CAPITOLO
XVIII:
PARALLELISMO
“C’è tanto da vedere là
fuori. Se solo tu uscissi… se solo tu uscissi
vedresti tutti i colori… “
/Firework - Katy Perry/
Rimesso
a nuovo cucina e persone, Tray quasi non riconobbe Lowell. Era ancora
disorientato per lei, non avrebbe mai immaginato un tale cambiamento radicale e
quando i suoi stessi familiari la videro apparire rimessa a nuovo la guardarono
scettici come se fosse impazzita.
Era
curioso come potesse cambiare tutto un punto di vista. Loro che in casa la
vedevano sempre in un certo modo, quando la vedevano trasformata nel cigno la
ritenevano strana mentre per gli altri due che la vedevano solo come un cigno,
nel vederla come il brutto anatroccolo era sconvolgente.
In
ogni caso stupiva sempre.
Capelli
sciolti e pettinati, lisci e senza una ciocca fuori posto, addirittura un po’
truccata e con dei vestiti perfetti ed eleganti.
Vietatale
l’ingresso alla cucina, la misero ad intrattenere i due
ragazzi che nell’attesa in cui si era dovuta preparare e
pulire erano dovuti rimanere con la madre.
Naturalmente
non aveva chiuso la bocca un istante.
Quando
Lowell si unì a loro era giunta ad uno dei tanti punti imbarazzanti della vita
della ragazza.
- Ed
insomma, quando abbiamo seguito le scie dei capelli abbiamo trovato lei dietro
la tenda che nascondeva le forbici dietro la schiena e si teneva la fronte con
una mano. Si era tagliata la frangia fino alla radice e l’abbiamo
fermata in tempo perché stava per cominciare con tutti gli altri capelli! - Le
risa furono d’obbligo visto che ad immaginarsi una
piccola Lowell teppista che si auto trucidava era spassoso.
La
protagonista di tali figuracce fulminò sua madre con uno sguardo e sperando che
la piantasse, dopo averla guardata così minacciosa e averle spedito un bacio,
con una lingua lunga più veloce dell’universo, proseguì:
- E
non vi ho detto di quando si è fatta la barba con il rasoio di suo padre! -
-
Oddio, avrà avuto tutta la faccia tagliata! - Esclamò Jake mentre Tray piangeva
dal ridere per tutte quelle che aveva saputo.
-
Mamma piantala! - Disse stizzita Lowell ammonendo la madre nella speranza vana
che per una volta l’ascoltasse.
Ovviamente
no.
- Da
piccola Low era un terremoto e un maschiaccio! Silvie e Kris alla fine hanno
preso da lei. Oddio, Kris in realtà da piccola era un confetto. Adorava il rosa
ed i pizzi, era femminile più di una bambolina e soprattutto era buonissima.
Dove la mettevo stava. Ora non fa quello che le chiediamo nemmeno se la
preghiamo in ginocchio e a parte questo… bè, avrete notato i suoi
modi da killer! Sembra più un ragazzo che una ragazza e odia il rosa! Chissà
perché è cambiata tanto! -
Lowell
si calmò nel vedere che aveva spostato le sue mire di impicciona sulla sorella
di diciassette anni e cominciò ad apparecchiare la tavola tranquilla
partecipando alla conversazione.
- E
chissà mai perché! Forse perché l’avete travestita da
bambola fino all’età della ribellione? - Disse infatti
ironica.
- E
quale sarebbe? - Chiese Tray curioso di capire la metamorfosi di quella ragazza
divertentissima con cui aveva avuto il piacere di conversare per quattro
millesimi di secondo.
- La
scuola! Con le elementari ha cominciato a capire che il mondo non è pizzi e
merletti e per quando andava alle medie ce la siamo giocata! - Anche il suo
linguaggio in casa era meno ricercato e Jake le lanciò un’occhiata
stupita che la rossa intese diretta a ciò che aveva detto. In realtà era una
persona comunissima e molto semplice, ironica, divertente e che sapeva anche
fare figuracce in modo da rivelarsi umana. Le piaceva anche di più.
- Le
medie è l’età migliore! - Esclamò Tray sempre più
preso da quel discorso: - Io mi ricordo che ho scoperto che esistevano gli
shampoo colorati che ti tingevano i capelli fino a due o tre lavaggi e te li
potevano fare di qualunque tipo. È stato l’inizio di un nuovo mondo!
- Lo disse brillando.
-
Anche perché poco prima avevi incontrato me e Bill e se prima ti limitavi a
vestirti da clown, dopo hai trovato il tuo stile. Questo. -
- Quello
di un matto privo di buon gusto? - Chiese Lowell ironica, Tray ovviamente non
si offese e ridendo rispose a tono:
-
Detto da una che ha una doppia personalità suona come una barzelletta! - Tutti
si sorpresero della risposta all’altezza e soprattutto che
per una volta Lowell non trovasse niente altro da dire, si stizzì ma pur
bruciandole dovette ammettere fra sé e sé che quel coso seduto al suo tavolo
aveva ragione.
Kris
al computer poco più in là che non partecipava alla conversazione nemmeno per
sbaglio, nascose un ghigno di soddisfazione, una specie di rarità che però
nessuno notò.
Quando
ormai la tavola era apparecchiata e la cena quasi del tutto pronta, la porta d’ingresso
si aprì e sbatté e prima ancora che si vedesse il nuovo arrivo, una voce grossa
e cavernosa cominciò a brontolare maleducatamente in modo alquanto fastidioso:
-
COSA SI MANGIA? QUANDO SI MANGIA? HO FAME! PERCHE’ NON
E’ GIA’ PRONTO? - Jake e Tray
che non vedevano l’uomo che stava sbraitando si guardarono
allibiti chiedendosi se il grande segreto di quella che per un momento era
sembrata la famiglia del Mulino Bianco, fosse proprio il padre alcolizzato e
violento.
Nel
giro di un istante le tre figlie alzarono gli occhi al cielo in perfetta
simbiosi e mentre il folletto biondo correva dalla stanza dei giochi fino all’ingresso
ridendo, la madre dalla cucina cominciò la sua piazzata isterica:
-
Niente, tu mangi merda! - E già solo per il ‘merda’ i
due ragazzi impallidirono visto che la donna non aveva detto nemmeno una
parolaccia fino a quel momento. - Non vedi che sto preparando? E tu poi vieni a
quest’ora dopo che hai passato più di un’ora
al bar a bere e non potresti e osi anche lamentarti! - La tiritera continuò ai
limiti del surreale e quando dall’entrata si fece avanti l’uomo,
i due ospiti che non capivano se erano capitati in realtà all’inferno,
capirono tutto.
Il
marito, infatti, stava ridendo come un idiota rivelandosi solo uno che amava
tormentare la moglie per farla gridare come una matta quale probabilmente era.
-
Mamma, lo fa ogni sera e tu ogni sera ci caschi come una pera! - Esclamò Lowell
mentre Luke si era arrampicato sulla schiena del padre, un uomo alto un metro e
ottanta con due spalle larghe ed un cocomero tonto e duro al posto della
pancia. La testa invece era un uovo dal diametro considerevole, qualche capello
stentato grigio nella parte inferiore del cranio e poi dei baffi ingialliti
dalla nicotina, gli occhiali da presbite e gli occhi azzurri.
Dopo
qualche secondo Sylvie si fiondò ad attaccarlo e in men che non si dica erano lì
a lottare come fossero su un ring vero a fare… bè,
nessun’arte da combattimento precisa, forse lotta
selvaggia. Per inciso, con Luke appeso alla schiena dell’uomo
in versione scimmiesca, ridendo come un matto per tutto quel movimento divertentissimo.
Jake
e Tray rimasero di sasso a guardarli, tutto si sarebbero aspettati dall’uomo
di casa tranne che quello.
Uno
che faceva un lavoro che probabilmente lo impegnava per gran parte della
giornata e che dopo l’oretta consueta al bar che ogni uomo si
concedeva, andava a casa a tormentare moglie e figli in modo da tenere calda e
piacevole l’atmosfera già bella di suo.
Per
un momento si trovarono inevitabilmente ad invidiarli perché era vero che si
intravedevano delle pecche qua e là come Lowell schizofrenica, Kris killer,
Sylvie in crisi d‘identità e la madre isterica/logorroica,
chissà poi quante altre cose avevano che magari non andavano, però
sostanzialmente erano una gran famiglia.
A
partire dal fatto che erano di fede e che credevano in Dio. Per loro due che
non ci credevano, già solo questo era un punto a favore di quelle persone.
Notarono
inevitabilmente che a lui nella sinistra aveva due dita menomate, l’indice
senza due falangi mentre il pollice senza tutta la parte dell’unghia.
Sentirono
comunque il calore crescere e solo per l’arrivo di quella persona.
Solo
dopo che la piccola guerriera Sylvie, che avevano poi scoperto il suo
soprannome era ‘Rambo due la vendetta‘, fu
soddisfatta, i due smisero di combattere finendo con Luke che piangeva per una
testata ricevuta per sbaglio sulla fronte. Nemmeno a dirlo Sylvie che aveva
lividi ovunque vista la vita dissoluta che faceva gli gridò di smetterla di
piangere come una femmina per una sciocchezza simile ed esattamente a quel
punto il piccolo corse via da padre e sorella cattiva alla ricerca di Lowell.
Trovatala si buttò sulle sue gambe strillando mortalmente ferito e lei lo prese
in braccio accondiscendente cercando di consolarlo e farlo smettere.
-
Siete sempre i soliti! Lo sapete com’è, perché vi ostinate a
fare queste cose con lui in braccio? Finisce sempre che piange! - Disse la
madre che lo difendeva sempre. Del resto era il cucciolo di famiglia!
- E’ lui
che piange per ogni sciocchezza! - Sbraitò Silvie buttandosi sul divano stanca.
Vi rimase per circa due secondi e poi si rialzò di nuovo piena di forze.
Il
caos apocalittico proseguì con Luke che di rimando strillava ancora di più
assordando Lowell che cominciò a vacillare e quando il padre finalmente raggiunse
il tavolo, solo dopo la sceneggiata da bambino di due anni si accorse di Jake e
Tray che ridacchiavano divertiti e piacevolmente immersi nella loro confusione
da manicomio e senza scomporsi minimamente li salutò tendendo loro la mano.
Si
presentarono scoprendo così il nome di quella specie di mito che per loro era
ormai quell’uomo, Paul.
La
cena riuscì ad essere servita in tavola dopo qualche minuto e Luke che mangiava
su quattro o cinque cuscini per arrivare al tavolo, volle sedersi vicino a Jake
senza alcun motivo apparente.
Siccome
stavano cercando di insegnargli a mangiare da solo in modo decente, dove sedeva
lui c’erano una tovaglia in più di plastica che
gli faceva anche da bavaglino e per tutto il tempo il piccolo diede spettacolo
di sbrodolamento. Come primo c’era una minestra e dopo
averne vista cadere la metà, Jake stesso ebbe pietà di lui e con occhi che gli
brillavano come se avesse appena ricevuto una grazia dall’alto,
gli prese il cucchiaio che teneva nel modo più assurdo che avesse mai visto e
cercò di insegnargli il metodo giusto.
Tutto
questo mentre madre e figlie raccontavano il quasi incendio della geniale
Lowell e quindi spiegavano il senso della presenza lì di quei due ragazzi.
- Se
ci riesci a fargli capire come si tiene il cucchiaio sei un mito! - Esclamò
Lowell senza pensare che gli aveva appena fatto una sottospecie di complimento,
Jake non lo notò e Tray se ne stupì perché si sarebbe comunque aspettato una
qualche battuta egocentrica ma non venne nulla e colpito da quella versione
inedita del suo amico, rimase ad osservarlo alle prese con quel folletto
bellissimo dalla faccia tutta sporca. Quando Jake lo pulì col tovagliolo fu poi
il colpo di grazia. La delicatezza che usò non la tirava fuori nemmeno per le
ragazze con cui stava, anzi.
Se
Lowell in casa era completamente diversa da fuori, Jake non scherzava comunque… il
punto era che nemmeno con loro due si era mai rivelato così. Ok che coi bambini
magari tutti erano più dolci, ma lui aveva una sorella minore e quindi non
poteva capire queste differenze. Per Jake che era figlio unico niente aveva
tirato fuori la sua dolcezza e la sua pazienza, di conseguenza vederlo così lo
disorientava comunque.
Durò
poco perché poi si mise a ridere alle prese in giro di Paul alla figlia
maggiore, invece che sgridarla per il pericolo che aveva fatto correre a tutti.
-
Dio l’ha proprio protetta! - Esclamò alla fine
la madre con un tono sentimentale come se avesse appena avuto una visione. I
due ragazzi che non erano abituati a quel genere di discorsi la guardarono
stupita mentre Paul commentava ironico:
- O è
stata la prontezza di Kris che l’ha allontanata in tempo e
quella di questo ragazzo che ha spento il fuoco con la sua giacca? -
Anne,
la donna, lo guardò con uno sguardo di sufficienza e come se fosse la cosa più
ovvia di questo mondo, rispose senza il minimo fastidio.
- E
chi credi che abbia mandato questo ragazzo proprio in quel momento preciso? -
Domanda
interessante. Paul avrebbe risposto ‘lui stesso visto che
stava venendo per un invito scolastico’, ma non ebbe tempo perché
Kris intervenne seccata:
- Me
la cavavo da sola, cazzo! È lui che si è intromesso! Ed ora piantiamola con
questa stronzata! Tanto nessuno dei due si muove da lì! Tu ci credi, lui no.
Chi se ne frega, comunque! - Tray ridacchiò per i suoi modi mentre Lowell
sorrideva divertita di quello che era il dialogo infinito.
-
Noi tutti crediamo, anche se ovviamente non ai suoi livelli, l’unico
che ancora si ostina a non darle retta è papà. - Spiegò piano quest’ultima
a Jake che intanto aveva finito per imboccare Luke che ora, a cena finita, si
era arrampicato sulle ginocchia del suo nuovo amico. Il modo in cui se lo
teneva era qualcosa di inedito per chiunque e Lowell di certo non avrebbe mai
pensato che potesse anche lui nascondere tanta umanità e delicatezza.
Non
potevano saperlo ma alla fine avevano fatto l’uno
con l’altro la stessa cosa per cui si erano
accusati. Avevano visto la superficie giudicandosi senza sapere il resto. Un
errore purtroppo comune a tutti.
Il
punto era che ora che si erano visti meglio, la voglia di approfondire
ulteriormente non poteva certo essere fermata.
Solo
Tray poteva sapere QUANTO quel Jay fosse assolutamente incredibile e nuovo!
-
Peccato che la giacca con un buco in mezzo grande quanto quella pentola è la
mia! - Fece comunque per togliere l’attenzione dall’amico
che sembrava caduto in una crisi mistica.
Kris
lo fulminò con lo sguardo peggiore che avessero mai visto e ci fu un momento
esatto in cui tutti li fissarono catapultando la loro attenzione sui due. Quel
Tray o era completamente matto o completamente acuto, in ogni caso qualunque
cosa fosse funzionava visto che Kris aveva delle reazioni più umane del suo
solito.
-
Ripeto: impiccione! - Che lui poi fosse un ospite oltre che il gentile salvatore
della loro cucina, a lei pareva non importare e questo piacque all’interlocutore
che le tirò una mollica di pane appallottolata con le dita, nel riceverla lei
rimase inizialmente senza parole quanto gli altri e vedendo che l’istinto
della ragazza era stato quello di tirargli tutta la brocca, Paul fu il primo ad
intervenire tirandole a sua volta dell’altra mollica. Vedendo
che lo faceva il padre anche Sylvie volle farlo e naturalmente pure Luke il
quale però non sapeva fare le pallottole di pane ed allora tirava pezzi interi
fino a che Jake non si mise a farglieli al suo posto.
In
breve ebbe inizio la guerra del pane dove l’unica a non partecipare
fu Anne la quale preferì urlare contro a tutti dicendo che poi pulivano loro
quello schifo che stavano facendo. Ma fra le sue urla e le risa di tutti, ad
eccezione di Kris che però rispondeva nella giusta misura alle pallottole di
mollica, tutti si divertirono in quella scena calda e piacevole che stavano
vivendo.
Una
scena che comunque non avrebbero mai dimenticato e che comunque aveva gettato
Jake sempre più in uno stato davvero strano, come di sospensione.
Uno
stato che sarebbe andato avanti ancora per un po’.
La
serata si concluse comunque con l’invito da parte del club
di musica che li pregava di venire al concerto per il Ringraziamento che si
sarebbe tenuto dopo una settimana, e quando finalmente non ci fu più niente da
fare se non andare, Anne obbligò Kris a dare una delle sue giacche a Tray. Lei
era più minuta di lui anche se non era un figurino come Lowell, però vestiva
con taglie il triplo più grandi delle sue e di conseguenza essendo che erano
tutti vestiti maschili, la sua giacca gli stette perfetta.
-
Grazie strega, te la riporterò! - Kris gli fece il dito medio e lo salutò con
un brusco ‘fottiti’ che poteva voler dire
tutto e niente e lui in risposta le lanciò un bacio.
Luke,
invece, salutò decisamente meglio Jake, il suo nuovo grande amico che gli aveva
insegnato a tenere il cucchiaio quasi bene. Il bacino che gli schioccò sulla
guancia fu tremendamente dolce e se fino a quel momento il ragazzo era riuscito
a mantenere una vaga parvenza di decenza, da lì si spense completamente e
quando Lowell lo ringraziò civilmente e lo salutò, lui non ci provò nemmeno
lasciandola comunque di sasso almeno tanto quanto ci rimase Tray che se lo
trascinò via a forza per evitargli altre figure strane.
Una
serata comunque molto rivelatrice su più fronti ma principalmente su uno.
“Allora Bill ha ragione.
Ci sono delle famiglie che si salvano!”
Il
pensiero di Jake lo espresse a voce Tray con un certo entusiasmo mentre si
allontanava da casa loro saltellando.
- A
Bill piacerebbero un casino! -
- Già… -
Mormorò l’altro con un sospiro di resa.
Certe
svolte non erano facili.
Era
ormai da quasi una settimana che Evan non veniva a scuola e anche senza la
scusa dell’invito del concerto scolastico, Bill
sarebbe andato da lui a vedere se era vivo o morto.
La
conversazione con Jay era stata illuminante e non poteva desiderare di meglio
che rivederlo.
Non
aspettandosi la grande accoglienza, immaginò molte cose ma non certo quello.
La
cameriera lo fece accomodare nella sala degli ospiti che non era il soggiorno.
Era una stanza con dei divani, un tavolino basso in mezzo ed un arredamento
estremamente costoso e sicuramente antico come il resto dello stile di quell’enorme
villa.
Sapeva
che la famiglia di Evan era rinomata, doveva avere origini nobili se non
ricordava male.
Si
sentì a disagio in quella stanza da solo, si sentiva un uomo d’affari
in attesa di un incontro di lavoro e di certo era la veste che odiava di più.
Dopo
qualche minuto ricomparve la cameriera che mortificata si scusò dicendo che il
signorino Evan non stava bene e non voleva vedere nessuno.
Bill
a quello si accese come un ceppo bagnato di alcool e come se gli avesse detto
di andare in camera che l’aspettava, quello corse fuori dalla
stanza.
La
conosceva a memoria ormai quella casa e nonostante fosse enorme sembrava
vivesse lui stesso lì. In realtà non pensava a dove stesse andando, andava e
basta seguendo puramente il suo istinto.
Quando
giunse in camera sua, l’aprì senza farsi pregare e prima che la
cameriera lo raggiungesse, si chiuse dentro.
Il
buio lo colpì e senza pensarci accese la luce, era pomeriggio, mica sera. Cos’era
quell’atmosfera dell’orrore?
Quando
percorse l’interno con lo sguardo cupo, vide Evan sul
letto seduto di soprassalto, era steso ed era chiaro che non stava né male né
dormendo.
-
Che diavolo stavi facendo? Che diavolo fai tutti i cazzo di giorni qua dentro?
Guardi il soffitto e pensi alle tue sfighe? E tuo padre perché non ti manda a
calci a scuola? C’è una puzza di chiuso allucinante, hai un
colorito spettrale perché probabilmente non vedi la luce del giorno da quando
siamo stati qua, e sei di certo dimagrito di nuovo! Evan, sei anoressico,
quasi! Mi spieghi perché diavolo nessuno vede di te e non ti picchia pur di
costringerti a vivere come si deve? Non dico di essere felice se non ne hai
motivo, ma vivere, dannazione! Il minimo! Cosa diavolo c’è
che non va, ora? Si può sapere perché da quando sono stato qua non sei più
uscito e perché non volevi vedermi, porco cane? - Era davvero fuori di sé ed
avrebbe continuato la sfuriata se intanto non avesse travolto una sedia piena
di vestiti per raggiungere la finestra. Comunque zoppicando l’aprì
e la spalancò. Era novembre, la temperatura cominciava a raffreddarsi molto ma
non era ancora insostenibile e comunque il profumo dell’esterno
l’aiutò a non dare ancora di matto.
Quando
si girò di nuovo verso l’altro, lo vide ancora seduto immobile come
l’aveva lasciato e con un’espressione
da morto.
-
Potresti come minimo sorprenderti, dannazione! Sono qua, eri me che non volevi
vedere ed invece eccomi! Si può sapere che diavolo c’è di
sbagliato in te? E non raccontarmi la storia della tua vita che non si tratta
di questo! - A quel punto si avvicinò e senza dare il tempo all’altro
comunque di rispondere almeno ad una delle mille cose che gli aveva detto, si
fiondò nel letto in ginocchio e prendendolo per la maglia l’attirò
a sé proseguendo infuriato. Era anormale che lui se la prendesse così, non lo
faceva mai ma in quel momento si sentiva come scollegato da sé stesso. - Si
tratta che non vuoi vedermi! Mi hai chiesto aiuto quella notte, io ti ho detto
che l’avrei fatto e mi spieghi come cazzo pensi
che possa riuscirci se non ti fai vedere? Dannazione, Evan! Parlami, dimmi
qualcosa! - Avrebbe potuto dire che per lo meno poteva stare zitto se voleva
che lui parlasse, ma come pietrificato da quella scena e dal vederlo lì davanti
a lui, continuò a non muoversi e a stare zitto.
A
Bill saltarono ulteriormente i nervi.
Non
era uno facile all’ira, anzi, prendeva tutto con una sua
personale filosofia, ridendo per lo più, ma in quel momento qualcosa pareva
essersi effettivamente spezzato e non era capace di capire di cosa si trattasse
nella maniera più assoluta.
-
PERCHE’ DIAVOLO NESSUNO VEDE DI TE? TU SEI
DEPRESSO E NON VUOI ANDARE A SCUOLA E MANGIARE E LAVARTI E USCIRE DA QUESTA
PRIGIONE E NESSUNO TI OBBLIGA? HAI SOLO BISOGNO CHE TI PRENDANO A CALCI A TE!
PERCHE’ DIAVOLO NESSUNO LO FA? CAZZO, DI’
QUALCOSA! - Evan però sembrava azzerato, sembrava svuotato, sembrava… ma
esattamente quando Bill pensò di averlo perso e che l’altro
avesse raggiunto sua madre, questi finalmente fece qualcosa e proprio quando
stava per andarsene.
Con
un ‘al diavolo’
Bill fece per alzarsi ma fu fermato da Evan in quella frazione di secondo.
Fu
allora, esattamente allora, che qualcosa scattò misteriosamente e prendendogli
un lembo della giacca che indossava ancora, lo fermò.
Non
l’attirò a sé, non disse nulla, non fece niente se non
tornare subito a lasciarlo come se si fosse scottato e si buttò steso sul letto
di nuovo.
Bill
allora bloccato e sorpreso si girò per vedere che diavolo fosse stato ma quando
lo vide con un pezzo di lenzuolo tirato sopra il viso per coprirsi, capì che
doveva essere in una tempesta peggiore della propria e gli bruciò.
Gli
bruciò non riuscire a capirlo perché finchè si trattavano di problemi col
passato era un conto, ma quando si trattava di problemi col presente era
diverso perché era consapevole che lui, Bill stesso, era il presente di Evan.
Sospirò
spompandosi all’istante. Comunque non sarebbe stato capace
di piantargli il muso ancora per molto.
Lo
guardò e quello che prima si era spezzato si ricompose subito.
Era
qualcosa di indefinibile, quel ragazzo, e non riusciva a capirlo. Gli bruciava
quello.
Perché
lui voleva capirlo ma non ci riusciva, erano troppo diversi, troppo distanti,
troppo lontani. Troppo.
Lui
amava la vita, l’altro nemmeno l’odiava.
Non sapeva cosa far di essa e si lasciava lentamente morire visto che non
riusciva a farla finita da solo, perché non gli sembrava particolarmente interessante
nemmeno la morte, dopotutto. Trovandola allo stesso livello della vita, che
senso aveva provare ad uccidersi?
Però
il dolore fisico l’aiutava a tornare quando sprofondava in
modo particolare nel nulla o andava nel panico.
Aveva
bisogno di provarne e desiderò avere qualcosa per ferirsi, per tornare a
sentirsi ancora lì nel mondo, per capire se era già morto o se stava ancora
sognando, ma quando sentì Bill stendersi sopra di lui, tutto si fermò.
Bill
lo guardava spaesato, non si era mai sentito così. Senza saper cosa fare. Più
che altro non aveva mai provato a pensare a cosa fare, visto che agiva sempre
istintivamente e basta. Solo con lui era così.
Sentendosi
come mai in vita sua, completamente spaesato e fuori dal suo stesso mondo, non
cercò di togliergli il lenzuolo stropicciato dal viso ma si fece strada fra le
sue mani che se lo tenevano, riuscì a scostarle con abilità e ancora senza
scoprirlo, cominciò a coprirgli il viso di piccoli baci.
Al
diavolo, si diceva. Non riusciva a capire cosa dovesse fare ma quello che
contava, come si diceva sempre, era non fermarsi mai. Agire sempre in ogni caso
anche se non si capiva un cazzo.
E
così fece.
Perché
lui era Bill ed agiva così, prendere o lasciare.
Evan
lo tenne e non lo respinse anche se rimase rigido come una corda di violino. Lo
sentì farsi piano piano strada sul suo viso ed improvvisamente il lenzuolo che
li divideva sembrò di troppo, ma non fece niente, lasciò a lui il compito di
proseguire come voleva.
C’era
qualcosa nell’aria ed era entrato con Bill e quella
finestra aperta.
C’era
qualcosa di diverso, di nuovo, di potente e sconvolgente.
Alla
fine Bill si chiese se poi non fosse morto ma tornò ad imprecare.
Comunque
a quel punto non sarebbe riuscito a fermarsi in ogni caso.
E
poi voleva solo che capisse che c’erano moltissime cose
bellissime che valeva la pena essere vissute e che anche se alla sua famiglia
non importava niente di suo figlio, a lui sì. A lui importava. Voleva che
capisse che nel mondo c’erano i colori anche se lui vedeva solo il
bianco, che bastava uscisse di casa per vederli.
Voleva
insegnargli i colori. Voleva insegnargli tutto.
Ma
soprattutto voleva che lui lo volesse.
E
semplicemente proseguì.
Continuando
a ricoprirlo di piccoli baci sempre più frequenti e frenetici, cominciò a
tirargli piano piano il lenzuolo dal viso fino a che non ci fu direttamente la
sua pelle sotto le labbra.
Chiuse
lui stesso gli occhi e anche senza guardare la direzione dei baci, andò come
sempre ad istinto.
La
fronte, gli occhi, il naso piccolo e dritto, gli zigomi alti e spigolosi perché
troppo magro, le guance poco in carne, il mento e poi arrivò lì. Lì dove ogni
comunicazione nasceva e si fermava.
Lì
dove le parole di Evan ogni volta si bloccavano insieme alle sue espressioni e
alla sua volontà.
Le
ricoprì con le proprie e le fece sue. Erano secche e sottili ma comunque ben
disegnate, le inumidì con la lingua delineandole. Le manteneva chiuse ed era
certo che lo erano come i suoi occhi. Sentiva che non respirava e capì che ci stava
riuscendo. Qualche colore glielo stava dando.
Forse
poi l’avrebbe sconvolto ancora di più però
almeno avrebbe provato qualcosa, almeno sarebbe sparito un’altra
settimana in seguito a qualcosa di bello, almeno poteva scegliere se prendersi
il resto e farsi bagnare dal bello che comunque esisteva veramente o no.
Gli
dischiuse le labbra senza ricordarsi d’averlo già fatto quella
mattina insieme, quando da sonnambulo l’aveva baciato.
Lo
fece senza sapere che quella settimana chiuso in casa era dovuta proprio a quel
bacio rubato troppo improvvidamente.
Lo
fece senza sapere che quello l’avrebbe portato in tanti
di quei confini che vi si sarebbe perso ma che almeno avrebbe smesso di
ferirsi, non di continuo, non ogni giorno, non tutte quelle volte.
Quando
trovò la sua lingua naturalmente lui era completamente immobile, non reagiva e
non l’avrebbe mai fatto lì in quel momento, ma a
Bill bastò intrecciarla alla sua e scaldarlo sperando di trasmettergli un po’ dei
suoi colori.
Gli
prese il viso fra le mani con dolcezza e pienezza, non aveva paura di quel che
stava provando, non aveva più paura di niente.
Stava
bene così, era perfetto, era bello e basta. A Evan sarebbe bastato per poter
scegliere la vita o la morte ma soprattutto sarebbe bastato per uscire da quell’indifferenza
atroce.
Quando
si staccò lui stesso non respirava e aprendo gli occhi lo guardò da vicino in
quel modo diretto e sicuro, non aveva incertezze, non aveva esitazioni in
quelle iridi grigie e si perse liberamente in quelle azzurre che finalmente
sembravano sconvolte.
Niente
più bianco, niente più indifferenza. Qualunque cosa fosse, sicuramente
devastante, almeno un’espressione l’aveva,
un sentimento lo dimostrava.
Da lì
poteva solo uscire e salire ancora.
- C’è
tanto da vedere là fuori. Se solo tu uscissi… se solo tu uscissi
vedresti tutti i colori… -
Questo
scosse profondamente Evan che rimase ancora senza parole ad ascoltarlo, non
sapeva cosa dire, cosa fare, nemmeno osava toccarlo. Poteva essere un sogno ma
anche se così fosse stato, sarebbe stato il primo bello.
- Se
potessi salirei io la tua collina mi sostituirei alla tua vita per dimostrarti
che ci sono anche altri modi di salirla e che comunque si può, dannazione. Si
può. Ma non sono te, non posso farlo io, devi farlo tu. Devi salirla tu. Devi
uscire tu di qua, non posso trascinarti. -
Se
avesse dovuto raccontarlo non avrebbe mai saputo riferire cosa aveva detto, ma
nel momento in cui lo disse vide gli occhi di Evan schiarirsi
impercettibilmente e semplicemente sperare. Sperare solo che avesse ragione
lui.
Ma
anche solo quel piccolo minuscolo sentimento a Bill bastò per capire che ne era
valsa la pena e che ce l’avrebbe fatta.
In
un modo o nell’altro, non sapeva quando, ma ce l’avrebbe
fatta.
Quando
gli lasciò un altro piccolo bacio a fior di labbra, si alzò e giunto sulla
porta si voltò di nuovo.
Evan
era ancora steso come l’aveva lasciato, immobile, ma lo guardava
con un’aria speranzosa, come se fosse in attesa
di qualcosa. Aveva un’aria talmente intensa nella sua ancora
profonda tristezza, che rabbrividì. Gli sembrò bello ma non a livello
esteriore. Bello perché i colori che gli aveva visto dentro erano qualcosa di
meraviglioso, di talmente splendido che niente poteva descriverli.
Ma
pregò solo di poterli rivedere, un giorno.
-
Vieni al concerto del Ringraziamento, per favore. - Se avesse avuto testimoni
comunque nessuno ci avrebbe creduto al suo per favore finale e alla gentilezza
mite con cui lo disse. Ma Evan, colpito da quel suo atteggiamento, non disse
nulla incapace ancora di reagire.
A
Bill quello sguardo bastò.
Per
quel momento bastò.
Quando
uscì dalla camera ormai la cameriera era andata via e camminando silenzioso,
scosso e pensieroso, non vide una figura uscire da una delle molte stanze di
quel labirinto e ci andò malamente a sbattere. Essendo basso di statura e
decisamente mingherlino, non ci furono conseguenze e quando alzò lo sguardo per
scusarsi rimase senza parole, fermandosi come se gli avessero staccato la
spina.
Era
un uomo estremamente affascinante ed elegante, alto, vestito con un completo di
tutto punto e sicuramente molto costoso, fisico in forma, capelli neri appena
un po’ ingrigiti ai lati pettinati all’indietro
che scendevano morbidi sul collo, qualche ciocca gli ricadeva di lato sulla
fronte. Gli occhi erano azzurri come quelli di Evan ma a parte quelli, il resto
era identico in una maniera impressionante alla foto che aveva visto di
Alexander.
Per
un momento credette di trovarsi davanti al suo fantasma e con la sua solita
illogica impulsività, disse piano a fior di labbra:
-
Ali?! - Come se lo conoscesse, come se l’avesse chiamato così
anche lui da sempre. Come se fosse normale chiamare qualcuno col nome di una
persona morta.
L’uomo,
seppure immobile, si irrigidì visibilmente ma senza mostrare sofferenze ed
indecisioni, chiese con freddezza particolarmente marcata:
-
Chi sei tu? -
La
sua voce era profonda e molto bella. Il tono affettato.
Bill
mosse un passo all’indietro come spaventato, come se potesse
congelarsi nello stargli troppo vicino. Solo allora vide i segni dell’età,
era un uomo vicino ai cinquanta anche se tenuto molto bene e curato.
Per
un momento sentì anche dell’assurda e stranissima
attrazione per lui, come se potesse vedere veramente l’Alexander
che sarebbe potuto essere un giorno se non fosse morto.
Allora
capì di chi si trattava e rabbrividì di nuovo ma per un altro motivo.
- Io
sono Bill… William. Lei è il padre di Evan, vero? -
Mormorò piano piano.
L’uomo
non allungò la mano mantenendo in quel modo le distanze, ma annuì appena con
educazione. Non era nemmeno lì, forse. Quel muro era talmente alto che quello
di Evan in confronto non era niente!
- Sì.
Sei un suo amico? - Fece per pura cortesia. Bill annuì a sua volta, che fosse
così silenzioso e stupito era davvero una rarità quasi quanto era vederlo
arrabbiato.
-
Chiedo scusa, ero venuto a vedere come stava Evan visto che non viene a scuola
da una settimana. -
- Ah
davvero? - Chiese dimostrando senza interesse di non saperlo. Bill allora si
riaccese e per un momento proverbiale stentò a non diventare violento, cosa che
non era mai stato. Si trattenne a fatica e sforzandosi di non vomitargli
addosso e non insultarlo, proseguì:
- Sì,
ero molto preoccupato per lui. E poi volevo invitarla al concerto per il
Ringraziamento che come ogni anno si terrà nell’auditorium
della scuola alle sei di sera. Spero che verrà. - Il padre che non si era
nemmeno presentato, non rispose e non diede segni di essere stato colpito da
nulla, quindi quando Bill tornò a salutarlo con educazione dicendo che toglieva
il disturbo in un modo che non era suo e che avrebbe fatto ridere chiunque, si
girò e se ne andò ancora prima che il ragazzo si avviasse.
Come
se poi non esistesse.
Solo
quando fu nel suo studio, l’uomo fece un’espressione
interdetta.
“Conosceva Alexander?” Ma sarebbe stata una cosa
che mai e poi mai avrebbe chiesto o approfondito.
Peccato
che Bill non era dello stesso avviso e non avrebbe tardato ad affrontarlo.