4. ANIME PERSE
"Non ho una gamba su cui stare
Giro come un uragano senza niente su cui atterrare
Arrivato così lontano, non pensavo sarebbe finita ora
Bloccato in panchina, in attesa di entrare in scena, oh
Chi altri mi definiva?
Posso lasciarmi alle spalle il passato?
Posso addirittura avere una decisione?
mi sento come se stessi vivendo una storia già scritta
sono parte di una visione fatta da qualcun altro?"
/Place to start - Mike Shinoda/
Il fumo saliva dalla sigaretta quasi finita, si disperdeva nell’aria. Un po’ la candela accesa sul tavolo ne mangiava.
La posizione di Tommy
era molto scenografica, appoggiato con le braccia piegate, il busto
storto di lato come se dovesse stendersi sul tavolo e cadere per terra
contemporaneamente. Il braccio della sigaretta appoggiato tutto alto
sulla testa come se facesse stretching, l’altra mano a sorreggere la
guancia. Tommy aveva abbandonato le scarpe e teneva un piede sulla
sedia accanto ed in questa posa scomposta e non certo da padrone di
casa con un ospite davanti a sé, guardava perso e quasi addolorato
Giulio, come se si fosse arreso a quello sguardo inquisitore e
penetrante.
Aveva cercato di nascondere il proprio disastro interiore ed esteriore, ma alla fine non ci era riuscito.
- Di solito ci riesco,
ma con te... è come se non servisse. Non ci vediamo da una vita, ma è
come se ieri fosse quel giorno di quindici anni fa. Tu sai già tutto di
me ed in questo periodo niente è migliorato, è solo peggiorato. È come
se pensassi che è inutile mascherare come faccio sempre. Non ci riesco
nemmeno. Scusami per il disastro che ti sto porgendo. - Il bicchiere di
liquore riempito già per la seconda volta, gli occhi tristi con due
occhiaie profonde per il poco sonno e la notte dissoluta come tutte le
precedenti. La magrezza sotto quei vestiti in cui navigava.
- Sono felice che
invece ti senti a tuo agio come una volta. Avevo paura che questi anni
avessero rovinato tutto, non sapevo cosa aspettarmi venendo qua, volevo
solo rivederti a tutti i costi. Mi dispiace per come sono andate le
cose. Però se hai bisogno di gettare la maschera e con me riesci a
farlo, mi sta bene. - Poi sorrise alleggerendo la situazione. - Non è
esattamente il pomeriggio che mi aspettavo, ma va bene. -
Tommy si rese conto di
aver in qualche modo accentrato l’attenzione su di sé e cercò di
tirarsi su a sedere bene, mise giù la gamba e lo guardò meglio nella
sua posa composta e dritta, le mani sulla tazza che lo scaldavano.
- Stai benissimo, sei
davvero splendido! Come sei diventato così bello? - Scherzò anche se
fra le righe diceva quel che pensava davvero.
Giulio sorrise divertito.
- Con fatica e sudore!
- Tommy tornò ad appoggiare la testa alla mano ed il gomito sul tavolo,
incapace di stare su, come se tutto pesasse troppo. Spense la sigaretta
sentendone subito la mancanza, finì il bicchiere e cercò di non
riempirne un altro.
- Ricordo che ti sei
trasferito dal quartiere perché i tuoi hanno perso il lavoro ed hanno
avuto dei guai... ci sono stato così male, ho implorato i miei di
aiutarvi, ma non hanno voluto saperne. Dicevano che se eravate stati
licenziati ed avevate guai di un certo tipo, era meglio evitarvi. Se
prima gli parlavo un po’, da lì in poi non l’ho più fatto! - Spiegò
Tommy tornando a nascondersi dietro i discorsi e le parole.
Giulo guardò in basso sul ambrato scuro del thé fumante e bevve un po’.
- È quello che
pensavano tutti, non ti devi preoccupare. Abbiamo avuto molti problemi,
sono stati usati come capro espiatorio dalla società per cui
lavoravano, beccata in affari loschi hanno dato la colpa ai miei per
uscirne puliti. Non trovavano lavoro ed i risparmi che avevano li hanno
spesi per prendere una casa piccola in un quartiere a basso costo e per
l’avvocato. Purtroppo anche se hanno evitato la prigione ed io la
casa-famiglia, ci siamo ridotti sul lastrico e nessuno voleva rischiare
ad assumerli. È stata molto dura. - Tommy impallidì sentendo il seguito
della sua triste storia e mentre ascoltava empatizzava con lui anche se
di solito non ne era capace. Sentì su di sé l’angoscia e la rabbia di
quei giorni ormai lontani e così difficili.
- Come avete fatto? -
Giulio sorrise tristemente senza mascherare nemmeno lui quel suo stato
d’animo, la propria storia era un punto debole, non se ne vergognava,
ma la sofferenza provata crescendo non l’augurava a nessuno.
Decise di aprirsi perché Tommy l’aveva fatto anche se di un pochino.
Fu quasi come se
entrambi non avessero aspettato altro che quello e nessuno sarebbe mai
stato più indicato del proprio primo e forse unico amico.
- Imploravamo per
qualsiasi lavoro umile e qualsiasi aiuto possibile. Per lo studio la
regione stanzia sussidi perciò ho potuto studiare, nel tempo libero
cercavo lavoro anche io nascondendo di chi ero figlio, ma ero giovane
così non potevano prendermi nemmeno a nero. Intanto mia madre faceva le
pulizie e mio padre puliva macchine. Sottopagati. Abbiamo patito molto
freddo e fame e loro pensavano principalmente a provvedere a me. - Il
silenzio che scaturì da quelle confessioni fece vergognare Tommy per il
proprio stato d’animo di prima. Lui aveva osato lamentarsi della
propria condizione a casa mentre Giulio aveva a stento mangiato ogni
giorno.
- Perché non mi hai
cercato? Ti avrei aiutato io di nascosto! Tanto quello stronzo di mio
padre non si accorgeva di quel che facevo dei suoi soldi! - Giulio
sorrise dolcemente e nostalgico.
- L’ho proposto ai
miei, ma non volevano avere niente a che fare con gente tanto simile a
quelli che li avevano fregati, comprensibile. Mi hanno proibito di
tornare da te e così non volevo dare loro un altro dispiacere. - Tommy
si accese un’altra sigaretta e si versò ancora da bere appoggiando il
mento sugli avambracci incrociati sul tavolo, gli occhi da cucciolo
triste che scavavano in Giulio mentre raccontava cercando il suo solito
contegno.
- Come sei arrivato ad oggi? Se sei tornato in questo quartiere immagino che te la sei cavata in qualche modo, ne sei uscito. -
- Ricordi la mia passione per il ballo, no? - Tommy sorrise rianimandosi, la ricordava eccome.
- I nomi dei cani sono
di due ballerini, no? Rudy sta per Rudolf Nureyev ed Eric per Bruhn. I
nomi li hai scelti tu, io ti avevo detto solo di scegliere una bella
coppia! - Giulio rise ricordando la scelta dei nomi dei cani.
- Rudy ed Eric hanno fatto coppia per molti anni, lo ricordi? - Tommy fece un sorrisino tenero annuendo.
- È uno dei miei ricordi più belli. -
- Sono contento che
entrambi abbiamo ancora i nostri cani. - Ammise Giulio deragliando dal
discorso principale. Tommy si alzò sui gomiti che puntò sul tavolo e si
sporse verso di lui sbuffando fumo curioso.
- Come ci sei riuscito? Voglio saperlo! - Insistette.
- Ho continuato a
ballare come potevo, prendevo lezioni a scuola nel club di danza,
facevo anche sport così mi rinforzavo il fisico mentre diventavo bravo.
Ero dotato di natura, così quando sono andato in cerca di un lavoro a
sedici anni, età in cui potevano finalmente farmi lavorare legalmente,
ho trovato solo un posto come cubista. Mi hanno preso e finalmente
piano piano abbiamo ricominciato a salire. Non è stato facile perché
lavoravo e studiavo ed avevo sedici anni. Finita la scuola ho fatto
sacrifici per iscrivermi ad un altro corso di danza e sono migliorato
fino ad entrare in una vera compagnia, sai, di quelle che girano il
mondo. Ho fatto questa vita per molto tempo, tornando a casa ad
intermittenza nel giro di mesi. Piano piano mi sono fatto un nome nel
settore e sono orgoglioso di dire che ho raccolto quel che ho duramente
seminato. -
- Rudy stava coi tuoi? - Chiese Tommy curioso come una scimmia. Giulio fece un sorriso triste.
- Con mia madre. Mio
padre è morto, si era ammalato, ma si è trascurato e per quando sputava
sangue era già tardi. - Il silenzio tornò a calare fra loro pesante,
triste negli occhi espressivi di Tommy. Giulio gli prese la sigaretta
quasi finita di mano e fece un tiro, poi la spense e finì il sorso
rimasto di liquore. Dopo di questo chiuse la bottiglia, si alzò e la
mise nell’armadio da cui l’aveva vista prendere, infine aprì la
finestra lasciando arieggiare, svuotò il portacenere muovendosi come se
fosse casa sua. Andò a controllare i cani che giocavano sul letto e
tornato in salotto trovò Tommy nella stessa posizione, con la sua aria
seria e pensierosa, in attesa del resto della sua triste storia.
Giulio in piedi mise le
mani in tasca e lo guardò con la testa piegata di lato in un gesto che
aveva del tenero, forse per il modo in cui lo guardava, forse per
quanto lo trovava piccolo e consumato nonostante fosse stato lui quello
provato dalla vita.
- Comunque ce l’ho
fatta, ho comprato una bella casa alla mamma e a Rudy in un quartiere
nella media, un appartamento modesto in un bel posto, lei non ha voluto
di più. -
- Perché sei tornato
qua ora? Non ti ho mai visto prima di ieri sera. - Giulio arrivò alla
parte più dura della propria storia e si chiese perché raccontargli
tutto.
Ma la domanda che si pose in realtà fu:
“Come mi fermo dal dirgli tutto?”
Era come se non
vedessero l’ora di denudarsi a qualcuno e incontrandosi i loro animi
avessero capito che Giulio e Tommy erano gli unici davanti cui potevano
spogliarsi.
- Sembra che il tempo
non sia mai trascorso. Sembra che ieri eravamo ancora insieme. Tu sei
stato il mio primo vero amico, il più grande, anche se eravamo piccoli.
Ne ho avuti molti altri, dopo, ma oggi rivedendoti ho capito che un
amico come te non ce l’ho più avuto. Per questo ho insistito per
vederti e guarda come stiamo parlando. Ci siamo visti per quel che
eravamo, abbiamo visto le nostre origini, i nostri crolli. - Tommy si
fece triste e distolse lo sguardo.
- Io non ho visto un
bel niente, il peggio l’hai vissuto da solo. Ma tu ed i tuoi eravate la
mia oasi da piccolo. Ne ho risentito molto della vostra partenza, non
ho trovato nessun altro come voi. La solitudine mi ha mangiato. -
Sottintendendo che ora era una persona terribile, a sua detta.
Giulio tornò al tavolo,
si sedette nella sedia vicino alla sua dove prima aveva messo il piede
e attirando la sua attenzione lo obbligò a guardarlo, a Tommy per poco
non venne un colpo. Il suo corpo subì delle impennate in ogni parte.
Dal cuore, ai polmoni, all’inguine. Non capì nulla, si sentì andare a
fuoco per la sua vicinanza e per quegli occhi così azzurri e
penetranti.
- Sono tornato perché
girando per il mondo cercavo me stesso, mentre realizzavo i miei sogni
sentivo che mi mancava qualcosa ma non la stavo trovando. Così ho
voluto fermarmi, ma non da mia madre. Ho pensato di tornare alle mie
origini. Così sono tornato in questo quartiere, spinto da qualcosa che
non ti so dire. Forse pensavo di aver iniziato a perdermi quando me ne
sono andato da qua e così ho creduto di ritrovare quel pezzetto di me
che cercavo, dove forse l’avevo perso. Rivederti per me è un segno del
destino. - Disse piano e penetrante con lo sguardo che gli andava
dentro in profondità e lo destrutturava. Tommy non riusciva a
respirare, teneva gli occhi spalancati incredulo di quel che sentiva e
a stento riuscì a balbettare rauco:
- D-destino? - Giulio annuì prendendogli la mano affusolata, avvicinò il viso al suo.
- Ho sempre saputo
dentro di me di essere gay, credo che sto cercando un legame vero che
mi soddisfi, ma l’ho sempre cercato nel genere sbagliato per comodità e
paura. Però non ce la faccio più a vivere una falsa vita. Nel ballo
vivi per cercare la perfezione e perciò nascondi tutti i tuoi difetti.
Ho nascosto la mia vera natura, ma penso che mi manchi un vero legame e
perciò devo imparare a vivere anche la mia vera natura e accettarla.
Non so esattamente come fare, è difficile, ieri sera sono scappato da
quel locale, è stato il mio primo tentativo. Ma poi incontro te,
proprio te che ieri mi avevi colpito. E tu sei esattamente ciò che sono
io. Io penso che il destino ci abbia messi uno nella strada dell’altro,
di nuovo, perché ci possiamo aiutare a vicenda. Tu a farmi vivere
quella natura come tu hai già fatto, io ad insegnarti ad amarti e
smettere di distruggerti. Cosa ne pensi? -
E dopo aver lanciato la bomba, Giulio si aspettava che Tommy la raccogliesse senza problemi e accettasse.
Ma nella sua testa un’esplosione arrivò e non fu per niente in grado di gestirla come Giulio si era aspettato.
- Tu sei pazzo! Io non
sono in grado di aiutare me stesso, figurati un altro! - Così sbottando
con aria melodrammatica si alzò in piedi e iniziò a girare per casa
come un’anima in pena, nel panico di quel che gli aveva proposto
Giulio. Che fra l’altro non era una relazione, ma guidarlo nella via
dell’omosessualità.
Prua follia!
Specie perché magari invece voleva farselo lui, altro che guidarlo fra le chiappe di un altro!
L’egoismo e la paura lo
rivestirono da capo a piedi e mentre iniziava a snocciolare una serie
di motivazioni per cui non poteva aiutare nessuno, Giulio si alzò e
calmo e pacato sollevò le mani per fermarlo. Questo funse da
interruttore. Tommy smise di correre come una pallina da flipper
dicendo che era un autentico disastro e non poteva essere d’aiuto a
nessuno.
- Tommy. - Tentò Giulio pacato.
- Sono un caso umano,
Giulio! Mi odio e mi odierò per sempre e non so cosa siano i legami e
le relazioni, io trombo con altri ragazzi, faccio anche orge e vado in
giro a fare il cazzone! Bevo e fumo e mi impasticco pure! Che guida
pensi che possa essere? Tu mi ricordi come un tuo amico che ti dava
baci sulla bocca, ma quel bambino innocente è morto! -
- Riflettici un po’,
accarezza l’idea. Non dobbiamo fare nulla di speciale, solo vederci ed
uscire insieme. Ora che ti ho ritrovato non ti lascerei comunque
andare. Guarda come è stato facile parlare ora insieme, ci siamo aperti
come... io non l’ho mai fatto con nessuno! E scommetto che tu non
piangevi prima di stamattina da anni! - Tommy ricordò le sue lacrime
nel momento in cui l’aveva abbracciato e guardò altrove mordendosi a
sangue la bocca, strinse la mano sul fianco cercando di mantenere una
posa da diva dietro cui nascondersi, ma la maglia era stropicciata
sotto la presa della mano e si vedeva tutto il suo nervoso e quella
voglia di piangere ancora.
- Voglio solo che ci vediamo e che parliamo ancora così come ora. Non voglio altro. Il resto verrà da sé. -