Note: Quello che vi accingete a leggere è un folle esperimento. Amo i crack – pairing, più le coppie sono assurde, più mi ci accanisco sopra. Ma confesso che neanche io so da dove sia venuta fuori questa! Stavo leggendo ‘Le Argonautiche’ e pian piano, non so come, nella mia testa si è iniziata a formare tutta una storia d’amore che coinvolgeva Giasone e Orfeo. L’ho girata e rigirata a lungo nella mia testa, poi, non riuscendo a liberarmi di questa idea, mi sono messa al computer e… questo è il risultato! È una fic modesta, senza troppe pretese, solo per dare libero sfogo alla mia fantasia e vedere come me la sarei cavata con questa coppia. Di sicuro c’è la mia buona volontà e la voglia di divertirmi -__^
Ringraziamenti: Ringrazio chiunque leggerà e commenterà
Adesso vi lascio alla lettura, alla prossima gente -__^

Orfeo

Il sole splendeva alto nel cielo limpido, sciogliendosi in migliaia di scintille dorate sulla superficie liscia del mare. Un piccolo stormo di gabbiani volò pigramente, riempiendo l’aria con le loro strida. Zefiro soffiava gonfiando la bianca vela e sospingendo in avanti la nave.
Seduto sul cassero di poppa Tifi governava sapientemente la nave, mentre gli altri Argonauti occupavano i propri posti ai remi pronti a vogare nel caso fosse caduto il vento.
Giasone si asciugò il sudore dalla fronte con il dorso della mano: faceva così caldo quel giorno che quasi non riusciva a respirare e nemmeno quel vento leggero riusciva a stemperare la calura, ma almeno potevano proseguire il loro viaggio. Sollevò lo sguardo e scrutò tutt’intorno, scorgendo solo un’immensa distesa di acqua che li circondava in ogni direzione, congiungendosi all’orizzonte con il cielo. Sembrava quasi che ogni terra fosse stata cancellata e che loro fossero gli ultimi esseri umani rimasti. Si sentì intrappolato e per un attimo una sensazione claustrofobica gli chiuse la gola.
Non aveva mai desiderato quella spedizione. Non aveva mai voluto mettersi in viaggio per mari sconosciuti e genti inospitali. A lui sarebbe bastato continuare a vivere nell’anonimato delle ricchezze che già possedeva. Tanti uomini non vivevano in quel modo, senza doversi per forza imbarcare in simili, pericolosi viaggi?
Ma era stato suo zio Pelia, terrorizzato da un oracolo, a ordinargli di raggiungere Eea, regno del temibile Eeta, e di recuperare il mitico Vello d’Oro, sperando che perdesse la vita o non riuscisse più a ritornare a casa. E lui non aveva potuto esimersi. Per fortuna, sparsasi la notizia del grande viaggio che si accingeva a compiere, molti eroi si erano radunati da tutta la Grecia, tra cui il divino Eracle, desiderando compiere nobili gesta che sarebbero state tramandate alle generazioni future, rendendo così il loro nome immortale.
Ma, nonostante il sostegno dei suoi compagni di viaggio, un peso continuava a premergli sul petto: era la preoccupazione per la loro sorte ad angustiarlo. Il cammino che stavo affrontando era irto di pericoli mortali e non poteva impedirsi di chiedersi quanti tra loro sarebbero ritornati a casa, riabbracciando le mogli e le madri che li attendevano trepidanti.
Avrebbe dato qualsiasi cosa in quel momento per poter invertire la rotta e ritornare a Iolco, lontano da quel viaggio verso l’ignoto, la morte e la sofferenza, ma sapeva che non avrebbe mai potuto sfuggire al suo destino: gli dei stessi avevano progettato quella ricerca!
Come una magia evocata per placare i suoi tormenti, una voce si levò nel silenzio accompagnando la melodia dolce della lira. Giasone chiuse gli occhi e sorrise, assaporando quel canto limpido e morbido che sembrava avvolgerlo e accarezzare il suo animo. Non gli serviva voltarsi per sapere chi fosse: in tutto il mondo solo una persona possedeva il dono di incantare con la voce le fiere dei boschi, gli alberi e le rocce. L’ultima persona che si sarebbe aspettato che si unisse alla sua spedizione!
Si era presentato per primo alla reggia di Iolco, incantando tutti con le profondità insondabili del suo essere, dichiarando a gran voce di voler partire per la Colchide con lui.
Non resistendo oltre al richiamo di quella voce, Giasone ruotò il corpo, sedendosi sull’altro lato dello scanno e, sostenendosi il mento con le mani intrecciate e puntando i gomiti sulle ginocchia, iniziò a osservarlo.
Orfeo sedeva a prua, lo sguardo rivolto verso l’infinito del mare, la lira poggiata in grembo e le agili mani a pizzicare le corde. Giasone fece scorrere lo sguardo sulla sua figura magra e longilinea, fasciata in una tunica blu che faceva risaltare il suo incarnato candido. Il vento di Zefiro gli arruffava i capelli, sollevandoli e facendoli danzare in delicati volteggi prima di lasciarli ricadere, per poi riprendere quella danza daccapo. I suoi occhi risalirono fino al viso dai tratti delicati e fini, come se fosse stato scolpita da un dio nel marmo più pregiato. Le labbra piccole, piene e rosse come succo di melograno si muovevano seguendo il ritmo dolce e nostalgico della musica, mentre gli occhi di un verde intenso e profondo erano persi a guardare davanti a sé, come se stessero osservando qualcosa che solo lui poteva scorgere.
Sembrava circondato da un’aura particolare, quasi mistica, che lo rendeva simile a una creatura mitica insondabile e irraggiungibile, e che incantava le persone attorno a lui come la sua voce divina. E Giasone fin dal primo istante era stato attratto dal profondo mistero che era il cantore. Orfeo era innegabilmente bello, ma non era solo quello… era tutto il suo essere ad attrarlo. Dalla prima volta che aveva incrociato il suo sguardo si era sentito avviluppare in una ragnatela fitta e indistruttibile, che lo aveva legato all’altro ogni giorno di più.
Ascoltò distrattamente il battito veloce del suo cuore, e una volta di più seppe di essere perduto per sempre!
Il canto terminò in una nota vibrante di malinconia e, mentre strappava gli ultimi accordi alla lira, Orfeo si volse indietro, verso l’interno della nave, incrociando lo sguardo di Giasone ancora intento a fissarlo e sorrise. Un sorriso dolce e caldo che rese la sua bellezza quasi dolorosa e che sciolse qualcosa nel petto del figlio di Esone che sussultò come se fosse stato frustato, sentendo il suo cuore perdere un battito. Giasone stese le labbra in un piccolo, imbarazzato sorriso, ricambiandolo.
Se avesse potuto sarebbe rimasto lì a guardarlo per sempre…
Orfeo socchiuse gli occhi e, con un movimento languido, inclinò la testa verso la spalla. Le ciocche scivolarono sulla sua guancia, toccando il naso e le labbra, ombreggiandogli appena le palpebre. Le sue dita ricominciarono a muoversi agili sulla lira, creando una melodia sinuosa e sensuale, che sembrò strisciare sotto la pelle di Giasone, ramificarsi raggiungendo ogni angolo del suo corpo e incantarlo.
Era quella la sua magia: toccare l’anima della gente e attrarla a sé, legarla con la propria tracciando su di essa una ferita che non si sarebbe mai rimarginata. Ma allo stesso tempo impediva a chiunque di avvicinarsi a lui, di penetrare le sue difese e lasciare un segno indelebile sulla sua anima. Dava l’idea di un cerbiatto che fugge via alla vista dell’uomo per non essere imprigionato.
Giasone rimase a lungo a osservarlo, riempiendosi la mente e il cuore di ogni sua espressione e di ogni suo gesto, desiderando con tutto se stesso di poterlo catturare e fare suo, di imprimere dentro di lui una traccia che non gli avrebbe mai consentito di dimenticarlo. Nonostante fosse seduto a pochi passi da lui, Orfeo sembrava distante da lui mentre eseguiva le sue composizioni, come se in quei momenti si estraniasse dal suo corpo e vagasse libero nell’Etere fino a raggiungere la pace dei Campi Elisi. Spesso, quando riapriva gli occhi dopo aver terminato di suonare, aveva lo sguardo nostalgico di chi tornava a casa dopo una lunga assenza.
Sarebbe mai riuscito a coprire la distanza che li divideva e a raggiungerlo? Entrambi erano di stirpe divina, ma, nonostante questo, il mistero che era Orfeo era troppo grande, immenso, per essere compreso.

Giasone sedeva a terra, sulla sabbia che ancora manteneva il calore della giornata appena conclusa, osservando il cielo stellato e ascoltando il rumore della risacca. La notte era alta e l’indomani sarebbe stata un’altra dura giornata per lui e i suoi compagni, ma ugualmente non riusciva a prendere sonno.
A metà mattina erano attraccati nella Propontide, ai piedi del Monte degli Orsi nella terra su cui regnava il giovane Cizico. Dopo tanti giorni passati in mare era stato estremamente piacevole ritornare a camminare sulla solida terra. Gli dava una sensazione di sicurezza, come se quella profonda solitudine che provava in mare avesse momentaneamente allentato la presa su di lui. In quel momento si sentiva bene, calmo e rilassato come non lo era da settimane.
Era così concentrato sui propri pensieri che non udì la sabbia crepitare sotto dei passi. Si rese conto della presenza di un’altra persona, solo quando questa si sedette accanto a lui. Giasone si volse e il respiro gli morì tra le labbra per lo stupore.
Orfeo era seduto accanto a lui, vestito di un chitone rosso che gli lasciava scoperte le braccia e le gambe perfettamente modellate, la cintura stretta in vita faceva aderire la stoffa al torace magro e compatto. I suoi capelli morbidi e lisci, lunghi fino alla base del collo, catturavano e riflettevano la luce argentea della luna. Era la prima volta che lo vedeva senza la sua lira in mano.
Il citaredo rimase a lungo in silenzio osservando la distesa scura, quasi minacciosa, del mare. E Giasone non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo profilo perfetto, dalla trama setosa e opalescente della sua pelle, come se quel corpo delicato emanasse una forza così potente da averlo conquistato e piegato senza che se ne rendesse conto.
- Allora Giasone, quanto hai ancora intenzione di restare lì fermo?- domandò all’improvviso Orfeo.
La sua voce era bassa e morbida, dolce come miele. Il figlio di Esone, sorpreso, boccheggiò un paio di volte, senza riuscire a trovare una sola cosa sensata da dire per rispondergli. Le labbra del citaredo si tesero in un sorriso mentre si voltava verso di lui, e Giasone si sentì naufragare e annegare in quel mare verde e misterioso, appena screziato dalla luce argentea della luna.
Orfeo puntellandosi con la mano sinistra sulla sabbia, si sporse verso il loro condottiero, mentre con la punta dell’indice iniziò a ridisegnargli i lineamenti del volto, scivolando sui suoi tratti con piccoli tocchi lenti e sensuali.
- Ho notato come mi guardi figlio di Esone! – il suo sorriso si ampliò davanti l’espressione stupita del compagno di viaggio – So cosa brami… e anch’io lo voglio!- concluse a un soffio dalle sue labbra, con un tono di voce caldo e sensuale.
Giasone deglutì a vuoto: tutto quello era così inaspettato e irreale che non riusciva più a pensare né a muoversi. Non riusciva a capire niente che non fosse Orfeo, così vicino a lui da poterlo stringere senza più lasciarlo allontanarsi, che lo provocava e lo confondeva.
Si sentiva come una preda intrappolata da un abile cacciatore.
Giasone chiuse gli occhi e spinse il volto in avanti, annullando la distanza che li separava e baciandolo. Aveva rinunciato tempo prima a razionalizzare quel sentimento e ora che lo aveva lì, così vicino da restarne accecati, desiderava solo coglierlo e goderne a piene mani.
La bocca di Orfeo era dolce e umida, i suoi baci morbidi e languidi e sembravano trascinarlo e scaraventarlo in un vortice infuocato che lo sconvolgeva ed eccitava. Rapidamente Giasone avvertì ì suoi sensi offuscarsi, come se il resto del mondo fosse semplicemente scomparso, lasciandoli nel nulla assoluto. L’unica cosa che riusciva a sentire era il ruggito del sangue che gli vorticava nelle vene.
Orfeo sollevò le braccia e le incrociò dietro il suo collo, con la morbida indolenza di un gatto. Le sue dita si intrecciarono ai capelli di Giasone, premendo sulla nuca e spingendolo ancora di più verso di lui, cercando di approfondire quanto più possibile quel bacio.
Completamente guidato dall’istinto e dai sensi, il figlio di Esone sollevò le mani, che fino a quel momento aveva lasciato inerti ai lati del corpo, e le premette sulla schiena del poeta, carezzandola e stringendoselo contro. Baciare Orfeo dava la stessa sensazione di vertigine ed euforia che dava l’essere ubriachi. Si sentiva leggero e vigoroso mentre lo spingeva sulla sabbia della spiaggia e si stendeva su di lui.
Giasone si allontanò dalle sue labbra, poggiando la fronte contro quella dell’altro e sollevò le palpebre per guardarlo. Orfeo era disteso con i capelli sparsi disordinatamente sulla sabbia, le guance morbide colorate da un velo di porpora, le labbra rosse e gonfie di baci socchiuse contro il respiro spezzato, i suoi occhi luccicavano di malizia e divertimento mentre ricambiavano il suo sguardo adorante.
Se prima di quel bacio l’idea di essere perduto per sempre era solo una sensazione, ora era invece divenuta una certezza. Era innamorato di lui senza via di fuga e aveva chiuso lui stesso i ceppi attorno ai suoi polsi baciandolo, legandosi volontariamente a Orfeo.
Il sorriso sulle labbra del cantore si addolcì, le sue mani scivolarono sulle guance del compagno, accarezzandone la pelle calda, disegnando cerchi con il pollice sugli zigomi. Giasone rimase fermo a godersi le sue carezze: ogni gesto, ogni espressione di Orfeo aveva il potere di rapirlo.
- Si può catturare il vento, Giasone?- domandò incoerentemente con la situazione in cui si trovavano.
Il figlio di Esone lo sorpreso, cercando di comprendere il significato reale di quella domanda.
- Solo gli dei possono farlo!- rispose inclinando il volto per baciargli una guancia.
Le dita di Orfeo scivolarono più volte lungo la linea della sua mascella, come se volesse imprimerli nella sua memoria.
- Nelle tue vene scorre il sangue di Eolo! – ribatté convinto, sollevandogli il viso con due dita sotto il mento per poterlo guardare negli occhi – Chi meglio di te potrebbe intrappolare il vento?- .
- Potrei…- annuì soprapensiero il condottiero, senza quasi comprendere le proprie parole, incantato dalla malia di quegli occhi in cui la Luna aveva sciolto la propria luce.
- E allora fallo! – esclamò Orfeo circondandogli il viso con le mani, come per impedire che si allontanasse – Fallo, Giasone! Imprigiona il vento! Catturami!- .
E Giasone sgranò gli occhi sorpreso, comprendendo il significato più profondo di quelle parole. Quella creatura sfuggente e imperscrutabile si era fermata e gli stava concedendo l’opportunità di prenderla, di scoprire il proprio mistero e di tracciarle un segno dentro.
Gli stava donando quell’occasione che molti avevano cercato e che nessuno aveva mai ottenuto.
Felice Giasone lo baciò, perdendosi nuovamente nelle sensazioni che dava, per poi poggiare la testa sulla sua spalla, nascondendo il volto contro il suo collo e stringendosi al suo corpo, sentendosi per la prima volta nel posto giusto da quando era iniziato quel folle viaggio.