CAPITOLO XVII: 
PROGETTI

/Sinfonia n. 40 - Mozart (guitar rock version)/
Non che loro avessero effettivamente bisogno di lezioni di musica, ma sin dal primo giorno l’attività extra scolastica che avevano scelto era quella del club di musica e non avevano mai smesso di andarci, anche quando il gruppo dei Basket Case -che si era formato ufficialmente proprio in prima- si era affermato abbastanza bene nella loro regione. 
A maggior ragione, dopo che avevano avuto quel successo sia a scuola che fuori, le iscrizioni erano salite a dismisura e in molti avevano cominciato a venirci anche solo perché c’erano loro tre. 
Al suo interno oltre ai Basket Case si erano formati altre band che facevano anche altri generi ma nessuno aveva avuto il loro stesso seguito. Nelle ore pomeridiane si confrontavano fra di loro e i più bravi davano delle vere e proprie lezioni di musica ma naturalmente alla fine quello che si faceva era suonare e cantare in libertà per passare del tempo piacevole, non c’era un vero insegnante, c’era solo un ubriacone di nome Thomas Bishop che imprestava il suo nome e che non voleva saperne niente dell’attività. La bravura di quel gruppo era tutto talento degli studenti.
Naturalmente oltre ad esercitarsi liberamente, preparavano i concerti scolastici delle varie feste importanti fra cui Ringraziamento, Natale, inizio e fine anno. Non c’erano voci e musicisti fissi, si alternavano collaborando e mescolandosi molto abilmente variando spesso e volentieri. Soprattutto niente cori. Erano sempre molto bravi. 
Il mattino, prima delle lezioni, l’ingresso al club era libero, ovvero i suoi stessi membri potevano decidere se venire e fare qualcosa o limitarsi al pomeriggio; di solito non c’era nessuno anche se in quel periodo dell‘anno erano alle prese col concerto del Ringraziamento e subito dopo dovevano preparare quello di Natale. Essendo tutti membri piuttosto bravi non avevano molto bisogno di provare eccessivamente. 
Bill stesso non veniva mai ma quella volta, il giorno dopo al grande caos innescato da Astrid, venne decisamente presto invece che tardi come al solito, e da solo nell’ampia aula di musica si era steso su uno dei tavoli con la chitarra elettrica in mano.
Lo sguardo assorto e distante fissava il soffitto senza vederlo veramente, le mani si muovevano da sole sullo strumento e senza accorgersene aveva cominciato a suonare qualcosa di decisamente inusuale sia per lui che per una chitarra elettrica.
La Sinfonia Numero Quaranta di Mozart non era mai stata eseguita in quella chiave rock, soprattutto non con quello strumento.
Non che fosse irriconoscibile però era decisamente molto diversa dalla solita versione eseguita con l’orchestra.
In versione movimentata, le note classiche uscivano quasi fuori dalla volontà di Bill che nemmeno si rendeva conto di starla facendo, la mente completamente da un’altra parte; vederlo così serio, silenzioso, fermo ed assorto era un evento.
Non si accorse di essere spiato ed anche se l’avesse notato probabilmente non avrebbe fatto nulla nello strano stato in cui era. 
Era un ragazzo dietro alla porta, altezza media e appena un po’ più in carne del normale ma non in una maniera eccessiva. Capelli lunghi che coprivano gran parte del viso, lineamenti selvatici, occhiaie profonde e colorito pallido, non aveva un’aria splendida ma di suo non era male, solo che si vedeva si curava poco. 
Tutti lo conoscevano come il fan numero uno dei Basket Case, nessuno lo conosceva per nome.
Non si perdeva un loro concerto e se riusciva ascoltava anche l’attività del club unicamente perché c’erano loro tre. In particolare ammirava Bill, ma non era il solo. In molti erano catturati dal suo carisma folle.
Quando sentì arrivare qualcuno dal corridoio subito si riscosse e se ne andò come se stesse facendo qualcosa di sbagliato.
Pochi secondi dopo dall’uscio apparvero Jake e Tray e si stupirono di due cose.
Numero uno, vedere Bill già in aula a quell’ora.
Numero due, sentirlo suonare Mozart con la chitarra elettrica, cosa che solo lui avrebbe potuto fare comunque!
I due si avvicinarono stupiti anche dell’aria pensierosa e di quanto calmo fosse, sicuramente aveva qualche pensiero serio per la testa ma da quel che suonava non potevano essere sicuri che si trattasse sempre del solito.
Fu Jake a chiederglielo mentre si sedeva ai piedi di Bill, sul tavolo, e Tray invece andava alla batteria. 
- Hai discusso con tuo padre? - Bill si riscosse sentendoli solo in quel momento e senza smettere di suonare, rispose con un mugugno che indicava no. 
- A cosa pensi allora? - Chiese sapendo che erano gli unici due che potevano fargli quelle domande invadenti ed ottenere una risposta.

/Placebo -  Fot what It’s worth /
Bill si strinse nelle spalle ma non si mosse dalla sua posizione supina sul tavolo e cambiando semplicemente canzone senza ancora accorgersene, andando questa volta sui Placebo, rispose con un filo di voce che stentarono a distinguere, era come se parlasse più a sé stesso.
- Pensavo a Evan. Ieri alla fine non è venuto a scuola e sono sicuro che salterà anche oggi. - Era strano che pensasse a qualcuno in generale, non che Bill non potesse avere pensieri ma non era catturato dalle persone. Era raro che accadesse.
- L’abbiamo sconvolto… - Ammise Jake ridacchiando nel ripensare alla famosa notte a casa sua. 
- E lui ha sconvolto noi! Chi poteva immaginare che avesse una tale situazione in famiglia? - Fece spontaneo e senza peli sulla lingua Tray suonando leggero uno dei piatti a ritmo con ‘For what It’s worth’ che stava accennando Bill. 
- Sua madre è pazza, suo padre è come se non ci fosse e… - Esitò per un attimo, il cantante, chiedendosi se potesse parlare anche di quello, poi si rese conto che comunque le foto che avevano visto nella loro cantina e che lui non aveva avuto modo di guardare dovevano aver parlato molto da sole e che in ogni caso erano Tray e Jay. Loro potevano sapere tutto. - E suo fratello si è ucciso. Qualche anno fa. Dopo una notte passata a parlare con lui. Impiccato. Alla fine invece di convincerlo a non farlo, è stato Alexander a convincere Evan che era giusto farla finita. Ogni giorno quello cerca il motivo per vivere o morire ma non trova né uno né l’altro perché vive in un bianco costante. Nessuna emozione e solo per non finire come sua madre o suo fratello. - Non aveva problemi di loquacità ma di cose così serie tendeva a parlarne in maniera limitata, specie se poi non erano affari di loro tre. Improvvisamente Evan era come se lo fosse diventato, silenziosamente ed in un modo incomprensibile. - Mi chiedo perché dopo che siamo stati da lui non si sia più fatto vivo. - Era in realtà passato solo un giorno, quello era il secondo e non sapeva ancora con certezza se sarebbe venuto o meno ma lui era come se già l’avesse visto assente. 
Gli altri due non si stupirono di quello ma dell’effettivo interesse che stava mostrando sempre più vivo. 
Non era normale, anzi, era quasi un caso eccezionale. 
Bill era strano perché sembrava la persona più viva di questo mondo ed interessato a tutto e a tutti, però in realtà non era così. Non era nemmeno l’opposto… non era disinteressato o morto dentro, quello era Evan, però era molto più complicato di così.
Il suo essere di tutti era come essere di nessuno ed era una caratteristica che nessuno riusciva a capire ed inquadrare mai in lui illudendosi che quel ragazzo fosse semplicemente l’amico di tutti. Non che non lo fosse, ma… bè, era solo di sé stesso.
Lo era sempre stato.
Quella era la prima volta che si interessava così profondamente a qualcuno che non fossero loro due, i suoi migliori amici che considerava come fratelli. 
Ma soprattutto era la prima volta che qualcosa al di là della sua famiglia lo turbava tanto.
Ci teneva a Evan e giorno dopo giorno era sempre più evidente.
Poteva rasentare l’insensibilità dietro a quell’aria aperta ed emotiva, in realtà non era né l’uno né l’altro.
Era solo un cavallo selvaggio che niente, nemmeno la libertà stessa, poteva imbrigliare.
Non aveva definizioni o caratteristiche specifiche se non che nessuno poteva capirlo ad eccezione di chi condivideva con lui un pezzo delle loro anime. Solo due avevano avuto quel privilegio fino a quel momento.
Fino all’arrivo di Evan che gli stava involontariamente ed inavvertitamente, molto lentamente, donando un pezzo della propria, se non tutta intera.
Bill lo potevi solo vivere e cercare di stargli dietro, assecondarlo, accettarlo, ammirarlo, farti bagnare un po’ dalla sua linfa comunque la più vitale di tutti. 
Proprio come un cavallo selvaggio.
- Penso che sia sconvolto da quella notte, non credo che per lui sia stato facile affrontare una situazione come quella a cui è stato messo davanti improvvisamente e senza il minimo avvertimento. La scenata con sua madre è stata agghiacciante… se mi dici che poi suo fratello si è impiccato non posso non ricordare la terribile sensazione che ho avuto quando ho guardato alcune foto della loro infanzia. Alexander, giusto? Lui e sua madre erano… non so, inquietanti… ma per motivi diversi… lei lo era di suo nel modo classico del termine, lui lo era in conseguenza a lei, era un’inquietudine… - Ma al momento di definirla meglio, Jake si fermò rendendosi conto che per i suoi canoni, invece, si era lasciato andare a troppe elucubrazioni. Non era il loquace dei tre, lo erano Bill e Tray, lui parlava normalmente, quando doveva e di certo non sparava teorie strane e profonde sugli altri. 
Tray gli venne in aiuto capendo perfettamente quello che stava dicendo.
- Un’inquietudine da cancro. Sin da piccolo si è vista crescere nei suoi occhi una malattia, un tumore maligno che si è espanto a dismisura. Non poteva sopravvivere. Bill se tu vedessi quelle foto te ne accorgeresti subito! - 
E Bill decise che non le avrebbe viste perché non era quello che voleva trovare scavando in quel passato. Voleva trovare delle prove di felicità, non delle promesse di morte. 
Aveva detto ad Evan che quando sarebbe stato pronto sarebbe venuto con lui a cercare fra le cose di suo fratello i suoi segreti per aiutarlo a trovare risposte e ad andare avanti, ma la verità era che sperava spasmodicamente di trovare cose belle.
Nonostante tutto quello che aveva saputo da lui ed ora da loro, nonostante quello che viveva giornalmente a casa con suo padre, nonostante sapesse quanto oscuro e schifoso fosse quel mondo… nonostante tutte le mille prove negative, lui continuava a credere che avrebbe trovato qualcosa di bello, da qualche parte, in quella famiglia. Perché lo voleva per Evan.
Sospirò profondamente e rendendosi conto di quale fosse la canzone che stava suonando capì col ventesimo treno il motivo e come se apparentemente cambiasse argomento di punto in bianco e non c’entrasse nulla, disse squillante.
- Suoniamo una canzone dei Placebo al concerto del Ringraziamento qua a scuola? - Ormai era alle porte, molte canzoni erano già state decise e di certo non dovevano c’entrare tutti con quel tema ma almeno un paio… però sembrò strana quella domanda anche per lui e Jake sbatté le palpebre disorientato non capendo il motivo. 
- Come mai ti viene in mente ora? - 
Bill finalmente si alzò come se avesse nuova forza e mettendosi a suonare ‘For what It’s worth’ con più convinzione ed energia, disse:
- Perché i Placebo e Mozart mi fanno pensare ad Evan. Ma precisamente Mozart alla sua famiglia e i Placebo a lui, non chiedermi perché. Solo che Mozart non possiamo suonarlo ad un concerto scolastico specie perché ci vorrebbe un’orchestra e a parte quella potremmo farlo in chiave rock ma ci servirebbero tanti strumenti ed esecutori all’altezza e non è facile. Comunque… i Placebo possiamo farli! Anche questa, ad esempio… si chiama ‘Per quello che vale’ e fa così: 
‘La fine del secolo Ho pronunciato i miei addii Per quello che vale Ho sempre mirato a piacere Ma sono quasi morto Per quello che vale Dai vieni stenditi con me Perso sono in fiamme Per quello che vale Taglio il sole in tre parti Per accendere i tuoi occhi Per quello che vale… Sfasciata la famiglia Tutti piangevano Per quello che vale Ho una lenta malattia Che mi ha succhiato fino in fondo Per quello che vale Dai cammina con me Nella marea che si alza Per quello che vale Riempita una cavità Il tuo dio ha formato un buco stanotte Per quello che vale… A nessuno importa quando sei fuori sulla strada A raccogliere i pezzi per far incontrare le fini A nessuno importa quando sei giù nella fogna Non ho amici, non ho un’amante Per quello che vale Non ho un’amante Non ho amici non ho un’amante’. - 
- Sembra lo stato d’animo di Evan… - Lo disse Tray e Bill ne fu contento poiché ad un certo punto aveva anche pensato di avere lui le visioni nel vedere quella canzone perfetta per quello che probabilmente poteva essere lo stato d’animo di Evan.
Jake ridacchiò stupendo gli altri due, quindi cinse l’amico con un braccio e gli poggiò la testa sulla sua, di lato, dopo di che gli spettinò i capelli neri già di loro egregiamente incasinati.
- Tu sei proprio perso per lui, vero? Non ti ho mai visto così con nessun essere vivente. Noi siamo i tuoi fratelli, è diverso. È davvero sconvolgente, sai? Pensi costantemente a cose che lo riguardano, non sei normale. Ti butteresti da un grattacielo se servisse a fargli capire che la vita è bella, vero? - 
Bill rimase spiazzato mentre Tray riempiva l’aria con le sue risa sguaiate e per nulla raffinate, suonando anche con maggior impegno la canzone appena citata.
L’altro rimase di sasso a pensarci, era la prima volta che qualcuno glielo diceva, nemmeno lui stesso l’aveva mai ammesso da solo. Si era obbligato a fare l’ottuso ed ora eccolo lì Jay a spiattellargli in faccia tutto come niente fosse, ridendo addirittura!
Per un momento si fermò completamente, probabilmente cercava di capire come dovesse prenderla… bene o male?
Dirlo una volta per tutte non era facile per nessuno e per lui che non era una persona normale non era per niente una passeggiata. 
Piegò la testa appoggiandola alla spalla di Jay come se non avesse più forze improvvisamente. Si fermò, smise anche di suonare e solo la batteria di Tray si udì; quel ritmo energetico e gioioso era comunque di pari passo coi propri desideri. Non voleva spegnersi, tanto meno fermarsi.
Niente l’avrebbe abbattuto, sorpreso, sconvolto, ammazzato. Qualunque notizia apprendeva doveva sempre andare avanti, dritto per la sua strada.
Come gli aveva detto Astrid citandogli Till i collapse. 
Non era per suo padre, o non solo per lo meno. Era anche per quello.
Rendersi conto di provare qualcosa per qualcuno, un qualcosa del genere, poteva bloccare e affondare chiunque, specie perché si parlava di un altro ragazzo. 
Ma a parte il discorso della sua ormai nota bisessualità, che altro c’era da dire?
Era perso per Evan?
Ebbene era vero.
Certo che si sarebbe buttato da un grattacielo se sarebbe servito a fargli apprezzare la vita. L’avrebbe fatto subito.
E proprio su questo, al momento di reagire all’uscita brutale di Jay e dire qualcosa a riguardo, disse con un campanello che gli suonava in testa la nona di Beethoven. Naturalmente gridando.
- RUNNING UP THAT HILL! - 
- Correndo su quella collina? - Fecero Tray e Jake. Il primo si fermò dal suonare e il secondo gli sciolse il braccio dalle spalle.
Bill allora scese dal tavolo e saltellando come una cavalletta, si mise a suonare la canzone a cui stava pensando.
Non era normale, persino loro lo pensarono, ma cercarono di capire che diavolo stesse dicendo.
Riconobbero la canzone, era una cover di Kate Bush che avevano fatto i Placebo qualche anno fa. Non era diventata molto famosa se non per qualche telefilm che l’aveva usata. Loro la conoscevano perché apprezzavano il gruppo e quella nello specifico era entrata nelle grazie del cantante.
- Ha un testo da brivido ed un arrangiamento che è un capolavoro! La faremo al Ringraziamento. Per Evan! - Era normale e logico, no?
- Allora… - Cominciò Jake sforzandosi di fare quello che a volte cercava di fare, ovvero il sensato dei tre. - Posto che è un concerto scolastico per il Ringraziamento e non per Evan, le canzoni dovrebbero magari vagamente c’entrare con quel giorno. Che senso ha fare questa canzone, seppure sia splendida? - 
- Ma nessuno si aspetta che noi facciamo qualcosa di classico e sensato e che c’entri veramente con quel giorno! - Esclamò Bill.
- E nessuno si aspetta che facciamo una cover! È da un po’ che non ne facciamo se non raramente, abbiamo un nostro repertorio e ne andiamo fieri! - Jake aveva ragione, ma era anche vero che non era raro che facessero cover. 
Si fermò, era troppo convinto di quel che diceva.
- Ma per questi concerti non possiamo farne di nostre, il preside ce l’ha vietato. Ringraziamento e Natale hanno temi specifici, niente cose personali! - Fece Bill dandosi la vanga sui piedi da solo e contraddicendosi. Era troppo preso dal trovare una via d’uscita e fare quello che voleva lo stesso, per rendersi conto di quanto sconnesso fosse.
Jake si stava divertendo.
- Appunto, che senso ha ‘Running up that hill‘? La vuoi fare per Evan, fra l’altro… più fuori tema di così! - Lo stava provocando di proposito perché ormai aveva capito come sarebbe finita…
Bill si fermò, smise di suonare e saltare, quindi con una smorfia imbronciata tipica di un bambino offeso disse dopo essersi mordicchiato la bocca:
- Bè, ma siamo i Basket Case, in ogni caso nessuno si aspetta che seguiamo completamente le regole. O evitiamo le nostre canzoni, o facciamo     quelle che vogliono loro. Non possiamo fare entrambe! - Era una cosa senza senso anche quella e perfino Tray l’aveva capito ma occupato com’era a rotolarsi a terra dal ridere, non aveva detto nulla mentre Jake si alzava a sua volta e ridendo più composto gli circondava il collo col braccio scuotendo la testa.
- Quello che dici non ha senso perché se facessimo le canzoni che dicono loro in ogni caso non faremmo nemmeno le nostre e quindi eseguiremmo due ordini in un colpo solo. Comunque il tuo è un compromesso accettabile, dopotutto. Niente di nostro ma nemmeno niente di loro. Direi che è fatta. E che cazzo, siamo i Basket Case dopotutto! - 
A quello Bill riprese a saltare e tenendo la chitarra con una mano gli saltò al collo salendogli su come un koala. Jake lo resse ricambiando meglio l’abbraccio e ridendo di gusto, sapeva che sarebbe finita così, in ogni caso aveva ragione. Era proprio perfetta quella canzone per il messaggio che voleva dare a Evan ed in generale per la sua situazione. 
Era vero… i Placebo facevano pensare molto a quel ragazzo… si chiese come mai, ma non cercò risposte che sapeva non avrebbe mai trovato.

/One way or another - Blondie/
L’avrebbero fatto comunque, ma in quel modo ne approfittarono spudoratamente ognuno per i propri scopi.
Nei giorni successivi tutto il club fu molto impegnato coi preparativi del concerto ormai imminente e uno dei compiti a cui dovevano adempiere ogni volta prima di un concerto scolastico, era portare gli inviti a quanta più gente possibile.
L’auditorium del liceo linguistico che frequentavano era qualcosa di stratosferico, grande quanto un intero piano e la pianta dell’edificio era addirittura esagerata.
Per riempire tutti i posti a sedere, non fare brutta figura e non allestire un evento simile per un paio di studenti, bisognava riempire tutti i migliaia sedili presenti nel salone gigantesco.
Oltre a quello c’era anche un discorso puramente economico.
Quei concerti oltre che per intrattenere e sottolineare un periodo od un giorno particolarmente importanti e quindi avere occasione per stare tutti insieme in modo diverso e piacevole, era anche una mera scusa per raccogliere i fondi. Chi voleva poteva fare delle generose donazioni alla scuola per permettere agli artisti di proseguire con le loro svariate attività.
Era così anche con le partite di basket, football e baseball di natale e di fine anno che si organizzavano sempre lì a scuola. Oltre a questi eventi, ogni club entro la fine dell’anno scolastico ed almeno una volta in tutto lo stesso doveva organizzare qualcosa per mostrare il frutto del loro lavoro pomeridiano.
La scuola era prestigiosa e costosa e poteva vantarsi, sempre per avere un buon nome, una buona fama ed avere la visibilità che desiderava, di accettare non solo famiglie benestanti ed importanti ma anche alunni che avevano problemi economici e non potevano permettersi di pagarsi la retta.
Era una delle poche in tutto lo stato che oltre al prestigio ed al livello scolastico elevato, apriva le porte anche a dei casi limite ben analizzati prima. Non prendevano certo teppisti, tossici e delinquenti. Era anche per avere dei fondi statali e dei riconoscimenti che li facevano salire nella classifica dei migliori licei. 
La parola prestigio riuniva tutti i discorsi in ballo.
Il concerto del Ringraziamento era ormai alle porte e il club di musica si incaricava di portare gli inviti di persona alle famiglie che avevano in qualche modo a che fare con la scuola, a partire da quelle degli alunni stessi che naturalmente non facevano già parte del loro gruppo.
I tre Basket Case si dileguavano ogni volta che dovevano farlo e lasciavano il compito sempre agli altri, ma quell’anno, stranamente, Bill e Jake si offrirono volontari per un paio di famiglie.
Tray dopo averli guardati come se fossero impazziti era stato trascinato a forza -ammirevole!- da Jake per aiutarlo.
Non potendo prendersi solo l’invito che gli interessava ma essendo obbligati a prendere tutto il quartiere, si rassegnarono a far visita anche ad altri di cui non gli importava un emerito nulla.
Ovviamente facevano così solo per gli esponenti più importanti, la maggior parte veniva lasciata nella cassetta delle lettere il cartoncino dell’invito.
La famiglia di Lowell non era nota né tantomeno importante od economicamente stabile, era nella lista dell’invito in cassetta, però Jake non ci avrebbe minimamente pensato ad una cosa del genere ed infatti facendo tutto quello solo per avere la scusa di tornare a casa sua, non poté non attirare l’attenzione di Tray il quale era stato costretto contro la sua volontà a quel giro noioso.
- E ti serve una scusa per andare a casa sua? Jay, ma stai male? - 
Jake non si era scomposto e specchiandosi ad ogni superficie lucida e riflettente per vedere se era perfetto, rispose con un ghigno malefico ed aria saccente.
- Con lei serve una strategia, non posso fare come faccio sempre con le altre perché non me la darà mai! - 
- Bè, tu di solito schiocchi le dita e qualche tipa arriva… - Osservò Tray con un tono che non era chiaro da che parte stesse… 
- Appunto, lei in quel modo scappa ed io voglio averla. Di conseguenza mi devo ingegnare con furbizia usando metodi completamente lontani dai miei soliti. Anche perché così la destabilizzo, non ci penserebbe mai che ci sto ancora provando con lei in un modo tanto diverso dai miei soliti, no? - Non è che gli stesse spiegando la sua strategia perché pensava che a Tray potesse interessare, aveva solo bisogno di dare voce alle sue idee di quei giorni. Non la vedeva da un po’ se non a qualche lezione di sfuggita ed aveva avuto tempo per riflettere.
- Ma ti piace tanto? Insomma, di solito non ti sbatti tanto per una che non si interessa a te! - 
Tray sembrava solo vivere in un altro mondo e non cogliere certi dettagli, in realtà li notava tutti solo che il più delle volte non li riteneva comunque interessanti.
Questo però lo era… insomma, Jay era proprio strano!
- Di solito non esiste una che non si interessa a me! - Esclamò pronto l’amico con un che di logico e sincero. Non è che stava scherzando o facendo il narcisista egocentrico di proposito, diceva la pura verità. Tray rise ma gli diede corda capendo qualcosa che evidentemente all’altro tanto sveglio stava sfuggendo.
- E’ solo perché lei è l’unica a cui tu non piaci? - 
- No, non è questo! Ok, all’inizio magari… più che altro non ci volevo credere quando mi ha risposto picche… però poi ho capito una cosa, durante tutte le volte che gliel’ho buttata lì più o meno apertamente: non è che io non gli piaccio e che non è interessata a me… - A quello si fermò per cercare bene le parole da dire e Tray si fermò a sua volta. Gli occhi azzurri assottigliati per concentrarsi sul concetto che voleva esprimere… - Si impunta lei, si ostina, si obbliga a non interessarsi a me. Lo fa, insomma… non è che lo è veramente… - 
- E’ tutta una posa questo suo rifiutarti? - Chiese scettico Tray non pensando che le donne potessero essere tanto contorte e machiavelliche. Non le conosceva bene ma Jake sì, anche troppo… 
Il ragazzo dai capelli biondi e rasati corti si strinse nelle spalle muscolose coperte da una giacca di mezza stagione piuttosto costosa.
- Lo farebbe apposta per attirare la tua attenzione e spingerti a volerla così? - Non che potesse essere una cosa anomala, era tipico delle donne ma lo sapeva solo Jake evidentemente. Tray non arrivava a concepire una cosa tanto macchinosa… insomma, se gli piaceva qualcuno andava là e glielo diceva e se non era ricambiato pazienza!
- E’ tipico delle donne fare le preziose e farsi desiderare, sai? Perché è vera la legge che in amore vince chi fugge e le donne la usano sistematicamente. A meno che non siano semplici e non abbiano voglia di aspettare e impegnarsi troppo e te la danno subito! - tipico linguaggio fra maschi…
Tray profondamente stupito da quelle nuove nozioni apprese e convinto che avesse ragione, esclamò ammirato battendogli la schiena:
- Ma le conosci proprio bene, le femmine, tu! - 
Jake rise a quella sua uscita ed inorgogliendosi lo cinse a sua volta col braccio intorno alla vita, quindi proseguirono per la strada.
- Chiedimi tutto, so ogni loro segreto! - Fece volontariamente gasato.
- Grazie ma dubito che seguirei comunque uno dei tuoi assurdi consigli se volessi trovarmi la ragazza! - Jake stupito e fintamente offeso chiese come mai e lui rispose immediato senza nemmeno pensarci, schietto e divertito: - Perché le consideri di merda ed io non sono tipo da una botta e poi calci in culo! - Modo fantasioso per dire che non aveva voglia di una sola notte per poi essere malamente cacciato per il modo in cui si approcciava. Seguendo qualcuno dei suoi consigli era certo che poteva finire solo così… 
L’altro non se ne stupì e nemmeno si offese, tutti gli parlavano in quel modo ma il risultato era che quei ’tutti’ non avevano il numero di ragazze che aveva lui e quindi potevano criticarlo quanto volevano, alla fine il vincitore era sempre lui!
- Ma io le considero bene, le donne! Sono addirittura degne del mio seme! - Esclamò volgarmente ed allo stesso tempo con un che di classe tipico suo. Era uno di quei dialoghi assurdi che si potevano avere solo con Tray.
- Ma se usi sempre il preservativo! Che seme e seme! Non rimane niente a loro di te! - Fece prontamente lui dandogli un calcio laterale amichevole. Jake rise all’uscita, non si smentiva mai, ma poi altrettanto alla sua altezza rispose sapendo sempre cosa dire a quell’obiezione:
- Mica posso rischiare di spargere per il mondo tanti Jakeini! Ma se potessi verrei in ognuna di loro e senza protezione, credimi! - Come se fosse una gran cosa, una specie di regalo immenso, una concessione che avrebbe potuto fare se solo la natura non fosse stata così crudele… Tray però non si scompose.
- E ti sembra un favore che faresti loro? - Ea l’unico che poteva reggere certe conversazioni demenziali, specie perché era quello che alzava maggiormente il tasso di demenzialità, di solito. Lui, dei dementi, ne era il re, quindi nessuno poteva avere l’ultima parola in un discorso demente!
Alla fine Jake ammise fra le rise e le lacrime che aveva ragione in tutto e per tutto e che stronzo in un modo o nell’altro lo era comunque. Ma uno stronzo che scopava tantissimo!

/ Christinan’s Inferno - Green day /
Era pomeriggio inoltrato e con le giornate accorciate il tramonto stava ormai finendo nonostante fossero le sei. 
Jake si ricordò solo davanti alla porta d’ingresso quale fosse la particolarità della famiglia di Lowell, quindi quando suonò il campanello e si levò ‘Per Elisa’ vide Tray alzare subito un sopracciglio interdetto.
Bè, tanto a lui piacevano le sorprese… 
Dopo circa due secondi si sentirono dall’interno delle urla acute.
- HANNO SUONATO, ANDATE AD APRIRE! - 
La risposta era altrettanto urlata. 
- CHI CAZZO SE NE FOTTE CHE HANNO SUONATO, QUA VA TUTTO A FUOCO, PORCA PUTTANA! - 
E di nuovo, sempre dalla voce di prima: 
- QUALCUNO VADA AD APRIRE QUELLA PORTA! - O che erano sordi, o che erano lontanissimi fra loro, da tanto che urlavano. Dopo qualche secondo. - COME VA TUTTO A FUOCO?! KRIS, CHE CAVOLO HAI COMBINATO? - A scoppio ritardato doveva aver realizzato quello che l’altra persona -una voce non definibile come femminile- aveva latrato. 
- IO NIENTE, E’ QUELL’IMPIASTRO DI TUA FIGLIA, CAZZO! QUANDO L’HAI FATTA POTEVI IMPEGNARTI DI PIU’! HA BRUCIATO TUTTO! - 
Ma era ancora poco chiaro cosa, come e soprattutto chi avesse bruciato cosa!
Solo allora Jake e Tray, leggermente preoccupati, notarono del fumo uscire da una finestra del piano terra, quella che doveva essere la cucina se Jake ricordava bene.
Finalmente la porta d’ingresso si aprì e si vide una pallina gialla dalle sembianze di un bambino di quattro anni fiondarsi fra le braccia di Jake dopo averlo riconosciuto.
- Aiuto, muoio! - Disse con una vocetta sottile e piangendo. Jake sgranò gli occhi mentre Tray andava dentro senza chiedere permessi. Lì la situazione pareva seriamente grave e il ragazzo che aveva preso l’iniziativa proseguì nella casa che non conosceva fra il fumo che annebbiava tutto, mentre l’altro rimaneva fuori col bambino in braccio per proteggerlo istintivamente, quando però sentì delle urla atroci nel giro di pochi secondi, non poté che entrare anche lui e trovatosi nella nebbia a sua volta, tossendo e coprendo il viso al bambino biondo platino vestito con una meravigliosa salopette gialla, vide Tray con la giacca che tamponava il gas in cucina e poco distante alcune figure femminili che gridavano nel guardarlo. Quando scese la madre dal piano di sopra e riuscì a vederci meglio grazie alla porta spalancata che aveva fatto un po’ uscire il fumo, non seppe nemmeno cosa pensare.
- Ma cosa succede? - 
La prima a parlare gridando come se fosse a kilometri di distanza, fu la ragazzina di dieci anni vestita da maschiaccio, Sylvie, e lo fece indicando Tray la cui giacca ormai era andata ma che almeno aveva spento le fiamme…
- ANDAVA TUTTO A FUOCO QUANDO QUESTO ALIENO DAI CAPELLI FUXIA E I VESTITI IN TINTA È ARRIVATO E CI HA SPENTO TUTTO CON LA SUA GIACCA! - 
- E perché avete urlato invece di ringraziarlo? - Sorvolando sul ‘ma gli alieni esistono e sono fuxia?’ che era balenato in mente a tutti i presenti. 
- PERCHE’ E’ SPAVENTEVOLE ED E’ SPUNTATO DAL FUMO! - Lasciarono anche perdere il termine scorretto, c’erano altre cose da considerare in quel momento.
L’altra figura di non identificata natura, allora, uscì dalla cucina e spintonando quella che aveva appena gridato isterica grugnì pulendosi il viso con la manica della felpa: 
- Piantala di fare la stupida! I maschiacci non urlano spaventati! - La piccola le fece la linguaccia e ed il dito medio e non sapendo cosa ribattere corse offesa dall’altra parte della casa. 
La donna più grande sospirò, ormai a parte la puzza atroce di bruciato si vedeva abbastanza bene e quando mise a fuoco la situazione cercò di darle un senso compiuto in qualche modo.
- Calmiamoci tutti per favore… intanto chi sono questi due ragazzi? - Fece la donna un po’ tonda coi capelli ricci e rossi. 
Jake allora si fece avanti, aveva ancora il piccolo in braccio appeso al suo collo e piangeva chissà per quale arcano motivo. Era strano tenere quel piccolo corpicino che si stringeva a lui spaventato, era una delle sensazione più belle che avesse mai provato, diversa da tutte… era come avere qualcosa di prezioso e fragilissimo che dipendeva completamente da te. Non ne aveva mai tenuti e per un momento se ne sconvolse perdendo tutti i suoi tipici comportamenti spavaldi e sicuri di sé, infatti nonostante avesse voluto dire qualcosa, non gli uscì nulla.
- Lui è Jake, dovreste averlo già conosciuto… - Fece allora Tray vedendolo stranamente spiazzato. Quando le tre donne rimaste lo guardarono, si presentò: - Io sono Tray, un suo amico… in teoria saremmo qua in via ufficiale per conto del club di musica scolastico ma… alla fine abbiamo fatto gli eroi! - Lo disse trionfale e gongolando come se fosse il caso visto che non si trattava di una festa! 
- Ed è una cosa divertente? - Grugnì infatti Kris, quella che a vista non si capiva se fosse un maschio o una femmina e che aveva confuso perfino Jake. Tray la guardò, aveva sempre i capelli biondi e corti tutti spettinati che le incorniciavano il viso in modo selvaggio, degli occhiali neri e squadrati non aiutavano a far vedere meglio i suoi occhi né tanto meno capire il genere, ma il peggio era l’espressione truce. 
Il ragazzo dai capelli fuxia -che solo per quelli era più femminile di lei- la guardò e accentuando il suo gran sorriso contento e gioioso asserì senza la minima indecisione: 
- Ehi bella, dovresti provare tu, mi daresti ragione! - A quello Jake si riprese al volo perché sebbene per le proprietarie di casa era normale capire subito il sesso di quella creatura, per l’amico non lo era per niente. Fra loro quello più sensibile al genere femminile non era Tray, a lui non importava niente di chi aveva davanti, poteva anche essere un asessuato che non lo notava. Ora invece si metteva a distinguere una ragazza che non sembrava né carne né pesce? 
- Non me ne hai dato tempo, sei arrivato prima che potessi riuscirci da me, ma me la sarei cavata benissimo! - 
Fu la risposta brusca e pronta, avrebbe scoraggiato chiunque ma Tray invece di zittirsi si mise a ridere e osando darle addirittura una pacca sulla schiena come fossero due vecchi amici, disse:
- Ti ho rubato la scena! Facciamo che la prossima volta mi salvi tu il culo e così siamo pari! - Kris però si scostò infastidita da quel breve contatto amichevole e grugnendo qualcosa di incomprensibile decise di lasciarlo perdere.
- Insomma, chi ha dato fuoco alla cucina? - Fece poi la madre prendendo il piccolo Luke dalle braccia di Jake che le si attaccò tirando su col naso ancora in crisi profonda per lo spavento che si era preso.
- Quell’astronauta di Lowell! - Aggiunse bruscamente Kris ancora profondamente arrabbiata con la sorella maggiore che aveva fatto rischiare molto a tutti. 
A quello tutti guardarono Lowell rimasta indietro e mentre tutti si chiedevano perché l’avesse definita ‘astronauta’, solo Tray rise piegandosi sulle ginocchia perché l’aveva capito. Nemmeno a dirlo l’attenzione tornò, tanto per cambiare, su di lui e quando lo guardarono per chiedere implicitamente che diavolo ridesse vista la situazione poco allegra, li illuminò rialzandosi:
- Astronauta perché vive fuori dal mondo? Ma sei un’umorista, tu! - Ovviamente la seconda frase la disse dandole un’altra pacca sulla schiena, a momenti l’avrebbe sfondata procurandosi di conseguenza un occhio nero… 
Sia la madre che Lowell li guardavano incuriositi, si stava instaurando un meccanismo alquanto strano fra i due e solo chi li conosceva bene come i presenti poteva notarlo. Jake infatti ci mise un istante poiché solo per il fatto che l’amico aveva subito capito che Kris era una donna significava che lui l’aveva notata in quanto tale e non in quanto essere vivente come faceva con ogni altra creatura.
Kris si scostò di nuovo fissandolo torvo, come osava avere tutta quella confidenza ma soprattutto dire che era un umorista? 
Naturalmente fu l’unica a non ridacchiare nemmeno sotto i baffi e vedendo che a momenti gli avrebbe sparato, la madre tornò sul punto grave della questione e spostò l’attenzione da Kris a Lowell. Lo sguardo da madre severa e preoccupata colpì Jake che rimaneva ancora in disparte capendo che loro due erano effettivamente gli intrusi. 
Non poté comunque non pensare alla propria madre ed al fatto che non avrebbe mai avuto quello sguardo se lui avesse dato fuoco a casa, anzi avrebbe fatto il conto dei danni. 
Più stava con loro e più si rendeva conto che erano lontani da lui anni luce e tanto più capiva questo, tanto più voleva esserne parte in qualche modo, sia pure come amico.
- Come è successo, si può sapere? - Lowell fu guardata meglio, aveva un’aria da bambina colpevole e a parte quello, anche l’aspetto era diverso da come Tray e Jake la vedevano a scuola ma sebbene per il secondo non fosse più una sorpresa, per il primo sì e nonostante l’altro glielo avesse accennato, lo stesso fu strano vedere quella specie di spaventa passeri tutta malconcia. Aveva i capelli legati in due codini alti che le stavano a fontana, molte ciocche rosse le scappavano un po’ da tutti i lati scendendole prevalentemente sul viso, la tuta color carta da zucchero era piena di macchioline di olio e poco femminile assolutamente. 
- Ma niente, volevo fare le patatine fritte… - La madre allora la interruppe capendo subito.
- Aspettavi che l’olio bollisse per capire che era pronto? - Lowell annuì capendo che in quello doveva esserci qualcosa di sbagliato visto l’esito in fiamme ma soprattutto viste le strane facce da ‘è mentecatta?’ da parte di tutti. Le bruciava enormemente, ovviamente, però c’era poco da fare… era andata proprio così! Peccato che era successo proprio davanti a Jake… non poteva non pensarci!
- MA SANTO CIELO, LOW! L’OLIO NON BOLLE, BRUCIA! PER SAPERE QUANDO E’ CALDO E PRONTO DEVI METTERCI UNA PATATINA DENTRO O UN PEZZETTINO DI PANE, NON PUOI ASPETTARE CHE FACCIA LE BOLLE COME L’ACQUA! FINISCE IN FIAMME ALTRIMENTI! - 
- Eh, l’ho notato… - Ma la sfuriata della madre continuò a raffica e con urla sempre più forti. Era evidente che fosse per preoccupazione visto che avevano rischiato un incendio vero e proprio, ma quando si accendeva non si spegneva più e con Sylvie nel divano che sbuffava e Kris che si dileguava subito, i due ospiti capirono la situazione. 
Dopo dei minuti considerevoli dove la donna gridò rimproveri di ogni genere senza usare nemmeno una parolaccia, mise giù Luke che tornò a nascondersi dietro a Jake, quello che gli sembrava più sano lì dentro, e questi tornò a sentire quella strana sensazione dentro.
Da quel giorno l’avrebbe chiamata la sensazione da famiglia vera. 
Dopo che la madre, continunado a brontolare da sola ripetendo sempre le stesse cose come se gli altri fossero ritardati mentali e non capissero quel che diceva, Tray si avvicinò a Lowell e come se non potesse proprio trattenersi, chiese esprimendo quello che l’aveva colpito più di tutti:
- Santo Cielo? - Il massimo dell’imprecazione era stata quella… lui al suo posto ne avrebbe mollate di ben peggiori… Lowell in quello si distrasse e come se anzi si rilassasse tornando dallo Spazio alla Terra, rispose capendo perché glielo chiedeva: 
- E’ cristiana cattolica, crede più a Dio che a noi figli… tutti noi siamo credenti ma il suo livello arriva al punto da impedirle di dire qualsiasi parolaccia! - 
Solo a quel punto notarono santini e angioletti appesi un po’ ovunque per quella casa caotica e ammirato fischiò. Né lui né gli altri due suoi amici non credevano in Dio, ma gli piacevano quelli che invece ci riuscivano.
Alla fine di tutto, comunque, il risultato fu niente meno che un invito a cena per entrambi i due salvatori ed una voglia di svenarsi da parte di Lowell che dopo la doppia figuraccia doveva pure tenerseli lì in casa per ringraziarli dopo averla vista in quelle condizioni!
Serata lunga.
Molto lunga.
Specie per l’incontro col padre.