CAPITOLO I:
LIBERO DI
UCCIDERSI
“Siamo
tutti liberi di fare ciò che riteniamo meglio. Io di vivere
e tu di ucciderti.”
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Fairytale gone bad - Sunrise Avenue /
Il primo giorno era
andato piuttosto bene e il motivo era, naturalmente, che non avevano
fatto lezione.
Dopo lo
spettacolo, il consueto discorso del preside e l’assegnazione
delle classi, erano tutti entrati in aula, avevano fatto il primo
appello dell’anno ed avevano passato il resto della giornata
a parlare delle rispettive estati.
Bill, Jake e
Tray erano stati ovviamente quelli più al centro
dell’attenzione. Un’ovazione entusiasta li aveva
accolti e per tutte le ore rimanenti erano stati loro a parlare della
vacanza in giro per gli Stati Uniti.
Tutte le tappe
da mare erano state toccate e molti concerti in vari locali e feste
estive avevano permesso loro di farsi conoscere un po’ di
più e guadagnare qualcosa per mantenersi la vacanza.
Avevano avuto
molte storie da raccontare visto che tre così di norma
attiravano un guaio dopo l’altro. Per lo più erano
sembrate barzellette e chi non li conosceva non ci avrebbe mai creduto
se a confermare che erano davvero capaci di quelle cose, non fossero
stati gli altri loro conoscenti.
I tre Basket
Case erano uno più matto dell’altro e
l’ilarità generale era salita alle stelle con
ciò che avevano raccontato dei tre mesi precedenti.
Incoscienti
oltre ogni dire, avevano fatto ridere tutti delle scenette comiche che
avevano anche inscenato per perdere più tempo e continuare
ad essere acclamati dai compagni.
Ormai avevano
in mano anche quella nuova classe!
Le ore erano
passate in un attimo ed anche per quel giorno le lezioni erano
concluse, naturalmente in anticipo.
Erano le 12.
L’atmosfera
che si respirava a scuola non era ancora angosciante e pesante ma
bensì abbastanza leggera ed entusiastica.
Erano rimasti
tutti contenti di aver assistito ad un paio di canzoni live dei Basket
Case, un bel modo di iniziare l’anno scolastico, dopo tutto.
Per i corridoi
ormai deserti, avevano tutti avuto fretta di andare via il prima
possibile, solo una figura si aggirava canticchiando allegramente i
versi di una propria canzone, quella che andava per la maggiore e a cui
lui stesso era particolarmente affezionato.
Vestito come si
era presentato sul palco dell’auditorium quella mattina,
avanzava a passi spediti con un’allegria contagiosa.
Non aveva nulla
di particolare per la testa se non i versi che aveva composto anni fa.
I capelli corti lasciati a loro stessi, tutti spettinati e scompigliati
sulla testa a ricoprirgli la fronte e incorniciargli il viso magro dai
lineamenti da folletto.
Gli occhi
truccati con la matita nera ormai sbavata, erano sempre perfettamente
in risalto grazie alle iridi grigio chiaro, quasi trasparenti. Erano
vispi e illuminati di una luce che tutti ritenevano un mistero. Come
facesse a non avere mai nemmeno un ombra era inspiegabile.
I tatuaggi
sulle braccia ben in mostra indicavano tutta la libertà di
cui era padrone e non c’era uno, all’interno della
scuola, che non lo invidiasse.
Certo, anche
Jake e Tray erano osannati per un motivo o per l’altro, ma
Bill era il leder, il più famoso, il più
apprezzato in assoluto. Colui di cui tutti avrebbero voluto essere
amici stretti e che nessuno, invece, poteva vantarsi di esserlo a quei
livelli.
Bill aveva
tanti amici, ma non seri. Gli unici degni di quel nome erano gli altri
due membri del suo gruppo, amici d’infanzia con cui erano
cresciuti, più fratelli che altro.
Come mai
proprio lui si aggirava ancora per i corridoi deserti della scuola?
- Io sono aria,
mi nutro della vita, mi bagno del sole, mi riposo nella gioia, non
posso fermarmi, non conosco fine, non conosco stop. Io vado avanti
senza mai fermarmi, nessuno potrebbe battermi! - Il ritornello che
ormai si udiva ad alta voce rimbombava fra le mura vuote, qualunque
cosa facesse non se ne vergognava mai, sembrava davvero non avere alcun
problema al mondo ma probabilmente, come nella maggior parte dei casi,
l’apparenza ingannava.
Giunto davanti
alla propria aula che aveva lasciato mezz’ora prima con tutti
gli altri, l’aprì continuando il ritornello che
l’aveva consacrato al pubblico.
Non era ancora
famoso come avrebbe voluto, ma ben presto, non aveva dubbi, sarebbe
arrivato sulla vetta!
Non
degnò l’intera aula di uno sguardo, non subito.
Andò diretto al proprio banco e preso il proprio cellulare
che aveva dimenticato, che aveva creduto di non trovare più,
si voltò per uscire di nuovo, continuando a cantare
allegramente i propri versi.
Quando
un’ombra insolita l’oscurò una volta
attraversata l’aula, si fermò incuriosito per
cercare la fonte della stessa. Non ci avrebbe dato troppo peso
normalmente, ma non seppe dire perché invece si
voltò, lui agiva sempre e solo d’istinto, senza
alcun particolare ragionamento.
Una volta verso
la finestra sussultò sorpreso nel vedere in piedi verso
l’esterno un ragazzo.
Con le mani si
teneva ai vetri aperti, la schiena magra come ogni altra parte del suo
lungo corpo dinoccolato era tutto ciò che si vedeva
dall’interno della stanza. Solo la testa era girata per
metà e Bill vide il suo profilo perfetto e regolare,
lineamenti quasi dolci e volendo addirittura effeminati. Il sole da
fuori lo adombrava per dentro impedendo di mostrare il colore dei suoi
occhi che però gli parvero chiari. Chiari ed inespressivi.
Seri.
Vuoti.
Le labbra ben
disegnate erano ferme in una linea piatta e non un muscolo si mosse
vedendolo.
Erano al quarto
piano.
I capelli
biondi gli arrivavano lisci ma in disordine a coprire il collo, alcune
ciocche più corte gli stavano in aria, altre divise sulla
fronte o ai lati del viso. Non aveva un metodo preciso per pettinarsi.
Bill
pensò che però fosse molto bello, per essere un
ragazzo in piedi sulla finestra.
“Sembra
un principe…”
L’impressione
che dava a tutti era effettivamente quella, s’intravedeva
un’eleganza distinta in quel viso, in mezzo a quella specie
di stracci con cui si vestiva.
Abiti
trasandati gli cadevano larghi addosso, erano di un paio di taglie
più grandi. L’enorme bandana intorno al collo,
legata per dietro, una catena alla cintola dei jeans strappati, un
bracciale in pelle intorno al polso.
- Scusa, non
volevo interromperti… è che ho dimenticato il
cellulare in classe. -
Bill
cercò di fare mente locale su chi lui fosse, ma senza
successo. Non l’aveva notato prima ma evidentemente gli era
sfuggito visto che doveva essere in classe con lui.
Quasi con
rammarico ma sorridendo lo salutò per andarsene dicendo un
insolito:
- Tolgo il
disturbo! -
A
quell’insolito comportamento, il giovane in piedi si
voltò meglio verso l’interno e guardandolo gli
sfuggì un insolito: - Eh? -
Credeva di aver
capito male.
Il moro si
fermò tornando sui suoi passi, lo guardò di
nuovo, ora lo vedeva meglio. Era davvero un bel ragazzo, forse
più bello di Jake. Lo poteva vedere nonostante come si
conciasse.
- No,
dicevo… non volevo disturbare… me ne vado subito!
- La situazione era innegabilmente irreale.
Già
trovare uno sconosciuto che sta per buttarsi giù dal quarto
piano non sarebbe stato considerato normale… ma
l’altro che invece di fermarlo se ne andava scusandosi, era
del tutto irrazionale ed illogico!
Matto quello
che vuole uccidersi, ma mica tanto normale quello che non glielo
impedisce!
Finché
si trattavano di follie ‘ordinarie’ era una cosa,
ma quella non era uno scherzo. Bill avrebbe lasciato che un ragazzo si
uccidesse!
- E non mi
fermi? - Chiese con voce sottile e roca. Non parlava da molto e forse
in tutta la giornata non l’aveva ancora fatto.
Bill si strinse
nelle spalle ma l’osservò con attenzione per
imprimersi quella bellezza nella mente. Dei versi gli affioravano con
una musica malinconica da ballata. Una nuova canzone su quel momento
insolito.
-
Perché dovrei? - Che fosse serio? Il giovane sconosciuto si
girò ancora meglio verso l’aula, lo
fissò come fosse lui il matto e finalmente si rese conto che
i muscoli facciali gli tiravano perché dopo molto tempo
aveva un’espressione.
Sconvolto lui
stesso di questa realizzazione ascoltò attento la risposta
di quel popolare ragazzo che ora gli stava davanti a pochi metri con
un’aria così semplice da essere disarmante.
Non
l’ombra della paura o della tensione addosso. Non era
sconvolto di essere davanti ad un suicida.
- Insomma, mi
sembri seriamente intenzionato a buttarti. E chi sono io per
impedirtelo? Che ne so io che non è davvero la cosa
migliore, per te, farla finita? - Al silenzio dell’altro Bill
allargò le braccia, poi si grattò la nuca
spettinandosi ulteriormente i capelli arruffati e strinse le labbra
senza saper cos’altro dire. - Siamo tutti liberi di fare
ciò che riteniamo meglio. Io di vivere e tu di ucciderti. -
Dopo di ché si voltò prendendo la porta ed
uscendo senza aggiungere altro.
Avrebbe voluto
fermarsi per guardarlo ancora ma sapeva che era ora di andare.
Se voleva farla
finita non poteva esitare così tanto per colpa sua.
Se vivere era
una tale sofferenza, anche un solo minuto in più passato a
parlare con qualcuno doveva essere una tortura. Lui non gli voleva mica
male, non voleva sottoporlo ad altro dolore.
Il ragazzo dai
capelli biondi che sotto il sole parevano ancora più chiari,
rimase immobile in piedi sul balcone della finestra a fissare
stralunato la porta chiusa dove era sparito quel tipo insolito.
Tutto si
sarebbe aspettato se fosse entrato qualcuno, ma non quello.
Tornato a
girarsi verso l’esterno, il sole baciò nuovamente
la sua pelle pallida riscaldandolo. Abbassò gli occhi verso
il terreno a metri di distanza. Rimase lì molti minuti a
ripensare alla stranezza di quel ragazzo che l’aveva fatto
parlare ed avere un’espressione dopo giorni di nulla, ma non
aveva cercato di fermarlo, infine sussultò nel vederlo
attraversare il cortile per uscire e andarsene. Aveva una camminata
allegra e spigliata e facendo attenzione lo si poteva udire cantare una
nuova canzone che nessuno aveva ancora ascoltato.
Quello sarebbe
stato il momento giusto, si disse.
Non sapeva
spiegarselo perché proprio quello, visto che ogni giorno
saliva sulla finestra e guardava giù cercando un motivo per
non farlo, ma lì credette che sarebbe stato perfetto.
Però
proprio quando stava per accingersi a farlo nel caos più che
nel vuoto, si bloccò di nuovo quando proprio quel ragazzo
dai capelli neri come i suoi vestiti, tranne che per la cintura e le
scarpe giallo canarino, si girò alzando il viso verso la sua
aula. Erano troppo lontani per vedersi negli occhi ma ebbe la netta
sensazione di avere i suoi trasparenti nei propri azzurro cielo.
A sorprenderlo
come fosse stato picchiato fu il braccio che alzò ed il
sorriso radioso con cui lo salutò.
Agitò
la mano in sua direzione, quindi senza aspettare una risposta
tornò a voltarsi e superò il cancello andandosene.
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Please please please, let me get what i want - Muse/
Steso nel divano di
casa di Tray con il proprio enorme labrador dal pelo chiaro steso
addosso, lo ricopriva del tutto risultando più grande del
padrone, Bill l’accarezzava pensieroso con ancora i versi
della canzone che gli era venuta in testa poco prima.
Era passato da
casa solo per prendere Belfagor, il proprio fedele cane che si portava
ovunque potesse, fosse per lui anche a scuola, poi aveva raggiunto gli
altri due amici a casa dell’amico dai capelli verdi come ogni
giorno.
Passava
pochissimo tempo a casa, non gli piaceva stare alla sola compagnia di
quella sottospecie di padre alcolizzato buono a nulla. Se non avesse
avuto la doppia pensione sia di anzianità che di
invalidità per la ferita che l’aveva menomato in
una gamba, sarebbero sicuramente stati sotto un ponte. Bill riusciva a
malapena a recuperare i soldi di nascosto per pagare le bollette, il
resto quell’uomo se li beveva tutti dalla mattina alla sera.
Non gliene importava molto, stava pochissimo in casa, non gli pesava
per nulla. Aveva il suo adorato cane, tutto ciò che riteneva
una famiglia ad eccezione dei suoi due amici. Loro e la musica gli
bastavano.
Non sarebbe
rimasto là a lungo, ben presto se ne sarebbe andato, avrebbe
fatto carriera coi Basket Case e non avrebbe avuto alcun problema al
mondo. Lui ci credeva, ne era convinto. Era la sua ragione di vita per
non crollare e continuare ad essere il matto felice per eccellenza.
Riteneva ci
fosse di peggio nella vita… come una meravigliosa sorellina
malata terminale destinata a morire troppo giovane.
- Come mai hai
fatto tardi? - Chiese Jake con la sigaretta pigramente accesa fra le
labbra. Anch’egli era mezzo steso nel divano e
l’aria soddisfatta era dovuta alla fine delle lezioni, al
pranzo appena fatto, al non dover vedere ancora i suoi genitori che si
cornificavano allegramente e consapevolmente a vicenda e
dall’appuntamento con una ragazza per quella sera. Il sesso
era una potente droga e garanzia di momenti di spensieratezza. Prima di
esso c’era solo la musica e per quella avrebbero provveduto
fra poco nel garage di Tray.
Bill si accese
anche lui una sigaretta che tenne alla base dell’indice e il
medio, quindi rispose stringendosi nelle spalle come per sminuire il
racconto:
- Oh,
nulla… avevo dimenticato il cellulare in classe, son dovuto
tornare indietro. - Si chiese se fosse abbastanza rilevante anche dire
del ragazzo suicida, poi decise che con loro condivideva anche le
sciocchezze, così continuò annoiato: -
C’era un tipo che stava per buttarsi giù. - Jake
alzò un sopracciglio dando al suo bellissimo viso sexy un
aria ancor più inconsapevolmente sensuale.
- E tu che hai
fatto? - Lo guardò coi suoi occhi azzurri sinceramente
incuriosito. Lo conosceva abbastanza per sapere che non era scontato
che l’avesse aiutato. Bill era un animale strano.
- Che vuoi che
abbia fatto? Mi sono scusato per averlo interrotto e me ne sono andato!
- Il ragazzo dai biondi capelli radi coi vestiti attillati che
evidenziavano il suo bellissimo corpo atletico, si tirò su a
sedere per guardarlo meglio in viso, per quel movimento brusco il cane
alzò la testa guardandolo curioso, tirò le
orecchie indietro e si mise a scodinzolare aspettando una carezza
dall’amico.
Il viso di quel
simpatico e adorabile animale era estremamente espressivo con quegli
occhioni scuri speranzosi e sorridenti nel chiedere carezze. Jake lo
notò e l’accarezzò ma senza dargli la
giusta attenzione, era concentrato su Bill che tirò una
boccata di fumo senza muoversi di un millimetro.
- Davvero? -
Era un misto fra l’incredulo, il divertito e lo shockato. Lo
conosceva da quando era piccolo, sapeva che era matto e anormale ma non
fino a quel punto.
- Potresti
avere una morte sulla coscienza… - Fra tutti Jake era il
più sano, anche se pure lui aveva le sue brave
stranezze….
- Mica
l’ha ucciso lui! - Intervenne infine con la bocca piena di
dolce il terzo membro del gruppo, Tray. Il giovane robusto che pensava
solo al cibo, a dormire, a fare follie e alla musica, era
anch’egli steso sull’altro divano ricoperto di
briciole.
La cresta dei
capelli verde acido, come i vestiti a quadri da spaventa passeri, era
ormai abbassata.
Jake
guardò allora lui col medesimo sguardo, l’amico
continuò ingoiando il boccone:
- Dai, Jake!
Non era Bill ad incitarlo a buttarsi. Gli ha solo detto di fare quel
che voleva! - Ma il biondo non era ancora convinto anche se avrebbe
dovuto immaginare le loro risposte.
Bill allora
riprese la parola continuando ad accarezzare la testa di Belfagor al
posto dell‘altro:
- Ognuno
è libero di vivere come vuole, giusto? Quindi anche di
uccidersi! Insomma, io chi sono per decidere che è meglio
che viva piuttosto che muoia? Magari la sua vita è
così tremenda che è meglio la faccia finita e
smetta di soffrire… come posso fargli cambiare idea io? Non
avrei nemmeno saputo cosa dire… e poi sarei stato ipocrita.
A me non frega nulla che viva o muoia. Non l’ho mai visto
prima! - La spiegazione semplice, tranquilla ed esauriente diede a Jake
una visione completa della sua mentalità e non
poté far altro che ammettere che, tutto sommato, non aveva
tutti i torti.
Tornò
ad appoggiarsi allo schienale e a piegare la testa di lato in una sorta
di resa. Non poteva biasimarlo, dopo tutto. Anche quella era una
reazione valida.
- Era della
nostra classe? - Chiese allora per farsi un’idea di chi
potesse essere.
- Immagino di
sì, ma non lo ricordo proprio. - Dopo di ché si
illuminò ricordandosi la parte più interessante
di quell’attimo insolito, quindi alzandosi di scatto,
provocando per questo dei forti lamenti del cane che si
spostò su Jake, aggiunse: - Mi ha fatto venire su una nuova
canzone… ho già parole e note, devo solo buttarla
giù! -
- E cosa
aspetti? - Esclamò allegramente Tray facendo salire il
proprio gatto che stranamente andava d’accordo con Belfagor.
La creatura
sopra la pancia di Tray era un gatto obeso arancione in tutto e per
tutto simile al padrone, un tutt‘uno. Una coppia migliore non
ci poteva essere.
Si chiamava
Belzebù.
Anche Jake
aveva un animale, un iguana femmina di nome Lilith, naturalmente non
poteva portarsela dietro però ci era piuttosto affezionato.
Tray e Bill
avevano scelto insieme i nomi dei tre animali, tutti derivati da
demoni, e il biondo non si era opposto reputando le loro idee
divertenti.
- Mi ci metto
subito! - Esclamò contento Bill saltando in piedi come fosse
un cane festoso lui stesso.
- Carta e penna
in camera di Kathy. - Borbottò pigramente
l’uomo-gatto senza la minima intenzione di alzarsi dalla sua
comoda postazione col suo comodo animaletto gigante comodamente steso
sopra.
Senza dire
altro Bill si defilò allegramente canticchiando il motivetto
della nuova canzone. Entrato in quella che sapeva essere la camera
della sorella minore di Tray a cui erano tutti affezionati come fosse
la propria, la salutò con un sorriso radioso pieno di gioia
e gentilezza che riservava solo a lei.
- Ciao Kathy!
Dormi? - La bambina di dieci anni era stesa nel proprio letto dalle
coperte rosa. Era un colore che le dava pace e ne era letteralmente
circondata. La schiena tirata su su un cuscinone comodo, le mani a
reggere un libro, un po’ di musica si spandeva fra le pareti
femminili, musica classica. Anch’essa le dava pace.
- No, stavo
leggendo! - Il sorriso con cui lo salutò fu di
felicità pura, adorava Bill quanto Jake e suo fratello. Per
lei erano tutti sullo stesso livello.
Il viso della
piccola era pallido e due occhiaie profonde le solcavano il magro volto
sorridente tutt’occhi, non somigliava per niente a Tray, lei
era davvero graziosa nonstante l’aria malata.
Non aveva
ancora molti anni da vivere eppure quel suo sorriso non si spegneva
mai, così come l’allegria folle del fratello.
- Mi serve
carta e penna, devo buttare giù una canzone! -
La piccola dai
capelli castani pieni di boccoli si illuminò, adorava le
canzoni di Bill anche se le mettevano il mal di testa.
- Certo,
è tutto lì sopra! - Indicò uno
scrittoio nell’angolo pieno di blocchi e di penne. Alcuni
erano pieni dei suoi pensieri che nessuno leggeva, altri erano ancora
vuoti.
Si chiedeva se
sarebbe riuscita a riempirli tutti prima di morire.
Una volta che
ne prese uno libero, Bill si voltò salutandola col pugno
alzato e l’occhiolino, stessa cosa fece lei come in un rito
tutto loro, quindi se ne andò lasciandola sola a riposare.
Non era facile
eppure a vederli sembrava così normale anche
quello…
/
You’ve got the love - Florence and the machine /
La mattina dopo Bill
arrivò a scuola da solo.
Attraversando
il cortile pieno di studenti non ce ne fu uno solo di loro che non lo
salutava entusiasticamente. Essendo molto popolare non passava
inosservato e tutti speravano di essere salutati da lui per primo,
tuttavia Bill si limitava a ricambiare quelli che riceveva con
altrettanta allegria.
Tutti lo
invidiavano, a tutti piaceva, tutti lo guardavano e speravano in un suo
gesto verso di loro.
Tutti ad
eccezione, probabilmente, di uno.
Questo ragazzo
dai capelli biondi spettinati che gli cadevano sul collo e parzialmente
sulla fronte, ora li si vedeva bene, aveva gli occhi azzurri.
Bill
incrociandolo nel suo tragitto lo notò subito, non
sembrò sorpreso di vederlo nonostante il girono prima
l’avesse lasciato in piedi sul balcone di una finestra del
quarto piano intenzionato ad uccidersi.
Sorrise radioso
in sua direzione, egli lo vide e si fermò mascherando la
propria sorpresa con un’aria apparentemente indifferente.
Allora Bill
passandogli accanto alzò la mano, gliela batté
sulla spalla e lo salutò ad alta voce, forte e chiaro,
più contento che mai:
-
Ehilà, ciao! - Come se fossero cari amici e se si fosse
aspettato di vederlo anche quella mattina.
Sorpassato, il
biondo vestito come al solito trasandato rimase fermo a fissare
perplesso la sua schiena allontanarsi.
Una strana
sensazione indecifrabile si fece timidamente largo dentro di
sé, ma era troppo flebile per essere notata e compresa.
Si
limitò ad alzare le spalle e a riprendere il suo cammino
sentendosi fastidiosamente più osservato di prima.
Tutti, infatti,
notando la scena, si erano chiesti chi fosse quel tipo
dall’aria elegante ma al tempo stesso trasandata, salutato
dal famoso Bill dei Basket Case.