CAPITOLO XIV:
ALTRI TEMPI, ALTRE VITE

/In Zaire - Johnny Wakelin /
Ci fu un tonfo sordo seguito da un’imprecazione, poi il silenzio di nuovo quasi perfetto ed infine un altro lamento e successivamente un odore di sigaretta.
- Tray, che diavolo ci fai a terra ai piedi delle scale? - Chiese Jake come se fosse normale camminargli sopra.
- Sono caduto, cazzo! - Brontolò rimanendo a terra a massaggiarsi il fondoschiena che era stato impunemente schiacciato dai piedi dell’amico che spegneva il mozzicone pestandolo a pochi centimetri dal suo viso.
- E perché non ti sei rialzato, dopo? -
- Per sport! -Rispose scocciato per il dolore al suo prezioso deretano. - Tu perché diavolo mi hai camminato sopra, invece? -
- Non si vede un cazzo. - Rispose logico Jake senza scomporsi.
- E come hai fatto a capire che ero io quello sotto i tuoi fottuti piedi? - Chiese alzandosi a fatica sentendosi improvvisamente invecchiato di un paio di anni.
- Sembra di calpestare un orso di peluche! - Fece ironico dando un’amichevole pacca di scuse sul fondoschiena a pezzi dell’amico. Questi scosse il capo e presto dimenticò tutto, quindi cambiando discorso tornò allo scopo principale di quell’esplorazione invadente che stavano facendo nella mega villa sconosciuta di Evan.
- Piuttosto…Astrid sarà qua? -
- Sì… e dov’è il qua? - Jake riprese il cellulare che aveva momentaneamente messo via, quindi cercò di far luce lì dentro. A stento capì di cosa dovesse trattarsi ma Tray lo disse eccitato prima di lui:
- Siamo nelle prigioni! - Jake scosse il capo pensando che fosse un caso senza speranza, quindi parlò come non avesse detto nulla:
- Siamo nelle cantine… -
Quello suonò ancora meglio a Tray che si illuminò ulteriormente come uno dei lampi che ancora imperversavano all’esterno insieme alla tempesta del secolo.
- Chissà quante cose interessanti da esplorare! Ti immagini? -
- Ci sarà pure una torcia elettrica, qua, no? Prova a cercare in qualche cassetto… -Di cassettiere ed armadi ce n’erano effettivamente a volontà, il posto era molto ampio e spazioso, composto da ulteriori porte chiuse, corridoi e oggetti sinistri appesi al soffitto che pendevano. Per non parlare delle molte scatole e dei bauli in legno antico…
Cominciarono a cercare pur con un contrariato Tray che preferiva andare alla cieca perché era più divertente.
Fu quindi durante la ricerca che si imbatterono per puro caso in Astrid, persona a cui non pensavano più nemmeno di striscio visto che l’intenzione era quella di trovare una torcia per scoprire gli oscuri segreti di quel castello incantato.
Ma nel trovarla-senza torcia- il cane Belfagor si svegliò e saltò loro addosso leccandoli e facendo le feste.
- Ah, eravate insieme… -
- Già, è vero, dovevamo trovare Astrid e nasconderci con lei… -
- Cazzo, si è messa in un armadio, mi spiega come facciamo? - Ma la ragazza era ancora profondamente addormentata visto che il suo sonno era storico e che era impossibile svegliarla.
- Secondo te è viva? - Chiese Tray senza il minimo allarme nella voce. Jake alzò le spalle:
- Non mi interessa, io non mi nascondo in questo buco! - Fece piccato notando invece Tray che ci si metteva spostandola di peso. - Tu sei fuori… -
- Guarda, nemmeno si sveglia… cos’è, narcolettica? -
- Non me ne fotte che cazzo è, non mi ci metto lì dentro! -
- Jay, muoviti o arriveranno gli altri! -
- Ma nemmeno per idea, fottiti! -
- E chi mi fotte, il cane? -
- Ma anche una merda, se vuoi, ma non rompermi il cazzo, non ci stiamo tutti in questo armadio! -
- Vieni qua! -
- No… Tray, Tray piantala! No! -
Risultato?
Tray, Jake e Belfagor stipati letteralmente come sardine nell’armadio con un Astrid ancora addormentata che si ritrovava il sedere di uno in faccia e il cane tutto sopra. L’incastro fu magistrale ma non avrebbero resistito molto se non fosse che qualcuno arrivò a salvarli aprendo di nuovo le ante.
- Ah, ecco dove eravate… dovevo immaginarlo, lei ha una passione per gli armadi, dicono che la portano a Narnia! -
La voce sexy di Michael giunse loro liberandoli dall’inferno. Uscirono saltando e ribaltandosi ed anche Tray dovette ammettere che non era stata una grande idea rinchiudersi tutti lì. Ma il gioco era il gioco…
- Ed è là che probabilmente è quella pazza di tua sorella, dorme ancora nonostante il casino! - Fece Jake tirandosi su e spazzolandosi dalla polvere.
Michael porse loro la torcia elettrica che aveva trovato e che infatti li illuminava, mentre con la bottiglia di scotch si chinò su di lei, ancora raggomitolata nell’armadio a dormire.
L’osservò con un ghigno divertito, quindi disse:
- Volete vedere come si sveglia questo ghiro? - Non attese risposte, le mise subito la bottiglia d’alcolico aperta sotto il naso. Tempo due secondi di numero l’aveva già presa e se la stava scolando senza nemmeno essere del tutto sveglia ed aver visto di che si trattava o chi gliela stesse dando.
I tre ragazzi risero di gusto mentre lei finalmente si riprendeva.
- Metodo infallibile… - Fece Michael alzandosi e prendendo per il braccio la sorella e tirandosela dietro.
- Ma che cazzo fai, dovete nascondervi con me, manca Bill! - Come se non si fosse mai addormentata!
- Tu sei sciroccata, non ci stiamo tutti lì! - Replicò Michael riprendendosi la torcia perché rappresentava il potere, una volta stabilito che non si sarebbero nascosti lì e con le lamentele senza fine di Astrid nelle orecchie, si rivolse alle scale con l’intenzione di salire e tornare ai piani alti.
- Aspetta, non vuoi esplorare questo magnifico posto? -
Fece Tray aggrappandosi al collo di Michael per fermarlo. Gli occhi gli brillavano e si vedeva perfino con quella scarsa illuminazione. Per un momento il ragazzo dai capelli blu scomposti e bagnati soppesò l’idea di piantarlo in asso, quel posto puzzava di polvere e chissà cos’altro in modo nauseante, ma poi si voltò -sempre con l’altro appeso- e diede un’occhiata veloce alla cantina. Tutte quelle porte. Tutti quegli armadi. Tutti quei cassetti. Tutti quei bauli. Tutte quelle scatole…
Decisamente valeva la pena…
Decisamente.
Fu così che con sguardo maligno si scrollò Tray di dosso e puntando la luce verso i suoi amici e poi verso il resto della stanza, ordinò deciso e malefico:
- Ragazzi, cominciate a frugare! -
Non sapeva bene cosa mai ci sarebbe potuto essere, non sperava certo in cose di valore di cui non gliene importava niente… magari sperava solo in qualcosa di semplicemente interessante, qualcosa di sconvolgente, qualche scheletro nell’armadio, per così dire.
Qualcosa che attirasse la sua attenzione.
E qualcosa trovò, in effetti.
Più di qualcosa.

/ Echos - Pink Floyd/
Astrid che aveva la fissa degli armadi, rovistò in essi e ciò che vi trovò furono degli abiti. Alcuni da donna, erano molto belli e d’altri tempi, di lusso, appariscenti e di certo di qualche stilista famoso del passato probabilmente introvabili. Non si intendeva molto di moda di quel tipo, ne guardò un paio e poi con una smorfia schifata li mise via.
In altri c’erano abiti da ragazzo e su quelli si soffermò di più, erano naturalmente tutti firmati ma avevano un gran stile. Erano sì eleganti ma al tempo stesso giovanili e alla mano. Si immaginò chi potesse indossarli e si disse che doveva avere un gran gusto perché sembravano dare una nota distinta alla persona ma non troppo… per farsi un’idea precisa decise che vederli indossati da qualcuno sarebbe stato perfetto, così senza pensarci un istante di più chiamò suo fratello:
- Mimi, ehi, vieni un po’ qua… - Solo lei ogni tanto lo chiamava Mimi e lui glielo concedeva poiché era impossibile impedirle qualcosa. Poi aveva la mania dei soprannomi, quindi in ogni caso Mimi poteva anche essere il meno peggio.
Il ragazzo la raggiunse ed in poco si ritrovò brutalmente nudo e rivestito con altri abiti che non erano i suoi.
- Ma sei schizzata? - Disse non capendo perché mai dovesse fare una cosa del genere, completata l’0pera Astrid prese la torcia e lo guardò illuminandolo da capo a piedi.
Certo i capelli erano ancora umidi e scomposti sul viso, gli davano ancora l’aria da cane komodor, però riuscì ad immaginarsi molto bene il proprietario di quegli abiti. Era vero, davano un’idea distinta e al tempo stesso comune, come fosse possibile non lo sapeva. Non erano chissà che pregiati od eleganti, non certo da feste o serate, erano da giorno e giovanili, per l’appunto, ma comunque donavano un tocco di…
- Ti danno qualcosa in più! - Disse assorta toccandosi la bocca con l’indice cercando di capire cosa fosse.
- Sì, il caldo!- Commentò brusco Michael. Odiava indossare abiti che gli ricordavano i soldi, quelli glieli ricordavano.
Jake si girò a guardarlo incuriosito e colse al volo di cosa si trattava:
- Sembri uno diverso che vuole sembrare comune ma al tempo stesso vuole distinguersi. -
- Tutto questo solo con dei vestiti addosso? - Chiese Michael dubitando che un completo potesse dire tutte quelle cose… Astrid batté la mano sulla spalla dell’amico concordando vittoriosa:
- Ecco, è proprio questo! -
Michael alzò le spalle ma si guardò ad un vecchio specchio impolverato che era appena stato liberato dal lenzuolo, con la luce artificiale si guardò e facendosi serio ed assorto come gli altri due che l’avevano guardato, disse quasi a sé stesso:
- Una cosa è certa, con questi addosso ti senti davvero un altro, forse è la stoffa pregiata o lo stile così unico nel suo genere, ma ci si sente diversi.-
- Tutto con un vestito addosso? - Chiese ironico Jake facendogli il verso e circondandogli il collo amichevole, l’altro lo sgomitò ghignando ed in quello furono chiamati da Tray che dal tono sembrava aver appena trovato lo scrigno di Davy Jones!
- Cos’hai trovato? - Chiese Astrid volando velocissima da Tray seduto davanti ad un baule antico ed impolverato come la maggior parte delle cose lì dentro.
Jake rimase a fissare Michael turbato, dopo il momento di scherzo e quasi senza rendersene conto si mise a sistemargli i capelli in modo da renderglieli più ordinati. Essendo umidi ci misero poco a stare all’indietro, qualche ciocca blu che alla penombra sembravano neri, gli cadde ai lati del bel viso felino e ritenendosi soddisfatto, con la testa di lato gli scoccò un’occhiata trionfante:
- Ecco, così è meglio. - Come se gli fosse mai piaciuto Michael coi capelli così ordinati e normali. In realtà era il primo a scomporglieli quando lo vedeva, infatti l’amico capì che probabilmente quei vestiti davano davvero alla testa e chiedendosi di chi mai potessero essere -mentre per i vestiti da donna si capiva che dovevano essere stati di vecchie signore del passato, per quelli era lampante che fossero invece di qualche giovane di quei tempi-, spostò l’attenzione a Tray ed Astrid che commentavano meravigliati cos’avevano appena trovato.
E fu come se i tuoni e lo scroscio della pioggia arrivassero da lontano e loro fossero in un’altra dimensione. Scese un’atmosfera magica e quando il carillon cominciò a suonare la Sinfonia Numero Quaranta di Mozart, tutto sfuggì loro di mano lentamente, come se il tempo presente scemasse insieme alle loro stesse identità e la suggestione di un qualcosa di strano, diverso e inquietante scavasse in loro, persino in gente così pronta alle stravaganze ed ai guai più assurdi.
Il carillon era in oro intagliato a mano con dei ricami che formavano delle rose spinate che si attorcigliavano su tutto il piccolo cilindro. Non c’era la solita ballerina che ballava ma un bambino che suonava il pianoforte e mano a mano che la melodia avanzava, questi girava e le sue mani si muovevano sui tasti come se suonassero davvero.
Rimasero incantati a guardare, specie quando trovarono un nome inciso sotto.
‘Ali.’
Lo misero in parte e tirarono fuori un astuccio rigido stretto e lungo, l’aprirono e trovarono un flauto traverso.
- Wow! Ma guarda com’è in buone condizioni… - Commentò Jake che un po’ se ne intendeva essendo che i suoi genitori collezionavano strumenti musicali classici, poi lo porse a Michael ricordandosi che lui sapeva suonarlo, seppure contro la sua volontà.
Michael non storse il naso e non fece smorfie come normalmente avrebbe fatto, visto il suo risentimento verso il primo strumento che aveva dovuto imparare a forza. Lo prese e catturato sempre più da quella strana atmosfera che era calata e dalla melodia del carillon, senza pensarci un secondo di più, come mosso da una forza che era più grande di lui, si mise a suonarla.
La posizione richiesta per suonarlo era eretta e fiera e quando l’assunse, insieme ai capelli ordinati e a quei vestiti, sembrò completamente un altro.
Non si vedevano i tatuaggi se non i piercing che alla penombra non si notavano molto, la sua espressione poi era incantevole. Seria, intensa, magnetica. Guardava fisso avanti a sé mentre soffiava quel suono dolce che accompagnava le note di Mozart, sembrava guardasse qualcuno presente lì con loro che poteva vedere solo lui, suonando si girò dando loro le spalle, rivolto verso le scale buie.
Quando trovarono delle lettere la tentazione di leggerle fu tanta ma fu vinta da quella di guardare le foto che stavano in un’altra scatola, sempre nel baule.
Con la luce l’illuminarono e volti lì per lì sconosciuti si mostrarono.
Uno di loro aveva un che di familiare, mentre gli altri erano certi di non averli mai visti.
Erano a colori ma sbiadite, si capiva che erano vecchie.
Era una famiglia ed i due bambini erano piccoli, uno era nato da poco e stava in braccio ad un orgoglioso papà mentre l’altro era un po’ più grande ed con la mamma. La sua espressione era felice così come quella degli altri. Si vedeva che erano di un certo lignaggio, dai vestiti e dalle pose, però non si poteva negare che la ragione di vita di quei genitori erano i due bambini, entrambi molto belli.
Quello più grande aveva i capelli neri, ordinati e pettinati di lato come un ometto, gli occhi erano verde giada e al sole apparivano con delle pagliuzze dorate. Trovarono dei primi piani suoi, dietro c’era il nome… ‘Il mio bellissimo Ali’.
Altre foto erano del più piccolo, un bimbo di un anno circa, i capelli erano biondi e sottili mentre gli occhi azzurri e ridenti.
Dietro c’era scritto: ‘Evan, il mio orgoglio’.
Le scritture erano diverse, la prima femminile, la seconda maschile.
Altre foto erano con Ali e la madre che si coccolavano ed altre ancora con il padre ed Evan che ridevano come il sole.
“Allora una volta rideva…”
Poi si chiesero comunque dove fosse Ali, evidentemente il fratello maggiore di Evan, ma il fatto che non fosse lì presente non avrebbe dovuto trasmettergli chissà quale sensazione di disagio, sebbene fu proprio così. Poteva essere andato a vivere per conto suo, trasferito altrove oppure momentaneamente assente. O chiuso in camera a dormire… era notte… ma non seppero dirsi perché, trovarono strano che non fosse venuto ad accoglierli insieme ad Evan ed anzi trovarono quasi spiegabile -ma proprio non sapevano dirsi nemmeno lì come e perché- la tristezza perenne di Evan.
Perché improvvisamente fu così che parvero le sue non espressioni costanti.
Tristezza.
E Jake e Tray che lo conoscevano meglio perché erano in classe insieme, lo pensarono subito.
Altre foto rappresentavano i due bambini, più grandicelli, che giocavano insieme. In una Ali intorno ai cinque anni suonava il pianoforte e seduto vicino c’era Evan di due anni che sembrava cantare. Probabilmente gorgheggiava.
Altre foto rappresentavano sempre loro due, stavano molto insieme, giocavano, ridevano e per lo più uno suonava qualche strumento e l’altro cantava.
Lo videro rappresentato con molti strumenti a fiato e a corda ma per lo più con il pianoforte e mano a mano che cresceva Ali diventava sempre più strano. Il suo sguardo sempre più indecifrabile ed inquietante, di chi sembrava sapere. Sapere tutto su tutti ma soprattutto su sé stesso. E mano a mano che cresceva e sapeva di più, la sua indecifrabilità diventava una strana espressione raggelante, di chi viveva nelle tenebre nonostante fosse probabilmente baciato dalla luce visti tutti gli strumenti che l’avevano visto suonare sin da piccolo.
Capirono che doveva essere un genio della musica e che doveva essere stato appassionato di Mozart. Capirono anche che con Evan doveva aver avuto comunque sempre un bel rapporto, molto stretto e oltre che con lui anche con la madre, mentre il minore col padre.
Capirono molte cose sebbene sollevasse molti altri quesiti a cui non avrebbero subito trovato risposta.
La foto più recente di Ali lo rappresentava con lo stesso vestito che Michael aveva addosso al momento ed i capelli neri erano leggermente lunghi ma non troppo, tenuti all’indietro, ordinati, con appena qualche ciocca che gli incorniciava il viso. Lineamenti affascinanti e affilati, quasi come quelli di un felino, le labbra in un’inclinazione indecifrabile ed ironica che gli dava un tocco seducente ed invece gli occhi verde giada inquisitori e cupi, quasi maligni in un certo senso.
In mano aveva lo stesso flauto traverso che Michael stava suonando e quando si girarono a guardarlo rendendosi conto della lampante ed impressionante somiglianza -in quel momento, con quei vestiti, quella pettinatura e quello sguardo- videro davanti a lui a mezzo metro una donna vestita di bianco.
Indossava una lunga camicia da notte con dei laccetti e dei voilant, i capelli erano lunghi e sciolti, si inanellavano dorati sulla schiena ricadendo ai lati del viso da bambola, ma era estremamente pallida, magra, sciupata e con delle occhiaie profonde. Gli occhi tristi e lucidi spiritati nella penombra.
Alzò la mano a sfiorare la fronte e la guancia di Michael che non smetteva di suonare fissandola intensamente negli occhi, lui stesso rabbrividì a quel tocco freddo e mentre i ragazzi la riconoscevano nella donna delle foto, questa sussurrò con voce quasi oltratombale con il rimbombo lontano di un tuono.
- Ali… sei tornato… - La Sinfonia Numero Quaranta cessò e così anche Michael si staccò il flauto dalle labbra senza saper cosa dire e cosa fare, raggelato lui stesso ma stregato, senza la forza e la voglia di muoversi e spezzare l’incantesimo, quella strana connessione con quella creatura d’altri tempi che non era chiaro se ci fosse davvero o no.
Allo stesso tempo un altro tuono li raggiunse, probabilmente caduto poco distante da lì, e li fece saltare quando capirono che dai piedi scalzi doveva trattarsi di una visione.
Una visione che nel sussulto si accorse di loro e girando lo sguardo mostrò il proprio assente, confuso e lugubre.
- Voi chi siete? -
- E’ uno spirito… - Sussurrò Tray convinto di quello che diceva; dietro come un pero ci andò Astrid.
- Cazzo, è uno spirito vero… MIMI RESISTI, NON FARTI TOCCARE, POTRESTI MORIRE! - Non sapeva cosa diceva ma ne era estremamente sicura e col batticuore in gola avanzò di un passo con l’intenzione di salvare il fratello che forse nemmeno li sentiva.
La donna la precedette come spaventata all’idea che potessero raggiungerli, quindi si mise davanti a Michael a braccia larghe e sbarrando la strada deformò il viso in una smorfia atroce di odio recondito probabilmente mai buttato fuori.
Infine urlando fin dal profondo, fece spaventosamente:
- NON MI PORTERETE DI NUOVO VIA IL MIO ALI! QUELL’UOMO NON CAPIVA NULLA! QUEL MALEDETTO UOMO NON CAPIVA COSA CI LEGAVA! QUEL MALEDETTO UOMO LO TENEVA CHIUSO IN CANTINA E ME LO NASCONDEVA ED IO ORA L’HO RITROVATO! E’ DI NUOVO CON ME! NON ME LO PORTERETE VIA, VOI! -
Se i cuori non avessero smesso di battere improvvisamente spaventati da quella reazione, non avrebbero saltato e fatto cadere la torcia rompendola, tanto meno non si sarebbero messi a gridare peggiorando la situazione.
Ed anzi avrebbero colto il senso profondo di quelle parole ancora più inquietanti per ciò che potevano significare.
Ma lo fecero e fu tutto completamente buio all’istante e si ritrovarono sia lei che loro ad urlare. La donna che si graffiava il volto fuori di sé spaventosamente e Michael che indietreggiato e gelido non aveva la minima idea di che cosa fare. Non l’aveva perché quello strano stato d’animo che l’aveva colto prima era ancora troppo vivo e poi poteva solo sentire le urla, non vedeva più niente, così come gli altri che in tutto quello notavano solo qualcosa di bianco davanti a loro che sembrava latrasse.
Nonostante i temperamenti non da signorine, non poterono che lasciarsi agguantare dalla paura più nuda ed istintiva mai provata.
Qualcosa di irrazionale, inconsapevole e profondo.

/Wish you were here - Pink Floyd/
Sembrava davvero di essere in un vecchio castello antico.
I due ragazzi camminavano, anzi Bill trascinava Evan nel tentativo di farlo correre-tentativo faticoso- per i corridoi aprendo tutte le porte per vedere se la donna fosse lì, ma l’atmosfera era sempre più cupa, col temporale che regnava sovrano sul posto. Il vento era così forte che faceva tremare i vetri, mentre i tuoni sembravano cadessero nel giardino della villa.
Flash accecanti continui interrotti da rombi assordanti.
Non si riuscivano quasi a sentire, ma Bill questo non lo fermava. Non si chiedeva se Evan ascoltasse mezza parola delle mille che diceva, lui parlava lo stesso e non per propria sicurezza o per convinzione che comunque qualcosa venisse recepito dall’altro, bensì perché lui non si faceva domande, così come non faceva qualcosa per motivi specifici. Semplicemente le faceva. Punto.
Così come l’aiutare Evan a trovare la madre folle che si aggirava versione fantasma per la villa.
- C’è questo posto altissimo in cui vado quando ho bisogno di urlare. Cioè, io canto quindi potrei farlo in quei momenti, ma ce ne sono alcuni in cui ho proprio bisogno di urlare come un matto e basta, da solo. Allora vado in questo posto. Potrei farlo ovunque ma lo faccio lì perché mi piace, è alto ed il vento soffia così freddo e forte che sembra ti debba portare via. Si porta via anche il suono della mia voce e con esso tutto il nero che butto fuori con l’urlo. Poi sto meglio. È un posto segreto, tutto mio, non ci ho mai portato nessuno, ma anche Jake e Tray ne hanno uno loro. Poi ne abbiamo uno in comune, sempre solo nostro. Dovresti trovarne uno anche tu, dove tu poi ti senta meglio, qualcosa che faccia scattare in te la scintilla. Lo sentirai quando lo troverai. Poi non è che devi urlare. Io urlo perché ho bisogno di urlare, ma c’è chi sta anche solo in silenzio. Tipo Tray che parla sempre si mette appeso a testa in giù, in questo suo posto misterioso, e sta in silenzio per ore col sangue che gli va al cervello fin quasi ad ucciderlo. Quando si rimette dritto il sangue torna a circolare e la sensazione è fantastica. Poi vede tutto diversamente. Jay… bè, Jay fa una cosa strana che… - Ma non riuscì a concludere che fu interrotto dall’urlo agghiacciante di una donna sovrastato da altri in coro.
Bill si fermò all’istante e si guardò con Evan che aveva ancora la torcia elettrica in mano.
Si fissarono bloccati e sospesi in un altro mondo per un istante, poi il primo a reagire e a mostrare preoccupazione fu Bill, ma non per le urla…
- Belfagor! -
Evan mosse appena un sopracciglio momentaneamente distratto da quel nome assurdo, quello del suo cane.
- Abbaia, non lo senti? Ma è spaventato! - No che non si sentiva, in mezzo a tutta quella confusione… fra il temporale e le urla, comunque lontane e non vicine a loro, c’era da chiedersi dove lo sentisse l’abbaiare di un cane…
- Io di cose ne sento, ma non un cane… - Disse spontaneo chiedendosi come facesse a far caso a dei dettagli praticamente inesistenti e se non altro inutili. Bill aveva le priorità sballate.
- Deve essere successo qualcosa! - E non che magari erano già le urla a farlo capire?
Senza aspettare altro riprese Evan e questa volta per mano e stringendo come un ossesso e visibilmente preoccupato -sempre per il suo cane, e che altro?- corse come un fulmine a rotta di collo per i corridoi e per le scale:
- M-ma dove vai? Capisci dove sono? - Chiese Evan col fiatone e profondamente preoccupato, ma per sé stesso… a momenti perdeva i polmoni!
Lui che non era abituato a correre, che mangiava poco e che era principalmente una persona statica, ora stava lì a schizzare come un matto per casa, aggrappato alla mano di un alieno che non lo mollava nemmeno per sbaglio.
- Sì che lo capisco! È in basso! -
- In basso?! -Un’intuizione atroce gli morse lo stomaco e gli fermò le funzioni cerebrali per un istante.
- Sì! Saranno in cantina! -
Fu allora che Evan si sentì vagamente ancora su quel mondo grazie proprio alla mano che Bill gli stringeva da forsennato. Quel contatto con la realtà lo aiutò a non perdersi e il salto verso quel fosso alto e profondo sarebbe stato questa volta davvero breve.
La cantina associata alla madre e a quella manica di ficcanaso aveva una sola ovvia conclusione, conclusione che solo lui poteva conoscere globalmente e a fondo e che quindi poteva temere.
Senza rendersene conto lui stesso si mise a correre più veloce facendo fondo a tutte le forze che non aveva mai usato da anni, da quando il fratello se n’era andato.
Non sentì subito le conseguenze e non si chiese dove le tenesse e come ci riuscisse, visto che quel giorno aveva mangiato solo una volta e a stento. Non si chiese niente, ma Bill sì e con stupore marcato per un attimo leggendario dimenticò Belfagor per guardarlo corrergli accanto. Continuava a tenergli la mano e di sicuro non se ne rendeva conto, ma non chiese nulla, non fece nulla.
Semplicemente l’accompagnò improvvisamente serio.
Serio e basta.
E pronto.
Pronto a cogliere tutto quello che da lì in poi sarebbe avvenuto.
Anche e specialmente i dettagli più insignificanti.
Arrivarono a rotta di collo in cantina e per poco non rotolarono anche loro per le scale.
Quando giunsero nello stanzone principale che si allargava per tutto il sotterraneo a cui si affacciavano molte altre stanze chiuse, raggiunsero il culmine delle urla.
Erano al buio poiché la torcia era caduta e si era rotta, ma la penombra mostrava una figura maschile in piedi davanti cui stava una donna vestita di bianco che gridava a braccia larghe. Gridava visceralmente ed istericamente con un’espressione estremamente spaventosa e quasi mostruosa per l’odio e la follia che usciva da essa.
La penombra -e poi la loro stessa torica elettrica- mostrò anche le altre figure, capì che erano i loro amici. Jake, Tray e la ragazza vicino cui stava Belfagor che abbaiava spaventato ringhiando per difendere i loro amici.
Quando li videro, loro tre smisero di urlare ma i batticuori erano qualcosa di atroce, la testa pareva esplodere e lo stomaco contratto minacciava di farli vomitare all’istante, mentre il gelo li immobilizzava come se qualcuno li avesse trasformati in statue di ghiaccio.
Il cane si mise a ringhiare basso ma la donna continuò ad urlare e a tirarsi i capelli e graffiarsi il viso.
Evan rifilò immediatamente la pila a Bill e mostrando una prontezza di riflessi insospettabile che sconvolse non poco i presenti, già impressionati di loro dalla scena a cui avevano assistito, si mise davanti a lei e prendendole le mani gliele fermò mettendogliele sul proprio viso, poi con un tono che non gli avevano mai sentito, un tono fermo e altero, disse:
- Mamma, sono io, sono qua, basta! - Non urlò eppure sembrò quasi l’avesse fatto. All’istante ogni cosa si fermò. Il cane smise di ringhiare e lei di urlare, quindi sempre tesa ma non più contratta in una smorfia di odio e follia spaventosi, sembrò svegliarsi e tornare in sé.
- Ali… sei tu…- Ed in un istante parve dimenticarsi di Michael di cui era stata convinta fosse il suo Ali. In un istante parve dimenticarsi di tutto, anche di ciò che aveva appena creduto, ciò che aveva urlato, le accuse, il dolore, l’odio, la follia, l’isterismo. Si dimenticò di tutto e dopo averlo accarezzato con sorpresa, come fosse da anni che non lo faceva più, gli si aggrappò stringendogli il capo contro i seni materni. Lo trascinò giù e lui non si oppose, quindi si mise seduta a terra e se l’accoccolò addosso. Lo fece sedere accanto a lei e chinare sulle sue cosce, le ginocchia piegate sotto di sé ed i capelli sparsi un po’ sul viso ed un po’ sulle braccia, alcune ciocche sfioravano il viso di Evan.
Gli occhi del ragazzo erano chiusi in un’espressione di sofferenza pura. Un’espressione d’angoscia e quasi di repulsione.
Cominciò ad accarezzarlo e dondolarsi cullandosi, infine piegata la testa di lato si mise a parlare piano e dolcemente:
- Il mio bambino… il mio bambino non me lo porteranno via… il mio bambino è ancora qua… c’è la mamma con te… la mamma tua… non ti faranno del male, non ti separeranno mai più da me. Vieni, piccolo mio… stai qua.. Veglio io su di te… - Dopo di che cominciò a cantare una nenia senza parole con una voce fine e roca, complessivamente un risultato inquietante con quegli occhi fissi sul viso di Evan che sembrava non vedere per quello che era e nemmeno notare le sue espressioni sofferte.
Fu la prima volta che rivelò qualcosa di sé, qualcosa di straziante che colpì nel profondo tutti, persino chi lo vedeva per la prima volta.
Capirono immediatamente la situazione, non servirono spiegazione di alcun tipo e si chiesero cosa potessero fare per aiutare almeno un po’ quel povero ragazzo il cui unico rifugio era l’inespressività ed il bianco vuoto.
Si ostinava tanto a mantenere quello stato sospeso nel nulla proprio perché le uniche tendenze sarebbero stato quelle lì ed un’angoscia tale la si poteva vivere a lungo?
No, nemmeno un istante… ecco perché proteggeva sé stesso e la propria mente tuffandosi nel bianco e nel nulla assoluto.
Ecco perché l’arrivo di Bill che era riuscito a strappargli dei vaghi ‘qualcosa’l’aveva destabilizzato e sconvolto tanto.
Ecco perché penetrarlo e forzarlo a tornare alla vita sarebbe stato forse più pericoloso che lasciarlo lì così com’era.
La prima a farsi avanti fu sorprendentemente Astrid, quella che senza freni di alcun tipo e senza conoscenze in nessun settore, solitamente agiva per strani schemi mentali insoliti, o magari senza nemmeno un solo pensiero.
Bill che capiva quanto pericoloso fosse interromperli ma soprattutto quanto ignobile fosse aiutarlo per tirarlo fuori da quello stato di vuoto assoluto, esitò il necessario per permettere alla ragazza di prendere in mano la situazione e dicendo bassa e penetrante: - Bill, canta. Mimi, suona. -si avvicinò ai due a terra.
Bill non filtrò l’ordine, non si fece domande come era sua norma e completamente ad istinto si mise a cantare la prima canzone che gli venne in mente.
Una canzone non sua ma che probabilmente rispecchiava lo stato d’animo di Evan. Una canzone d’altri anni ma che sempre nelle epoche che passava rimaneva viva perché le parole erano costantemente vere.
Quando Michael la riconobbe, gli andò dietro col flauto traverso ed il suo suono dolce e delicato si levò pacifico nell’aria accompagnando Bill in una versione unica e mai sentita della malinconica ‘Wish you were here‘,tanto cara anche ad Astrid stessa.
- Allora, pensi di saper distinguere il paradiso dall'inferno? I cieli azzurri dal dolore? Sai distinguere un campo verde da una fredda rotaia d'acciaio? Un sorriso da un pretesto? Pensi di saperli distinguere? Ti hanno portato a barattare i tuoi eroi per dei fantasmi? Ceneri calde con gli alberi? Aria calda con brezza fresca? Un freddo benessere con un cambiamento? e hai scambiato un ruolo di comparsa nella guerra
con il ruolo da protagonista in una gabbia? Come vorrei, come vorrei che fossi qui
Siamo solo due anime sperdute Che nuotano in una boccia di pesci Anno dopo anno Corriamo sullo stesso vecchio terreno E cosa abbiamo trovato? Le solite vecchie paure Vorrei che fossi qui. -
Mentre loro facevano la magia calando un’atmosfera che aveva sempre un che di malinconico ma comunque tranquillo e pacifico al tempo stesso, Astrid si chinò e cominciò spostando i capelli della donna, le liberò il viso e glieli intrecciò di lato in modo da rilassarla. Sentendosi toccare in modo così piacevole, si placò ulteriormente ed aiutata dalla canzone e da quella voce che ora appariva delicata e malinconica, fu come vederla sciogliersi repentinamente.
Astrid allora le prese le mani per lasciar libero Evan, questi non si mosse e dall’espressione impietrita, gli occhi serrati e le sopracciglia contratte nella sofferenza, probabilmente stava finendo in un altro spazio parallelo. O forse si stava sconvolgendo perché davvero quelle parole che Bill cantava sembrava gliele stesse cantando suo fratello dall’Aldilà.
La circondò per le spalle e diede uno sguardo a Jake e Tray fermi a poca distanza da loro, non servì altro poiché capirono al volo e mentre Tray cingeva Evan per la vita e l’alzava dalle ginocchia della madre tirandolo su in piedi usando una delicatezza insospettabile per uno come lui, una delicatezza che i suoi amici l’avevano vista solo con la piccola Kathy, l’altro, Jake, fece passare un braccio sotto le braccia della donna e l’altro sotto le ginocchia tirate contro il suo petto.
La tirò su con leggerezza in braccio come una principessa d’altri tempi e lei si aggrappò al suo collo nascondendo infantile il viso contro la sua pelle calda.
La sua forza era rassicurante, così come quella voce che cantava così bene e così calma aiutata da quel flauto angelico.
Sfinita per la crisi di poco prima, si lasciò condurre via senza lamentarsi caduta in uno stato ormai quasi di dormiveglia per la stanchezza debilitante e la voglia di piangere.
Una voglia di piangere senza fine.
Jake la condusse su per le scale con Bill che smetteva di cantare e Michael che li seguiva continuando a suonare il flauto per mantenere quello stato di trance nella donna. Subito dietro Tray accompagnò Evan che era anch’egli come al di là di un muro dietro cui si era barricato per quanto era appena accaduto e per ciò che aveva dovuto sopportare. Qualcosa che poteva sapere solo lui.
Bill andò avanti conoscendo la posizione delle camere, quindi indicando a Tray la camera di Evan, portò Jake in quella della madre.
Astrid l’aiutò a coricarla nel letto e sistemarla e curarla per i graffi che si era auto inferta, mentre Bill, lasciata la pila ai due, andò da Tray ed Evan.
Michael era affacciato alla camera della madre e continuava a suonare canzoni tranquille ed oniriche.
- E’ seduto nel letto e non fa assolutamente nulla… sembra catatonico. - Non si stupì, Bill, che Tray conoscesse certi termini. Non si stupì nemmeno delle sue attenzioni e di quei modi insoliti per uno solitamente pazzo scatenato.
- Va bene, ci penso io. - Così dicendo Bill entrò con fermezza ed una serietà che gli si poteva vedere raramente e che in compagnia di Evan quella notte era stata quasi sempre presente. Si chiuse la porta dietro le spalle escludendo tutti gli altri e con la luce dei lampi dell’esterno, si sedette nel letto con lui.