Ambientazione: Questa shot è ambientata nel libro “L’armata perduta”, segnatamente dopo la battaglia di Cunassa in cui Ciro perde la vita.
Note: Amo quasi tutti i romanzi scritti da Manfredi, ma alcuni mi sono entrati dentro più di altri. È il caso de “L’armata perduta”. Il viaggio dei diecimila di Sefonte narrato non dalla voce parziale dello scrittore, ma dagli occhi curiosi e profondamente critici di una ragazza barbara che abbandona la sua casa e la sua famiglia per seguire un giovane soldato straniero che le offre la possibilità di vivere una grande avventura. Nella prima parte Xeno (come Abira, la protagonista, chiama il suo amato Senofonte) sembra innamorato davvero di lei, anche se alcune volte mostra tutta la propria mentalità greca che considera i barbari e le donne esseri inferiori (ma quale popolazione antica non aveva una simile concezione?), ma durante la marcia di ritorno dimostra tutta la sua personalità cinica e calcolatrice, meschina. Alla fine, quando ormai sono ritornati in territorio greco, Xeno abbandona Abira senza pensarci due volte, senza alcun rimorso né riguardo per tutto quello che ha patito e fatto per lui. Ma, perché un ma c’è, tra tutti spicca la figura di un altro condottiero: Menon di Tessaglia. Tanto bello e vanitoso, quanto feroce e sanguinario. All’inizio sembra soltanto voler provocare Abira, ma è lui che la salva nell’anonimato quando Xeno ormai l’ha abbandonata, che la segue e la protegge silenziosamente. Fino al romantico finale dell’avventura…. La coppia formata da Menon e Abira mi è piaciuta tantissimo fin da subito e la mia shot parla proprio dell’amore silenzioso del nostro condottiero tessalo. È solo un tentativo, un modesto tentativo di indagare nei sentimenti dell'affascinante Menon *ç* ma di sicuro c’è la mia buona volontà!
Ringraziamenti: Ringrazio chiunque leggerà e commenterà.
Adesso vi lascio alla lettura, alla prossima gente ^___^



Nel cuore della belva



Il corpo di Melissa si inarca sopra il mio strappandomi un profondo ansito di piacere.
La sua pelle perfetta di cortigiana reale scivola sotto le mie dita come avorio, i suoi lunghi capelli biondi descrivono un arco nell’aria catturando e riflettendo i bagliori argentei della luna. Porto le mani dalla curva della sua schiena ai fianchi morbidi e rotondi, per spingerla maggiormente contro di me.
Una dea che si è concessa a un essere umano.
Non sono uno sciocco, io. So benissimo che lei si è data a me per ottenere la mia protezione, che solo sotto la mia tutela è al sicuro. Prima era difesa e rispettata perché apparteneva all’harem del principe Ciro, ma ora, dopo la sua morte, è diventata una preda pregiata senza padrone. Una donna bella come una dea, sola, senza protettore, è un libero territorio di caccia per ogni soldato di questo esercito, chiunque potrebbe avanzare pretese su di lei. Melissa semplicemente ha scelto il più forte, il più temuto tra tutti per sopravvivere. Senza di me sarebbe come un coniglio in mezzo ad un branco di cani da caccia, perché sia i Greci che i Persiani hanno imparato a temermi, conoscono perfettamente quanto implacabile sia la mia ferocia e la mia sete di sangue. Tutti hanno visto come ho distrutto la città di Tarso da solo, con l’unico ausilio dei pochi soldati che formano le mie truppe: al tramonto la nera Chera banchettava allegramente con il tributo di morti che le avevo concesso, mentre il mio mantello candido risplendeva sotto la luce del sole morente del sangue che avevo versato in battaglia.
Chi sarebbe così pazzo da mettere le mani su qualcosa che appartiene a Menon di Tessaglia? Chi sarebbe così pazzo da provocarmi e sfidarmi, ben sapendo quale destino lo attende?
Ascolto i suoi sospiri sciogliersi lascivi nell’aria, mentre un’ondata di piacere mi squassa completamente.
Anch’io sto approfittando di lei.
Entrambi usiamo l’altro per ottenere quello che altrimenti non potremmo mai avere, annegando in questo piacere per non pensare, per dimenticare quello che si è perso o non si avrà mai.
Con un colpo di reni inverto le nostre posizioni, troneggiando su di lei, bloccandole i polsi ai lati del capo. Per un istante mi soffermo sul suo volto e, nella luce sfumata della notte, scorgo altri lineamenti sostituirsi ai suoi. Vedo i suoi capelli tingersi di nero, i suoi occhi d’ambra diventare scuri baratri senza fondo. I suoi lineamenti perdono quell’irraggiungibile bellezza divina diventando quelli di una comune donna mortale, ma più dolci e invitanti, le sue labbra rimpiccioliscono assumendo un taglio pieno e sensuale, e il colore del succo del melograno maturo.
Osservo quel volto incantevole che sembra impresso a fuoco dentro di me e subito sento il sangue incendiarsi, l’eccitazione salire vertiginosamente. Con un ringhio ferino che mi vibra tra i denti, affondo violentemente nel corpo di Melissa, immaginando di prendere un altro corpo, strappandole un grido.
Serro le palpebre e digrigno i denti. Nel buio della mia mente vedo delinearsi montagne a strapiombo che risplendono dei riflessi insanguinati del tramonto, ai loro piedi si snoda una piccola vallata occupata da piccoli villaggi tutti ugualmente poveri e miserevoli. Il vento mi porta ancora l’odore di sabbia e miseria di quei luoghi. Vedo delinearsi un pozzo circondato da dodici palme e una ragazza dai lunghi capelli neri dirigersi svelta verso di esso con un’anfora sulla testa. La tunica misera e logora non riesce a celare il suo corpo flessuoso e armonioso, l’ondeggiare dei suoi fianchi mi ipnotizza. Nascosto tra le palme la osservo mentre, con i movimenti inconsapevolmente languidi di una ragazza appena diventata donna, attinge l’acqua. Il vento romba sulle cuspidi delle montagne e lei volge la testa permettendomi di vedere il suo volto splendente, le labbra piene appena schiuse e i grandi occhi neri, contro il cielo rosso del tramonto, circondato da ciocche nere che danzano leggere nel vento.
Bellissima. Semplicemente bellissima.
Se solo fossi arrivato per primo in quel misero villaggio…
Di sicuro non sarei costretto a vederla tra le braccia di quello scrittore da quattro soldi! Non sarei costretto a contare i suoi sospiri la notte, a distogliere lo sguardo dalla sua tenda, ad annegare nel corpo di un’altra donna per non dover pensare che quell’Ateniese sta facendo a lei la stessa cosa.
Come fa a non rendersi conto di che uomo meschino e calcolatore sia? L’amore può averla accecata fino a questo punto? Mi domando cosa ne sarà di lei quando, concluso questo maledetto viaggio, lui l’abbandonerà a se stessa, sola e disonorata, per ritornare senza alcun rimorso in patria…
Blocco i polsi Melissa sulla stuoia ai lati della testa, il mio movimento in lei è feroce, un disperato scavare per cercare ciò che non posso avere…
Melissa urla sempre più forte, ma è un’altra la voce che vorrei sentire mescolarsi alla mia. Vorrei un altro odore sulla pelle e un altro sapore sulle labbra.
Molte volte in passato sono stato preda della passione, quasi non riesco a ricordare quanti siano le fanciulle e i giovinetti che ho posseduto, ma mai mi sono ritrovato avvinto così totalmente nelle trame di Afrodite. Come è riuscita Abira a penetrare dentro di me così profondamente da toccare corde del mio animo che nemmeno credevo di possedere, a suscitarmi sentimenti che mai avrei pensato di poter provare.
Melissa si inarca profondamente sotto di me, mentre allaccia le gambe ai miei fianchi e geme gettando la testa indietro. Mi abbasso su di lei e le mordo la gola, iniziando a perdermi in questo piacere con la speranza che mi stordisca abbastanza da permettermi di non pensare a lei per un po’. Il solo pensiero delle mani e delle labbra di quello scribacchino che, in questo stesso istante, stanno percorrendo la sua pelle ambrata mi è insopportabile!
Sento la rabbia e la frustrazione rinfocolarsi dentro di me, sconvolgermi i sensi già offuscati dal piacere e gettarmi completamente nel caos. Soltanto l’ottundimento dell’orgasmo mi impedisce di dilaniare a mani nude il corpo di Melissa.
Ansimando mi allontano da lei e mi distendo supino sulla stuoia, non sopportando più alcun contatto tra di noi. Sospiro e mi copro gli occhi con un braccio. Improvvisamente tutto questo mi sembra avvilente, inutile. Solo Abira potrebbe dare un senso a tutta questa follia.
Avverto il corpo di Melissa stendersi al mio fianco e le sue mani iniziano a blandirmi, scivolando in lente e morbide carezze sul mio torace. Io resto immobile: ora che tutto è finito, che il mio fisico è stato appagato, lei ha perso ogni attrattiva ai miei occhi.
- Vattene!- sibilo gelido, infastidito da quei tocchi.
Melissa sussulta ma non si arrende.
- La notte è lunga mio signore, potremmo ancora divertirci insieme!- mi sussurra invitante all’orecchio.
In un’altra occasione non avrei certo resistito dall’affondare ancora e ancora nel corpo di questa dea, ma ora tutto quello che voglio è restare solo. Le labbra di Melissa sfiorano le mie, ma con un gesto brusco l’allontano.
- Ti ho detto di andartene!- e il mio tono è basso e letale, una sicura minaccia di morte.
Dopo qualche istante di silenzio la sento alzarsi e raccogliere le sue cose, per poi uscire senza una parola. Una volta solo avverto un silenzio pesante e gelido invadere la tenda, distruggendo senza alcuna pietà i gemiti e i sospiri che l’avevano invasa fino a poco prima. Digrigno forte i denti, fino a che il sapore ferroso del sangue non mi impregna la lingua, mentre un qualcosa mi preme sulla gola, soffocandomi. È null’altro l’urlo di rabbia e dolore che vorrebbe esplodere tra le mie labbra e che trattengo con tutte le mie forze.
Batto il pugno sul terreno duro, imprecando violentemente e maledicendo me stesso e tutti gli dei che hanno messo quella ragazza sul mio cammino.
Con un movimento irato mi rimetto in piedi, prendo il corto chitone che ho lasciato nell’angolo della tenda quando Melissa ha fatto la sua comparsa e me lo getto addosso. Esco all’aperto e mi sento rinascere quando avverto l’aria fresca della notte scivolare con le sue dita impalpabili sulla mia pelle accaldata e ancora madida di sudore.
So che non dovrei farlo, che è come se mi pugnalassi da solo al petto con la mia spada, ma sto già seguendo i miei piedi che, percorrendo percorsi nascosti nell’ombra, mi conducono a una meta precisa.
In mezzo ad altre tende grigie spunta quella dello scrittore ateniese, stona come una strana roccia tra le altre tutte uguali. Abira è seduta accanto al fuoco, sta preparando la cena. Rimesta un po’ nella pentola, per poi rimettersi a sedere a terra e sollevare lo sguardo curioso verso il cielo. Sembra quasi una bambina che non ha mai visto le stelle. Un piccolo sorriso mi sfiora le labbra a vederla così rilassata: sta sempre in disparte e in silenzio come se quello non fosse il suo posto, rasserenandosi solo quando il suo uomo è con lei.
E come evocato dai miei stessi pensieri, l'Ateniese esce dalla tenda e le si siede accanto. E sotto il mio sguardo scurito dalla gelosia, lui le passa un braccio attorno alla vita sottile stringendosela contro, baciandola. Abira solleva le sue braccia e le incrocia dietro il suo collo, cercando la sua bocca con morbido languore. È una stilettata che mi trapassa da parte a parte, più dolorosa e letale di una ferita di guerra.
A me non resta che distogliere lo sguardo e ritornare alla mia tenda, pregando nel profondo del mio essere tutti gli dei affinché mi concedano una possibilità per farmi amare da lei o, se questo non fosse possibile, di dimenticarla.