CAPITOLO XIII:
CALAMITA’ NATURALI

/ Na na na  (na na na na na na na na na) - My Chemical Romance /
Sembrò come se il dito di Astrid avesse le convulsioni, visto le volte ripetute che schiacciò il campanello.
- Penso che abbiano capito che c’è qualcuno alla porta! - La riprese Michael sistemandosi i capelli all’indietro, la tinta blu ormai gli colava sul collo macchiandogli i vestiti strafondi, qualcosa di probabilmente artistico dal suo punto di vista in aggiunta alle gambe dei pantaloni una strappata all‘altezza della coscia e l‘altra intera!
- Ma con tutto questo casino di tuoni e pioggia magari non sentono! - Si giustificò la sorella convinta accostando al citofono l’orecchio pieno di orecchini. Il ragazzo scosse il capo capendo che ormai era inutile e poco dopo una voce incerta si udì dall’apparecchio che stava ascoltando:
- Chi è? -
Per tutti naturalmente rispose la sconosciuta, come se invece fosse di casa:
- Il lupo mangia frutta! - Un infantile giochino che facevano da bambini: uno era il lupo mangia frutta e gli altri i frutti. Lui arrivava a casa loro, bussava, rispondevano ‘chi è’ e lui cominciava a dire il frutto che voleva. Chi veniva nominato doveva scappare e se il lupo lo prendeva i ruoli si scambiavano.
Bill cominciò a gridare saltellando che lo faceva anche lui da piccolo e dietro a ruota ci andò naturalmente Tray il quale faceva sempre il cocomero anche se veniva sistematicamente beccato.
Ma naturalmente dall’altra parte la signorina chiese credendo di aver capito male:
- Chi è?! - Con voce strozzata.
- Ma no, dovevi rispondere ‘Che frutta vuoi?’ - Michael la spinse via con una spallata e le si sostituì al citofono sentendosi alquanto strano nel fare la parte del ragazzo coscienzioso, ma con una come lei non c’era molta scelta.
- Scusi, siamo amici di… - Ma si rese conto di non sapere di chi erano amici così si girò verso Jake che ridendo gli suggerì il nome, così sghignazzando lo disse: - Evan! C’è? Possiamo entrare per favore? -
Astrid tornò a spintonarlo:
- E quando mai tu chiedi per favore? - Effettivamente era anche vero.
- Prego, accomodatevi. -
Si capiva che la voce dall’altra parte non era molto sicura, però probabilmente era in una crisi di coscienza visto la pioggia furiosa che tempestava il mondo.
Il cancello alto ed elaborato rubato alla Reggia di Versailles si aprì automaticamente e il gruppetto entrò attraversando tutto il vasto ed immenso giardino con tanto di siepi, alberi, panchine, fontane, aiuole e gazebo.
Molto accogliente e pieno di buon gusto.
Giunti alla porta di casa, un capolavoro anch’esso elaborato in legno massiccio che faceva la sua regale figura, poco prima che i ragazzi potessero suonare ancora, l’uscio si aprì come per magia.
I cinque più il cane si guardarono chi scettico chi allibito chi eccitato.
Non serviva dire chi era come.
- Non sembra di essere nel set de La bella e la bestia? - Fece eccitata e saltellante Astrid.
- La bella e la bestia non era un film con un set ma un cartone animato, al massimo possiamo sembrare ne ‘La favola de La bella e la bestia’! E aggiungo anche che tu potresti fare proprio la Bestia! - Precisò Michael il quale più che altro ci godeva nel contraddirla sempre. Lei gli fece la linguaccia e lui l’abbracciò facendo tregua.
- E’ colpa tua, quando scappi mi fai innervosire e divento noioso! - Riconobbe poi il fratello dandole dei simpatici pizzicotti sui fianchi, sui bulbetti etilici.
La ragazza si girò fra le sue braccia e gli stampò un bacio sulla guancia in segno di scuse, quindi gli spettinò i capelli gocciolanti mettendoglieli tutti sugli occhi. Appena sotto il portico Belfagor scese dal braccio di Jake e siccome ormai non erano più soggetti al diluvio universale il cane e Michael si scrollarono frenetici per togliersi di dosso l’acqua abbondante in eccesso, il risultato furono peli per uno e capelli per l’altro semplicemente inguardabili ed arruffati, solo che siccome il ragazzo non aveva i capelli proprio cortissimi, l’effetto fu alquanto buffo.
- Sembri un cane komondor! -
Esclamò Bill il quale aveva in mente ogni razza esistente e se poteva paragonava tutti ad una di esse.
Dopo essersi passato nuovamente le mani sulla testa per sistemarsi alla meglio le ciocche, giusto per vederci qualcosa, Michael in perfetta sincronia con Jake si tolse la maglietta strafonda e strizzandole se le buttarono sulla spalla.
Esattamente in quell’istante dalla porta aperta si affacciò la cameriera, una ragazza sui trent’anni che probabilmente lavorava lì da poco e poco ci sarebbe rimasta, visto la pietrificazione istantanea nel ritrovarsi davanti, fra gli altri, due bellissimi ragazzi a torso nudo tutti bagnati!
Vedendo che non si muoveva, non parlava, non batteva ciglio e non respirava, Bill, Tray e Astrid si girarono per capire su cosa si fosse incantata e notando i due senza maglietta che davano splendido sfoggio dei loro tatuaggi oltre che dei fisici da modelli strategicamente bagnati, non se la sentirono di rimproverarla e con enorme simpatia ed un’espressione che diceva ‘effettivamente non ha torto’, entrarono senza aspettare permessi od inviti.
- Evan? - Chiese Bill guardandosi intorno come se fosse la prima volta che entrasse. In effetti era appena la seconda…
Era solo l’ingresso eppure era qualcosa di esagerato, dal che si poteva dedurre che tutto il resto doveva essere esorbitante.
I primi occhi a brillare a quel pensiero furono quelli di Tray che lo espresse con gran sadismo infantile:
- Ma vi immaginate cosa deve essere questo posto? - Come se fosse un luna park!
- Pensate che hanno un intero piano adibito a biblioteca… ed è identica a quella de La bella e la bestia, a proposito di quel film! -
Che fosse un cartone era inutile ripeterlo e Michael si trovò a fischiare. Di soldi stava di certo bene, ma non arrivava a quei livelli. Era più al livello di Jake, mentre lì c’era razza pura e si capiva al volo.
- Un altro pianeta! - Asserì Astrid basita lei stessa davanti all’enormità che si ingigantiva davanti.
Ci mise un nano secondo a rimanere ferma a guardare il buio più in là e a chiedersi cosa ci fosse, un nano secondo netto.
Dopo di ché mosse un passo con quella di andare ad esplorarlo d’impulso, senza preoccuparsi di avvertire gli altri, aspettare il fantomatico Evan o il parere di qualcuno.
Peccato che Michael se lo aspettasse e agguantandola per i capelli lunghi che tintinnarono per i campanellini, la fermò subito.
- Dove credi di andare, bestia? - L’ammonì non avendo voglia di cominciare una caccia al tesoro nuova.
- Ma non ti viene voglia di vedere cosa c’è là? - Fece con una vocetta sottile che fingeva di essere flebile e diligente. Con tanto d’occhioni sbattuti indicò la sala ampia che comunque era ancora rigorosamente al buio visto che rimaneva accesa solo la luce d’ingresso.
- Ma c’è qualcuno? - Chiese Jake alla cameriera ancora presa malissimo che li fissava appiattita contro il muro dimentica di ciò che era lì per fare, ovvero gli onori di casa!
- Lascia perdere, andiamo a cercare Evan! - Esclamò Bill preferendo di gran lunga avere a che fare esclusivamente con quello che insisteva nel chiamare suo amico.
- Sì, dai, andiamo a cercare Evan nei meandri di questo magnifico parco divertimenti! - Asserì entusiasta Tray dopo essersi scrollato anch’egli i capelli la cui tinta giallo canarino si era sciolta come quella di Michael lasciando una tenue tonalità della stessa.
Appena si girò per partire liberamente in quinta trattenuto proprio da nessun coraggioso, si fermò subito trovandosi davanti una silenziosa figura che fece prendere un colpo al giovane. Non urlò ma poco ci mancò, merito fu del fatto che si notava fosse vivo: non era vestito di bianco e soprattutto non era eccessivamente cadaverico.
- Evan! - Esclamò Bill saltandogli di slancio addosso come se fossero amici di vecchia data. Il ragazzo si scansò ed evitò il canguro che finì prontamente in piedi.
- Cosa succede? - Sotto la luce si notavano le sue occhiaie profonde sotto gli occhi che però non rovinavano troppo la sua bellezza delicata e nobile. Giusto quella, visto che il resto era trasandato e trascurato come vivesse sotto un ponte!
- Ci siamo persi, cercavamo il cimitero ma ci siamo trovati qua e siccome piove e tuona e Belfagor ha paura e poi si ammala siamo venuti a chiederti ospitalità giusto finchè non smette di piovere. - La conclusione sarebbe dovuta essere: ‘possiamo?’ ma per lui era scontato, così come nessuno commentò il fatto che si preoccupava più per il cane e che se si erano persi era colpa sua e soprattutto che la strada per il cimitero gli altri la sapevano ma non ci pensavano minimamente ad andarci di sera.
Lo lasciarono parlare e si godettero l’espressione estremamente trattenuta di Evan. Si vedeva che faticava a stare impassibile.
Visionò con freddezza i due ragazzi a torso nudo, ignorò di pari passo Tray deluso dal non poter partire a razzo con la caccia al tesoro e si soffermò su Astrid un paio di secondi. Su di lei alzò un sopracciglio misteriosamente, dopo di ché notò il famoso cane giusto perché gli si stava strofinando amorevolmente fra le gambe come se fosse lui il suo padrone. Fece un passo indietro ancora completamente composto, poi tornò a Bill davanti a sé che sorrideva a trentadue denti più felice che mai.
- Ma anche no! - La sua risposta venne quasi dal cuore ma prendendola come uno scherzo gli altri risero dandogli delle sonore pacche sulle spalle mentre lo superavano per dirigersi verso… se ne accorsero subito.
Dove diavolo potevano andare?
Si fermarono e rivolti di nuovo verso il proprietario di casa, chiesero sfacciati:
- Dai, facci vedere la casa! - Compromesso per loro accettabile per vedere quell’immensa villa che sapeva di antico e di segreti ovunque.
Evan fece di nuovo fatica a trattenersi e con i nervi messi seriamente a dura prova, sospirò appena e notando che la cameriera era scappata a gambe levate, cercò di essere quanto mai deciso seppure questo gli procurasse una certa fatica.
- L’unico luogo che vi mostrerò è questo. - Mancanza di ospitalità a parte, si sconvolsero più per la notizia in sé che per la sua maleducazione di cui a nessuno sembrava importasse niente.
- Ma no dai! - Miagolò Tray che vedeva il suo grande sogno di esplorare il castello de La bella e la bestia in una notte tempestosa infrangersi dolorosamente.
Un tuono in quel momento colpì a qualche isolato da lì ed anche l’unica luce al momento accesa, ovvero quella dell’ingresso, si spense improvvisamente lasciandoli completamente al buio!
I lampi continui che provenivano dalle grandi finestre chiuse illuminavano a tratti l’interno con dei grandi flash e sentendoli felicitarsi con il fato a loro detta in simbiosi col loro spirito d’avventura, Evan decise che appena ci sarebbe riuscito si sarebbe dissanguato definitivamente.
Questo era troppo.
- Un blackout! - Affermò Tray felice.
- Ma dai, sicuro? - Lo schernì Jake ironico.
Il cane cominciò ad abbaiare in risposta al tuono e al buio credendo di risolvere chissà cosa e Bill per farlo tacere gli si buttò sopra letteralmente alla cieca.
Naturalmente mancò l’animale e si agguantò alle gambe di Evan che cadde per la sorpresa rimanendo aggrovigliato a quella specie di calamità naturale che era peggio del temporale là fuori.
In tutto questo Michael continuava a tenere ferma Astrid per i capelli, conoscendola perfettamente.
Eppure poteva venir fermata solo se lei voleva essere fermata!
- Ehi, ho un’idea! - Esclamò infatti come se i suoi neuroni lavorassero solo per combinare danni.
Bill ed Evan non avevano ancora capito in che posizione erano e soprattutto chi gli stesse leccando la faccia a turno -considerando che poteva essere solo il cane e che invece Evan temeva fosse quello svitato del suo compagno di scuola, ma soprattutto che lo svitato in questione aveva il coraggio di pensare che per qualche arcano motivo potesse essere proprio Evan in preda ad un attacco di follia-, ma Astrid implacabile, nonostante Michael chiamasse aiuto e non si sapeva perché mai lo facesse, esternò con estremo orgoglio la sua grande trovata:
- Giochiamo a sardina! È perfetto al buio! È un gioco che facevo da piccola, Michael tu lo conosci! -
- Sì che lo conosco ma conosco anche la decenza, non siamo a casa nostra, ci perderemmo e… -
Ma non riuscì a finire la frase e tanto meno a trattenerla, poiché con una valanga di imprecazioni colorite sentì i capelli della sorella sfuggirle dalla presa. A nulla valsero i richiami tonanti che gareggiavano con i tuoni.
- ASTRID PORCA TROIA VIENI SUBITO QUA! -
- IO FACCIO LA SARDINA! - Così sbraitando Astrid sparì dalla circolazione in un nano secondo.
- Cos’è che fa lei? - Chiese Evan che  non aveva capito niente di ciò che stava succedendo se non che una pazza scatenata era sparita in casa propria.
Rinunciò all’idea di sgrovigliarsi da Bill e proprio quando smise di lottare il ragazzo si sciolse dalle sue gambe sotto cui era franato. Ancora seduti a terra vicini e senza vedere un emerito nulla se non di tanto in tanto grazie ai flash dei lampi da fuori, sentirono Michael sospirare e decidersi a spiegare funereo:
- E’ un gioco -bellissimo per inciso- ma non proprio l’ideale da giocare in una villa sconosciuta. Uno fa la sardina e si nasconde, gli altri lo cercano. Quando lo trovano si nascondono con lui ed aspettando che l’ultimo li trovi. È un nascondino al contrario, solo che se la sardina si nasconde in un posto stretto devono tutti stare lì con lui. Se è abbastanza intelligente cerca un posto un po’ più grande ma ho i miei dubbi. È bello giocare in tanti e soprattutto dove non fai danni… -
- Ma è meraviglioso! Io amo tua sorella! - Esclamarono Bill e Tray in concomitanza esaltati all’idea di fare quel gioco a dir poco geniale.
Jake rise incoscientemente, Michael scosse la testa borbottando rassegnato:
- Ve la regalo quando viene a trovarmi! -
Mentre Evan cominciava a provare per la prima volta del sano e limpido cristallino terrore.
Capito cosa sarebbe successo di lì a poco pregò che un fulmine lo colpisse ma così non fu poiché cadde poco distante ma non su di sé.
- Fatta! Andiamo! -
Sentì solo questo in un coretto perfetto, dopo di che il silenzio.
Il silenzio più completo ad eccezione del frastuono del temporale e della pioggia che tempestava l’esterno.
- Bill? - Chiamò Evan ricordandosi solo il suo nome e rendendosi conto che gli altri non si erano nemmeno presentati.
Tastò accanto a sé, ancora sul pavimento, ma un lampo l’illuminò mostrandogli l’ingresso completamente vuoto.
- Oh no… - Mormorò teso mostrando finalmente una storica vena di preoccupazione.
“C’è mio padre nel suo studio che sarà già incattivito per il blackout. Figurarsi poi come sarà isterica mia madre! Ma proprio ora dovevano capitarmi in casa? Anzi, dovevano per forza esistere? Che ho fatto di male? Dannazione!”
Non si rese nemmeno conto che dopo anni quella era la prima reazione degna di nota che gli era venuta e che il cuore gli stava battendo impazzito minacciando di fargli esplodere il petto.
Ma soprattutto non era sicuro se aveva le allucinazioni tattili o cosa, ma proprio dove si era ingarbugliato con Bill gli faceva particolarmente male, come se gli avesse dato dei calci.
Poi si corresse alzandosi e guardandosi senza vedersi bene per colpa del buio.
Le gambe venute a contatto con Bill gli bruciavano, non gli facevano male.
Senza accorgersi nemmeno del solco che gli aveva tirato i muscoli della fronte, un solco che non aveva più da anni poiché di espressioni non era più stato capace di farne, semplicemente andò a cercarli nella speranza di trovarli presto.
Sì, e poi cosa avrebbe fatto di loro?
Li avrebbe uccisi?
Cacciati di casa?
Immobilizzati?
Tanto ad inquadrarli era stato un attimo.
“Chi riesce a fermarli?”
Esattamente questo il punto.
Pur trovandoli avrebbe potuto fare ben poco, ormai il disastro era cominciate e ne era matematicamente certo.
Era solo questione di attimi.


Corse dritta con le mani avanti scontrandosi con ogni muro esistente e prendendo i piedi ed i ginocchi contro ogni angolo e mobile, dopo di che si trovò a rotolare giù per le scale. Faticò a non gridare fantasiosi insulti, ma li pensò uno dietro l’altro:
“Porco diavolo fottuto testa di corna ammosciate reietto puzzone di zolfo! Io ci lavoro coi ginocchi, se me li spacco come diavolo arrivo a ballare ancora?”
Ma questo non la fermò comunque, infatti alzandosi cominciò a zoppicare. Andando piano, sempre con le mani in avanti a tastare ciò che incontrava, riprese a sentire la gioia dell’avventura nel non avere la minima idea di dove fosse.
Nel giro di un istante naturalmente fu raggiunta dal cane e riconoscendo in una creatura a quattro zampe il simpatico labrador, si chinò ad accarezzarlo, era ancora bagnaticcio e naturalmente l’odore non era dei migliori ma non se ne curò.
- Tesoro, tu che ci vedi portami in un angolino piccolo piccolo che ci nascondiamo… -
Belfagor, come se la capisse, cominciò ad avanzare per primo e lei lo seguì a ruota tenendogli la coda per non perderlo, naturalmente senza tirargliela.
- Ehi, lo vedi un armadio? Sarebbe l’ideale andare a Narnia! - Quanto fosse convinta di ciò che dicesse non era ben chiaro ma ad ogni modo ad ascoltarla c’era solo il cane che pareva abituato alle stranezze di Bill, infatti sembrando un autentico essere umano, si mise a grattare contro del legno.
- Trovato qualcosa? - Chiese Astrid tastando a sua volta. Capì che doveva trattarsi effettivamente di un armadio, quindi andando sempre a tentoni perché lì pareva non esserci nemmeno una finestra, dedusse una grandezza media ed immaginando che sarebbe stato sufficiente per due, vi si infilò di proposito ridacchiando mentre si immaginava come ci sarebbero potuti stare in quattro lì dentro!
Aperte le ante sentì con le mani degli abiti incellofanati e appesi, quindi li mise di lato e si chiuse dentro col cane, accucciandosi con lui e lasciando aperto un piccolo spiraglio per non soffocare.
- Tanto è buio e non si vede una sega! - Esclamò rendendosi conto solo in quel momento, mentre si sedeva e si fermava per la prima volta quella giornata, di essere stanca.
Ripensando a tutto quello che aveva fatto ammise che effettivamente un po’ di riposo magari poteva starci, il minimo per poter tornare alla carica più tardi. Era venuta lì per riposarsi e ne aveva fatte più di quando era a casa in Germania con la famiglia.
- Certo se ci fosse dell’alcool mi riprenderei in fretta! - Commentò, ma in quello il cane cominciò a leccarle il viso che sapeva un po’ di pioggia ed un po’ di sudore.
- Grazie, cucciolo, ma non devo avere un gran sapore… - Il cane parve fregarsene altamente e continuando a riempirla di baci, si fece abbracciare dalla ragazza che finalmente tirava, almeno momentaneamente, i famosi remi in barca.
Nell’istante in cui si rilassò fu la fine, come se la spina le venisse totalmente staccata di netto e accoccolata contro il labrador che a sua volta parve accomodarsi su di lei, si addormentarono quasi immediatamente.

Ognuno degli altri andò subito in una direzione diversa, stupendosi di quanto grande fosse quel posto. Forse lo sembrava ancora di più al buio.
Di tanto in tanto dei lampi illuminavano l’ambiente facendo vedere il deserto intorno, così si intrufolavano in stanze chiuse senza crearsi un solo problema.
C’era chi come Jake e Michael il cervello l’usavano ancora abbastanza bene e si aiutavano con la luce dei cellulari, mentre chi il termine avventura lo viveva fino in fondo ed andava alla cieca come capitava, prendendosi tutte le botte del caso ma senza mai lamentarsi se non addirittura ridendo.
Del resto di stanze da esplorare ce ne erano, alcune anche la cui utilità in ogni caso non era ben chiara.
Jake ad ogni modo si perse nell’immenso soggiorno con una serie di mobili antichi e oggetti da collezione esposti nelle vetrine e negli scaffali. Naturalmente ne fece cadere un paio, cose come velieri ed auto d’epoca. Saltò di pari passo dei noiosissimi libri negli scaffali e cercò traccia di DVD o CD. Possibile che lì dentro non si ascoltasse musica né si vedesse film? Come passavano il loro tempo? Poi notò che l’enorme televisore supertecnologico non era nemmeno attaccato alla corrente. Probabilmente non era mai stato usato, dedusse Jake con l’aiuto della penombra che proveniva dall’esterno e dalle molte finestre presenti. Era uno stanzone arredato principalmente con buon gusto, avevano ricreato una perfetta fusione fra passato antico e presente moderno, ma non era un’accozzaglia di generi completamente diversi, c’era davvero del gran stile in quell’arredamento estremamente costoso, e Jake che se ne intendeva grazie alle manie dei suoi genitori, lo capiva. Rimase a perdersi nei meandri di quel posto interessante aprendo armadietti alla ricerca di qualcosa da ingurgitare, conscio che non ci sarebbe mai stato niente. Astrid e la sardina era completamente dimenticata.
Michael si perse invece nella sala degli ospiti, che era diversa dal soggiorno ed era una specie di studio pieno di poltrone, divani, un tavolino ed un piano bar da cui si servì da solo del magnifico scotch che non apprezzò visto com’era grezzo di gusti.
Si tenne ad ogni modo tutta la bottiglia per sicurezza, non poteva mai sapere se sua sorella ne avrebbe avuto bisogno.
Poi si corresse.
Di certo ne avrebbe avuto bisogno.
Dopo di che, fregandosene altamente del fatto che fosse in una villa di un certo tipo che gli ricordava alla lontana la propria che detestava con tutto il cuore, si accese la sigaretta faticando a trovarne una asciutta. Con fortuna ne beccò una e buttando seccato il resto del pacchetto calmò il principio di nervoso con quella e l’alcolico che furono davvero provvidenziali.
Nonostante quel posto fosse effettivamente eccessivo perfino per la propria dimora, glielo ricordava ugualmente ed ogni volta che si trovava in luoghi simili l’umore precipitava regolarmente.
Alzando le spalle uscì da quella stanza per immergersi subito in un’altra sperando di trovare presto sua sorella per distrarsi. Detestava stare solo con sé stesso ed i propri pensieri.
Tray naturalmente ebbe il solito colpo di fortuna e trovando quasi al primo colpo, dopo una serie di botte non indifferenti, proprio la cucina più spaziale del secolo, lì si perse e ci rimase di brutto.
Non si chiese dove fosse la servitù e ringraziò il Cielo che non ci fosse.
Così detto fatto si prese quella che reputava la pausa legittima e rovistando negli armadi e nel frigo dalla capienza impressionante, prese tutto quello che gli parve commestibile -e non- e riempiendosi le tasche e le braccia cominciò a mangiare riprendendo la sua esplorazione. Continuando sistematicamente a sbattere.

/ Remember me (Special needs) - Placebo /
L’unico a salire le scale invece che rimanere su quel piano o scendere -rotolare- fu Bill il quale aveva un vago ricordo di come fosse fatta quella villa, seppure molti meandri non li avesse visti.
Con la luce tenue di fuori ed i lampi ad intermittenza, si muoveva abbastanza bene riuscendo ad evitare -anche grazie a quello che chiamavano l’istinto animale che possedeva- muri e mobili.
Anch’egli si infilò in varie stanze che appena le trovava aperte e sempre per istinto animale non captava nessuna presenza viva, usciva nell’immediato come non trovasse interessante l’esplorazione. Cosa sensazionale.
C’era da chiedersi se più che Astrid non cercasse una camera specifica ed appena si imbatté nella prima chiusa a chiave, si accucciò davanti alla serratura e con un sorrisone degno di un Premio Oscar cominciò a scassinarla.
Una passeggiata per lui, evidentemente, abituato a dimenticarsi le chiavi di casa di continuo e vivendo con un padre che a sua volta si dimenticava di avere un figlio ma mai di chiudere a chiave la porta di casa.
Nel giro di poco aprì e prima ancora di guardare dentro con attenzione, dal solo odore di chiuso e di polvere capì di aver trovato qualcosa di degno di essere scoperto.
Non era chiaro -come non lo era mai con lui- se avesse cercato intenzionalmente quel luogo, tanto meno cosa avesse pensato nell’andare in esplorazione, ma si mosse come se sapesse perfettamente cosa fare e ricordandosi di avere un cellulare lo accese per la prima volta quel giorno, quindi visionò le mura alla ricerca della finestra serrata, trovatala aprì gli scuri facendo entrare la luce dei fulmini esterni.
Riuscì così a vedere l’indispensabile e guardandosi meglio intorno con più attenzione si rese conto di essere in una camera da letto.
Una camera da letto che sembrava essere lasciata solo un istante prima e non sigillata da anni come poi si notava fosse stata.
Ci mise un istante, Bill, a capire di cosa si trattava e prima di dirselo si perse in una fotografia, forse l’unica che aveva notato in tutta la casa secondo ciò che ricordava dell’ultima volta. Con il cellulare l’illuminò meglio. Erano due bambini, quello più piccolo sembrava una bambina ma riconobbe subito Evan e non certo per gli occhi che non erano nemmeno l’ombra di ciò che erano ora. Lì rideva e mostrava una certa gioia di vivere.
“Il sole una volta ce l’aveva…”
Pensò quasi con malinconia. Quasi. Lui non lo era mai del tutto, era contro il suo essere, però riconosceva che certi momenti erano molto delicati e sapeva che quello lo era.
L’altro era un ragazzino molto simile ad Evan, solo che sembrava un principino dall’aria indecifrabile. Si perse ad osservarlo poiché l’espressione era la più strana che avesse mai visto.
Non riusciva proprio ad inquadrarlo e la cosa lo infastidiva abbastanza perché solitamente ci riusciva al primo colpo con tutti. Sembrava sapere già il suo destino e quello di tutti gli altri. Si sentì scrutato lui stesso al di là della foto e per la prima volta si inquietò, cosa davvero incredibile per lui.
Non era una persona comune, quel ragazzino. Doveva essere cresciuto in un modo ancor più anomalo e nonostante volesse immaginarlo con tutto sé stesso non ci fu verso.
Tenne la foto in mano ma cercò di vedere se ce ne fossero altre, così non fu e si chiese se fosse possibile che in tutta la casa non esistesse una sola singola prova che almeno in un nano secondo delle loro vite fossero stati una vera famiglia e tutti non avessero mai sorriso almeno una volta. Sorriso serenamente.
Si chiese se le famiglie nascevano in quel modo. Storte.
Non l’aveva mai capito, il metro di giudizio che aveva avuto erano stati tutti disastrosi e mano a mano che si imbatteva in nuovi nuclei familiari si rendeva conto che era per tutti così, eppure dentro di sé continuava a rifiutarsi di credere che almeno per un istante ognuno non avesse un singolo fugace momento di felicità. Almeno uno.
Almeno qualcuno doveva salvarsi.
Qualcuno che non avesse nemmeno sorelle o fratelli ‘difettosi’ in salute o mente o in chissà cosa…
Era abbastanza testardo da continuare a cercare.
Vide dei libri alla rifusa, cose impegnative e cervellotiche di vario genere, prevalentemente comunque che indicavano un’alta cultura.
Poi in un’altra zona una colonna di CD, l’unica cosa ben tenuta di quella camera disordinata ma nella media.
CD di ogni genere immaginabile, dalla classica alla contemporanea, ma tutta con un certo buon gusto.
Quello gli sarebbe bastato per capire che era un musicista che se ne intendeva, ma a conferma arrivò una scrivania piena di fogli e spartiti, erano un minimo numero rispetto a quello che si sarebbe aspettato. Non erano lavori completi e per lo più solo note buttate al volo o versi scritti in foga per non essere dimenticati.
Ne lesse un paio di quelli che riuscì ad interpretare su due piedi e con la scarsa illuminazione:
‘Vorrei poterti toccare, vorrei poterti vedere, vorrei che tu potessi parlarmi’
‘Ricordami nei ricordi, ricordami nei sorrisi se ricordi che ne ho mai avuti, ricordami come se avessi qualcosa di bello da ricordare di me’
‘Ogni parte di me, ogni parte di te, ogni parte di noi ormai è andata in pezzi.’
Poi parole in disordine che aspettavano di trovare una loro collocazione più precisa. Parole agganciate a delle note specifiche.
‘Solitudine’, ‘resa’, ‘insensato’, ‘vuoto’, ‘debole’ ed altre su quel genere.
Assorbì come una spugna tutta l’angoscia se non che lo stomaco gli si contrasse in una morsa senza precedenti quando notò una chitarra acustica fatta a pezzi.
La polvere ricopriva ogni cosa ed il letto era addirittura ancora disfatto.
Lo mormorò ad alta voce come volesse scacciare quella strana sensazione inevitabile che gli si era creata dentro.
- La camera di… -
- Alexander. - La voce alle sue spalle proveniva dalla porta aperta ed era familiare, seppure più roca e bassa del solito. Già normalmente non era molto forte.
Bill sussultò aspettandosi quasi di vedere la versione adulta del ragazzino nella foto che aveva ancora in mano, ma fu naturalmente solo di Evan la sagoma nella penombra che stava fermo sulla soglia.
Era immobile e sebbene fosse buio si capiva che era rigido e probabilmente sotto shock.
Immaginò che una persona normale lo sarebbe stata. O magari infuriata, non sapeva.
Nella mente fu come se la melodia splendida e regale ma al tempo stesso con un che di malinconico qua e là di Mozart prendesse vita.
La sinfonia numero quaranta che Alexander suonava spesso. Gli piaceva molto quell’opera ed in special modo Mozart.
- Trovava una strana similitudine fra sé e Mozart… - Disse con un filo di voce senza che Bill gli chiedesse niente. Capì che parlava più a sé stesso ma che comunque era un evento perché di certo non era abituato a farlo in ogni caso.
Gli si avvicinò lentamente per ascoltarlo meglio fra lo scroscio della pioggia all’esterno.
Non riusciva a vederlo ancora bene ma era certo -ci avrebbe messo la mano sul fuoco- che non era nemmeno shockato, tanto meno arrabbiato.
Era semplicemente carico di una nostalgia tale da spezzare il cuore solo al starci davanti.
- Erano entrambi dei giovani geni nella musica. Tu dovevi sentirlo, Ali… - Continuò col soprannome che aveva usato la madre l’altro giorno. Era cosciente di dove era e soprattutto di avere Bill ma al tempo stesso non lo guardava, era fisso davanti a sé come a vedere qualcosa che solo lui sapeva esserci.
Bill non fiatava e non lo interrompeva.
- Ha cominciato a suonare da piccolissimo e ben presto ha imparato alla perfezione ogni strumento che gli venisse sotto mano. È sempre stato chiamato il Mozart dei giorni nostri. Non era un compositore di opere e musica classica sebbene si esercitasse ore ed ore anche su quel genere, però componeva la musica dei giorni nostri. Canzoni e canzoni, spartiti di melodie per tutti gli strumenti possibili. E la sua arte non si limitava a quello, bensì anche alle parole. -
- Perché non si è mai sentito in giro? - Chiese finalmente Bill con delicatezza. Sapendo quelle cose era legittimo chiedersi come mai non fosse diventato presto famoso come, appunto, nella sua epoca era successo a Mozart.
Evan si strinse nelle spalle come fosse in trance, gli occhi sgranati a vedersi ancora qualcosa che non era presente:
- Non ha mai voluto far provini, farsi sentire da nessuno… né a livello di musicista né di compositore. Nessuno ha mai sentito le sue canzoni, nessuno sa cosa ha scritto, come sono… ogni tanto me le faceva sentire, ma non sapeva cantare. O meglio, era naturalmente intonato ma non cantava comunque. Diceva sempre che per quelle cose serviva la voce giusta. Parlava di una voce che sapesse farsi sentire nei meandri più oscuri ma al tempo stesso che avesse un che di delicato… non ho una completa visione delle sue opere nemmeno io. So che ci sono cassetti pieni zeppi delle sue cose, su in mansarda, tutti chiusi a chiave e mai aperti, dopo la sua morte. -
Solo con un fulmine particolarmente forte Evan si rese conto di aver parlato e non solo quello ma di averlo fatto anche tanto. Con la gola che gli grattava per averlo fatto quanto mai in quegli ultimi anni, si riscosse e si turbò non capendo come fosse stato possibile.
Cercò di capire cosa gli avesse fatto scattare quel momento di confidenza incredibile, cosa fosse stato e senza nemmeno realizzarlo fra sé lo disse subito.
- Quella notte era come questa, è così che quando ci sono temporali così forti mia madre è piena di crisi psicotiche e mio padre è particolarmente insofferente. Ci evitiamo in tutti i modi in notti come queste. - Fu nominando la madre che si rese conto che comunque non si sentivano le consuete urla alla fine del corridoio, come, per l’appunto, in notti simili accadeva costantemente.
Increspando la fronte fu come se si svegliasse definitivamente e al tempo stesso una piccola parte di sé rimanesse stranita per quanto accaduto. Ancora non capiva, ma con uno scatto uscì dalla camera del fratello e guardò verso la fine del corridoio dove solitamente stava la madre.
La sua porta era aperta e capendo cosa quello significava impallidì sentendo per quella notte l’ennesimo colpo interiore. Ancora un paio di quelli e di certo avrebbe raggiunto presto il fratello, ne era certo.
- Mia madre è uscita dalla camera… - Un altro lampo illuminò di nuovo il corridoio e la stanza che si capiva essere vuota, così con evidente ed inevitabile preoccupazione accantonò le stranezze del tornare a provare sensazioni in quel modo anomalo che in realtà avrebbe dovuto solo fargli male.
Forse però ciò che gliele aveva tolte era anche l’unica cosa sensata in grado di restituirgliele.
Forse.
Bill capì al volo la situazione e lasciando giù la foto uscì svelto dalla camera chiudendosi la porta dietro, quindi prendendo per il polso il ragazzo che comunque non sapeva come si agiva sotto stress, lo tirò cominciando con lui la ricerca a passo sostenuto.
Di nuovo, era come se il suo istinto animale gli stesse indicando, come sempre, dove andare.
Evan si trovò semplicemente a seguirlo senza capacitarsi di tutto quello che ancora stava accadendo, non trovando nemmeno la lucidità per tradurre ogni cosa e capirne il significato profondo.
Ovvero che qualcosa era finalmente scattato, ciò che aveva disperatamente cercato tutto quel tempo nei suoi tentativi di farla finita.
Ed ora era lì, a seguire uno strano ragazzo che per quanto incomprensibile e assurdo fosse, non lo inquietava nemmeno un istante, al contrario di come si era sempre sentito con suo fratello.
Entrambi indecifrabili e strani, entrambi comunque completamente diversi l’uno dall’altro.