3. ASPETTATIVE VERSO REALTÀ


"ho demoni dentro di me quindi sono davanti ad una scelta cercre di ignorarli  o dare loro voce"
/Crossing a line - Mike Shinoda/


Tommy impiegò il resto delle ore a sistemarsi come se avesse l’appuntamento più importante della sua vita, ci mise di più proprio per la particolarità dell’incontro.
Lui era il suo unico amico di infanzia che però non vedeva da quindici anni, non la doveva impostare come una cosa impegnativa, specie perché nonostante la sua presenza nel locale gay, non era detto che lo fosse, a guardarlo non sembrava gay nonostante i loro giochi di bambini.
Era tutto molto ambiguo, davvero troppo, perciò Tommy non voleva che sembrasse un appuntamento serio, non poteva presentarsi tirato a lucido coi capelli perfetti che impiegava ore a farsi e nemmeno con un abito da far girare la testa. Però nemmeno versione cesso ambulante. Se c’erano delle vaghe possibilità le voleva avere, perciò doveva essere sufficientemente carino, ma non troppo.
Quando suonò il campanello erano le tre che spaccavano il secondo.
Tommy spalancò gli occhi nel panico andando ad aprire trafelato, lieto che Tesoro oltre ad aver fatto fare i bisogni ad Eric, avesse anche trasformato magnificamente casa.
- Ti aspettavo dopo! - Esclamò Tommy lamentandosi senza nemmeno salutarlo, poi lo guardò e non registrò la sua risposta logica e spaesata:
- Avevamo detto alle tre? - Tommy rimase abbagliato dalla sua bellezza o quanto meno si sentì tale mentre realizzava quanto davvero bello fosse diventato.
Le ginocchia gli divennero molli e capì che se avesse fatto un passo sarebbe caduto lungo disteso per terra, perciò si appese alla porta senza farlo entrare, come se questo fosse del tutto normale,
- Erano le quattro? - Chiese Giulio guardando l’orologio, pensando che non volesse farlo entrare prima.
- Oh no no, erano le tre, ma non ti aspettavo puntuale! Non sono mai puntuale io! - Giulio così capì la sua frase e scoppiò a ridere smorzando la tensione, per lo meno la sua visto che quella di Tommy era ancora intatta anzi, era esponenzialmente peggiorata.
Ma che bella risata, dannazione!
- Perciò vuoi che faccia tardi? Non sei pronto? -
Tommy si rese conto di starlo tenendo sulla porta.
- Oh no, entra pure! Siamo pronti! Io e la casa! A proposito, Rudy? - Giulio sorrise e fece cenno al cane seduto bravo in corridoio in attesa del permesso, così appena lo ottenne il cane corse in casa e saltò addosso a Tommy che finalmente trovò il modo di rilassarsi inginocchiandosi per farsi leccare tutta la faccia, mentre finalmente sorrideva sinceramente preso e coinvolto. Giulio rimase a guardarlo un attimo colpito da come il suo viso si era trasformato illuminandosi in uno splendido sorriso, la poesia fu spezzata dall’arrivo di Eric che invece saltò su Giulio per poi piangere rumorosamente alla vista di suo fratello Rudy.
I due, infatti, erano della stessa cucciolata.
Eric così si portò via Rudy di corsa per casa iniziando a saltarsi, leccarsi e giocare insieme, facendo un allegro casino.
Tommy rimase in ginocchio per terra dove evidentemente si sentiva più a suo agio, lo sguardo seguì le due bestiole mentre ricordava come li avevano trovati e presi.
- Ti ricordi? - Giulio, ancora fermo davanti alla porta, seguì la scena capendo a cosa si riferiva, con un sorriso nostalgico e tenero rispose:
- Come potrei dimenticare? Erano due cuccioli abbandonati in una scatola senza madre, erano così piccoli e spaventati. -
- Ci guardavano con quegli occhioni imploranti e piangevano... - Dicendolo, Tommy imitò involontariamente la stessa espressione che i due cuccioli avevano avuto e Giulio rise nel vederlo uguale, grazie poi anche alla posizione con le gambe piegate sotto di sé. Rimase turbato dal suo sguardo effettivamente da cucciolo, gli occhi grandi e leggermente all’ingiù diventavano tenerissimi quando rideva e sulle guance gli venivano le fossette. Gli angoli della bocca avevano un modo delizioso di piegarsi all’insù, si arricciavano. Ma il tocco migliore lo facevano i suoi capelli.
- Tu vuoi rimanere a terra o pensi che possiamo finalmente entrare e provare a sedersi su qualcosa di comodo, per esempio un divano o anche delle sedie se preferisci? - Disse ironizzando perché era il suo metodo di conversazione preferito per mascherare imbarazzi ed imperfezioni.
Tommy si rese conto come se scendesse dalle nuvole e si ritrovò la sua mano grande e forte tesa davanti al naso.
- Deja Vu! - Disse ridendo mascherando anche lui il proprio nervoso. - Dicono che se fai tre volte di fila la stessa cosa poi finirai per farlo per sempre! Occhio! - Disse prendendogli la mano e facendosi alzare. La sua presa era forte come quella della mattina. Una scarica lo attraversò dandogli un po’ di forza per alzarsi.
Giulio rise ancora padrone della situazione, o per lo meno così sembrava nel suo splendore. Vestiva in modo semplicemente perfetto ed i capelli gli stavano ovviamente allo stesso modo. perfetti.
E non sembrava in procinto di un appuntamento galante, ma nemmeno di qualcosa di troppo informale. Aveva trovato lo stile giusto per il genere di incontro che stavano per avere.
Tommy lo invidiò, chissà se alla fine lui aveva fatto bene a tenere i capelli al naturale?
Di solito li odiava. Ma di solito non odiava solo i suoi capelli, di solito odiava tutto di sé.
- E così sei selvaggiamente riccio, eh? Ti donano incredibilmente! - Tommy arrossì e per mascherare l’imbarazzo rise atteggiandosi, scosse la criniera bionda dove una frangia boccolosa si radunava sulla fronte rendendolo estremamente sbarazzino.
- Che dire? Ognuno ha i capelli che merita! - Giulio gli mise una mano fra le ciocche seguendo un incredibile istinto indomabile che elettrizzò entrambi, ritirò subito la mano e si scusò tornando al suo solito contegno composto, perfetto in ogni situazione. Almeno di solito.
- Scusa, non ricordavo che fossero tanto ricci... -
Tommy decise di non menzionare la sera precedente se non l’avesse fatto Giulio per primo o se non fosse servito. Fu lieto che gli avesse toccato i capelli, cosa che consentiva solo a pochi, quei pochi che potevano vederglieli al naturale; lo fece accomodare all’interno, superando finalmente l’ingresso.
Prese il suo cappotto che appese nell’armadio insieme alla sua infinita miriade di giacche che Tesoro aveva rimesso tutte bene in ordine.
Aveva proprio fatto una magia.
- Si sono arricciati molto crescendo. - Spiegò Tommy conducendolo nel salone preferendo il tavolo e le sedie perché il divano a parte che essere diventato il regno dei cani, era anche troppo informale per ora.
Giulio acconsentì di buon grado al tavolo e mentre osservava ogni arredamento pregiato e costoso, come costoso era quell’appartamento di lusso da cui intravedeva una piscina nel terrazzo, lo osservò muoversi in cucina come se non fosse nemmeno sua.
- Cosa vuoi? Un caffè, un thé? - Giulio decise per un thé visto che glielo aveva messo nelle opzioni, così sarebbe stato di più a bere. Quando gli chiese se volesse da mangiare qualcosa, come magari dei biscotti o della frutta, Giulio notò la cesta della frutta sul tavolo piena e alzando il sopracciglio guardò anche che tirava fuori dei biscotti, ma la scatola era chiusa, perciò erano nuovi.
Giulio si aggrottò avendo un’intuizione.
- Tommy, ma hai pranzato? - Tommy lo guardò meravigliato di quella domanda.
- Ehi, siamo tornati in confidenza come se quindici anni non fossero mai passati? - Giulio scosse il capo chiudendo gli occhi mentre sospirava.
- Dimmi che è solo oggi che hai saltato il pranzo. - Tommy aprì la scatola di biscotti e si mise in bocca uno come per zittirlo.
- Ecco qua, pranzo! -
- E sarà anche la cena? - Tommy evitò di dargliene conferma e facendogli il dito medio sculettò verso il piano della cucina mentre cercava di far funzionare il bollitore.
Giulio decise di lasciarlo trafficare per un po’ mentre capiva che i vestiti gli stavano larghi per mascherare la magrezza che comunque di sera metteva ben in evidenza.
Si ritrovò meravigliato nel vedere Tommy in una terza versione ulteriormente diversa dalle altre due precedenti.
Ora aveva dei pantaloni di tela grigio chiaro che gli stavano lisci e morbidi sulle gambe, la maglia era nera e semplice. Sorprendentemente sobrio, rispetto alle due volte precedenti. Non elegante, semplice, casual. Gli donava quello stile, ma anche quella mattina l’aveva colpito.
“E stanotte no?”
Evitò di dirsi che solo un gay poteva osservare tanto come un altro era vestito tutte le volte che lo incontrava, voleva superare quei cliché in voga ovunque, però si sentì comunque un idiota a squadrare i suoi vestiti e pensare che gli piaceva sistemato così. Specie i suoi capelli.
“I suoi capelli sono meravigliosi!” Pensò felice che li avesse lasciati liberi.
- Toglimi una curiosità... - Fece poi pensieroso Giulio sconnettendo per un momento la mente e lasciando la lingua vagare libera come solitamente non gli era concesso.
- Mangio il minimo per non svenire, non ti preoccupare! - Giulio scosse ancora il capo sospirando scontento di quella rivelazione, ma chiuse e riaprì gli occhi scacciando quella cosa per lasciare il posto all’altra domanda che forse non avrebbe dovuto fare.
- Perché fai un lavoro come quello se tuo padre non ti ha tagliato i fondi? - Tommy dopo aver fatto un disastro sul ripiano della cucina come se avesse lasciato un campo di battaglia, rimase con le tazze che aveva faticosamente composto, si fermò a mezza strada fra la cucina ed il tavolo e lo guardò perso. Giulio capì di aver esagerato e tornò a riattivare il cervello. Di norma non faceva mai niente di fuori luogo, ma era una cosa che lui si sforzava di fare, perché invece dentro di sé scalpitava per dire o fare determinate cose che invece non andavano bene.
A volte, quando si rilassava, gli scappava qualcosa. Come in quel momento con Tommy. Curioso che fosse successo con uno che non vedeva da quindici anni, denotava che nonostante il tempo perso, il proprio istinto lo vedeva ancora come il suo migliore amico.
- Voglio dire, vivi qua e si capisce che non ti hanno tagliato i fondi. Perché fai un lavoro che ti pagheranno al massimo mille euro al mese? Non è molto remunerativo. Lo so perché ho fatto anche io il ballerino all’inizio. Avevamo bisogno di soldi, il mio aspetto era tutto ciò che avevo e mi muovevo bene. Ho iniziato così a sedici anni! - Giulio volle spiegare con cura la propria uscita sperando di non averlo turbato, ma dalla sua espressione da cucciolo perso, capì che doveva aver toccato un tasto dolente.
Tommy si insultò per aver perso la propria solita presenza di spirito, cercò qualche battuta con cui nascondere il proprio imbarazzo, ma il suo talento di ‘paraculo’ non saltò fuori in quel momento che gli serviva.
Arrivò alla fine al tavolo e mise giù le due tazze correndo poi a prendere le bustine del thé per fargli scegliere quello che voleva, in un terzo viaggio portò anche lo zucchero, in un quarto i cucchiaini.
Alla fine si sedette e grattandosi la nuca iniziò ad annodarsi nervoso i ricci pensando a cosa rispondere. Ancora nessuna battuta con cui uscirne, così sospirando rispose evitando con cura il suo sguardo magnetico.
- Io... penso che lo faccio per provocare i miei... ma non sanno nemmeno cosa faccio. - Rispose sinceramente. Imbarazzato iniziò ad infilare la bustina di thé ripetutamente, mentre il piede rimbalzava sotto il tavolo come una molla.
- Se vuoi ribellarti dovresti tagliare i ponti e cavartela da solo coi soldi che guadagni. Certo dovresti drasticamente cambiare stile di vita, ma penso ti noterebbero, finalmente. - Giulio ricordava perfettamente la sua situazione, infatti da bambino Tommy era più a casa sua con la sua famiglia che nella propria ed i suoi genitori non mandavano mai nessuno a cercarlo, come se non si accorgessero nemmeno della sua assenza per tutte quelle ore. Alla fine era sua madre a rimandarlo indietro pensando che potessero preoccuparsi, ma tutti sapevano che non sarebbe successo.
Era doloroso e shoccante constatare che dopo tutti questi anni non era ancora cambiato nulla.
Tommy alzò le spalle guardando altrove mentre si atteggiava, o per lo meno cercava, fingendo che non gli importasse.
- Loro vogliono inserirmi nell’attività di famiglia, un giorno erediterò tutto. Ma per loro posso anche limitarmi a mettere il nome e lasciare la gestione a qualcuno di capace. Cioè a loro non importa niente di come muoverò le redini. Non importa nemmeno se me ne vado e li disconosco come genitori e faccio quello che dici. Anzi. Forse nemmeno se ne accorgerebbero che non uso più i loro soldi per fare tutto quel cazzo che mi pare. - Giulio dispiaciuto e turbato continuò con quel discorso.
- Ma allora perché cerchi di provocarli? -
- Per attirare la loro attenzione. So che non serve nulla, ma dentro di me forse spero che qualcosa li scalfisca. Nel frattempo trovo legittimo usare la sola cosa che sono in grado di darmi, i loro soldi. I loro soldi sono l’unico legame che ho con loro. -
Giulio rimase colpito dal suo discorso, capendo infatti che Tommy non voleva chiudere i ponti con loro ma anzi creare un legame che non era mai esistito.
Si mangiò la domanda più dolorosa.
“Perché ci speri, perché li vuoi? Come puoi voler loro bene nonostante non te ne abbiano mai voluto?” Ma forse dentro di sé la sapeva questa risposta perciò non gliela fece.
Il suo bisogno d’affetto doveva essere così disperato.
Calò uno strano velo fra di loro, un velo che offuscò la casa di lusso e la Milano grigia al di fuori delle vetrate spaziose che ricoprivano tutta la parete ad est.
Per un momento sembrò di essere in uno strano sogno, sospesi fra un vecchio tempo ed uno nuovo.
- È come se non te ne fossi mai andato. Sei arrivato ed hai fatto la domanda più personale di tutte ed io ti ho risposto sinceramente senza preoccuparmi di nascondere e mascherare le mie sciocche debolezze. -
Disse Tommy con un sorriso amaro e gli occhi che con la forma particolare che avevano, quando era un po’ triste sembrava lo fosse ancora di più.
“Forse è nato con gli occhi tristi. Ricordo da bambino che quando veniva da me era sempre col broncio e triste, ma poi per quando andava via rideva ed era felice. Mi chiedo perché certi genitori devono proliferare.” Poi si fermò nel sentire il proprio pensiero, lo vide accendersi una sigaretta e mettere in parte il thé che non aveva toccato e che evidentemente era troppo sano per lui. Si alzò, andò in un armadietto e tirò fuori una bottiglia di Mirto, se ne versò un po’ in un bicchiere piccolo adatto e gliene offrì un po’. Giulio scosse la testa schifato sollevando la tazza di thé.
- Scusa, ma quelle cose non fanno per me! Ci ho provato, ma se vogliamo parlare di certe cose ho bisogno di una mano! - E così sorseggiò l’alcolico aspirando dalla sigaretta il fumo che Tesoro aveva faticato a mandare via dopo aver fatto arieggiare e spruzzato un sacco di profumi ed incensi ed aver acceso delle candele mangiafumo. Una di queste l’accese Tommy ricordandosi dei rimproveri della sua domestica.
Giulio rimase ad osservarlo in silenzio, serio e pensieroso mettendo profondamente a disagio Tommy che in risposta fumò e bevette di più.
“Se non fossero mai stati genitori non sarebbe mai nato. Chi sono io per dire chi deve stare o meno al mondo? È vero che certi genitori non dovrebbero mai fare figli, ma ci sono figli che non dovrebbero stare al mondo?”
Giulio voleva scriversi quella riflessione, quando ne aveva lo faceva sempre, ma non potendo farlo davanti a lui capì in che condizioni era, anzi intuì vagamente che quella fosse solo la punta dell’iceberg e capì che l’idea di farsi guidare da lui nel suo cammino verso la propria omosessualità repressa era un’idea a dir poco impossibile.
“Forse sono io che devo guidare lui verso quello che non ha mai avuto. L’amore verso sé stesso.”
Non aveva idea di quanto bisogno ne avesse, anche se cominciava a capirlo.