CAPITOLO
26:
AIUTAMI
“’Aiutami…
‘ fu solo un sussurro fra le lacrime, a Gianluca bastò per capire che
Alessandro era finalmente pronto per affrontare le proprie paure e
crescere. Con lui.“
/
Can’t stop – Red Hot Chili Peppers /
Quando
gli occhi verde bosco di Gianluca si aprirono, la mattina seguente, si
trovò solo nel proprio letto nonostante la sera precedente si fosse
addormentato con Alessandro e fossero rimasti abbracciati tutta la
notte.
Sul
momento non pensò assolutamente nulla, era consapevole che non trovarlo
con sé non significava nulla di specifico. Per cui, ad un certo punto,
semplicemente si guardò intorno. La stanza era come il suo letto, senza
nessuna traccia del compagno.
“E’
questo che siamo, ora? Chi può dirlo, non ne abbiamo mica parlato. Come
faccio a sapere che diavolo siamo! L’ho baciato e per poco non lo
violentavo, siamo rimasti insieme tutta la notte senza dire o fare
nulla, lui stava così male… non l’ho mai visto così ma del resto non lo
conosco molto. Mi chiedo proprio che cosa siamo, cosa pensa lui ora,
cosa vuole… è lui quello che non è pronto fra noi due, in fondo. È lui
che deve decidere quando chiamarci coppia.
Io
sono pronto perché ho perso completamente la testa per lui e non è mia
abitudine far finta di nulla di fronte a certe cose talmente evidenti.”
Fu
questa la riflessione del ragazzo mentre si alzava, si lavava e si
vestiva.
Quel
giorno era domenica, la scuola non c’era e si chiedeva con molta
curiosità che fine avesse fatto Alessandro, o meglio dove fosse andato
a far danni.
Per
quanto lo conosceva poteva anche essersene tornato al vecchio quartiere
ricredendosi sulla notte di debolezza che aveva avuto. Non avrebbe dato
nulla per scontato finché dalla sua bocca non sarebbero uscite le
esatte parole che voleva sentire.
Solo
quando si affacciò alla finestra lo vide: era in giardino da solo,
steso sull’erba a fumare. Non era una novità, lo era che fosse così
mattiniero e silenzioso, non l’aveva nemmeno sentito.
“Ed
ora che faccio? Dovrei raggiungerlo solo perché è rimasto a casa mia
invece di scappare come pensavo avesse fatto?”
In
effetti quello che aveva pensato era stato proprio quello, vederlo
ancora lì era motivo di profondo stupore.
Indossava
gli abiti della sera e dei giorni precedenti, non si era cambiato, non
aveva preso nulla di suo e probabilmente come colazione aveva fumato
un’altra sigaretta.
Scosse
il capo, magari poteva raggiungerlo…
Così
pensando uscì dalla camera ed evitando abilmente i membri inquieti
della propria famiglia, ad eccezione del fratello maggiore Max che era
tranquillo e coscienzioso, senza nemmeno virare per la cucina andò
direttamente fuori facendosi investire inizialmente dalla piacevole
aria esterna ed in seguito dalla puzza di fumo che ancora aleggiava
accanto ad Alessandro. Si avvicinò senza far rumore, prima di farsi
sentire lo guardò da dietro: era steso a terra coi vestiti stracciati e
sporchi, i capelli inguardabili, il mozzicone quasi del tutto consumato
fra le labbra ben disegnate, tenuto morbido che quasi cadeva, le mani
dietro la nuca a fargli da cuscino e le gambe accavallate, piegate. Gli
occhi azzurri erano ancora cupi come l’espressione, guardavano il cielo
terso dove il sole lentamente saliva dritto sulle loro teste per
portare il segno della metà giornata.
Vedendolo
così assorto e ‘disfatto’ ne fu attratto una volta di più e
inghiottendo a vuoto arricciò il naso.
L’odore
era veramente forte e fastidioso ma non erano le solite che fumava…
Decise
di sedersi accanto a lui e chiedergli casualmente la prima cosa che gli
veniva in mente, senza intenzioni particolari. Lui di fumo e derivati
proprio non se ne intendeva!
-
Hai cambiato marca? –
Quando
lo disse, Alessandro fece un piccolo scatto di sorpresa, alzò la testa
girandola istintivamente per vederlo accanto:
-
Quando sei arrivato? –
Gli
chiese a sua volta tornando a distendersi. Per lui non faceva
assolutamente alcun problema che quello che fumava non erano normali
sigarette, riteneva fossero affari suoi e soprattutto Gianluca si
faceva sempre i fatti propri, non era uno che rompeva.
-
Ora. –
-
Non sono sigarette queste … - Rispose dunque Alessandro con una
tranquillità disarmante. Non era ancora sereno e guarito, non aveva
fatto nulla per guarire e riprendersi dal solco che portava dentro,
semplicemente aveva accettato la vicinanza di qualcuno. Questo era già
un passo ma da solo non sarebbe servito.
Tuttavia
il ragazzo che gli stava accanto non era certo uno psicologo e tanto
meno uno che spingeva alla confidenza, sperava sempre di evitare quegli
imbarazzanti momenti di intimità dove uno dei due si sfogava e finiva
per piangere… non sapeva mai cosa dire e ad essere onesti, Gianluca non
spingeva affatto alla confidenza!
-
Cosa sono? – Chiese ingenuamente, non avrebbe mai creduto che la
risposta potesse essere quella.
-
E’ una canna… - La semplicità con cui l’ammise gli fece sciogliere i
legamenti e renderli gelatina. Come poteva parlare così di una cosa del
genere? Fu qui che l’interlocutore ebbe uno scatto sedendosi
improvvisamente con la schiena dritta e gli occhi verdi puntati su
quelli dell’altro, cercava di capire se fosse serio.
-
Sì, è così. Che c’è, non gradisci? – Continuò porgendogli quel che
rimaneva della sua fumata.
Ecco
cos’era… Alessandro non era veramente lì in quel momento e non per la
crisi di quei giorni, non solo per lo meno. Era quello ad alimentare lo
stato mentale distorto del giovane… chissà in quel periodo quanto in là
si era spinto?
-
Ti fai di qualcos’altro? –
Non
girò intorno al problema, andò dritto al punto com’era nella sua
indole. Ecco perché Gianluca non ispirava alla confidenza, la gente non
aveva nemmeno il tempo di pensare a qualche scusa plausibile alle sue
accuse veritiere!
Alessandro
si strinse nelle spalle, non gli importava veramente di quello che
stavano dicendo, ammetterlo o meno non gli faceva differenza e lo
sguardo la diceva lunga sulla sua integrità psicofisica.
-
Nulla di pesante, qualcosa di leggero per tirarmi su ogni tanto… sai,
pastigliette e nient’altro… - Lo stomaco gli si contorse e il pallore
divenne improvvisamente più intenso, Alessandro sorrise beffardo, lo
divertiva tutto, in quel momento. Merito della ‘ricreazione’ che si era
concesso! - E’ tutto sotto controllo, smetto quando voglio, ho iniziato
da quando non vengo a basket. Ieri sera le avevo finite, ecco perché
stavo così, penso. Ora ho fatto una scappata dai miei amici che me ne
hanno dato un po’… -
Ammetteva
ogni cosa, tutto, e lo faceva con serenità. Era veramente così normale
per lui?
Forse
lo era per il posto in cui era cresciuto: che razza di vita aveva fatto
quel ragazzo?
Gianluca
se lo chiese senza avere idea di cosa chiedere. In effetti non c’era
nulla da aggiungere, solo la verità di quel che pensava:
-
Sono stato un ripiego per la droga, allora? –
Duro,
freddo, staccato.
Alessandro
ridacchiò di nuovo, aveva appena fumato, la ragione non funzionava
ancora a pieno e certe reazioni non le capiva subito come succedeva un
tempo, quando si limitava alle sigarette.
-
Non è droga, non è nulla… la vera droga è quella che ti provoca crisi
d’astinenza e che ti lascia segni sul corpo. Vedi segni sul mio? –
Così
dicendo alzò le maniche mostrando gli avambracci puliti. Ammesso e non
concesso che avesse ragione, quella frase non rispondeva alla sua
domanda.
Gianluca
si alzò indispettito così l’altro si mise a sedere con una certa calma
per non sentirsi male:
-
Dai, non è così. Non sei stato un ripiego, volevo vederti e basta. Non
c’è altro dietro, non fare così! –
“Così?
Così come?”
Questo
non fermò Gianluca che fece per rientrare in casa senza aggiungere
altro, arrabbiato, così Alessandro si trovò ad allungarsi per
prendergli il polso e trattenerlo, non sapeva cosa voleva ma sapeva che
non voleva che si arrabbiasse con lui.
-
Gian, dai! Rimani! Cosa c’è? –
Allora
il ragazzo si decise e strattonando via seccato la mano, si girò, lo
guardò dall’alto al basso e con una ira gelida ed un incisione vocale
da paura, disse:
-
Vuoi che rimanga? Allora fa delle cose per te: smetti di farti di
qualunque cosa tu ti faccia, torna alla squadra, decidi seriamente
della tua vita e soprattutto dimmi cosa diavolo vuoi da me e che
rapporto cerchi! – Poi si abbassò arrivando a pochi
centimetri dal suo viso e guardandolo da così vicino, aggiunse con voce
bassa e penetrante: - Dimmi cosa PROVI per me! –
Questo
fu significativo, come un pugno allo stomaco. Era un tono
molto perentorio che non ammetteva repliche, come un capo che
dava ordini ad un membro della sua squadra. Aveva le idee chiare,
chiarissime, su cosa voleva e provava; tutto quel che gli chiedeva era
di chiarirsele anche lui.
Un
impresa per l’Alessandro ‘bruciato’ di quel periodo.
Un
brivido attraversò perfino lui, in quel momento, mentre realizzava che
non sapeva cosa rispondergli. Non ce la faceva, non ce la faceva
proprio a dirgli cosa voleva e cosa provava perché non riusciva a
guardarsi dentro. NON VOLEVA.
Aveva
iniziato a fumare e a prendere gli eccitanti solo per non pensare a ciò
che gli era successo e gli stava succedendo, lo faceva per riempire
quel solco che aveva dentro consapevole che era sbagliato, ma
impossibilitato a fare in altro modo. Non volendo guardarsi dentro non
poteva trovare altre soluzioni migliori.
In
realtà la sofferenza interiore cresceva minuto dopo minuto,
inesorabilmente, e questo solo per colpa sua e delle sue paure, delle
sue indecisioni… per non scoprire che era sempre stata colpa sua,
unicamente sua.
-
Ah si? – Si riscosse poi capendo che doveva fare qualcosa. Non sapeva
cosa avrebbe detto e come, quando parlò notò il proprio tono secco ed
irritato e mentre lo faceva si rendeva conto dell’acidità che usava: -
Allora va al diavolo anche tu, Gianluca! –
Ecco
fatto, si poteva buttare via in un soffio tutto quel poco che con tanta
fatica si era riusciti a guadagnare. Veramente in un soffio.
“So
che lo sto ferendo, so che non glielo devo, so che ha ragione e che
sono completamente in torto. So che sto sbagliando, so tutto,
dannazione… ma… il punto è che non posso proprio fermarmi… non posso.
Non ci riesco. I comandi non escono nemmeno dal mio cervello, non
riesco a fare quello che vorrei e forse è solo una scusa che non so
cosa voglio. Lo so perfettamente ma ne ho paura o forse sono veramente
troppo andato per recuperare qualcosa. Ormai è tardi? Ormai… ormai lo
è…
Gianluca
alla fine non può capirmi anche se vorrei potesse. Non è nella mia
vita, non sa nulla, siamo così diversi, come potevo pensare fosse in
grado di aiutarmi? Non glielo sto nemmeno a chiedere, l’aiuto. Cosa
potrebbe fare per me? Ormai è andata… “
Fu
solo questo il suo pensiero mentre, dopo averlo guardato male, si era
alzato e se ne era andato senza dire altro. Assolutamente nulla.
Era
veramente tutto perduto?
/
It takes a fool to remain sane – The Ark /
-
Trystin, scusa se ti disturbo di domenica… ho veramente bisogno di un
favore. –
La
voce raggiunse l’inglese dall’altro lato del cellulare.
-
Dimmi, Gianluca. –
Disse
solamente il ragazzo biondo platino.
-
Ho bisogno che veniate nel quartiere XXX con me. Si tratta di
Alessandro. –
Eppure,
nonostante tutto, lui ci credeva ancora che non tutto dovesse per forza
essere perduto come pensava l’altro.
Solo
una sillaba dal compagno di squadra, era abbastanza intelligente da
immaginare di cosa si trattasse e soprattutto che se chiedeva aiuto a
loro, era veramente il caso di andare senza fare domande. A volte erano
superflue e per lui lo erano sempre.
Quando
interruppero la comunicazione dopo essersi messi d’accordo per
l’incontro, entrambi uscirono di casa ognuno accompagnato da qualcuno.
Trystin da Daniel e Gianluca da Max.
-
Perché io e non Sam? – Gli aveva solo chiesto il fratello capendo dove
stessero andando.
-
Perché voglio essere fermato al momento giusto e tu sei l’unico in
grado di farlo. - Fu solo questa la sua risposta laconica.
-
Capisco… in effetti Sam ti aiuterebbe ad ammazzarlo! –
Questo
fu tutto quello che si dissero per il tragitto e nemmeno quando
incontrarono gli altri due ci furono intense chiacchierate. Ognuno
seguiva i propri pensieri ed ogni tanto solo il moro parlava col
proprio compagno in inglese, soprappensiero.
Quando
arrivarono al quartiere di Alessandro, lo trovarono subito. Il ragazzo
era in compagnia di alcuni individui poco raccomandabili, era seduto su
una moto da strada che non era sua, sempre come l’aveva lasciato
Gianluca, e fumava.
Quel
che accadde fu un lampo per tutti, persino gli accompagnatori di quello
che al momento era il leder. Nessuno se ne accorse in tempo e quel che
poterono fare fu solo stupirsi per l’azione.
Gianluca
tirò con una potenza inaudita la palla da basket che si era portato,
contro Alessandro a qualche metro da loro, proprio davanti al suo viso.
Non lo fece per fargli male di proposito, nemmeno per iniziare in quel
modo una rissa assicurata. Non lo fece per niente di quelle
motivazioni, ma solo per fargli capire il livello in cui era caduto.
Quando
Alessandro si sentì colpire dalla palla cadde all’indietro sul
marciapiede, sentì immediatamente un dolore insopportabile al volto ma
la parte colpita era stata solo la fronte e nemmeno un rivoletto di
sangue gli uscì. Dopo un attimo di stordimento e di parolacce, si alzò
barcollando ed impolverato, poi con un’espressione furente ringhiò una
frase che rimase a mezz’aria quando vide chi era stato. Lì, in
quell’attimo preciso, l’ira svanì diventando stupore ed incredulità,
infine incomprensione.
Cosa
voleva fare?
Perché?
Domande
su domande lo colpirono e il silenzio calò anche fra i suoi amici che
lo circondavano pronti all’azione.
Il
caos l’invase.
Nessuno
parlò, nessuno, tutti attesero le parole di colui che aveva tirato
quella pallonata, parole che arrivarono fredde e taglienti insieme allo
sguardo sottile, due lame verdi e severe:
-
Non l’hai nemmeno vista arrivare, vero? – Il silenzio gli rispose, per
cui riprese: - Ti sfido in una partita di street. Noi tre contro te ed
altri due dei tuoi. –
-
Perché? – Chiese solamente ancora non capendo nulla di quel che aveva
l’altro, non capendo nemmeno come lui stesso si sentisse. Non capendo e
basta.
-
Perché voglio farti rendere conto di quanto sei caduto in basso. –
Fu
una specie di pugno allo stomaco anche quello, ecco perché lo
tormentava da quando l’aveva conosciuto. Quel ragazzo era l’unico che
riusciva sempre a capirlo in un modo o nell’altro e a lasciargli un
segno. Sempre.
- E
lui? – Disse indicando Max.
-
Lui non c’entra. Sta con me, non ti interessa! –
-
Abbiamo a che fare con un frocio? – Commentò uno dei ragazzi accanto ad
Alessandro ridacchiando odiosamente.
-
E’ suo fratello, idiota! – L’ammonizione acida e secca arrivò
proprio da quest’ultimo che poi aggiunse: - Ci sto. Dopo non voglio che
nessuno mi rompa le palle! –
Così
fu.
Così
ebbe inizio il massacro.
Un
massacro per cui Gianluca stesso mentre si preparava con Trystin e
Daniel silenziosi e seri alla partita, ordinò loro:
-
Non dovete avere pietà con lui. – Gli altri nemmeno li vedeva.
Così,
veramente, lo spettacolo a cui Max assistette fu letteralmente pietoso.
Pietoso
per Alessandro che subiva ogni attacco, ogni scontro, ogni cosa
possibile senza riuscire a fermare nessuno, senza riuscire a ribattere
e rispondere a tono.
Subire
in modo vergognoso senza riuscire a segnare nemmeno un punto.
Subire
l’ira glaciale di Gianluca, subire la severità di tutti e tre i suoi ex
compagni di squadra, subire dall’inizio alla fine la durezza degli
attacchi che riceveva, delle marcature, dei silenzi e degli sguardi. Le
volte in cui cadde a terra furono decisamente più numerose dei canestri
della sua squadra. Ne segnarono pochi e non fu lui a farli.
Lo
spettacolo che diede di sé, della sua bravura svanita, dei suoi
riflessi cancellati, della sua furbizia dissolta fu quanto di più
terribile e triste si potesse mai assistere.
Lui,
Alessandro, il talento naturale del basket che era stato soprannominato
il re dello street, lui che era il diretto rivale di Gianluca in
precedenza e di Daniel in seguito, lui che saltava così in alto
attraversando il cielo veloce da rivaleggiare direttamente con il moro,
lui che si inventava sempre qualche finta senza nemmeno doverci
pensare, lui che in un modo o nell’altro la spuntava sempre, lui che
aveva una forza fisica da riuscire a fare un canestra da metà campo.
Lui,
ora, sembrava non aver mai avuto quel talento, non essere mai stato il
diretto rivale di nessuno, al massimo di uno straccione perdente, non
riusciva nemmeno a saltare perché cadeva prima di staccarsi da terra,
le finte non sapeva più cosa fossero, la furbizia era svanita nel
nulla, perdeva ogni confronto senza riuscire a porre un minimo di
difficoltà all’avversario, la forza era pari a quella di un bambino
piccolo e la precisione per fare i canestri veramente non ci fu nemmeno
per un istante, nemmeno per sbaglio.
Quello
era l’Alessandro che aveva rivelato quella sfida, un Trystin severo e
preciso, un Daniel veloce e potente, un Gianluca spietato e gelido.
E,
proprio come previsto da quest’ultimo, a fermarlo fu Max che, entrato
in campo, aveva semplicemente intercettato la palla mettendo fine al
gioco. Mettendo fine a quella lezione necessaria ma inguardabile.
Perfino
Trystin e Daniel che si erano limitati a fare quanto il loro compagno
di squadra gli aveva chiesto, non si erano sentiti bene nel vedere il
loro Alessandro con una combattività pari a zero.
-
Basta così. Andatevene, ora. –
Il
silenzio calò, lo disse in un modo veramente molto fermo e adulto, come
se nessuno avesse scelta, come se la palla che stringeva non era tale
ma una bomba pronta ad esplodere se non avessero obbedito tutti.
Nessuno
aveva dovuto spiegare nulla a Max, ci era arrivato da solo, proprio
come il fratello minore aveva predetto. Del resto bastava conoscere di
un minimo la loro situazione e assistere a quella sfida, per capire
cosa si dovesse fare.
Per
capire che il limite era stato passato e che ciò che volevano,
l’avevano ottenuto.
I
due fratelli, a quel punto, si scambiarono uno sguardo significativo,
Max notò come Gianluca fosse mal ridotto, tutto sudato, coi capelli
spettinati sulla fronte ed uno sguardo tetro, cupo, che stringeva i
pugni lungo i fianchi tirando i muscoli delle braccia. Così l’aveva
visto poche volte ed era pericoloso perché lui tratteneva e tratteneva
finché poi, inevitabilmente, scoppiava. Lì era deleterio.
Max
allora gli tirò la palla che prese e dopo aver lanciato un’occhiata
carica di sentimenti contrariati ad Alessandro a terra, con la faccia
contro il cemento e i pugni chiusi accanto al volto, teso e tremante
per la rabbia, se ne andò.
Se
ne andò imprimendosi a fuoco quei suoi capelli sudati, gocciolanti,
lunghi e mossi sul viso e sul terreno, imprimendosi anche le spalle
forti che cercavano di trattenersi per non scoppiare ancora. Perché
l’umiliazione subita era andata a buon fine, perché sapeva che non
sarebbe servito a nulla scoppiare, non era più all’altezza di nessuno
ed ora le parole non sarebbero servite a niente.
In
un silenzio disarmante e pesante il campetto si svuotò lasciando solo
Alessandro ancora a terra con Max.
/
Lonely day – System of a down /
Non
c’era nessuna musica intorno a loro eppure l’idea di sentire una
malinconica chitarra acustica che suonava note lente e crescenti,
c’era. Una musica veramente triste e umiliante.
Alessandro
rimase a terra col viso premuto sul cemento, fra la polvere e il
proprio sudore, ad ascoltare il respiro e i battiti accelerati. Era
oltremodo stanco, di una stanchezza totale, fisica e mentale. Una
stanchezza che contribuì a farlo sentire peggio.
Di
fronte solo un ragazzo adulto che in fondo non conosceva molto di lui,
una persona di cui sapeva che ad ogni modo poteva fidarsi, di cui solo
ora capiva la presenza.
-
Si dice che bisogna toccare il fondo. Come stai? –
Quando
udì quelle parole fu come se si svegliasse. La rabbia scemò veloce e la
musica che sentiva mutò. Non c’era più bruciore per umiliazioni, solo
tristi verità. Continuò a non guardarlo, continuò a stare contro il
campetto, continuò a cercare il proprio respiro regolare ed i propri
battiti, continuò finché gli occhi da serrati che erano non si
spalancarono per lo stupore.
Nessuno
gli aveva mai fatto quella domanda.
Ora
capiva come Samantah potesse adorare tanto quel ragazzo ed anche perché
Gianluca avesse scelto proprio lui per raccogliere i suoi cocci.
In
un istante nel silenzio che era tornato si trovò a cercare di nuovo un
motivo per non gridare e lasciarsi andare, un motivo per non impazzire,
un motivo per non farla finita, un motivo per andare avanti e cercare
la mossa successiva da fare.
Si
trovava in questo stato perché qualcuno gli aveva fatto la domanda
giusta.
Cosa
rispondere?
Solo
un urlo avrebbe reso il suo stato d’animo, come stava… solo un urlo
comprensivo di rabbia, dolore, frustrazione, umiliazione e tristezza.
Un
urlo che non si era mai concesso.
Un
urlo che arrivò insieme alla musica che aumentava nella sua mente,
insieme al suo busto che si alzava da terra appoggiandosi sulle
ginocchia e sulle mani ed insieme agli occhi della testa abbassata che
si alzavano sul ragazzo davanti, con due fessure pericolose da brivido,
due fessure che Max stesso non avrebbe mai dimenticato.
Alessandro
urlò facendo finalmente quel che avrebbe dovuto e voluto veramente fare
dall’inizio della sua grande depressione interiore. Da tempi troppo
lontani per essere contati.
Si
guardò dentro e tirò fuori tutto quello che ci stava, insieme al suo
stato d’animo e alla motivazione del suo fumo e delle sue pasticche
eccitanti.
E
dire che una giovane vita come la sua ha già motivi per urlare a quel
modo il suo dolore e la sua rabbia, bè, questo è ciò che fa veramente
impressione.
I
brividi attraversarono il bel ragazzo dalla punta dei capelli neri alla
punta dei piedi, passando per la testa e per la spina dorsale,
facendolo impallidire fino a fargli uscire dagli occhi due lacrime
d’empatia per quel giovane a terra che rivelava il suo stato interiore.
“Mio
Dio … “
Fu
tutto quello che pensò.
/
Mad World – Gary Jules /
La
sera era arrivata insieme a Gianluca che aveva passato l’intera
giornata fuori casa, dopo essere uscito la mattina.
Entrato
nella sua stanza buia, aveva evitato di accendere la luce. Dire che il
suo umore era ancora nero come quella camera, era sminuirlo.
Sentì
subito la finestra aperta come l’aveva lasciata quella mattina prima di
uscire per Alessandro. Non alzò lo sguardo in quella direzione, fece
stancamente un profondo sospiro di stanchezza e si passò le mani fra i
capelli cercando di sistemarli alla meglio, dopo la sfida con
Alessandro non si era più curato del suo aspetto ed era rimasto in quel
modo sgualcito. Le dita fecero il loro dovere dividendo la frangia che
gli copriva quasi del tutto gli occhi, la portò lateralmente e lì
rimase. Erano abbastanza lunghi per starci.
Infine
quando si trovò a decidere se mettersi subito sotto la doccia o se
cenare con gli altri o dormire direttamente, aveva finalmente alzato
gli occhi in direzione della finestra.
Dall’esterno
entrava una piacevole brezza serale e la luce dei lampioni esterni,
un’atmosfera leggera e soprannaturale che gli permise di distinguere al
volo la figura che si stagliava proprio là davanti.
Non
si muoveva, sembrava nemmeno respirasse. Anzi, probabilmente tratteneva
il fiato.
Lo
distinse subito e in quel momento, come se anche lui tornasse
finalmente sé stesso dopo tutta l’intera giornata di arrabbiature, si
sentì bene.
Inspiegabilmente
bene.
Ora
che Alessandro era di nuovo lì con lui tutto sarebbe andato a posto,
perché se era lì significava che aveva capito e che Max, come sperava,
aveva fatto il suo dovere.
Lo
raggiunse con passi lenti e calmi, come potesse essere tornato il
Gianluca di sempre era un mistero: in fondo Alessandro era la
fonte dell’ira che l’aveva invaso solo fino a poche ore prima.
Eppure,
nonostante questo, quello che aveva chiesto mentre si rassegnava a
tornare di malavoglia a casa, era esattamente quello.
Trovarlo
lì in camera sua pronto a cominciare.
Quando
arrivò dietro di lui fece scivolare le mani sui suoi fianchi ed infine
sul davanti fino a stringerlo in quell’abbraccio pieno e vigoroso.
Aveva posato le labbra sulla sua spalla piegando lateralmente la testa
e si era messo in ascolto, in ascolto del suo respiro, dei suoi battiti
e del suo stato d’animo.
Fu
lì che sentì i silenziosi e trattenuti singhiozzi del suo compagno che
gli prendeva le mani intrecciando le dita con disperazione e bisogno.
Alessandro
finalmente piangeva e proprio fra quelle giuste e sincere lacrime
liberatorie versate per sé stesso, si udì la sua flebile voce:
-
Aiutami… -
Fu
solo un sussurro, a Gianluca bastò per capire che Alessandro era
finalmente pronto per affrontare le proprie paure e crescere con lui.