3. ASPETTATIVE VERSO REALTÀ
Tommy impiegò il resto
delle ore a sistemarsi come se avesse l’appuntamento più importante
della sua vita, ci mise di più proprio per la particolarità
dell’incontro.
Lui era il suo unico
amico di infanzia che però non vedeva da quindici anni, non la doveva
impostare come una cosa impegnativa, specie perché nonostante la sua
presenza nel locale gay, non era detto che lo fosse, a guardarlo non
sembrava gay nonostante i loro giochi di bambini.
Era tutto molto
ambiguo, davvero troppo, perciò Tommy non voleva che sembrasse un
appuntamento serio, non poteva presentarsi tirato a lucido coi capelli
perfetti che impiegava ore a farsi e nemmeno con un abito da far girare
la testa. Però nemmeno versione cesso ambulante. Se c’erano delle vaghe
possibilità le voleva avere, perciò doveva essere sufficientemente
carino, ma non troppo.
Quando suonò il campanello erano le tre che spaccavano il secondo.
Tommy spalancò gli
occhi nel panico andando ad aprire trafelato, lieto che Tesoro oltre ad
aver fatto fare i bisogni ad Eric, avesse anche trasformato
magnificamente casa.
- Ti aspettavo dopo! -
Esclamò Tommy lamentandosi senza nemmeno salutarlo, poi lo guardò e non
registrò la sua risposta logica e spaesata:
- Avevamo detto alle
tre? - Tommy rimase abbagliato dalla sua bellezza o quanto meno si
sentì tale mentre realizzava quanto davvero bello fosse diventato.
Le ginocchia gli
divennero molli e capì che se avesse fatto un passo sarebbe caduto
lungo disteso per terra, perciò si appese alla porta senza farlo
entrare, come se questo fosse del tutto normale,
- Erano le quattro? - Chiese Giulio guardando l’orologio, pensando che non volesse farlo entrare prima.
- Oh no no, erano le
tre, ma non ti aspettavo puntuale! Non sono mai puntuale io! - Giulio
così capì la sua frase e scoppiò a ridere smorzando la tensione, per lo
meno la sua visto che quella di Tommy era ancora intatta anzi, era
esponenzialmente peggiorata.
Ma che bella risata, dannazione!
- Perciò vuoi che faccia tardi? Non sei pronto? -
Tommy si rese conto di starlo tenendo sulla porta.
- Oh no, entra pure!
Siamo pronti! Io e la casa! A proposito, Rudy? - Giulio sorrise e fece
cenno al cane seduto bravo in corridoio in attesa del permesso, così
appena lo ottenne il cane corse in casa e saltò addosso a Tommy che
finalmente trovò il modo di rilassarsi inginocchiandosi per farsi
leccare tutta la faccia, mentre finalmente sorrideva sinceramente preso
e coinvolto. Giulio rimase a guardarlo un attimo colpito da come il suo
viso si era trasformato illuminandosi in uno splendido sorriso, la
poesia fu spezzata dall’arrivo di Eric che invece saltò su Giulio per
poi piangere rumorosamente alla vista di suo fratello Rudy.
I due, infatti, erano della stessa cucciolata.
Eric così si portò via Rudy di corsa per casa iniziando a saltarsi, leccarsi e giocare insieme, facendo un allegro casino.
Tommy rimase in
ginocchio per terra dove evidentemente si sentiva più a suo agio, lo
sguardo seguì le due bestiole mentre ricordava come li avevano trovati
e presi.
- Ti ricordi? - Giulio,
ancora fermo davanti alla porta, seguì la scena capendo a cosa si
riferiva, con un sorriso nostalgico e tenero rispose:
- Come potrei dimenticare? Erano due cuccioli abbandonati in una scatola senza madre, erano così piccoli e spaventati. -
- Ci guardavano con
quegli occhioni imploranti e piangevano... - Dicendolo, Tommy imitò
involontariamente la stessa espressione che i due cuccioli avevano
avuto e Giulio rise nel vederlo uguale, grazie poi anche alla posizione
con le gambe piegate sotto di sé. Rimase turbato dal suo sguardo
effettivamente da cucciolo, gli occhi grandi e leggermente all’ingiù
diventavano tenerissimi quando rideva e sulle guance gli venivano le
fossette. Gli angoli della bocca avevano un modo delizioso di piegarsi
all’insù, si arricciavano. Ma il tocco migliore lo facevano i suoi
capelli.
- Tu vuoi rimanere a
terra o pensi che possiamo finalmente entrare e provare a sedersi su
qualcosa di comodo, per esempio un divano o anche delle sedie se
preferisci? - Disse ironizzando perché era il suo metodo di
conversazione preferito per mascherare imbarazzi ed imperfezioni.
Tommy si rese conto come se scendesse dalle nuvole e si ritrovò la sua mano grande e forte tesa davanti al naso.
- Deja Vu! - Disse
ridendo mascherando anche lui il proprio nervoso. - Dicono che se fai
tre volte di fila la stessa cosa poi finirai per farlo per sempre!
Occhio! - Disse prendendogli la mano e facendosi alzare. La sua presa
era forte come quella della mattina. Una scarica lo attraversò dandogli
un po’ di forza per alzarsi.
Giulio rise ancora
padrone della situazione, o per lo meno così sembrava nel suo
splendore. Vestiva in modo semplicemente perfetto ed i capelli gli
stavano ovviamente allo stesso modo. perfetti.
E non sembrava in
procinto di un appuntamento galante, ma nemmeno di qualcosa di troppo
informale. Aveva trovato lo stile giusto per il genere di incontro che
stavano per avere.
Tommy lo invidiò, chissà se alla fine lui aveva fatto bene a tenere i capelli al naturale?
Di solito li odiava. Ma di solito non odiava solo i suoi capelli, di solito odiava tutto di sé.
- E così sei
selvaggiamente riccio, eh? Ti donano incredibilmente! - Tommy arrossì e
per mascherare l’imbarazzo rise atteggiandosi, scosse la criniera
bionda dove una frangia boccolosa si radunava sulla fronte rendendolo
estremamente sbarazzino.
- Che dire? Ognuno ha i
capelli che merita! - Giulio gli mise una mano fra le ciocche seguendo
un incredibile istinto indomabile che elettrizzò entrambi, ritirò
subito la mano e si scusò tornando al suo solito contegno composto,
perfetto in ogni situazione. Almeno di solito.
- Scusa, non ricordavo che fossero tanto ricci... -
Tommy decise di non
menzionare la sera precedente se non l’avesse fatto Giulio per primo o
se non fosse servito. Fu lieto che gli avesse toccato i capelli, cosa
che consentiva solo a pochi, quei pochi che potevano vederglieli al
naturale; lo fece accomodare all’interno, superando finalmente
l’ingresso.
Prese il suo cappotto
che appese nell’armadio insieme alla sua infinita miriade di giacche
che Tesoro aveva rimesso tutte bene in ordine.
Aveva proprio fatto una magia.
- Si sono arricciati
molto crescendo. - Spiegò Tommy conducendolo nel salone preferendo il
tavolo e le sedie perché il divano a parte che essere diventato il
regno dei cani, era anche troppo informale per ora.
Giulio acconsentì di
buon grado al tavolo e mentre osservava ogni arredamento pregiato e
costoso, come costoso era quell’appartamento di lusso da cui
intravedeva una piscina nel terrazzo, lo osservò muoversi in cucina
come se non fosse nemmeno sua.
- Cosa vuoi? Un caffè,
un thé? - Giulio decise per un thé visto che glielo aveva messo nelle
opzioni, così sarebbe stato di più a bere. Quando gli chiese se volesse
da mangiare qualcosa, come magari dei biscotti o della frutta, Giulio
notò la cesta della frutta sul tavolo piena e alzando il sopracciglio
guardò anche che tirava fuori dei biscotti, ma la scatola era chiusa,
perciò erano nuovi.
Giulio si aggrottò avendo un’intuizione.
- Tommy, ma hai pranzato? - Tommy lo guardò meravigliato di quella domanda.
- Ehi, siamo tornati in
confidenza come se quindici anni non fossero mai passati? - Giulio
scosse il capo chiudendo gli occhi mentre sospirava.
- Dimmi che è solo oggi
che hai saltato il pranzo. - Tommy aprì la scatola di biscotti e si
mise in bocca uno come per zittirlo.
- Ecco qua, pranzo! -
- E sarà anche la cena?
- Tommy evitò di dargliene conferma e facendogli il dito medio sculettò
verso il piano della cucina mentre cercava di far funzionare il
bollitore.
Giulio decise di
lasciarlo trafficare per un po’ mentre capiva che i vestiti gli stavano
larghi per mascherare la magrezza che comunque di sera metteva ben in
evidenza.
Si ritrovò meravigliato nel vedere Tommy in una terza versione ulteriormente diversa dalle altre due precedenti.
Ora aveva dei pantaloni
di tela grigio chiaro che gli stavano lisci e morbidi sulle gambe, la
maglia era nera e semplice. Sorprendentemente sobrio, rispetto alle due
volte precedenti. Non elegante, semplice, casual. Gli donava quello
stile, ma anche quella mattina l’aveva colpito.
“E stanotte no?”
Evitò di dirsi che solo
un gay poteva osservare tanto come un altro era vestito tutte le volte
che lo incontrava, voleva superare quei cliché in voga ovunque, però si
sentì comunque un idiota a squadrare i suoi vestiti e pensare che gli
piaceva sistemato così. Specie i suoi capelli.
“I suoi capelli sono meravigliosi!” Pensò felice che li avesse lasciati liberi.
- Toglimi una
curiosità... - Fece poi pensieroso Giulio sconnettendo per un momento
la mente e lasciando la lingua vagare libera come solitamente non gli
era concesso.
- Mangio il minimo per
non svenire, non ti preoccupare! - Giulio scosse ancora il capo
sospirando scontento di quella rivelazione, ma chiuse e riaprì gli
occhi scacciando quella cosa per lasciare il posto all’altra domanda
che forse non avrebbe dovuto fare.
- Perché fai un lavoro
come quello se tuo padre non ti ha tagliato i fondi? - Tommy dopo aver
fatto un disastro sul ripiano della cucina come se avesse lasciato un
campo di battaglia, rimase con le tazze che aveva faticosamente
composto, si fermò a mezza strada fra la cucina ed il tavolo e lo
guardò perso. Giulio capì di aver esagerato e tornò a riattivare il
cervello. Di norma non faceva mai niente di fuori luogo, ma era una
cosa che lui si sforzava di fare, perché invece dentro di sé scalpitava
per dire o fare determinate cose che invece non andavano bene.
A volte, quando si
rilassava, gli scappava qualcosa. Come in quel momento con Tommy.
Curioso che fosse successo con uno che non vedeva da quindici anni,
denotava che nonostante il tempo perso, il proprio istinto lo vedeva
ancora come il suo migliore amico.
- Voglio dire, vivi qua
e si capisce che non ti hanno tagliato i fondi. Perché fai un lavoro
che ti pagheranno al massimo mille euro al mese? Non è molto
remunerativo. Lo so perché ho fatto anche io il ballerino all’inizio.
Avevamo bisogno di soldi, il mio aspetto era tutto ciò che avevo e mi
muovevo bene. Ho iniziato così a sedici anni! - Giulio volle spiegare
con cura la propria uscita sperando di non averlo turbato, ma dalla sua
espressione da cucciolo perso, capì che doveva aver toccato un tasto
dolente.
Tommy si insultò per
aver perso la propria solita presenza di spirito, cercò qualche battuta
con cui nascondere il proprio imbarazzo, ma il suo talento di
‘paraculo’ non saltò fuori in quel momento che gli serviva.
Arrivò alla fine al
tavolo e mise giù le due tazze correndo poi a prendere le bustine del
thé per fargli scegliere quello che voleva, in un terzo viaggio portò
anche lo zucchero, in un quarto i cucchiaini.
Alla fine si sedette e
grattandosi la nuca iniziò ad annodarsi nervoso i ricci pensando a cosa
rispondere. Ancora nessuna battuta con cui uscirne, così sospirando
rispose evitando con cura il suo sguardo magnetico.
- Io... penso che lo
faccio per provocare i miei... ma non sanno nemmeno cosa faccio. -
Rispose sinceramente. Imbarazzato iniziò ad infilare la bustina di thé
ripetutamente, mentre il piede rimbalzava sotto il tavolo come una
molla.
- Se vuoi ribellarti
dovresti tagliare i ponti e cavartela da solo coi soldi che guadagni.
Certo dovresti drasticamente cambiare stile di vita, ma penso ti
noterebbero, finalmente. - Giulio ricordava perfettamente la sua
situazione, infatti da bambino Tommy era più a casa sua con la sua
famiglia che nella propria ed i suoi genitori non mandavano mai nessuno
a cercarlo, come se non si accorgessero nemmeno della sua assenza per
tutte quelle ore. Alla fine era sua madre a rimandarlo indietro
pensando che potessero preoccuparsi, ma tutti sapevano che non sarebbe
successo.
Era doloroso e shoccante constatare che dopo tutti questi anni non era ancora cambiato nulla.
Tommy alzò le spalle guardando altrove mentre si atteggiava, o per lo meno cercava, fingendo che non gli importasse.
- Loro vogliono
inserirmi nell’attività di famiglia, un giorno erediterò tutto. Ma per
loro posso anche limitarmi a mettere il nome e lasciare la gestione a
qualcuno di capace. Cioè a loro non importa niente di come muoverò le
redini. Non importa nemmeno se me ne vado e li disconosco come genitori
e faccio quello che dici. Anzi. Forse nemmeno se ne accorgerebbero che
non uso più i loro soldi per fare tutto quel cazzo che mi pare. -
Giulio dispiaciuto e turbato continuò con quel discorso.
- Ma allora perché cerchi di provocarli? -
- Per attirare la loro
attenzione. So che non serve nulla, ma dentro di me forse spero che
qualcosa li scalfisca. Nel frattempo trovo legittimo usare la sola cosa
che sono in grado di darmi, i loro soldi. I loro soldi sono l’unico
legame che ho con loro. -
Giulio rimase colpito
dal suo discorso, capendo infatti che Tommy non voleva chiudere i ponti
con loro ma anzi creare un legame che non era mai esistito.
Si mangiò la domanda più dolorosa.
“Perché ci speri,
perché li vuoi? Come puoi voler loro bene nonostante non te ne abbiano
mai voluto?” Ma forse dentro di sé la sapeva questa risposta perciò non
gliela fece.
Il suo bisogno d’affetto doveva essere così disperato.
Calò uno strano velo
fra di loro, un velo che offuscò la casa di lusso e la Milano grigia al
di fuori delle vetrate spaziose che ricoprivano tutta la parete ad est.
Per un momento sembrò di essere in uno strano sogno, sospesi fra un vecchio tempo ed uno nuovo.
- È come se non te ne
fossi mai andato. Sei arrivato ed hai fatto la domanda più personale di
tutte ed io ti ho risposto sinceramente senza preoccuparmi di
nascondere e mascherare le mie sciocche debolezze. -
Disse Tommy con un
sorriso amaro e gli occhi che con la forma particolare che avevano,
quando era un po’ triste sembrava lo fosse ancora di più.
“Forse è nato con gli
occhi tristi. Ricordo da bambino che quando veniva da me era sempre col
broncio e triste, ma poi per quando andava via rideva ed era felice. Mi
chiedo perché certi genitori devono proliferare.” Poi si fermò nel
sentire il proprio pensiero, lo vide accendersi una sigaretta e mettere
in parte il thé che non aveva toccato e che evidentemente era troppo
sano per lui. Si alzò, andò in un armadietto e tirò fuori una bottiglia
di Mirto, se ne versò un po’ in un bicchiere piccolo adatto e gliene
offrì un po’. Giulio scosse la testa schifato sollevando la tazza di
thé.
- Scusa, ma quelle cose
non fanno per me! Ci ho provato, ma se vogliamo parlare di certe cose
ho bisogno di una mano! - E così sorseggiò l’alcolico aspirando dalla
sigaretta il fumo che Tesoro aveva faticato a mandare via dopo aver
fatto arieggiare e spruzzato un sacco di profumi ed incensi ed aver
acceso delle candele mangiafumo. Una di queste l’accese Tommy
ricordandosi dei rimproveri della sua domestica.
Giulio rimase ad
osservarlo in silenzio, serio e pensieroso mettendo profondamente a
disagio Tommy che in risposta fumò e bevette di più.
“Se non fossero mai
stati genitori non sarebbe mai nato. Chi sono io per dire chi deve
stare o meno al mondo? È vero che certi genitori non dovrebbero mai
fare figli, ma ci sono figli che non dovrebbero stare al mondo?”
Giulio voleva scriversi
quella riflessione, quando ne aveva lo faceva sempre, ma non potendo
farlo davanti a lui capì in che condizioni era, anzi intuì vagamente
che quella fosse solo la punta dell’iceberg e capì che l’idea di farsi
guidare da lui nel suo cammino verso la propria omosessualità repressa
era un’idea a dir poco impossibile.
“Forse sono io che devo guidare lui verso quello che non ha mai avuto. L’amore verso sé stesso.”
Non aveva idea di quanto bisogno ne avesse, anche se cominciava a capirlo.