TERZO QUARTO:
CRISI E SOCCORSI
CAPITOLO
25:
E’
DELICATO
“ Questo
cuore disperato è delicato.”
/ The Kill
– 30 sec to mars /
Una
notizia.
In
fondo la domanda era stata solo una, semplice e legittima, la risposta
non aveva certo richiesto una notizia di quel calibro. Non aveva
preteso nulla di così pesante e grave.
Però
era arrivata a colpirlo allo stomaco fino a togliergli il fiato,
ingiustamente, quasi con cattiveria.
-
Come mai in questi giorni Ale non viene agli allenamenti? Sta male? –
L’aveva
chiesto Samantah per tutti con voce spensierata e allegra, in realtà la
curiosità di sapere era tale che si erano addirittura fermati per
ascoltare.
L’allenatore
che in quei giorni non era stato molto presente e che sembrava non
essere nemmeno molto allegro, si trovò in obbligo di rispondere.
Si
chiese come comunicare una tale notizia, eppure, si disse, doveva farlo.
Non
c’era scelta.
In
fondo era giusto che anche loro sapessero pur a pochi, sicuramente,
interessasse qualcosa di Alessandro.
Inghiottì
e dopo aver chiuso gli occhi per un istante, li riaprì dando con tono
laconico ed incisivo, alquanto freddo per uno come lui, la risposta.
-
Pochi giorni fa è morto il nonno di Alessandro, per cui ha deciso di
sospendere gli allenamenti finché non deciderà cosa fare d’ora in poi…
-
Per
quale motivo dovrebbe fermarsi a DECIDERE cosa fare? Non c’è forse una
sola cosa ovvia che si PUO’ fare? Ovvero continuare così come si è
fatto sempre?
In
realtà pochi sapevano la situazione familiare di Alessandro, nemmeno
quelli che ormai formavano il ristretto cerchio di amici lo sapevano
interamente. Per questo, forse, si sentirono un po’ traditi da lui.
Ricevere una notizia così importante su di lui in quel modo, era
brutto, molto brutto.
Come
una pugnalata.
Specie
per Gianluca che non aveva mai saputo nulla di lui, del ragazzo di cui,
lentamente ed inevitabilmente, si stava innamorando.
-
Perché? Fra cosa dovrebbe scegliere? –
Chiese
quindi la ragazza per tutti, sentendo improvvisamente un batticuore
irrefrenabile che non era suo.
-
Come sicuramente non sapete, Ale è orfano di genitori, fino ad ora ha
vissuto col nonno, ora che lui è morto deve scegliere se vivere lì da
solo oppure farsi aiutare intanto che finisce gli studi e intraprende
un lavoro che possa permettergli di vivere come si deve… -
Era
strano parlare di certe cose quando in ballo, in fin dei conti, c’era
solo un diciassettenne.
-
Ma è minorenne, non può scegliere… -
Disse
qualcuno che si era azzardato ad entrare nel discorso.
Jack
sospirò con grave tristezza e dispiacere nello sguardo, qualcosa che
fece rabbrividire l’intera squadra.
-
E’ morto il giorno del suo diciottesimo compleanno. –
Ora
si, ora non c’era più niente da dire, niente domande o dubbi.
Ora
era tutto chiaro e magari sapendo come stavano le cose, col senno di
poi si poteva dire che era meglio non aver saputo.
Un
ragazzino, in fondo era solo ancora un ragazzino che andava a scuola e
praticava uno sport per passione. Che prospettive poteva avere ora che
era solo al mondo? Gli sarebbe spettato qualcosa di sicuro, ma se
giudicandolo maggiorenne ed autosufficiente sarebbe stato lasciato a sé
stesso?
In
realtà la situazione per Alessandro non era così semplice, c’erano un
sacco di cose in lui, ben chiuse e nascoste a tutti.
Furono
Trystin e Marek i primi a guardare Gianluca in viso.
Che
espressione aveva?
Si
poteva forse definire tale cupezza e ombrosità?
Livido,
più livido del solito.
Non
freddo, proprio livido di rabbia.
Quando
anche Samantah si decise con timore a vedere la reazione del fratello,
si spaventò e le successe proprio perché lei lo conosceva bene.
Poteva
essere pericoloso.
“Così…
così alla fine la verità è questa… non conto niente. Era solo sesso,
voglie, istinti. Ora ha deciso di mettere tutto in chiaro in modo da
non avermi più intorno. Bene, molto bene… che non si faccia più vedere
perché potrei anche ammazzarlo io, così non avrebbe più problemi a
scegliere.
Come
osa? Come?
Dopo
avermi fatto fare la figura dell’imbecille, escludermi così dalla sua
vita, dai suoi problemi… cose talmente importanti. Ora magari quando
deciderà avrà anche la faccia tosta di venire da me a chiedermi di
riprendere il discorso, no?
Certo,
come no.
Che
venga.
Troverà
la mia risposta.
Con
me ha chiuso!
Non
doveva fare così.
Non
doveva!”
Nessuno
osò interloquire con Gianluca nel corso dei giorni che seguirono,
soprattutto quando vide Alessandro per caso, appoggiato ad una moto da
corsa, lasciato completamente andare, coi capelli più lunghi e
disordinati che gli coprivano il viso e mostravano a stento un
espressione selvaggia di pura ferocia, come se la luce azzurra delle
sue iridi rispecchiassero qualcosa di molto lontano dal paradiso.
Con
Gianluca, in quel momento, c’era Max, il fratello maggiore, e
saggiamente non aveva osato chiedergli come mai dopo averlo osservato
molto bene da lontano, se ne era andato via senza avvicinarlo e dirgli
qualcosa.
Senza
nemmeno picchiarlo come il suo istinto in quei giorni, gli aveva
suggerito di fare appena l’avrebbe rivisto.
/
Hands Held High – Linkin Park /
Doveva
essere una discreta giornata, in fondo; il suo diciottesimo compleanno
significava molto. Significava che era legalmente abbastanza grande per
fare molte cose che ormai faceva già da tempo.
Quella
mattina si era alzato con un certo ghigno divertito per il pensiero che
aveva avuto appena aperto gli occhi.
Compiere
diciotto anni, in fondo, era una sciocchezza, per lui.
Una
cosa del tutto inutile visto che non gli sarebbe cambiato nulla, non si
interessava alla legalità da molto tempo, troppo per mettersi a pensare
ora di punto in bianco.
Si
era dunque alzato dal letto con l’intenzione di uscire subito saltando
la scuola come regalo di compleanno. Era un miracolo che ci andava
quasi ogni giorno, non potevano certo pretendere che ci andasse
addirittura quel giorno.
Non
gli piaceva molto quel periodo dell’anno, in fondo non poteva
festeggiarlo coi suoi genitori, aveva solo il nonno, qualche finto
amico di quartiere e… bè, magari con la squadra si sarebbe divertito di
più.
Quando
aveva pensato a loro il ghigno gli era cambiato diventando più simile
ad un sorriso morbido, quasi non gli era venuta voglia di vederli
subito.
Vedere
soprattutto uno.
Nessuno
sapeva che giorno era quello, non sbandierava i suoi fatti personali a
nessuno per non avere possibili ritorsioni, cercava di vivere il più in
segreto possibile per la propria incolumità.
Con
questi e altri pensieri nella testa, come ad esempio cosa andare a
prendersi come regalo (tralasciando il ‘come’ prendersi), si era lavato
e vestito, scegliendo il suo solito look alla moda che gli donava
molto, sempre per non far capire chi era veramente.
Pensando
che sicuramente il nonno non se lo sarebbe ricordato, era passato dalla
cucina dove era sicuro di trovarlo a mangiare il solito caffè-latte e
pane duro.
Vi
si era affacciato nella speranza di trovare un po’ di caffé anche per
lui ma aveva dovuto ricredersi.
La
cucina era vuota e sporca, proprio come la sera precedente.
Si
era drizzato sotto lo stipite della porta piegando la testa di lato e,
alzando un sopracciglio, aveva provato ad immaginare come mai stesse
ancora dormendo. Lui si alzava sempre alle 5 di mattina perché non
riusciva a dormire.
Non
gli era certamente passato nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea
giusta.
Aveva
alzato le spalle ed era andato nella sua camera per vedere se dormiva
ancora o magari era uscito per prendergli il regalo, cosa completamente
nuova per loro, quell’uomo non gli aveva mai fatto regali, si era
sempre dimenticato il suo compleanno.
Quando
aveva scostato la tenda che fungeva da porta, aveva infilato la testa
ed il consueto odore di vecchio che regnava in quella parte di casa,
l’aveva raggiunto facendogli arricciare il grazioso naso all‘insù.
-
Ma che… -
Questa
era stata l’ultima cosa che avrebbe detto per giorni.
I
suoi occhi azzurri simili a due diamanti che riflettevano il cielo, si
erano puntati alla velocità della luce sul letto riempito dal nonno
ancora steso in posizione di sonno. Era semplicemente supino coperto
dalle lenzuola, aveva ancora gli occhi chiusi.
Come
aveva fatto a capirlo con uno sguardo?
Forse
perché lui era esperto di corpi privi di vita, forse perché da piccolo
aveva insistito per vedere l’ultima volta i suoi genitori, anche se
erano morti, e da allora gli era rimasto impresso a fuoco l’immagine di
quelle due persone a lui così care, prive di vita.
Forse
era per questo o magari per un semplice istinto… o chissà, aveva visto
l’immobilità mortale del suo corpo… fatto era che lo capì
immediatamente e per un attimo il suo stesso cuore aveva rallentato; si
era chiesto se anche lui, ora, dovesse morire.
In
fondo, adesso, era veramente completamente solo al mondo.
La
serietà inespressiva si impadronì di lui e del suo bel viso, si era
tolto gli occhiali da sole facendoli cadere a terra, lentamente aveva
percorso la stanza arrivando a lui e gli si era inginocchiato davanti
guardandolo fermo immobile per un tempo illimitato. Semplicemente
ricordava la loro vita insieme, provando addirittura ad immaginare cosa
aveva dovuto significare per quel vecchio uomo l’accollamento di un
ragazzino iper attivo come lui. Era rimasto molto a guardare quella
persona piena di rughe che ora giaceva morto davanti a lui.
Lo
sapeva, si era detto Alessandro, si era ricordato dei suoi diciotto
anni, gli aveva addirittura fatto un regalo.
Dopo
di ciò si era chinato su di lui lasciandogli un bacio sulla guancia, in
segno di saluto.
/
Helena – My Chemical Romance /
In
seguito, quando erano venuti i suoi amici a vedere che fine aveva fatto
poiché aveva appuntamento con loro, appena li aveva sentiti entrare
come al solito senza aspettare che venisse lui ad aprire, si era alzato
di scatto e senza dire mezza parola, mantenendo un espressione seria
che tendeva alla ferocia, li aveva spinti fuori casa. Niente
spiegazioni, niente parole, niente di niente.
Li
aveva cacciati e si era richiuso la porta dietro; gli altri, notando
che qualcosa non andava, non avevano insistito.
In
fondo, per Alessandro, il nonno aveva rappresentato tutto in quella sua
tragica, drammatica e misera vita.
Tutto.
Ora
non aveva nulla, cioè meno di prima.
Dal
suo punto di vista era così.
Quando
si era voltato di nuovo verso l’interno della casa gli era sembrato
come non vedere più bene, come se il mondo gli stesse tremando davanti
agli occhi, la sensazione di star diventando cieco era viva in lui, ma
non si era chiesto che gli stava succedendo, aveva solo sputato a terra
lì dov’era, si era morso il labbro fino a farselo sanguinare e poi,
succhiando il proprio sangue senza pensarci, aveva cominciato ad andare
su e giù per la stanza buttando all’aria tutto ciò che incontrava sul
suo cammino, prendendo a calci e pugni tutto, rompendo ogni cosa.
Il
divano sgangherato, la vecchia televisione che trasmetteva solo un
canale, quella sotto specie di libreria con l’enciclopedia giurassica
del nonno, le sedie, il tavolino per le riviste, soprammobili vari e
oggetti di ogni specie che rendevano il salotto già di natura
disordinato.
Panico?
Rabbia?
Caos?
Chi
poteva dirlo?
Non
aveva idea di cosa si faceva in quei casi, eppure non era per questo
che si stava infuriando fino a quel punto.
Quando
aveva mandato via tutti si era ritrovato per quello che era.
Solo.
Non
voleva aver a che fare con nessuno, perché nessuno, in realtà, poteva
capirlo.
Capirlo
veramente.
Nessuno.
Tuttavia
non era nemmeno per la solitudine che non ci vedeva più, che i suoi
sensi andavano in accelerando fino a non farlo più ragionare.
Era
solo una cosa.
Il
nonno aveva finalmente raggiunto i suoi genitori, le uniche persone che
l’avevano amato, che lui aveva amato e che l’avevano capito.
Ed
ora lui doveva sopportare questo.
Quell’uomo
era con loro e lui no.
Lui
era il figlio, era lui che aveva più diritto di vederli per primo,
stare di nuovo con loro, avere la famosa pace… non era giusto essere
lasciato solo a marcire in quel mondo di merda.
Si
sentiva tradito.
Tradito
da tutte le persone che avevano significato qualcosa nella sua vita.
Tradito
e solo.
Abbandonato.
Per
questo, ora, non gli importava più degli altri, per non dover stare più
male.
Nel
rompere tutto quel che trovava, aveva preso questa decisione, quella
che gli era sembrata più sensata.
Si
affezionava alle persone e queste morivano.
Ora,
se non si sarebbe più affezionato a nessuno, non avrebbe certo più
sofferto.
Eppure…
eppure così per cosa andare avanti?
Per
quale motivo darsi da fare ed essere felici?
Per
chi?
Si
è felici per qualcuno, non per sé stessi, altrimenti quella non è vera
felicità.
Dunque
lui, in quell’istante, stava prendendo a calci non degli oggetti, bensì
un intera esistenza.
La
sua.
/
Porcelain – Red Hot Chili Peppers /
Dopo
un intera giornata passata in solitudine a distruggere tutto, anche sé
stesso, si era deciso a chiamare Jack, l’unico che avrebbe mai potuto
chiamare, in fondo.
Non
aveva parlato nemmeno con lui, gli aveva scritto solo un sms, aveva
atteso seduto sullo scalino fuori da casa sua, con le mani sprofondate
nelle tasche dei jeans sciupati e con aria selvatica aveva accolto
l’amico più vicino ad un padre.
Quando
l’uomo dai capelli neri stravolti era arrivato, aveva notato subito il
cambiamento del giovane, il suo retrocedere repentino.
In
così poco tempo aveva fatto così tanti passi indietro?
Si
era morso il labbro senza sapere per un attimo cosa fare, in quei casi
le persone che avevano subito un lutto si abbracciavano, specie se nel
giorno del proprio diciottesimo compleanno… però come trattare
quell’Alessandro?
Aveva
sospirato come sentendosi lui stesso sconfitto, lui e le sue
convinzioni, tutto ciò che aveva permesso al ragazzo di crescere senza
uccidersi prima del tempo.
Chissà
cosa sarebbe successo ora… e per un attimo non ebbe il coraggio nemmeno
di guardarlo.
Non
disse nulla, Jack, quindi entrò in casa dove sapeva doveva essere la
camera del nonno; quando egli sparì all’interno del buco completamente
distrutto dal biondo, questi si alzò e se ne andò intenzionato a non
rimettere più piede lì dentro.
Sempre
senza parlare.
Sempre
con quella feroce rabbia pericolosa nel viso, negli occhi, nei gesti.
Poi?
Poi
era diventato quell’Alessandro che aveva visto Gianluca,
quell’Alessandro che aveva fatto rabbrividire tutti, attirandoli e
respingendoli al tempo stesso, un Alessandro che di umano aveva molto
poco.
Una
volta tornato dai suoi amici, che tali non erano in realtà, si era
fatto prestare una moto e si era messo a correre senza casco come un
pazzo per il quartiere, fuori di sé, dalle sue grazie divine, da tutto.
Fuori,
ancora fuori, ancora pieno di dolore, ancora pieno di qualcosa che non
sapeva come riempire.
Tradimento.
Un
buco.
Solitudine.
Un
altro buco.
Vuoto.
Un
altro buco ancora.
Tanti
buchi che sanguinavano.
Nemmeno
la velocità folle ed il vento che quasi gli feriva il viso, l’avevano
aiutato; in fondo nulla, ne era sicuro, poteva sostenerlo.
Realizzando
questo si era fermato e senza dire niente, ancora, si era acceso una
sigaretta, poi un’altra e poi un’altra ancora, per non starne mai
sprovvisto.
Perché
magari buttando fuori quel fumo di continuo dalla bocca, poteva
illudersi di buttare fuori anche quei sentimenti che lo stavano
lentamente uccidendo dentro.
I
suoi genitori l’avevano tradito andandosene e lasciandolo orfano, suo
nonno l’aveva tradito andandosene per primo da loro, lasciandolo
completamente solo, ogni altro parente sparito dalla faccia della terra
già quand’era piccolo, l’aveva tradito.
Solo.
Ora
l’odio si impadroniva di lui, perché ce l’aveva con le persone che
aveva amato e che l’avevano abbandonato per andare in un posto
migliore, lasciandolo in quel marcio mondo folle.
Nessuno
aveva azzardato a parlargli, nemmeno a rivolgergli la parola,
l’assecondavano e l’accontentavano, esaudendo ogni più piccolo
capriccio che a gesti comunicava, o col solo sguardo.
Uno
solo aveva provato a chiedergli che gli fosse successo, uno che si era
creduto abbastanza forte e nelle sue grazie per poterlo fare.
Si
era ritrovato con un dente saltato e la bocca piena di sangue.
Così
non si erano più azzardati a parlargli né a chiedergli nulla.
Che
il fumo semplice non bastasse era normale, che lui pensasse di poter
riempirsi di qualcos’altro e che quel qualcos’altro fossero canne e
pasticche, quello era meno normale.
Più
triste.
Sbagliato.
Tutto
ciò che trovava e che poteva essergli utile, dal suo distorto punto di
vista, lo faceva.
Tutto.
Se
lo prendeva, ne faceva uso, se ne riempiva.
Alcune
sere si era trovato a dormire in mezzo alla strada, completamente
ubriaco ed impasticcato, senza cibo nello stomaco da giorni, privo di
forze e coi sensi che l’abbandonavano, con un piede nella fossa, pieno
di dolore fisico, quasi da farlo impazzire.
Certo
non riusciva a pensare, in quei momenti.
A
sé stesso e alle sue sfortune… e un po’, si diceva, stava meglio.
Se
non si pensa si sta meglio, no?.
Alcune
sere stava semplicemente lì, in un angolo di quel quartiere, del tutto
lucido, a guardare il cielo notturno tempestarsi di stelle, pensando
che ora i suoi cari stavano là sopra a guardarlo. Allora parlava
mentalmente con loro, coprendoli di insulti, chiedendo cosa avrebbe
dovuto fare secondo il loro saggio ed illustre parere, schernendoli con
lo sguardo.
Però
non era mai più tornato a casa, quella ormai, per lui, non poteva più
essere casa sua, anche se di diritto lui era l’unico a cui spettava.
Non
era nemmeno più tornato a cambiarsi, le volte in cui pioveva si era
lasciato lavare dalla pioggia fresca, poi si era fatto asciugare dal
vento sperando che una febbre da cavallo potesse portarlo all’estasi,
in un altro mondo, meno difficile e doloroso di quello.
Spesso,
quando viaggiava con qualche pastiglia che gli distorceva la realtà,
gli sembrava proprio di vedere sua madre e suo padre piangere mentre lo
guardavano ridursi in quel modo, auto distruggersi.
In
fondo, però, non potevano mica rimproverarlo, no?
Ne
avevano perso il diritto… andandosene avevano deciso che lui era
abbastanza grande per vedere di sé stesso da solo, quindi ora lui
voleva smettere di vivere come si doveva perché tanto non gli
interessava più.
Si
vive per gli altri.
Lui
non voleva più nessuno nella sua vita, nessuno da amare.
Ecco
perché non si era più fatto sentire da Jack, non era più tornato a
giocare, non aveva più rivisto Gianluca… ecco perché.
Se
avrebbe continuato a vederli, li avrebbe amati a tal punto da stare di
nuovo male, perché sicuramente l’avrebbero lasciato, come tutti.
Dunque
perché vivere e non lasciarsi vivere?
Ora
eccolo là.
Un
giovane ragazzo di bell’aspetto, sciupato e consumato, distrutto da sé
stesso e dagli eventi che l’avevano colto impreparato.
Eccolo
là, Alessandro, il bell’Alessandro selvatico, inarrestabile,
affascinante, attivo… eccolo là a camminare perso per le strade di un
mondo troppo grande, troppo per lui solo.
Dopo
essersi sfogato con un malintenzionato di quartiere ed averlo fatto
finire steso KO, la pioggia aveva preso a cadere, cadere su di lui e
sul mondo, ricoprire in fretta tutto, potente defluiva per le vie
intorno a lui, scivolava dolce e gelida sulla sua pelle,
appiccicandogli gli abiti addosso, i capelli lunghi sul viso,
spegnendogli la sigaretta che cadeva giù.
Per
quanto sarebbe andato avanti così?
Quanto
ci voleva per morire?
Senza
mangiare si poteva resistere per molti giorni, tutto sommato, però lui
al non mangiare associava il non dormire, quasi, e il trattarsi male
facendo a pugni, fumando di tutto e prendendo insieme all’alcool
intrugli che gli alteravano l’organismo, dei veleni veri e propri.
Camminava
da solo con la pioggia, ascoltava i suoi segreti sperando che gli
presentasse delle allucinazioni al posto delle droghe che da qualche
giorno non riusciva più a prendere poiché sprovvisto.
Era
forse vigliacco per uccidersi, o forse un po’ di rispetto per i suoi
genitori e suo nonno ancora l’aveva, non si uccideva subito perché loro
erano morti senza avere scelta; tuttavia così… così non era forse
uguale?
O
magari era semplicemente bloccato.
Bloccato
dopo l’odio imminente che aveva provato, bloccato dopo il vuoto,
bloccato dopo l’indifferenza, bloccato dopo tutta quella serie di
sentimenti e reazioni.
Bloccato.
Camminava
ed in realtà cercava, cercava qualcosa fra la pioggia, magari qualcuno
che potesse aiutarlo a sbloccarsi, ad avere una volta per tutte una
reazione, a tirarsi fuori da quella melma in cui era di nuovo caduto.
Di
nuovo.
Avrebbe
dovuto fidarsi di qualcuno, come gli era accaduto anni fa quando aveva
incontrato Jack ed aveva cominciato col basket, anzi, ripreso.
Forse
era proprio così, si disse Alessandro fra sé e sé lasciando le mani
abbandonate lungo i fianchi, forse scappare dalle persone che poteva
amare era peggio, forse con loro sarebbe stato meglio.
Le
persone anelano a questo, a qualcuno che le faccia star bene.
Però
se una volta affezionato, queste sparivano?
Avrebbe
sofferto di più; però ora dopo tutto quel che si era susseguito in lui,
dopo ogni cosa, quel che rimaneva era solo voglia di qualcosa in grado
di restituirgli l’anima, che gli cancellasse quell’unico, ormai,
grande, immenso buco.
La
verità era solo una.
Non
ce la faceva più a stare da solo.
Non
ce la faceva veramente più.
Ecco
perché lasciò che l’istinto smarrito tornasse in lui e lo conducesse da
Gianluca.
Forse
era in grado di dargli quella risposta.
‘Cosa
provi per me?’, aveva chiesto l’ultima volta.
Del
sentimento che per lui aveva del sovrannaturale.
/
Never Leave you – Lumidee /
Quando
il campanello suonò, ad aprire era stato proprio Gianluca poiché
improvvisamente sembrava che fossero tutti troppo occupati.
La
pioggia cadeva molto forte.
Pensò
questo appena aveva aperto l’uscio rivelando la persona dall’altra
parte, là fuori che si bagnava come un pulcino.
Zuppo
di pioggia
(lacrime
nascoste)
era
proprio Alessandro, il centro del suo nero e tenebroso umore di
quell’ultimo periodo.
Il
biondo ragazzo asciutto si trovò a trattenere il fiato mentre lo
guardava bagnarsi a quel modo, vestito come l’aveva visto giorni prima,
mal ridotto, con qualche livido sul volto lucido, pieno di gocce che lo
rigavano.
Era
pioggia, vero?
I
capelli erano lunghi e quasi lisci ma ingarbugliati sotto l’acqua che
li appesantiva. I suoi occhi verde scuro, un bosco a fine estate mentre
il sole cala e la luna comincia a mostrarsi fra le fronde, cercarono di
intravedere quelli che un tempo erano azzurri come una pietra preziosa
dell’altro, ma videro solo delle nubi cariche di una tempesta che stava
per scendere.
Rabbrividì
mentre un pizzicolio potente gli partì dal basso ventre.
Alessandro
era meraviglioso.
Si
morse il labbro mentre cercava di combattere l’immobilità, l’altro non
diceva ancora nulla, stava in silenzio senza la forza di parlare; cosa
dire, del resto?
Era
lì e basta.
Poi
dopo che l’eccitazione cominciò ad espandersi fino a giungere al
cervello appannandoglielo dal desiderio incontrollato, chiuse gli occhi
per riaprirli che, decisamente, non era più lui.
Che
avrebbe fatto?
Se
lo chiese un attimo, ma fu, appunto, solo un attimo perché non aveva
decisamente più voglia di pensare.
Aveva
lì l’incarnazione dei suoi desideri più erotici e proibiti ed aveva un
aria così smarrita da essere ancor più sensuale del solito.
Lo
prese in un secondo istante per mano, sbattendo la porta dietro di loro
se lo trascinò di corsa su per le scale, senza farsi vedere da nessun
membro della famiglia, poi una volta condotto in camera sua si chiuse
dentro con lui sbattendolo con poca gentilezza al muro.
Non
sapeva cosa stava per fare, nemmeno cosa volesse.
Sapeva
però cosa provava ed aveva provato per lui.
Tutto
l’impossibile ed oltre, troppo da sopportare.
Uno
sfogo, a quel punto della storia, non poteva non averlo.
Intrattenibile.
Il
calibro di quel che provava per Alessandro era tale da essere
incontrollabile persino per uno come Gianluca.
Una
specie di delirio.
Senza
capire nulla, il biondo dagli occhi verde intenso andò allo stereo
accendendolo, alzò al massimo il volume della canzone che c’era, come
non volesse far sentire quel che gli esplodeva dentro, quel che sarebbe
successo.
Era
una canzone d’hip hop molto ritmata e sensuale, adatta all’incarnazione
dei suoi desideri, adatta ad Alessandro.
Andò
da lui e con occhi sgranati di chi si stava sconvolgendo da solo, portò
le mani alle sue spalle, sotto la giacca di jeans, le fece scivolare
lungo le braccia per sfilargli l’indumento appesantito dall’acqua.
Cadde a terra.
Fu
una lentezza quasi esasperante, tale da far battere il cuore di
Gianluca sempre più forte, nonostante fosse proprio lui a condurre il
gioco, lui per la prima volta.
Che
avesse acceso così alta la musica per impedire al proprio cuore di
farsi sentire mentre batteva a quel modo?
Successivamente
le mani afferrarono la maglia fine di Alessandro, sempre zuppa, e
l’alzarono. Mentre gliela toglieva, l’altro l’assecondò non capendo che
intenzioni avesse. Non capendo molto, in realtà, grazie alle idee
completamente confuse che aveva.
Si
lasciava fare.
Si
lasciava fare del tutto ammaliato da quello sguardo sconvolto e
voglioso, così vicino ed intenso, si sentiva divorato da esso.
Alzato
le braccia, Gianluca potè sfilargli anche quell’indumento che andò ad
unirsi alla giacca, ignorati.
Ora
che il petto era umido e nudo davanti a lui, che mostrava dei segni
vecchi di lotte e alcuni più recenti, ora che poteva averlo si trovò a
tendersi ancor di più, trattenere il respiro ed invocare l’aiuto di
qualcuno di potente per farlo tornare in sé prima che… prima che…
Non
lo sapeva, ma forse poteva anche andare bene così, no?
Forse
se ora l’avrebbe baciato lui, le cose si sarebbero sistemate, avrebbe
cancellato tutto il fatto e il non fatto, avrebbero potuto ricominciare
da capo, avrebbe potuto succedere qualcosa di bello per entrambi che
rappresentava la fine di quell’orrendo periodo.
Forse
si, forse era appropriato baciare quella meravigliosa creatura tremante
e smarrita davanti a lui.
Così
fu.
Gianluca
per primo con un Alessandro completamente immobile, si avvicinò lento a
lui guardando le sue labbra ben disegnate, quelle labbra così invitanti
che spesso aveva sognato, desiderato su di sé. Le guardò finché riuscì,
finché non le ebbe sulle sue e un respiro gli tornò fuggente ai
polmoni, svuotandoli e riempiendoli di nuovo per trattenersi ancora.
Poteva
non impazzire?
Un
assaggio, un saluto.
Labbra
contro labbra.
Poi
una richiesta di permesso.
La
carezza della lingua contro la carne fredda e screpolata ma morbida.
Infine
il permesso concesso.
Le
lingue che si incontravano dentro le loro bocche unite.
Finalmente
unite.
Finalmente
il bacio come un vortice che risucchiava tutti i pensieri e i problemi.
Il
bacio voluto da Gianluca, la cura di Alessandro.
/
E’ Delicato – Zucchero /
“Ecco
di cosa dovevo riempirmi, ecco come si cancellano i buchi. Ecco come si
sta meglio, come ci si sblocca.
Ecco
cosa va bene… Dio, allora forse esisti… “
Eppure
avrebbe dovuto saperlo che nulla è la fine, che viene Maggio e scioglie
le brine.
Avrebbe
dovuto saperlo.
Però
è legittimo, è umano dimenticarsene mentre ci si trova in pieno
inverno. E’ normale, no?
Era
solo un cuore disperato, troppo delicato, da curare e proteggere.
Fu
un dolce bacio quello che li unì in quel momento di caos e confusione,
un dolce momento nonostante la canzone, nonostante gli istinti,
nonostante le motivazioni.
Nonostante
tutto.
Fu
un momento talmente perfetto, giusto e curativo che ad Alessandro
riuscirono a scendergli le lacrime, due fugaci lacrime, due di numero,
come se quasi quasi il tappo che chiudeva il suo animo, quel pozzo
profondo pieno di dolori, rimpianti e promesse nascoste, si stava per
togliere.
Quasi
quasi che non si stesse sciogliendo.
Quasi…
Ma
fu solo un piccolo istinto, represso subito.
Era
quello che aveva cercato in quei giorni.
Poteva
veramente essere tutto rappresentato da una persona?
La
salvezza…
Quando
si staccarono, prima ancora di far riprendere coscienza ad entrambi
l’uno dell’altro e di essi stessi, Alessandro fece scivolare il viso
nel collo di Gianluca, nascondendolo per non farsi vedere, facendo
passare le braccia intorno alla vita del compagno.
Poi
finalmente riuscì a parlare di nuovo, la prima volta dopo la morte di
suo nonno. Lo fece con voce leggera, tenendo le labbra contro il collo
dell’altro:
-
Non lasciarmi solo… -
Disse
solo questo prima di farsi avvolgere a sua volta dalle braccia ferme e
non più agitate del compagno.
Quella
notte dormirono abbracciati senza aggiungere altro.