CAPITOLO VII:
CONDIVISIONE
“Annegati
i pensieri tristi e scontenti, non rimaneva che quello. Un paio di
cazzate con gli amici e la consapevolezza che se uno di loro avesse
avuto bisogno di nascondere un cadavere, gli altri due l’avrebbero
aiutato diventando suoi complici.”
/In
my life - Rasmus/
Acquattato all’altezza
del cane, camminava a quattro zampe inseguendo il grande labrador beige
che a sua volta inseguiva lui con la ciotola vuota in bocca nella
speranza che quel debosciato del suo padrone gli desse da mangiare
invece che imitarlo.
Bill proprio
non ci pensava a fare la persona seria e preferendo andargli dietro
come fosse un altro quadrupede in vena di giocare, faceva il girotondo
sul pavimento di casa sua calpestando allegramente tutte le
cianfrusaglie che vi erano sparse. Dall’immondizia come bottiglie di
birra vuote, lattine di cibo in scatola, carte, fazzoletti e
addirittura cenere di sigarette, ad alcune provviste per il cane e per
loro, posate di plastica e altro di indefinito.
Il cane
mugolava senza mollare la ciotola dai denti, chiedendo disperato di
essere nutrito, mentre Bill abbaiava a gran voce facendo più casino
dell’allibito animale.
Il girotondo
zoologico continuò fino a che una bottiglia di birra vuota non volò ad
un centimetro dalla testa del ragazzo che abbassatosi all’ultimo, fece
in tempo a sfiorare l’oggetto di vetro che si infranse con forza contro
il muro. Il cane fece cadere la ciotola e si mise istintivamente
davanti al suo padrone e ringhiante fissò il nemico colpevole del
tentato omicidio.
Fermato di
colpo, Bill si affacciò dalla schiena di Belfagor e vide suo padre che
ringhiante quanto il cane, gli sbraitava contro:
- PEZZO DI
MERDA, LA PIANTI DI FARE TUTTO QUESTO CHIASSO? SEI IL SOLITO BUONO A
NULLA! -
Dopo aver
scagliato la bottiglia con l’intento di beccare il figlio, l’uomo in
pessime condizioni teneva un’altra con quella di correggere il tiro
sbagliato di un soffio.
Bill lo fissò
selvatico coi suoi occhi grigio chiaro, senza però emettere una sola
sillaba; era abituato a questo genere di cose ma quello che lo
impensieriva di più era Belfagor… un giorno o l’altro i due animali si
sarebbero scannati e lui onestamente temeva per il suo adorato
quadrupede che per il puzzolente bipede di cui non gli importava nulla.
Cercando di
impedire al labrador di saltare al collo di quello che per sfortuna
doveva chiamare padre, abbracciò il suo collo baciandolo in mezzo alle
orecchie tirate all’indietro, poi iniziò a sussurrargli con dolcezza:
- Non
preoccuparti piccolo, non mi farà niente… sta calmo… va tutto bene… -
Quando sentì il
cane smettere di ringhiare si sciolse prendendo la ciotola e
riempiendola di crocchette, quindi in completo silenzio, cercando di
domarsi a stento ed in un atteggiamento che non era dal Bill conosciuto
da tutti, raccolse i vetri per paura che il cane si facesse male,
quindi carezzandolo mentre si cibava con voracità, lo salutò:
- Fa il bravo,
io esco… ci vediamo dopo. -
Dopo di che,
ignorando il padre che imprecava fra i denti ancora pronto a tirargli
un’altra bottiglia, uscì di casa. Appena fuori, passando accanto al
bidone dell’immondizia, lo calciò con violenza in un gesto liberatorio,
facendolo cadere e rotolare per il giardino, spargendo tutto il
contenuto nell’erba incolta.
Non fece
null’altro, però il cuore per aver sfiorato un bel po’ di punti alla
testa e la rabbia per il tentato omicidio al cane che poteva farsi
ancora più male di lui, cosa ben peggiore dal suo punto di vista, non
si placò nemmeno di un soffio.
- Quel figlio
di puttana… - Disse a denti stretti uscendo nella sera appena fresca
con un’espressione cupa che gareggiava con il cielo sempre più scuro.
“Se
fa male al cane lo ammazzo!”
E non
scherzava.
/Leggero
- Ligabue/
Giunse abbastanza in
fretta da Tray dove Jake già lo aspettava con l’amico vestito in uno
dei suoi soliti modi bizzarri, in tinta coi capelli appena colorati
d’azzurro.
Vedendolo
arrivare gli andarono incontro salutandolo allegramente, ma notando la
sua espressione cupa si zittirono capendo che doveva aver avuto uno
scontro col padre, cosa all’ordine del giorno.
Cercava sempre
di mascherare i suoi problemi in casa, uscendo preferiva lasciarli fra
le quattro mura, ma c’era un momento preciso fra il malumore di Bill ed
il suo buonumore, il momento in cui incontrava i suoi due veri amici e
si concedeva il cambio d’espressione davanti a loro, non si concedeva
quel lusso con nessun altro, solo con loro due.
Tray e Jake lo
videro passare dal rabbioso e lugubre al sorriso allegro e monello
senza dire nulla, ma lo scambio di sguardi che intercorse fra i tre
parlò per loro.
Come a dire che
non ne avrebbero parlato e che non sarebbe mai passata, però che era
stata messa da parte.
Era la croce di
Bill, quel padre bestiale che possedeva.
Arrivati uno
davanti all’altro il giovane dai capelli neri tutti spettinati prese lo
slancio e si gettò di peso fra le loro braccia, come se si tuffasse da
un trampolino e loro fossero il tappeto, i due lo presero al volo
impedendogli di infrangersi contro il marciapiede e ridendo capirono
ancora una volta che la migliore cura era quella. Allegra follia sana.
- Allora, che
si fa stasera? - Gli chiese Jake mettendolo giù. Il moro che era il più
basso rispose con sicurezza avendo in mente solo un modo per distrarsi:
- Ho un idea! -
Disse accendendosi. E quando diceva così con quell’espressione
preoccupante, tendenzialmente si doveva come minimo assicurarsi sulle
sue intenzioni, poi opporsi in ogni caso qualunque cosa dicesse.
Gli altri due
nemmeno si informarono, accettarono immediatamente assecondandolo con
la solita totale incoscienza.
- Andiamo! -
Nessuno andò
sull’argomento, come non si andava mai a chiedere come stesse la
sorella di Tray o quale trovata avessero tirato fuori i genitori di
Jake, erano argomenti non taboo ma inutili da discutere. Erano taboo
solo al di fuori di loro tre, però erano talmente un tutt’uno che non
avevano bisogno di parlarne.
Senza sapere
dove li stessero portando, lo seguirono sparando le solite cavolate di
rito, cavolate che sfociarono involontariamente in qualcosa di
straordinariamente più serio, per i loro soliti canoni.
- Allora, hai
combinato? - Chiese Bill a Jake con malizia.
- Certo,
perché, ne dubiti? - Rispose allo stesso modo.
- Non potremo
mai! - Si inserì sghignazzando Tray mentre faceva una serie di ruote
con un’agilità che dalla sua mole non gli si affibbierebbe mai.
- Tu piuttosto,
Bill… è da troppo che non scopi… non è mica da te! -
- E’ vero, non
arrivi ai livelli del ninfomane però non sei mai stato così inattivo… -
Tray concluse con un rutto borbottando che come al solito aveva
mangiato troppo ma che aveva anche già digerito!
Bill salì su un
muretto che fiancheggiava il marciapiede che stavano percorrendo,
quindi proseguì il percorso dall’alto camminando in equilibrio con le
braccia larghe, barcollando e raddrizzandosi di tanto in tanto. Aveva
un’aria che non la si poteva definire né triste né allegra, non aveva
una reale catalogazione. Era lontano e ogni tanto gli capitava anche
con loro, anche se sapevano all’incirca cosa gli succedeva in quei
momenti di blackout.
Pensieroso
parlò quasi incolore, era totalmente irriconoscibile rispetto al solito
pagliaccio casinista.
- Ultimamente
non mi va… - Se non fossero stati loro, avrebbero pensato volesse
tagliare corto ma invece sapevano che se diceva certe cose quando erano
soli, voleva dire che stranamente voleva parlarne, quindi seguendolo
dal basso, sbirciandolo di tanto in tanto, lo videro diventare
repentinamente serio.
I lampioni li
illuminavano dando loro una pelle giallognola, alzando gli occhi al
cielo scuro non si potevano vedere le stelle pur non ci fossero nuvole.
C’erano troppe luci.
- Come mai? -
Che a lui non andasse di fare ciò che identificava come il sale della
vita era strano. L’aria scherzosa era andata via da tutti e tre,
perfino Tray non tirava fuori qualche faccia buffa e non emetteva più
rumori digestivi dalla bocca.
Bill si strinse
nelle spalle concentrandosi nel muretto stretto che stava percorrendo,
cercando di non cadere.
- Non so… prima
era un modo per combattere lo stress di casa, ma ora mi pare che me lo
aumenti… - Anche questo non era per niente da lui.
Tray alzò le
sopracciglia pensando che era più grave di quel che non sembrasse, Jake
piegò la testa di lato riflettendo su qualcosa che probabilmente aveva
rimuginato anche lui ultimamente.
- Si evolve…
immagino che siamo nell’età in cui le cazzate degli adolescenti non
bastano più e si cerca qualcosa di più. Non so, credo… - ci fu silenzio
per un po’, mentre voltavano l’angolo e pensavano alla sua ipotesi.
- Prima o poi
succederà anche a noi… di crescere, intendo! - Disse Tray sorprendendo
tutti solo per il fatto che era stato lui a dirlo.
Crescere andava
bene, ma stavano quasi ribaltando il mondo con quelle uscite che
pronunciate da loro nello specifico era davvero insolito!
- Sarà quello…
- Continuò Bill sfiorando una caduta per un pelo. - E’ che mi serve
qualcosa di più… cioè riguardo il sesso… non so, mi sembra troppo
vuoto, così come l’ho fatto fin’ora! -
- Immagino che
sia una cosa normale… - Si inserì Jake con una malinconia pesante, una
mancanza nello sguardo perso in un punto imprecisato davanti a sé: -
Una cosa che io non penso proverò mai… non voglio diventare come i miei
ma paradossalmente mi sento sempre più plasmato da loro. Cerco di
averci a che fare il meno possibile, però tutto ciò che mi hanno
insegnato rimane. La superficialità, il potere, i soldi, il sesso,
l’arrivismo, l’apparenza… sono lezioni troppo radicate in me che mi
fanno schifo ma ormai fanno parte di me. Io ora li odio e combatto
questo modo d’essere, ma lo faccio solo a parole perché a fatti mi
rendo conto di essere sempre più simile a loro. Il punto è che pur
rendendomene conto, non sono capace di lottare questo mio stato. Io…
penso che sia una questione di natura. Sei come sei e basta. Ci puoi
impiegare una vita a capirlo e un’altra a combatterlo, ma alla fine la
natura è più forte di qualunque altra cosa. Ed i miei genitori sono
quelli. I miei geni sono i loro. Il modo in cui mi hanno cresciuto,
l’esempio, l’ambiente… tutto incide… e che lo voglia o no, la mia
natura è sempre più questa. Non penso che sentirò mai il bisogno di
avere qualcosa di più vero e pieno, come te, Bill… però ammiro te che
invece lo desideri. E spero che lo trovi… te lo auguro davvero. - La
sua riflessione li colpì nonostante sapessero perfettamente che la
vedeva in questo modo. Conoscevano i sentimenti reciproci senza bisogno
di dirseli di continuo. Magari non ne avevano nemmeno mai parlato così
apertamente, ma sapevano che le loro idee erano quelle.
Bill allora
superò un muretto più alto e arrampicandocisi sopra, per poco non
cadde. Rimase in equilibrio, quindi riprese il cammino imperterrito.
- Io non penso
che la natura dipenda sempre dai genitori, mi rifiuto di crederlo.
Altrimenti io dovrei essere la persona più violenta di questo mondo.
Certo, la natura non la si combatte, però non è dettata da chi ci
cresce o chi ci dà i geni o l’ambiente che ci circonda o le lezioni che
quotidianamente subiamo. Altrimenti io sarei in prigione, credo, per
aver ammazzato mio padre e fatto così con tutti gli uomini che me lo
ricordano. Voglio credere che la natura si formi anche in altro modo e
che io possa essere diverso. Però ora ho bisogno di qualcosa che mi
riempia di più. Ma non so cosa possa essere e dove trovarlo. - La
conclusione di Bill fu questa e al velo di malinconia e pesantezza di
Jake si aggiunse il suo. Tray rimase in silenzio più a lungo mentre
ognuno rifletteva sulle parole dell’altro e ancora sulle proprie
convinzioni. Per lui era più doloroso dire ciò che lo tormentava,
esternarlo significava dare più forma ad un qualcosa che a volte gli
piaceva provare ad ignorare. Eppure gli bastava tornare a casa e andare
a salutare sua sorella, per ricordarselo.
- Io vorrei
solo riuscire ad essere indifferente e superficiale come i genitori di
Jay o rabbioso contro il mondo come quel bastardo di tuo padre, Billie,
ma purtroppo la consapevolezza è tutto ciò che posso permettermi.
Ignorare la realtà che mia sorella morirà è un lusso che non posso
permettermi, la pagherei cara, dopo. Vorrei fortemente che la mia
natura fosse da stronzo, purtroppo sono uno che mantiene le promesse,
per questo continuerò a far ridere Kathy finché lei sarà con me. E non
è molto, dopotutto. -
Il carico che
infine lui aggiunse fu davvero il più pesante e come se non fosse più
solo un velo di malinconia ma una nebbia fitta che impediva di
respirare a pieni polmoni, Bill piegando le labbra in segno di
disappunto e dispiacere, alzò di scatto la testa con ancora le parole
tremende di Tray. Odiava parlare di quelle cose serie, perché se per
lui e Jake era talvolta una liberazione, per Tray era un massacro.
Odiava sé stesso quando riusciva a dire certe cose, perché sapeva
perfettamente che in uno scambio equilibrato come quello che avevano
sempre loro tre, era naturale la conclusione dolorosa di quello che pur
di far ridere una bambina malata terminale di leucemia si conciava come
un pagliaccio che nessuno avrebbe mai approvato, rendendosi ridicolo
pur di farla ridere fino al suo ultimo respiro.
Con gli occhi
grigio spento, guizzò nel paesaggio intorno a sé e dall’alto della sua
postazione poteva guardare anche dentro le proprietà altrui. Giardini,
case indipendenti, villette, condomini… e piscine.
Piscine private
riservate ai signori condomini.
Come ne
adocchiò una, al di là del muretto su cui era, un lampo vivo attraversò
il suo volto illuminando i suoi occhi velati fino ad un attimo prima.
Ora che la
vedeva, sapeva perfettamente cosa ci voleva per scacciare quella nebbia
che li aveva avvolti in un momento di normale debolezza.
- Ho un idea! -
E girandosi completamente verso l’interno del giardino, quasi sopra la
piscina che aveva puntato, illuminata di una deliziosa luce azzurrina,
senza spiegar loro niente e cambiando completamente tono, si tuffò da
dov’era con un gran colpo di reni, in modo da planare direttamente
sulla superficie liscia e trasparente.
L’acqua si alzò
al suo tuffo più rumoroso che mai e prima che Jake e Tray potessero
arrampicarsi a loro volta sul muretto, avevano già capito cosa quel
matto avesse appena fatto.
In piedi dove
fino ad un momento prima era Bill, i due fissavano l’amico vestito ora
ammollo nella piscina, bagnato ma ridente che già nuotava senza
chiamarli, sapendo che l’avrebbero seguito immediatamente.
Tray non esitò
un istante e ritenendola l’idea più geniale che avesse mai avuto, si
tuffò come lui alzando naturalmente molta più acqua, Jake con le mani
ai fianchi scosse la testa pensando che si era messo con gli esseri più
fuori di testa del pianeta, ma che non li avrebbe mai scambiati con
nessun altro di più sano.
Certo, tanto la
sanità era pura finzione, tanto valeva dedicarsi a chi era vero e non
si mascherava per adattarsi ad un mondo di ipocrisia!
Sorridendo già
sollevato alla visione dei suoi amici che liberi dal peso di prima
ridevano nuotando in una piscina privata altrui, prese lo slancio e
fece altrettanto raggiungendoli. Naturalmente mirando ai due che non
prese per poco.
In men che non
si dica erano lì a cercare di affogarsi, a fare gare vestiti e a
inventarsi strane combinazioni da nuoto sincronizzato che naturalmente
non esistevano per niente!
Ridenti.
Liberi.
Leggeri.
Annegati i
pensieri tristi e scontenti, non rimaneva che quello. Un paio di
cazzate con gli amici e la consapevolezza che se uno di loro avesse
avuto bisogno di nascondere un cadavere, gli altri due l’avrebbero
aiutato diventando suoi complici.
Avere
pesantezza di spirito non significava non riuscire ad alleggerirsi ogni
tanto e loro in quel genere di cose erano i migliori!
Dopo aver
giocato abbastanza, udendo i primi rumori dal condominio accanto,
uscirono svelti strafondi com’erano, continuando a ridere come non mai.
Uscito il portiere con una mazza da baseball, gridando insulti a destra
e a manca, i tre si arrampicarono sul muretto saltando dall’altra parte
e scappando di nuovo felici, di nuovo leggeri, di nuovo pronti ad
affrontare un’altra nottata nelle loro case in attesa che il mattino
permettesse loro una nuova fuga momentanea insieme agli unici con cui
condividevano l’amarezza delle loro vite.
Tray si tolse
le scarpe appena entrato in casa, le abbandonò all’ingresso e cercando
di fare il meno casino possibile coi vestiti bagnati che indossava, si
asciugò la faccia con un cuscino del divano, quindi carezzò il suo
gatto obeso Belzebù e si diresse di soppiatto in camera di Kathy.
Sapeva che dormiva, la luce fioca dell’abat jour accesa per la sua
paura del buio, illuminò il corpo esile e rannicchiato della sorella
addormentata.
Respirava
regolare e l’espressione sembrava serena.
Rimase a
trattenere il fiato e la guardò per un po’, quindi l’accarezzò e
notando il pallore esagerato della sua pelle, gli baciò la fronte
leggero, sistemandole una ciocca sul cuscino.
Il dolore che
attraversò il suo sguardo sempre allegro e buffo, fu talmente vivo e
reale che a vederlo si sarebbero chiesti se fosse la stessa persona.
Prima o poi il
momento di separarsi dal suo piccolo angelo sarebbe arrivato e sebbene
cercava di non farsi domande del tipo ‘perché lei che non ha fatto
niente mentre bastardi come il padre di Billie rimangono vivi’, sapeva
che quando sarebbe successo se lo sarebbe chiesto e con rabbia non
avrebbe trovato risposta, divorandosi quel po’ di sanità mentale che
forse gli rimaneva.
Ma non credeva
in un Dio che non sapeva distinguere chi si meritava il dolore e la
morte precoce, quindi non era capace di pregare affinché il momento di
separarsi dalla piccola Kathy sarebbe arrivato il più tardi possibile.
Però lo sperò
rimboccandole le coperte e sistemandole il peluche a forma di gatto.
Che fosse
vicino o lontano, quel momento, lui sarebbe stato male allo stesso
identico modo. E avrebbe maledetto il mondo ed il cielo, senza trovare
giovamento.
Ma fino a quel
momento aveva una promessa da mantenere e pur di farlo avrebbe messo da
parte ogni tristezza e dolore per lei, lei che si meritava quanta più
gioia possibile.