CAPITOLO
XV:
TOCCATI
“Abbiamo
venti anni da percorrere e venti anni da capire. In quei cassetti ci
sono venti anni di verità.”
La
stanza era quasi completamente buia ma i lampi del temporale
illuminavano a tratti ogni cosa come fosse giorno donando delle
fotografie istantanee di ciò che c’era al momento nella camera, per poi
rigettare dopo qualche secondo tutto nel buio.
La
corrente elettrica si ostinava a non tornare mentre il vento e la
pioggia fuori gareggiavano coi fulmini sempre più forti, vicini e
lunghi.
Chiunque
sarebbe rabbrividito ma i due presenti lì dentro parevano non sentire
assolutamente nulla.
Bill,
il ragazzo più basso dall’aria da folletto visti i capelli neri tutti
scomposti sulla fronte ed intorno al viso assolutamente serio, si
guardò in giro cercando, fra gli sprazzi di luce improvvisa, di trovare
un modo per avere un minimo di illuminazione costante che gli
permettesse di guardare per bene Evan negli occhi e togliere
quell’atmosfera inquietante.
Voleva
qualcosa di rassicurante che richiamasse una scena da film fantasy dove
con la magia tutto si poteva sistemare.
Questa
era la sua idea e quando in un cassetto che osò aprire trovò qualche
candela consumata con un accendino, si adoperò per accenderle e
sistemarle tutt’intorno, dopo di che abbassò la saracinesca della
finestra per escludere i fulmini inquietanti.
Quando
ci fu un buio costante spezzato solo dalla tenue e dolce nonché
addirittura romantica luce delle candele sparse ovunque ci fosse una
superficie, Bill soddisfatto si sedette nel letto.
Pensò
che l’ideale sarebbe stato accendere qualche incenso ma notò che le
candele erano profumate e spandevano lo stesso nell’aria un odore
speziato. Gli ricordò l’odore che c’era nelle chiese. Ci era entrato
pochissime volte però gli era rimasto sempre impresso quella specie di
profumo che non era proprio incenso ma… bè, lui lo chiamava odore da
chiesa!
Per
assurdo, nonostante avesse uno strano rapporto con Dio, associava
quell’odore proprio a Lui ed ogni volta che lo sentiva, istintivamente
si calmava.
Osservò
Evan.
Stava
seduto sul bordo e manteneva lo sguardo fisso verso il basso come se
stesse leggendo qualcosa o ascoltando una voce che gli raccontava un
evento passato.
Bill
capì cosa stava succedendo dietro al muro enorme e altissimo dietro cui
si era barricato.
Stava
rivivendo eventi del suo passato.
Si
chiese se abbracciarlo non avesse poi fatto peggio, visto che veniva
proprio da uno asfissiante e terribile di sua madre che poi l’aveva
ridotto così.
Decise
che toccarlo in quel momento sarebbe stata una brutta idea, però non
poteva nemmeno lasciarlo così, tuffato nei suoi sicuramente dolorosi
ricordi del passato. Sarebbe potuto anche non tornare più.
Alla
fine di quella serie di domande fatte a sé stesso decisamente insolite,
si rese conto che non trovava risposta proprio perché solitamente agiva
senza pensare mai.
Si
chiese come potesse essere che quel ragazzo fosse riuscito forse per la
prima volta in vita sua a fargli fare qualcosa che notoriamente non
faceva mai perché l’odiava.
Reputava
infatti le riflessioni ed i pensieri i nemici della spontaneità, ciò
che uccidevano la verità e la sincerità e lui viveva per questi.
“In
più modi non mi è più indifferente questo ragazzo e lo è dal momento in
cui l’ho visto che cercava di uccidersi e poi il giorno dopo l’ho
salutato io per primo. Anche quella è una delle cose che non faccio
mai. Per questo non posso più lasciarlo perdere come mi dicono tutti,
come sarebbe logico e forse giusto. Non posso proprio più.”
I
suoi pensieri arrivarono solo fin qua, dopo di che chiuse la mente per
aprirla ad Evan e seguendo di nuovo il suo istinto come faceva sempre,
si avvicinò seduto sul suo stesso letto e gli prese la mano fra le sue,
se la portò alle labbra e la sfiorò lieve.
Solo
questo.
Lo
sentì sussultare, segno che l’aveva percepito, dunque ora l’avrebbe
visto se si fossero guardati negli occhi. Tuttavia non lo fece, non gli
girò la testa per obbligarlo, Evan con quel suo meraviglioso sguardo
malinconico e distante stava osservando le sue radici e non era giusto
interromperlo, perché per abbattere un muro definitivamente ed
efficacemente bisogna lavorare sulle fondamenta.
Fu
così che si limitò a sussurrargli sul dorso della mano, la pelle era
liscia e bianca e gli piaceva. Evitò con cura di toccargli i polsi, non
avrebbe sopportato i tagli che sicuramente vi avrebbe trovato.
-
Cosa vedi? - Chiese delicato come una creatura d’altri tempi capace di
fare un incantesimo potente e far fare ciò che desidera a chi ha
accanto.
Evan
non se ne rese conto, fu come sospinto da una forza invisibile, ma lo
fece.
Lo
fece e non se ne accorse nemmeno.
La
sua voce era bassa e roca, quasi inudibile. In certi punti era così
bassa che non si capiva cosa diceva, ma Bill non lo interruppe mai e
continuando a fissare ipnotizzato il suo profilo regolare dai
lineamenti aristocratici, cominciò.
Era
confuso, confuso e sconnesso. Raccontava le cose come gli venivano in
mente, una mente sospesa in una dimensione fra passato e presente.
Nonostante certe cose fossero assolutamente incomprensibili, Bill non
lo interruppe mai, non gli fece nessuna domanda.
Niente.
Rimase
solo lì ad ascoltarlo e a bere ogni sua parola, col cuore che si
stringeva fino a fargli male, ma senza mai vacillare, muoversi o
chiudersi a lui.
-
Lui… lui era là… e la mamma… la mamma stava… lo stava abbracciando in
un modo che… non so, non era proprio da madre… a prima vista non
sembrava nulla di che, ma… lo sguardo di Ali io non lo posso
dimenticare. È stato il suo sguardo che mi ha fatto capire che c’era
qualcosa di strano in quell’abbraccio. Qualcosa di malato. Non so dire
meglio e non voglio nemmeno provarci. Però mio padre se ne deve essere
accorto perché ha fatto di tutto per separarli, dopo. Spediva di
continuo Ali lontano per qualunque scusa, corsi su corsi o cose
scolastiche o da partenti… e lei diventava sempre più isterica ed
intrattabile e se la prendeva con me. Era ossessionata da Ali. Mio
padre era l’unico a difenderci e a vedere veramente di noi… però poi
quando Ali se ne è andato è diventato indifferente a tutto, anche a me.
Io
con lui avevo un rapporto bellissimo, molto stretto e complice.
Ridevamo molto insieme. Dopo è diventato freddo, distante ed
indifferente. Questa è stata la sua reazione. E superficiale. E
insensibile. E attento solo alle apparenze. Il suo tenere la mamma qua
e non internarla non è un’attenzione nei suoi confronti ma un tenerla
nascosta. Nessuno sa del suo stato mentale. Come nessuno sa cosa sia
successo davvero ad Ali. Come sia morto.
Non
è stato un tragico incidente come sanno tutti.
Ali
si è ucciso, si è impiccato e l’ho trovato io, in camera sua.
La
sera prima l’avevamo passata svegli a parlare del motivo di vivere, mi
aveva detto che non voleva andare avanti, mi ha detto tutti i perché ed
io non sono riuscito a ribattere e smontarlo, non ce l’ho fatta. Se ne
fossi stato capace sarebbe ancora vivo. Credo sia per questo che mio
padre mi odia, ma non è capace di dimostrarlo in modo normale e allora
non mi guarda e basta. Io non sono riuscito a convincerlo perché aveva
ragione ed alla fine invece di essere io a convincerlo a non farlo è
stato lui a convincere me a farlo.
Per
questo giorno dopo giorno cerco il coraggio di farlo, ma sono solo un
codardo. Per difendermi mi sono corazzato in mezzo a questo bianco
vuoto ed insipido per non sentire il dolore, ma in questo modo non
sento nemmeno la gioia. Di conseguenza penso di voler morire ma non ho
quella spinta, perché non vedo nero come Ali, ma nemmeno colorato come
te. Io vedo solo bianco. Quindi non ho nulla da fare.
Ma
se mio padre… se mio padre mi parlasse… se potessimo unire le nostre
paure, le nostre sofferenze… sono convinto che siano le stesse… lo
sono, vero? Perché ci volevamo bene ed eravamo entrambi felici ed
entrambi tutto quello che eravamo ci è stato strappato via. Per questo.
Ed io sono convinto che anche se mi odia perché non sono riuscito a
salvare Ali, per stare meglio dovremmo stare insieme. E basta.
Ecco
perché quando hai cantato quella canzone mi sono impietrito e chiuso
dietro ad un muro, perché tu mi sentivi e mi capivi così bene? Mi stavi
leggendo nel pensiero.
Volevo
solo che mio fratello fosse ancora qui. Che mio padre, lo fosse. Anche
mia madre, prima che tutto degenerasse… anche se non so di preciso
quando ha cominciato. Vedi, Ali da grande era tormentato dal suo stesso
genio per la musica ma si è tuffato in essa anima e corpo per scappare
dalla mamma. Per questo è diventato tanto bravo sin da piccolissimo,
perché sin da quell’età lui aveva problemi con lei e nessuno, nessuno
sa di cosa si tratti di preciso, anche se tutti lo immaginiamo. Nessuno
sa cosa gli abbia fatto veramente, né se effettivamente QUALCOSA gli
facesse. Nessuno. Solo lui.
Ed
io ho paura ad aprire quei cassetti e leggere le sue canzoni perché
penso che là ne parli. E non voglio sapere, perché penso che non
reggerei. E se ci fosse scritto cosa gli faceva? Cosa farei? -
Quando
concluse con quella domanda più a sé stesso che a qualcuno di esterno,
Evan si girò verso Bill accanto a lui, aveva gli occhi incredibilmente
lucidi che al bagliore delle candele assumevano un che di dorato
suggestivo. Ora lo vedeva.
Bill
avrebbe potuto intendere quella domanda come una riflessione ad alta
voce ma aveva capito che soprattutto alla fine gli aveva detto tutto
quello perché invece lo sentiva lì, lo vedeva lì e soprattutto voleva
sentire qualcosa da parte sua.
Lo
percepì come un pugno allo stomaco insieme al senso delle parole che
aveva appena sentito.
Cosa
dirgli dopo quello che aveva saputo?
Inizialmente
era stato tutto confuso ma poi il quadro era stato chiaro.
Lo
stomaco di Bill era stretto in una morsa e si sentì strano perché di
nuovo era la prima volta che si sentiva diverso da sempre e sapere che
era costantemente per la medesima persona, per Evan, non poteva che
fargli capire ciò ormai anche un cieco avrebbe visto.
Quei
due si erano toccati a vicenda nel profondo, in un modo misterioso e
quasi incomprensibile, ma era successo.
Ora
non sarebbero più potuti tornare indietro.
E
dunque cosa dirgli?
I
suoi occhi erano ancora così belli, ancora pieni di una voglia snodata
di ridere di nuovo come un tempo, ancora desiderosi di colorarsi di
mille e più colori che non fosse bianco.
Con
un’emozione che lui stesso era certo di non aver mai provato, non
quella, non così, non a quel modo, sempre stringendo la sua mano contro
la propria bocca, parlò senza staccare lo sguardo dal suo, intrecciato
sin nel profondo, incapace di tornare nel proprio.
-
C’è un tempo per tutto. Un tempo per soffrire, un tempo per vivere, un
tempo per morire, un tempo per gioire, un tempo per ridere, un tempo
per piangere. Ma soprattutto c’è un tempo per sopportare quello che in
un altro momento non sopporteresti mai. Se ora non è quel tempo non
devi farlo ora, aspetta il tempo in cui sarai pronto, in cui lo
sopporterai, in cui potrai usare ciò che scoprirai per andare avanti e
raggiungere il tempo della vita, della gioia e delle risa. Il tempo dei
colori. Ora è il tempo del bianco, ma quando vorrai immergerti in
qualche colore ti potrò dipingere io se vuoi. Non devi farlo da solo.
Leggere le sue canzoni, dico. -
Così
concluse non sapendo più che altro dire, sperando anche di ricordarsi
quelle parole per poterle mettere in una canzone e anche di riprodurre
quella strana canzone malinconica e d’altri tempi che gli era venuta in
mente.
Evan
catturato dalle sue parole e dalla dolcezza con cui le aveva dette,
riuscì a convincersi che avesse ragione e aggrappandosi ad esse come da
anni non aveva più fatto con niente, con la mano libera gli si aggrappò
al braccio e avvicinando il viso finalmente gli porse un’espressione.
Era
supplica e affondò Bill mandandolo completamente fuori rotta, più di
quanto ormai già non lo fosse.
-
Li leggerai con me quando sarò pronto? - Non aveva forse veramente idea
di che cosa diceva e di cosa gli succedeva, Evan, ma a Bill andò bene
così perché aveva deciso di non farsi più domande né di pensare,
avrebbe agito e basta perché si fidava di sé stesso.
-
Quando vuoi. - Rispose sorridendo calmo. Evan si rilassò e si sentì
istantaneamente meglio, come se avesse un enorme penso in meno,
estremamente più leggero.
Si
accasciò infatti, senza la minima possibilità di prevederlo, con la
testa sulla sua spalla e nascose il viso contro l’incavo del suo collo,
la pelle umida per la pioggia presa, come anche i suoi vestiti ed i
capelli spettinati.
Rabbrividì
sentendo i suoi respiri e si tese non aspettandosi un gesto simile da
parte sua.
Lì
era successo qualcosa e forse il termine giusto era magia.
Con
la ‘magia’ era appena avvenuto quello che chiunque conoscendo Evan nel
profondo nell’arco di quegli anni di vita, avrebbe definito miracolo.
Bill
lo chiamò incantesimo, qualcun altro gli avrebbe dato un altro nome, ma
non aveva importanza la definizione.
Quel
che contava era che fosse accaduto.
Evan
si era appena aggrappato a qualcuno.
Aveva
appena chiesto aiuto.
Aveva
fatto entrare qualcuno al di là del suo muro.
Lo
sentì calmo e rilassato contro di sé e si sentì tale a sua volta,
quando cominciò a carezzargli leggero la schiena.
Era
strano essere il sostegno di qualcuno, non avrebbe mai detto un giorno
di poterlo essere, non in quel modo totale e pieno, ma si disse che
comunque se avrebbe proprio dovuto esserlo, allora andava bene con Evan
e non perché ne aveva un bisogno smisurato ma perché quel ragazzo era
stato l’unico in grado di fargli cambiare i suoi tipici atteggiamenti.
Era
stato l’unico ad innescare un cambiamento in lui.
-
Abbiamo venti anni da percorrere e venti anni da capire. In quei
cassetti ci sono venti anni di verità. -
Con
questa conclusione, Bill si sentì Evan accoccolarsi ancor di più contro
di sé e disorientato lui stesso da quel momento insperato ed
incredibile, lo abbracciò del tutto completando con le braccia il giro
della sua schiena, risalendo sulle spalle e sulla nuca, fra i capelli
biondi sottili di cui non aveva più molta cura.
Un
abbraccio tanto sentito e meraviglioso quanto sconvolgente per
entrambi, ma voluto. Voluto come niente altro in quel momento.
Il
discorso ‘padre’ per Bill era ancora inaffrontabile.
Quando
Bill uscì dalla camera, Evan era dietro di lui. Non si toccavano, non
si tenevano per mano e non avevano alcun atteggiamento intimo di chi si
è avvicinato e toccato nel profondo, come se tutto fosse come prima.
Evan dritto e composto ed apparentemente indifferente, aiutato
dall’ombra prevalente intorno a loro che mascherava lo sguardo comunque
più turbato del solito.
Fuori
dalla camera c’era Tray il quale li aspettava seduto a terra con una
torcia elettrica in mano che apriva e spegneva giocando alle ombre
cinesi con le mani sul muro.
Quando
li vide capì che in qualche modo Bill aveva fatto il miracolo e
alzandosi sorrise entusiasta come niente fosse successo. Non fece
domande, né sguardi apprensivi o espressioni particolari.
Come
se tutto fosse cancellato, fosse di nuovo a posto e forse un po’ meglio
di prima, chi poteva dirlo.
Il
temporale fuori sembrava intenzionato ad allontanarsi, ma i tuoni
c’erano ancora, seppure meno intensi di prima.
-
Gli altri tre sono tornati a mettere giù le cose che non erano nostre e
a prendere i vestiti di Michael che ha lasciato giù. Dovrebbero tornare
subito. - Disse loro cercando nel corridoio buio cenni di vita.
Cenni
che a breve comparvero davvero.
Ci
avevano messo il minimo indispensabile per fare tutto ciò che dovevano
ed erano risaliti svelti senza più curiosare in un mondo pericoloso e
misterioso che non era loro. Né dissero una sola parola riguardo
all’accaduto, come se ogni cosa sarebbe stata di troppo e fuori luogo.
Quando
il gruppo si ricongiunse, erano tutti diversi ma nessuno andò in alcun
modo sull’accaduto e con un sospiro accompagnato da un battito di mani,
Astrid fu la prima a reagire, di fatto quella più adulta -anche se
spesso sembrava proprio l’opposto!-.
-
Io berrei volentieri un thè, mi sta venendo un accidente! -
- E
te lo meriti! - Esclamò Michael ghignando, i due cominciarono a
battibeccare allegramente di proposito per scacciare i rimasugli di
quegli stati d’animo strani, quindi facendosi trascinare dalle loro
scemate, si trovarono ben presto più o meno in loro.
Solo
un fantasma era rimasto ma gravava unicamente sulle solite spalle,
quelle su cui era rimasto per tutti quegli anni; erano le spalle di
Evan.
-
Venite in salotto, vi preparo un thè io… - Disse atono anche se a detta
di Bill quella era gentilezza.
Solo
a detta sua ovviamente.
Il
cane ricongiunto al suo padrone non gli si staccò più dalle sue gambe e
ben presto il primo fautore di cazzate fu proprio lui, Bill, che con la
sua allegria contagiosa fece di nuovo piangere dal ridere tutti.
Seduti
nell’enorme salotto di Evan con delle tazze fumanti in mano, avevano
acceso sul tavolino in mezzo ai divani e alle poltroncine su cui erano
accomodati, una serie di candele che illuminavano un po’ l’ambiente
creando un’atmosfera leggera e piacevole, calda. Jake e Michael, seduti
vicini, fumavano dopo aver ottenuto un indifferente alzata di spalle da
Evan; questi e Bill invece erano seduti in un divano a due posti col
labrador comodamente steso sopra che dormiva sereno e tranquillo mentre
Bill l’accarezzava; Tray in una poltrona stava a testa in giù con le
gambe alzate, solo lui sapeva perché -ma Evan si ricordò subito il
discorso di Bill su ciò che facevano i suoi amici quando avevano
bisogno di sfogarsi… Tray stava a testa in giù per rimettersi il sangue
al cervello!-
Astrid
era vicino a Michael nel divano più grande e con le gambe sopra quelle
del fratello e la torcia in mano raccontava facendo morire dal ridere
tutti gli altri, infatti lei e Bill avevano dato luogo ad una
divertentissima gara di racconti. Vinceva quello che li sparava più
assurdi. Tutte cose realmente accaduti a chi li narrava, naturalmente!
-
Matrimonio! -
-
Di chi? - Chiese Tray l’ovvio.
-
Mio! - Michael si mise una mano sul viso ricordandoselo e gli altri si
fecero più attenti consapevoli che sarebbero morti dal piangere!
-
Mi sposo di mattina, tutti stranamente puntuali, io per prima, davanti
alla chiesa. Scendo dall’auto e cosa mi rendo conto di aver scordato?
Il bouquet! Ed io dico: ‘chi se ne fotte, andiamo lo stesso!’ e mia
madre comincia a fare il solito casino sul fatto che le persone normali
si sposano con un bouquet e che anche io dovevo averlo! Così Michael
che fra le varie cose è un eccellente pilota di macchine -qualunque
genere in ogni settore, specie se clandestino- mi prende e mi porta a
casa. Siccome è veloce ma non è di dove abito io, in Germania, e non sa
le strade, siamo dovuti andare insieme. Corre a rotta di collo,
arriviamo a casa, prendiamo sto cazzo di bouquet di merda e torniamo
indietro. Un classico. Un traffico bestiale, così si mette a fare Fast
and Furious visto quanto siamo in ritardo. Sapete, scorciatoie e
manovre pazzesche. Una di questa purtroppo prevede il superare il
passaggio a livello con le sbarre chiuse un istante prima che il treno
passi. Io gli dico ‘basta che non mi uccidi prima che riesca a
prendermi il mio Jun, per il resto fa quel cazzo che credi!’. Il genio
però è troppo contento di star facendo Vin Disel e passa in extremis,
manca il treno di un soffio, non muoio d’infarto perché è stato anche
piuttosto esaltante. Peccato che appena passate le sbarre si scontri in
pieno con una macchina parcheggiata di merda dall’altra parte che non
aveva vista.
La
prende in pieno massacrando il nostro motore.
Contusioni
varie ma non un goccio di sangue e nemmeno nulla di rotto. Solo qualche
ammaccatura che poi è uscita il giorno dopo. E il colpo di frusta che
mi ha rovinato la mia prima notte di nozze ma pazienza!
Insomma,
a questo punto la situazione è critica, Michael avanza l’ipotesi di
chiamare in chiesa e rimandare anche perché vuole spedirmi in ospedale.
In quel momento io lo guardo e come se fossi posseduta dico ‘niente e
nessuno mi impedirà di sposarmi, cazzo!’ e così prendo uno delle
persone lì a ficcanasare, lo sbatto contro l’auto a pezzi e lo obbligo
a darmi le chiavi della sua auto. Lui ovviamente si oppone pensando che
io sia schizzata, ma non sento ragioni, alla fine con la forza, nel
senso che gliele do, mi prendo le chiavi e Michael invece di fermarmi
mi dà man forte perché poi prende davvero l’auto del tipo e mi porta in
chiesa. Riesco gloriosamente a sposarmi felice e contenta, nessuno sa
che diavolo sia successo se non che quando usciamo fra riso e
coriandoli si fanno avanti i poliziotti e mi mettono in manette dopo
aver fatto altrettanto con Michael, uno dei miei due testimoni di
nozze. Morale della favola: mentre erano tutti gli invitati, un gran
bel numero, in sala a festeggiare il NOSTRO matrimonio e a mangiare a
NOSTRE spese, io, Michael e Jun eravamo in centrale con mia madre in
ospedale per aver avuto una crisi isterica particolarmente pesante
insieme a quella di Jun che era proprio svenuta. Alla fine ha sistemato
tutto il padre di Jun, quel santo uomo… ecco qua il mio matrimonio! Poi
comunque siamo tornati in sala a festeggiare anche noi anche se io
avevo il collo bloccato! -
Tutti
guardavano esterrefatti Astrid e Michael. Lei orgogliosa e lui che non
sapeva se ridere o vergognarsi. Non aveva ancora trovato una soluzione
per quella giornata in cui si era reso complice di un crimine e di un
incidente che fortunatamente si era concluso relativamente bene.
-
Cazzo, finire ammanettata il giorno delle nozze credo sia un record! -
Esclamò Jake che non sapeva quella storia. Michael si era guardato bene
dal raccontargliela prima.
Tray
e Bill naturalmente ridevano come matti mentre Evan si chiedeva da dove
fosse arrivata quella creatura. Stentava seriamente a crederle, solo
chi la conosceva poteva sapere quanto quelle cose fossero reali.
-
Bè, se si parla di manette io ne ho una che… - Come cominciò così, Jake
si coprì il viso al posto di Michael ricordando l’evento che stava per
raccontare.
Questa
avrebbe seriamente gareggiato con quella di Astrid!
-
Ultimo anno di medie. Per salutare degnamente la nostra vecchia scuola,
io, Jay e Tray ci mettiamo in testa di fare lo scherzo del secolo.
Lo
scherzo consisteva nel nascondere durante la notte delle micce
piuttosto grandi tutte collegate l’une alle altre nei corridoi e nelle
aule. Oh, non vi dico il lavoro assurdo che abbiamo fatto anche perché
comunque il piano non era solo quello, si sarebbe concluso il giorno
dopo con tutti gli studenti. Avevamo infatti scelto un giorno delle
ultime settimane in modo che fossero proprio tutti. Di conseguenza non
potevano essere in vista le micce. Siamo stati grandiosi! Allora,
riusciti a fare questo lavoro, il giorno dopo nel pieno delle lezioni
mandiamo una telefonata anonima dove annunciamo una bomba a scuola.
Naturalmente siamo in America e danno seguito subito alla cosa facendo
scattare l’allarme. Vedi il panico, gente che corre a destra e sinistra
con la campanella che suona. Ebbene quando sono tutti radunati fuori
con le forze dell’ordine che stanno per arrivare, facciamo scattare
dalla nostra posizione strategica, tutte le micce. Un casino… una dopo
l’altra esplodono tutte per la scuola ed i corridoi facendo sembrare
non dico una bomba vera ma qualcosa di simile. Tutti urlano spaventati
e quando capiscono che in realtà sono solo delle stupide micce sparse
ovunque a scuola, è tardi perché… bè, non avevamo calcolato che per
nasconderle alla vista, nel momento in cui sarebbero scoppiate
avrebbero dato fuoco a ciò che le copriva e così… -
-
In pratica è andata a fuoco tutta la scuola! - Conclude ridendo Tray
orgoglioso di quel ricordo storicamente meraviglioso!
-
Fortunatamente c’erano i pompieri già in arrivo e ci hanno messo poco a
spegnerlo, non ci sono stati danni sostanziali però comunque il fatto
c’è stato, il fuoco anche e soprattutto ci hanno messo zero due secondi
a capire che eravamo noi! -
Aggiunge
Jake in un misto fra, proprio come Michael, il divertito e il dilaniato
a quei ricordi.
-
Certo, le uniche menti incoscienti che potevano fare una cosa simile! -
Ammette Bill orgoglioso contento come un presidente che vince le
elezioni!
- E
geniali! - Puntualizza Tray il quale piangeva dal ridere insieme ad
Astrid e Michael che si immaginavano la scena.
-
Inutile dire che siamo finiti dentro, essendo minorenni se la sono
sbrigata i nostri genitori e non so quanto hanno pagato ma insomma, è
una cosa che non comparirà magicamente nelle nostre fedine penali! -
Spiegò Bill contento per quello che tutt‘oggi reputava il suo miglior
scherzo.
-
Merito dei miei e dei loro soldi. - Illuminò infine Jake il quale per
una volta aveva amato i suoi genitori che almeno erano serviti a
qualcosa.
Evan
era senza parole, pietrificato e sconvolto.
C’era
poco da fare, con gente simile intorno.
O
impazzivi come loro o fingevi di essere pazzo. Alternative per rimanere
sano e sembrare tale non ce n’erano.
Si
sentì comunque strano a sentirli ridere proprio lì con lui nel suo
stesso salotto.
Casa
sua non era mai stata tanto allegra e vitale, nonostante il temporale
avesse dato vita ad una serie di atmosfere inquietanti e di meccanismi
insoliti.
Il
pensiero non poté che volare a suo fratello.
Un
pensiero fugace che ebbe nel guardare Bill accanto a sé ridere
illuminato a giorno, solare e felice più che mai.
“Ti
sarebbero piaciuti tutti. Bill soprattutto.”
Una
riflessione rivolta ad Alexander che stranamente lo fece sentire
meglio, anche se solo di un pochino.
Dopotutto
qualche cazzata a volte poteva servire a qualcosa, aggiunse fra sé e sé
senza fermarli dal raccontarne altre per tutta la notte, fino al
mattino successivo.