*Eccoci
qua, questo è un capitolo molto importante, centrale oserei dire. Tommy
è nel culmine della sua crisi, non è mai stato peggio di così e Giulio
deve fare qualcosa prima di perderlo irrimediabilmente, prima che
niente funzioni più. Cosa tirerà fuori? Cosa farà? Spero di aver resto
bene la scena principale. Ho voluto inserire tre canzoni perchè ci sono
3 scene e vi consiglio di leggere ascoltando perchè a mio parere la
lettura viene meglio così. Buona lettura. Baci Akane*
20. ZOMBIE
"Mi sono svegliato stamattina tenendomi la testa tra le mani
pensando che la scorsa notte è una che rimpiangerò
Lavando via le cattive decisioni, la visione sfocata
gli indizi che sono ancora un disastro
Sputo fuori il sapore che ho nella bocca
sapendo cosa riguarda tutto questo
sapendo che c'è una spiegazione, una scadenza
devo uscirne"
/Make it up as I go - Mike Shinoda/
Non sapeva come era
arrivato da lui e non sapeva in che condizioni era, si era cambiato?
Sistemato? Era nella versione peggiore di sé?
Nel suo sguardo capì
che doveva essere terribile e mentre i cani gli saltavano addosso
uggiolando e lui senza reazioni aspettava senza nemmeno toccarli,
abbassarsi e accoglierli come faceva sempre con entusiasmo, si guardò
allo specchio del suo ingresso.
I capelli ricci erano
totalmente inguardabili, aggrovigliati e sparati in aria in certe
parti, si era messo una tuta larga, scolorita e sformata, di quelle che
indossava in casa. Giulio rimase colpito dalla sua veste, ma
soprattutto dal fatto che non abbracciasse Eric e non si chinasse per
lui. Rimase dritto, le mani rivolte verso gli animali, ma senza
accarezzarli.
Il suo volto non aveva
espressioni, i suoi occhi, piccoli, gonfi e rossi di chi non aveva
dormito nulla, contornati da delle occhiaie impressionanti, pallido
come un cadavere.
L’aspetto più orribile
mai visto, ma la mancanza di un sorriso, della solita luce nel rivedere
Eric, impressionò profondamente Giulio.
- Che ti è successo? -
Chiese inizialmente sorpreso dell’averlo visto arrivare anche in
anticipo rispetto all’appuntamento per la lezione.
Per un momento aveva creduto d’aver fatto progressi, poi l’aveva visto.
- Devo chiederti un
enorme favore. - Esordì serio guardandolo negli occhi, quasi solenne in
una sorta di opera tragica, come quella che aveva appena ascoltato a
casa.
Giulio annuì e fece
uscire i cani per poter parlare da solo, poi lo accompagnò in salotto
indicandogli di sedersi, gli chiese se volesse un thè capendo che non
doveva aver mangiato. Tommy scosse il capo.
- Penso che vomito se
metto qualcosa nello stomaco. - Disse Tommy barcollando ma rimanendo in
piedi, non voleva sedersi, non voleva bere nulla, non voleva nemmeno
che lo toccasse.
- Stai male? - Chiese
Giulio ansioso. Tommy chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e
totalmente privo di espressioni ed inclinazioni, semplicemente lo
disse:
- Ho bisogno che esci
di nuovo dalla mia vita senza più rientrarci. E che tieni tu Eric. Per
sempre. - A questo seguì un silenzio grave, un silenzio di quelli che
pesano, che la fanno da padrone. Quel tipo di silenzi che parlano più
delle parole.
Non lo stava implorando o proponendo. Non era un momento di capriccio o di crisi isterica.
Era serio.
Giulio lo fissò negli
occhi ed andò in profondità capendo che doveva averla appena avuta, la
crisi. Vide delle lacrime sull’orlo delle ciglia che si erano
cristallizzate perché non le aveva fatte uscire. Da quanto non piangeva
realmente, per sé stesso?
L’aveva visto
commuoversi per diversi motivi da quando si erano rivisti. Come
quell’abbraccio che si erano dati o per le volte che si era esibito in
qualcosa di particolare.
Ma fondamentalmente Tommy era sempre più come un fascio di nervi scoperti, sempre più trasparenti.
Nessuna muscolatura, solo nervi, nervi che andavano via via assottigliandosi.
- Ti sei fatto di
qualcosa? Cosa hai combinato stanotte? Fatti una doccia, mangia
qualcosa e dormi, domani ne riparliamo. Smettila di distruggerti! Avrai
fatto chissà cosa stanotte, chissà che merda hai preso. - La reazione
di Giulio fu del tutto comprensibile, ma non era quello il punto.
Certo, aveva fatto una
delle notte peggiori degli ultimi tempi, si era svegliato con un sacco
di sconosciuti, ma non serviva che lo sapesse.
Tommy alzò le mani cercando di essere credibile.
- Non cambierò idea. Io
non posso legarmi e quando sono tornato a casa e non ho trovato Eric ho
capito che è peggio. Per tutti questi anni era l’unico legame, io che
non volevo più legarmi, che dopo te e la tua famiglia ho giurato di non
legarmi, mi sono legato a lui e lui un giorno morirà, è un cane
vecchio, non durerà per sempre. Io non posso, Giulio. Non posso legarmi
più. Ho riprovato di nuovo quel dolore, per un momento, mentre capivo
cosa sarebbe stato. L’avevo già provato ed ho giurato di non
riprovarlo. L’abbandono . Tu non sai cosa significa o forse lo sai ed
allora puoi capire. Prenditi cura del mio bambino e non tornare nella
mia vita. Io non posso più sopportare l’abbandono. -
- Ma come fai a dire che io ti lascerò di nuovo? -
- PERCHÉ L’HAI GIÀ
FATTO E PERCHÉ TUTTI LASCIANO! TUTTI LASCIANO ME! NON È POSSIBILE
AMARMI! IO EVIDENTEMENTE SONO MARCIO, UNO SCHIFO! - Tommy scoppiò, poi
si fermò e respirò a fondo sempre tenendo le mani alte per tenerlo
lontano da sé, Giulio tentò di abbracciarlo, ma lui glielo impedì.
- Non sei uno schifo,
hai avuto la sfortuna di stare in una famiglia terribile, ma non sei
uno schifo. C’è sempre un modo per risalire. Accetta il mio aiuto, non
ti lascerò. - Tommy scosse il capo a scatti, gli occhi sempre più rossi
e lucidi.
- Lasciami andare. - Implorò sentendosi stremato.
Giulio sospirò capendo
che non aveva scelta, non in quel momento, ma era certo che non avrebbe
mollato. Era spaventato all’idea di lasciarlo andare, ma cosa doveva
fare? Cosa poteva fare? Non l’aveva mai visto in una crisi simile.
Sembrava bipolare e forse lo era. Ed era autodistruttivo.
Poi gli venne in mente ‘Zombie’ ed il suo balletto costruito il primo giorno del suo incontro.
Non sapeva se sarebbe
stato sufficiente, ma con lui la danza era sempre servita, l’aveva
salvato ed era l’unico modo efficace per comunicare con gli altri. Così
prese un bel respiro ed annuendo disse deciso:
- Solo se posso
mostrarti l’ultimo ballo che ho creato appositamente pensando a te. Il
primo giorno che ci siamo rivisti mi è nato questo ballo. Se lo vedrai,
ti lascerò andare e terrò Eric per te. - Tommy sorpreso della risposta
e allettato all’idea di liberarsi, annuì senza capire cosa significava,
cosa sarebbe successo, senza averne la minima idea.
L’aveva fatto sedere in
mezzo alla sala da ballo a gambe incrociate, poi dopo poco la musica
era cominciata. pianoforte, un motivo familiare, una canzone nota, ma
diversa.
Tommy riconobbe Zombie
dei Cramberries ricantata da un altro cantante dalla voce bassa e
corposa, mentre davanti a sé Giulio iniziava a muoversi dapprima
lentamente, poi via via che la canzone prendeva piede, con sempre più
enfasi e phatos.
Si muoveva intorno a
lui, sempre rivolto a lui, sempre guardandolo, come se lui fosse il
centro di quella manifestazione, poi al ritornello esplose con
un’espressione di sofferenza e con tutto il suo corpo ed ogni gesto
buttò fuori quel sentimento così grande, così pieno di rabbia e
disperazione. Lo vide battere mani e piedi per terra, cadere giù come
se precipitasse e al culmine fermarsi, mentre la seconda strofa
riprendeva e tutto sembrava quietarsi per un momento.
Come se staccassero dei fili e la pace tornasse vaga.
Giulio così riprese a
volteggiare mentre cercava faticosamente di rialzarsi e riprendersi,
faceva fatica ma ad un certo punto riuscì a ballare in piedi, ampio e
soave con gesti pieni e decisi, fino a che tornò il ritornello e ad
esplodere e di nuovo con un’espressione di dolore che dimostrava anche
col corpo, Giulio si avvicinò ulteriormente a lui, prendendogli la
testa fra le mani, muovendolo a destra e sinistra come se fosse parte
della sua coreografia, mentre il cantante gridava ‘Zombie nella tua
testa, ecco cosa c’è nella tua testa, zombie, zombie’, lui continuava a
manovrarlo deciso, con una presa piena e sicura, le dita affondate fra
i suoi capelli che poi afferrò. Il ritornello si ripeté più forte,
Giulio lo lasciò, gli girò attorno senza però staccargli la mano di
dosso, sempre toccandolo, come se lo portasse nel suo viaggio di
disperazione, come se volesse trasformarlo in qualcos’altro, come se da
zombie, da morto vivente, cercasse di rialzarlo e nello sfumare
dell’ultimo pezzo, Giulio lo afferrò con forza, deciso e sicuro e lo
tirò su in piedi, Tommy inebetito lo assecondò fino a ritrovarsi le sue
braccia attorno al corpo ad abbracciarlo forte forte, fino a togliergli
il fiato e nascondergli il viso contro il collo pulsante, con il
pianoforte che concludeva come aveva iniziato, lasciando poi un
silenzio mortale, un silenzio che non fu riempito più con nulla.
Morto dentro. Così si sentiva, così l’aveva visto Giulio.
Ma quando quelle
braccia l’avevano prima sollevato e poi abbracciato senza il bisogno di
dire una sola mezza parola, fu come se gli staccassero dei fili, come
se togliessero la spina e la macchina si spegnesse.
A quel punto
quell’esplosione mostrata da Giulio nel ballo esplose in lui e
attraversato da una scarica elettrica potente, Tommy scivolò via da
sotto le sue braccia e coprendosi la bocca con una mano, scappò via
mentre la vista si offuscava per via di tutte quelle lacrime che ormai
non volevano proprio saperne di essere ricacciate indietro.
Tommy si ritrovò a
salire le scale e piangere, ma l’incapacità di fare qualcosa di sensato
lo spinse a trovare una porta, una qualunque, e chiudersi dentro.
Quando vide di essere in uno dei bagni del piano di sopra, si appoggiò
con una mano al lavandino mentre con l’altra continuava a premere sulla
bocca come se questo dovesse impedirgli di gridare di nuovo, piangere e
disperarsi. Come se questo fosse sbagliato.
Nella pelle, nella
carne viva, nel sangue e nelle ossa ancora quell’abbraccio forte,
pieno, così desiderato, così bello e purificatore.
Quegli abbracci che aspetti da una vita e che poi ti sconvolgono spazzando via tutto.
Di quelli che poi ti mancheranno per tutta la vita e abbracci così non ne ritroverai più. Proprio più.
Tommy non sapeva come
uscirne, si sentiva soffocare, un peso contro il petto che lo
schiacciava, respirava a fatica e capendo d’avere un attacco di panico,
si rese conto che così sarebbe morto e forse era meglio così.
Perché non lo poteva più sopportare quel dolore che portava dentro.
Quel dolore che Giulio aveva visto ed espresso così bene. Così bene.
Ma quale cazzo era il
problema? Aveva ballato, aveva ballato lui, Giulio aveva ballato il suo
dolore e con ciò? Cosa lo sconvolgeva tanto? L’abbraccio finale? Ed
anche se fosse stato quello?
Cosa lo gettava tanto nel panico? Di cosa si trattava?
La porta si aprì senza
nemmeno bussare, il tempo di sollevare gli occhi nel panico e di notare
la sua figura fra la nebbia delle lacrime, poi di nuovo le sue braccia
attorno a sé.
Cos’era che lo sconvolgeva tanto?
Giulio lo prese e lo
girò verso di sé e lo abbracciò ancora, lo tenne ancorato a sé come
prima ripetendo lo stesso abbraccio mentre nella mente le parole del
cantante, l’espressione di Giulio ed il suo modo di esprimerlo.
- Lo so. Fa male. - Mormorò piano e dolcemente, una mano a carezzargli i capelli aggrovigliati.
- Ma che cos’è? - Chiese come se non lo sapesse. Giulio parve non stupirsi del suo panico.
- Fa male essere capiti
quando è da una vita che nessuno l’ha mai fatto, fa male capire che non
sei più solo e fa male ricevere per la prima volta quello che da sempre
hai desiderato più di ogni altra cosa. Comprensione. Un abbraccio. Una
forza motrice in grado di rialzarti e tenerti su. Qualcuno che ti
aiutasse, ti sostenesse. Fa male. Fa dannatamente male. Perché in
realtà non ne potevi proprio più, ma qua c’è qualcuno che ha capito
cosa succede. - Le sue parole lo sciolsero, lentamente la tensione dal
suo corpo si ammorbidì, i nervi si rilassarono e le sue mani chiuse a
pugno contro di sé si aprirono e scivolarono intorno alla sua vita,
accettando quell’abbraccio.
Giulio, gli prese così
il viso fra le mani, lo guardò sporco di un pianto disperato che lo
stravolgeva completamente e sorrise teneramente di quella sua immagine
spezzata e bellissima.
- Ho toccato il fondo,
non posso risalire, non so come si fa. - Giulio continuò a sorridere,
lo spinse verso il comodo box della doccia, aprì l’acqua calda che
venne giù quasi subito, Giulio non tolse i vestiti a nessuno.
Con una seconda spinta lo guidò sotto il getto caldo ed avvolgente.
Lentamente l’acqua
iniziò a lavarli, appiattendo capelli e vestiti, cancellando ogni
traccia di lacrime e sofferenza, creando un sollievo insperato.
Tommy sentendo la
pressione delle gocce su di sé prese respiro, abbandonò la testa
all’indietro e consegnò il viso all’acqua chiudendo sfinito gli occhi.
Abbandonandosi a tutto.
All’aiuto di Giulio, alla sua bocca sulla sua guancia, sul suo mento e
poi sulle sue labbra che si ritrovarono schiuse a rispondere,
intrecciandosi senza respingerlo e scappare.
Arrendendosi ad un
bacio di cui aveva avuto sempre il terrore, che in realtà in preda alla
folle libidine dell’altra notte, si erano dati in quel caos di
perdizione e buio.
Ma questo era diverso.
Questo era dolce, consapevole. Questo era di giorno, con la luce a mostrare la verità di chi erano.
Ma quanto dolci e protettive erano le sue mani sul suo viso mentre l’accarezzavano, quanto forte e sicuro il suo corpo.
Oh mio Dio, quanto
bello era quel bacio delicato, lento e seducente, mentre gli succhiava
il labbro e la lingua, mentre lo faceva suo, mentre lo riempiva di un
calore nuovo.
Era la sensazione provata per qualche istante quella volta e tutte le altre che erano arrivati a contatto.
Era la differenza fra il perdersi ed il ritrovarsi.
Fra il torturarsi ed il curarsi.
Fra il calpestarsi e l’amarsi.