai voluto
ingannarti o tradirti…è accaduto, è stata un'assurda coincidenza…
Stella
la guardò in faccia ed all'istante si rese conto che le stava dicendo
la verità.
"Fantastico"
- pensò - "ora non la potrò neanche odiare a mio piacimento!". Anzi,
capiva che la sua amica, pur se in un modo discutibile, aveva cercato
di proteggerla, di risparmiarle un dolore.
"Eppure,
avrei dovuto cogliere i segnali del passaggio dell'uragano Gwen" -
considerò, con amara ironia, ricordando l'atteggiamento di Mac nei mesi
appena trascorsi. Tuttavia, c'era qualcosa che ancora non le quadrava…
Una
coincidenza? Le rispose la poliziotta. In lei la rabbia aveva ceduto il
passo alla tristezza. Beh, se proprio vuoi saperlo, gli hai spezzato il
cuore! stargli accanto in questi mesi è stato un inferno…per tutti noi.
Mi
dispiace di avere mentito…lei fissava il pavimento. Sono andata via
senza una spiegazione, sperando che tutti e due saremmo riusciti a
dimenticare, ad andare avanti…non l'avreste mai saputo…non avrebbe mai
turbato il vostro rapporto o la nostra amicizia…
E
allora - ribatté Stella, scattando in piedi - allora perché venire qui
adesso? Cos'altro c'è? sei innamorata di lui?
Lei
esitò un istante.
Sono
incinta - disse poi, in un soffio - l'ho saputo proprio poco prima che
tu mi telefonassi. All'inizio mi ha preso il panico, non sapevo cosa
fare…forse non gliel'avrei mai detto, oppure avrei aspettato di essere
certa che tutto andasse bene.
Poi,
dopo avere parlato con te, mi sono resa conto che non avrei potuto
tenermi dentro questo segreto… se fosse morto senza sapere, se non
fossi riuscita a dirglielo, non me lo sarei mai perdonato.
E
poi, forse, dentro di me ho pensato che saperlo lo avrebbe aiutato a
lottare.
Capisci,Stella?
anche Gwen si alzò. Ora erano l'una di fronte all'altra, in silenzio.
Ma
com'è possibile? riprese Stella dopo un po' - io ero con te quando i
medici ti dissero che, a causa della malattia, quasi certamente non
avresti mai potuto avere figli?
Già…
- rispose Gwen – è stato una specie di miracolo…del resto, tutto in
questa storia è stato inaspettato…e sconvolgente…
**********
In
quel momento, un dottore sulla cinquantina entrò nella stanza e si
diresse verso di loro. Stella gli andò incontro.
Sta
meglio - disse l'uomo, e le sue parole furono come un sorso d'acqua per
un uomo che stesse per morire di sete.
Gwen
prese la mano di Stella e la strinse forte.
Ha
ripreso conoscenza. Ce la farà.
Possiamo
vederlo? chiese la detective.
Si
- rispose il medico - ma per ora è meglio che entri solo una persona e
per pochi minuti…
Lo
chiamarono al cercapersone e lui, scusandosi, uscì.
Le
due donne, rimaste sole, si guardarono.
Le
loro mani si sciolsero.
Il
sollievo le aveva avvicinate solo per un istante.
Gwen
fece un passo indietro.
A
questo punto, Stella, inaspettatamente, la prese per un braccio e, con
delicatezza, la spinse verso la porta.
Vai
tu…le disse - hai molte cose da dirgli…
Gwen
non riuscì a dire niente, ma il suo sguardo fu eloquente.
Uscì.
Mentre
apriva la porta della camera dove giaceva l'uomo, si sfiorò il grembo,
appena appena arrotondato.
Non
sapeva come sarebbe andata a finire. Non c'era nessuna garanzia che tra
loro le cose sarebbero andate bene.
Ma,
per la prima volta dopo molto tempo, il suo cuore era pieno di speranza.
**********
Attraverso
il vetro il detective Stella Bonasera osservò tutta la scena.
Sapeva
che le avrebbe fatto male, ma non aveva resistito alla curiosità.
Anche
se non riusciva a sentire ciò che si dicevano, fu facile leggere sul
viso di Mac le emozioni che si susseguirono rapidamente. Sorpresa,
rabbia, dolore.
Lei
parlava senza riuscire in alcun modo a nascondere ciò che provava. Non
ricordava di averla mai vista così coinvolta.
Poi,
ad un tratto, Gwen si sedette sul letto, accanto a lui. Sempre
parlando, gli posò una mano sul viso. Lui la trattenne.
Ora
tacevano entrambi.
Si
guardavano, visibilmente commossi.
"Ecco
fatto" - pensò Stella - "gliel'ha detto".
Ora
era proprio finita.
Incapace
di guardare oltre, si voltò ed appoggiò la schiena alla vetrata.
Le
braccia conserte, sospirò.
Sapeva
che non sarebbe più stata la stessa cosa. Mai, per nessuno di loro tre.
La
vita che aveva conosciuto in quei sei anni era finita,
irrimediabilmente.
Sospirò
di nuovo.
Poi,
rialzò lo sguardo.
Doveva
andare via. Aveva bisogno di un cambiamento radicale.
"E
poi" - pensò, riconsiderando un'opzione che fino a qualche ora prima
aveva escluso senza esitazioni - "New Orleans deve essere una città
incantevole".
FINE