CAPITOLO
28:
VENDETTA
“Sono
solo secondi quelli che trascorrono da un momento all’altro, da una
reazione all’altra, da un battito all’altro, da un pensiero all’altro.
Secondi che decretano il livello di ira pericolosa, ira esplosiva, in
quello che dei due è più pericoloso.”
/
By the way – Red Hot Chili Peppers /
Non
era una gran bella giornata, quella. Decisamente prometteva male
considerando il periodo primaverile e le precedenti giornate di sole
che erano state quella settimana. Tuttavia quel giorno, forse perché
era sabato pomeriggio, il cielo era nuvoloso dal mattino e durante
quelle ore del dopo pranzo sembrava presentarsi già la sicurezza del
diluvio che di lì alla sera sarebbe arrivato.
Con
quel tempo non c’era mai molta voglia di uscire, né tanto meno fare
danni. Per lo meno questa era la considerazione di Gianluca mentre
uscito da scuola si dirigeva a casa a piedi, avendo dovuto
lasciare la bici a casa per le classiche e rognose gomme a terra.
Prendendosi
tutto il tempo necessario, il giovane che quel giorno non aveva impegni
né allenamenti, camminava con gran tranquillità per le vie che
percorreva da un sacco di anni. A dir la verità, però, la novità c’era
ed era rappresentata dal fatto che per la testa non aveva più una marea
di cose noiose, bensì una serie di pensieri e considerazioni rivolte ad
Alessandro. Quello i guai li aveva nel sangue ed il fatto di abitare
momentaneamente insieme alla propria famiglia di folli (ma non tutti lo
erano, suvvia…) aveva solo alimentato la sua voglia di combinarne
sempre una più del Diavolo!
Eppure
nonostante l’idea di prepararsi a bloccare di nuovo l’uragano
inarrestabile, sorrise. Ne fece uno lieve e molto controllato, quasi
impercettibile, ma ci fu e a lui per primo lo lasciò stranito.
Lui
e Ale stavano insieme da poco, tutto sommato, e i cambiamenti non
potevano certo essere così visibili… eppure lui, ogni volta che tornava
da scuola sapendo che presto l’avrebbe rivisto, sorrideva da solo quasi
con dolcezza.
Non
avrebbe mai immaginato che dopo tutto quello che c’era stato fra loro,
alla fine le cose sarebbero andate a quel modo. Un modo molto strano,
personale, forse. Diverso.
Una
sorta di rock dove non c’era certo la possibilità di annoiarsi o
addormentarsi. Nel loro rapporto era impossibile e presto avrebbero
capito quanto fosse vera quest’affermazione fatta alla leggera da
Gianluca.
Fu
però proprio a causa di queste considerazioni che non vide subito un
gruppetto noto avvicinarsi. Noto ma non conosciuto, non era nessuno dei
suoi ‘amici’. Nessuno di positivo, ad ogni modo.
Non
li notò proprio e quando lo fece se li trovò già intorno.
“Ma
che diavolo… “
Iniziò
un pensiero veloce che rimase sospeso. Se avesse avuto più tempo
avrebbe aggiunto una frase del tipo: ‘è una strada pubblica e
trafficata, in un buon quartiere per di più… come può pensare la gente
di infastidire gli altri in questo modo? Sono proprio seccanti! ’.
Ma
non l’ebbe, quindi poté solo lasciare la ragione da parte, come anche
l’aria di mal sopportazione verso chi non sapeva nemmeno mascherare le
proprie intenzioni, e agire.
Agire
non molto d’istinto ma comunque nemmeno ponderando troppo.
Fu
più che altro una sorta di riflesso incondizionato, un tutt’uno dal
momento in cui li aveva notati e aveva sentito una voce parlargli. Né
il nome, né un insulto. Quella voce che gli stava proprio dietro non
gli disse nulla di tutto questo, eppure il suo riflesso incondizionato
partì e come se una parte di Alessandro fosse già in lui, agì deciso
come avrebbe fatto quest’ultimo, alzando le braccia una davanti al viso
per parare un eventuale colpo e l’altra per prendere al volo il polso
dove il pugno chiuso si trovava già a pochi centimetri da lui.
Per
poco non lo colpì, per poco lo fermò, giusto in tempo per vedere che
erano in cinque sicuramente non più grandi di lui e che da qualche
parte li aveva già incontrati.
Poi
con un espressione apparentemente calma, più che altro di pietra, e i
capelli che istantaneamente gli ricadevano sul viso senza rimanere più
di lato a solleticargli il collo, continuò ad agire ma non più per
riflesso incondizionato bensì per decisioni schematiche precise e
dettagliate. In due parole si mosse con un senso compiuto accettando di
gran lunga la sfida fisica senza chiedere nessuna spiegazione in cambio.
Per
certe azioni idiote non c’erano motivazioni che reggessero… qualunque
cosa gli avessero detto per i pugni che cercavano di dargli, erano
sicuramente comunque degli imbecilli patentati, nulla di più. Quindi
perché sentire ragioni?
Non
sarebbero servite a nulla!
La
seconda mossa consistette nel bloccare un altro pugno e ricambiare nel
giro di un millesimo di secondo con una forza che non aveva nulla da
invidiare a dei ragazzi di strada quali erano i suoi avversari.
Seguirono
diversi altri colpi da parte di entrambi e nonostante lui fosse solo si
dimostrò subito un valido avversario molto veloce a schivare e
difendersi, diede parecchie difficoltà a loro che tentavano di metterlo
KO e quando Gianluca si rese conto che cercavano di metterlo contro il
muro che costeggiava la via per intrappolarlo, agì velocemente
cambiando posizione, mettendosi in modo più vantaggioso per lui.
Era
chiaro, non ce l’avrebbe fatta a lungo andare, quanto poteva resistere?
Mentre
concentrato si muoveva veloce evitando quanti più diretti riusciva,
cercò una soluzione veloce nella sua mente che ancora manteneva un
leggendario sangue freddo.
Scappare?
No,
non avrebbe mai fatto per lui, ovviamente. Eppure come scrollarseli di
dosso?
Arrivò
un pugno che lo colpì in pieno zigomo ad illuminarlo e a fargli
ricordare chi fossero.
“Sono
gli idioti di Ale! Ma tu guarda… se lo rivogliono indietro mi
si devono ingraziare, mica rivoltare contro! ”
Riprendendo
l’uso della propria ragione grazie all’urto non indifferente che il suo
viso aveva ricevuto, tornò a pensare rapido e quando riuscì di nuovo a
colpire sempre lo stesso di prima, ebbe la seconda illuminazione.
“Mi
concentro su uno, quello che voleva iniziare per primo a darmele… tanto
più che anche io ho già iniziato bene con lui… deve essere il capo
scimmia! ”
E
con questo pensiero decise di non perdere più tempo, avendo già
cancellato l’opzione vergognosa di scappare. Detto fatto iniziò
ferocemente con forza notevole a ridurlo fuori combattimento. Così,
senza pietà, proprio come avevano fatto loro, lasciando uscire una
piccola parte feroce di sé stesso, una parte che reprimeva sempre e
normalmente lasciava sfogare solo durante gli allenamenti.
Gianluca
non era mai stato gentile, nemmeno rispettoso, anzi… sia prima
dell’arrivo di Alessandro che dopo era sempre stato visto come il
classico ragazzo con la puzza sotto il naso che detestava ogni essere
vivente e trattava tutti come insetti. In effetti era tutto vero, ecco
perché prima dell’arrivo non solo del suo moroso ma anche di Trystin e
Daniel, si era sempre trovato solo e senza amici.
Ora,
semplicemente, lasciava uscire in altro modo quella profonda
inquietudine che lo caratterizzava da sempre. Quella stessa che non lo
faceva mai sorridere ogni volta che segnava.
Di
cosa diavolo si trattasse, ovviamente, nessuno ancora poteva dirlo,
anche perché era stato ben attento a non liberarla.
Quasi
contento. Doveva ammetterlo a sé stesso mentre ci andava giù duro con
quello sconosciuto era quasi contento di poter essere libero, di poter
cedere a qualunque istinto violento o meno che fosse. Quando ci
riusciva fino in fondo era sempre diverso, quel suo stato d’animo
distaccato e perennemente scontento, quasi lugubre, se ne andava
lasciando posto ad un ragazzo violento, pericoloso e vendicativo… uno
che di emozioni, comunque, ne provava fin troppe.
Chi
era Gianluca? Per rispondere a quella domanda avrebbe dovuto aspettare
ancora un po’.
Quando
si resero conto di averlo sottovalutato e che quel tipo non era pane
per i loro denti, ormai il loro adorato ‘capo’ era ridotto decisamente
male e col volto sanguinante e tumefatto chiese di smetterla. Lo chiese
e quando lo disse tutti si fermarono sconvolti quasi non capendo cosa
fosse successo, quasi convinti di aver sentito male.
Rimasero
di stucco per un attimo senza muoversi a guardare il giovane a terra
che si teneva il volto dolorante. Era stato tutto così veloce, quando
era riuscito a ridurlo così? Spostando lo sguardo da uno all’altro si
chiesero se per caso non avessero sbagliato persona.
-
Sei Gianluca, vero? – Dissero quelli ancora in piedi che ancora non si
capacitavano della potenza e della velocità che doveva aver avuto per
vincere in così poco tempo il loro capo.
Il
biondo abbassando le braccia ma mantenendo i pugni stretti ed i muscoli
tesi per riprendere il round se necessario, lasciando le ciocche sul
davanti più lunghe di quelle di dietro che gli coprivano gli occhi
verdi, due fessure di gelo, rispose laconico:
-
Si. –
-
Dì ad Alessandro che non finisce così. –
Fu
tutto qua quello che riuscirono a dire, non trovarono nulla di meglio e
quando se ne andarono reggendo il loro compagno, Gianluca non aveva
ancora detto nulla, né si era mosso per massaggiarsi le parti lese del
proprio viso. Era da molto che non faceva a pugni però l’adrenalina,
quella sensazione di forza ed eccitazione… quello non era
dimenticabile!
Sputò
a terra con disprezzo sospirando profondamente, cercando di togliersi
quella parte feroce e violenta che l’aveva fatto uscire vincente da uno
scontro inatteso.
Buono
o cattivo ce l’aveva fatta ed ora poteva tornare a ciò che contava e
che lo faceva sentire meglio: Alessandro.
Tuttavia
la vera illuminazione arrivò solo dopo tutto quello. La risposta alla
domanda che da molto si poneva, ciò che veramente gli premeva capire:
“Cazzo,
ecco cosa c’è… possibile che non me ne sono mai accorto? Sono così
attratto da Ale perché lui non ha catene, lui è tutto ciò che io mi
impedisco di essere. Lui è violento quanto vuole ed anche spietato, io
no e non perché non oso esserlo ma perché non ci riesco. Non so perché
ma dentro di me ho quella parte terribile e non riesco a farla uscire,
a liberarla, a viverla alla luce del giorno. La tengo incatenata dentro
di me mentre lui invece la lascia e non se ne vergogna, anzi,
l’accentua e l’esagera andandone fiero. Preferisce fare la carogna
sotto la luce del sole. Lui è così diverso da me anche se entrambi,
dentro, siamo perfettamente identici.
Ecco
perché ho perso la testa per lui…”
/
Voice of soul - Death /
Furono
le prime gocce dell’annunciato acquazzone che misero in allarme
Samantah facendola correre a rotta di collo per le vie del quartiere,
nella speranza di arrivare a casa con le mutande ancora asciutte… non
sperava certo nel resto, ma almeno quelle sì. Non che le dispiacesse
camminare sotto la pioggia, più che altro il discorso era un altro: una
doccia al giorno le bastava e quella mattina la sua se l’era fatta!
-
Cazzo cazzo cazzo! – Imprecava la fine ragazza. – Ma perché
la mamma non doveva voler cucinare proprio oggi? Se l’avesse fatto e
non mi avesse mandato a prendere il pranzo dai cinesi non l’avrei
beccata! Porca merda! E scema pure io che con
questo tempaccio guardo il cielo che promette tempesta e mi dico che
per due passi che devo fare non pioverà! Certo, solo per
me! Che idiota! Io ed il tempo!
UFFA! –
Continuò
poi con una serie di ‘uffa’ ripetuti in modo molto seccato. Era
abitudine sua parlare da sola ad alta voce, fosse pure per strada, le
faceva compagnia, lei odiava il silenzio.
Ecco
perché fra una cosa e l’altra non notò il gruppetto di cinque teppisti,
quattro se si tralasciava quello mal ridotto, che incrociò proprio nel
momento in cui fra i suoi deliri pronunciava esattamente queste parole:
-
Non poteva telefonare a Gianluca o Alessandro chiedendo a loro di
ritirare il cibo per asporto, visto che erano già fuori? –
Ci
misero poco, loro, provenienti proprio dal pestaggio con tale Gianluca
per colpa di Alessandro, a fare ogni collegamento e capire di chi si
trattasse.
Era
una che aveva molto a che fare con quei due dannati e se fino ad un’ora
prima l’unico su cui volevano vendicarsi per essere stati mollati a
quel modo, era Alessandro, ora nella lista nera v’era anche Gianluca,
ovviamente. Qualunque rapporto i due avessero. Anzi, i tre contando
anche la sconosciuta mora che correva cercando di bagnarsi il meno
possibile.
Si
fermarono di colpo guardandosi, fu veramente solo un istante brevissimo
ma bastò, sembrò proprio che si leggessero nelle menti vista l’identica
idea che ebbero. Fu quello ridotto peggio che lo disse, lo realizzò a
voce con disprezzo e odio mentre tutto dolorante e con occhi allucinati
per qualche astinenza imminente, sembrava mangiarsi Samantah che aveva
quasi girato l’angolo.
-
Prendetela. –
Solo
questo. Un sibilo simile al verso di un serpente e gli altri quattro
sgusciarono compiaciuti di averci azzeccato e di avere un sicuro
divertimento da proporre agli altri amici rimasti nella loro tana.
Quale
sentimento negativo poteva portare delle persone ad agire in modo così
esagerato e crudele? Così pericoloso e inumano?
Di
cosa poteva trattarsi?
Dopo
tutto esisteva veramente qualcosa che potesse giustificare un’azione
tanto ignobile e meschina?
Sicuramente
no anche se agli occhi di quei giovani criminali sì. Ai loro occhi
l’umiliazione ripetuta portata dall’essere impunemente usati senza
ritegno, poteva giustificare ampiamente quel gesto carogna.
D’altronde
non era per lei, di lei non gliene importava nulla… era solo la persona
giusta capitata nel posto giusto al momento giusto. Dal loro punto di
vista fu così.
Quel
che veramente contava era ciò che rappresentava: una merce di scambio
per le loro vendette. Lei in cambio della restituzione del dovuto.
Nessuno
poteva trattarli a quel modo, così come erano stati trattati loro da
Alessandro, era veramente troppo tempo che quel ragazzo faceva i propri
comodi con loro credendosi migliore. Troppo.
Bisognava
insegnare anche a stare al proprio posto: o con loro o da nessuna
parte. Poiché se fosse stato semplicemente con altri l’onta sarebbe
stata più grande e l’umiliazione inaccettabile.
Loro,
in fondo, erano sempre stati considerati il gruppo più pericoloso del
basso quartiere, non v’era nessun ragazzino delinquente che da sempre
non sognasse di entrare nel loro giro, nessuno. Quando Alessandro era
stato ‘ingaggiato’ anni addietro dopo vari tira e molla ed aver fatto
il prezioso, era venuto ed era anche stato ben contento di aver
qualcuno di degno con cui divertirsi. Perché loro erano il meglio per
il divertimento, quello vero, s’intendeva.
Ora
che aveva deciso di uscirne convinto da quell’altro riccone snob di
merda, non poteva passarla liscia, assolutamente. Avrebbe subito la
giusta punizione per il suo comportamento sconsiderato.
Sbagliando
si impara ma se nessuno dà la lezione giusta non si impara proprio
niente.
Gli
avrebbero fatto solo un favore, in fondo.
-
Non si sputa nel piatto dove si mangia. –
Mormorò
infatti lo stesso che aveva dato l’ordine. Lo disse con un tale veleno
nello sguardo e nella voce da far accapponare la pelle.
Samantah,
dal canto suo, presa com’era dallo sbrigarsi e dal parlare da sola per
lamentarsi, non sentì proprio i quattro correrle dietro svelti, li
sentì solo quando spingendola con forza la fecero cadere a terra.
Percepì chiara la loro presenza intorno mentre ridacchiando la
guardarono sussultare e stupita mormorare:
-
Ehi! Ma che diavolo… -
Ma
la voce le morì in gola quando massaggiandosi le ginocchia contuse e le
mani escoriate per l’impatto, vide che erano in quattro e che la loro
intenzione corrispondeva perfettamente ai fatti. Non l’avevano fatto
per sbaglio, era tutto voluto.
Tutto.
Sì,
ma quel tutto cosa comprendeva?
Con
orrore vide i loro sguardi e ciò che facevano con le mani intenzionati
a picchiarla, così capì:
“Opporca…
ma perché, che ho fatto?”
Fece
in tempo a pensare solo questo, poi il terrore improvviso per aver
capito le cattive idee la paralizzò completamente facendola diventare
gelatina.
Si
dice che in momenti simili se non si urla e non si lotta nemmeno un po’
è da stupidi. Si guardano i film dove le protagoniste vengono
sottoposte a trattamenti simili ed inermi si lasciano fare
piagnucolando e da casa le si insulta deridendole, dicendo che al posto
suo si combatterebbe almeno un po’.
Poi
però ti ci trovi dentro e capisci cos’è che paralizza e pietrifica
letteralmente mente, corpo e sensi.
Cosa
impedisce anche di pensare o di provare qualsiasi cosa.
Arriva
un fattore inaspettato, un fattore non considerato, un fattore che però
quando arriva porta solo guai, mai nulla di buono.
Arriva
la paura.
La
paura deleteria e nemica degli umani, la paura che blocca ogni funzione
utile e lascia urlare solo un'unica parte di sé stessi.
L’anima.
L’anima
che grida aiuto a qualcuno là fuori, grida ma senza successo poiché non
ha voce, ha solo sentimenti. Tutto quel che ottiene sono nuove
incontrollate e gigantesche paure.
Paure
perché sei solo una stupida persona indifesa che non potrai nulla per
uscirne illesa, che non te la caverai con qualche parolaccia, che non
arriverà nessun eroe a giocarsi la propria faccia al posto tuo, che sei
fregata.
Proprio
fregata.
E
che sei seriamente nei guai, di quelli tosti.
Samantah
fece appena in tempo a guardarsi intorno speranzosa di trovare
qualcuno, anche solo un bambino che potesse chiedere aiuto, cercò ma la
cupola che le avevano fatto intorno le impedì di vedere bene e quando
l’alzarono di peso da terra non notò nemmeno il fango che già la
ricopriva e che la pioggia le appiccicava i capelli neri sul viso
impietrito dal terrore.
Lei
non era una teppista, né una che se le cercava o attaccava briga. Era
una ragazza allegra e solare normalissima e comune che sapeva quando
poteva osare e quando no. La definizione più giusta per lei era buona.
Una simpaticissima ragazza buona tontolona ed ingenua, eterna ottimista
e maschiaccia abbastanza spesso ma mai pericolosa o provocatrice. Mai.
Anzi, timida in certe situazioni, se si voleva dirla tutta.
-
Che cosa volete? – Chiese con un filo di voce tremante.
Poté
chiedere solo quello, però, poiché proprio con il nome di colui che
volevano le diedero il colpo di grazia con un pugno ben piazzato alla
bocca dello stomaco, qualcosa che le fece mancare il fiato i minuti
necessari per farle vedere presto tutto scuro ed avere le vertigini
svenendo senza forze sorretta da loro.
Il
buio l’avvolse e mentre vi cadeva dentro cominciando lentamente a non
sentire più dolore da nessuna parte, né freddo, né bagnato, né paura,
si chiese solo una cosa:
“Che
cavolo c’entra Alessandro, ora?”
/
Undress me – Anggun /
-
Ehi Gian, che hai fatto alla faccia? Hanno finalmente avuto il coraggio
di trattarti come meriti? –
La
voce squillante e allegra di Alessandro presentava come al solito un
fondo di divertita ironia ed un pizzico di cattiveria, esattamente a
rispecchiare la sua personalità.
-
Sì. –
Per
contro anche quella monocorde e lugubre di Gianluca lo rappresentava
perfettamente!
Giunti
a casa a poca distanza di tempo l’uno dall’altro, i due si guardarono
notando i vari lividi sui rispettivi visi dalle bellezze diverse. Certo
però che se per Alessandro era normale vederlo con qualche occhio nero,
per Gianluca assolutamente no.
Il
primo era un attaccabrighe di natura detestato dal 99 % del mondo,
Gianluca invece, lupo solitario cronico, incuteva un timore così
profondo a chiunque che, nonostante non andasse a genio a molti,
nessuno osava toccarlo.
Ecco
perché al ritorno da scuola uno di solito aveva sempre dei brutti segni
mentre l’altro no.
Fu
stupore quel che provò Alessandro vedendo il proprio ragazzo con lo
zigomo gonfio e seguendolo come una zecca fino alla camera dove iniziò
a cambiarsi, chiese incuriosito:
-
Chi è stato il coraggioso? –
Voleva
veramente sapere chi aveva smesso di amare la vita!
Gianluca
non dando per nulla importanza all’evento rispose mentre si toglieva la
maglia chiara sporca di sangue non suo.
-
Alcuni dei tuoi vecchi amici… quelli che erano con te l’altro giorno. –
Lo
disse marcando solo sulla parola ‘vecchi amici’, come ad intendere che
il resto non contava e che ormai quelli erano del passato,
vermiciattoli non degni di nessuna attenzione e soprattutto di lui che
faceva parte dei ‘nuovi amici’.
Il
ragazzo dai capelli mossi che quel giorno gli stavano meno assurdamente
del solito grazie al fatto che il giorno prima si era dato una
spuntatina dal parrucchiere facendoseli pettinare con ordine, si passò
una mano fra gli stessi portandoli all’indietro, alcuni ciuffi
ricaddero di lato al viso e poi sulla fronte mentre altri rimasero
indietro fino a sfiorare il collo. Gli venne difficile digerire la
notizia e cercò di metterci il meno tempo possibile.
D’impulso
sarebbe andato a cercarli per ‘gonfiarli di botte’, ma poi ragionandoci
e vedendolo così tranquillo capì che se l’era già cavata bene da solo.
Non
poteva che essere così, Gianluca era uno che sapeva combattere ed anche
piuttosto bene.
Infine
tralasciando il torso nudo del moroso che fu subito ricoperto da
un’attillata maglia nera a collo alto, vide le sue mani, aveva le
nocche tutte rosse ed un sorrisino malizioso comparve calmandolo
completamente:
- A
giudicare dalle tue mani direi che non serve cercarli per metterli al
loro posto… -
Anche
se un po’ ci aveva sperato. In fondo avrebbe dovuto immaginarlo che
dopo tutto quello che era successo finissero per vendicarsi.
-
Già. – La sola risposta laconica del biondo dai capelli completamente
lisci e di nuovo in ordine, giunse a staccarlo del tutto dal desiderio
di torturarli fino a farli piangere. Per quella volta potevano ancora
vivere, si sarebbe occupato di loro solo alla prossima occasione.
“Spero
proprio che me ne daranno il pretesto! ”
Pensò
fra sé e sé lasciandosi stampato sulle belle labbra ben disegnate, un
sorrisino preoccupante di sadismo.
-
Non serve che tu intervenga, non devi diventare per forza un
assassino! –
Intervenne
infatti subito Gianluca andando nel bagno adiacente alla camera e
lavandosi le mani ancora sporche. Com’era facile leggere nella mente di
quell’esaltato teppista!
L’esaltato
teppista in questione lo seguì facendo una faccia da finto angelo e
abbracciandolo da dietro col suo solito modo ruffiano, rispose:
-
Ma tu verresti a trovarmi in riformatorio, no? Mi porteresti le arance…
-
Il
compagno, una volta asciugatosi con un espressione di mal
sopportazione, fece cadere le braccia lungo i fianchi in attesa di
essere mollato, mettendo in piedi un simpatico siparietto dove
l’esuberante ragazzo che abbracciava l’amato veniva ignorato da questo
ed anzi disapprovato con un tetro: - Hai finito? –
A
quella reazione fredda Ale rispose con esagerato dispiacere stringendo
di più la presa su Gian che decisamente cominciava a non poterne più.
-
No, devi baciarmi! –
-
Ma se sono stato io a prenderle al posto tuo, sei tu che devi baciare
me e chiedermi scusa, idiota! – Rispose subito seccato e con
disprezzo, era ovvio che in realtà non la pensasse così, sperava solo
che servisse a liberarsi da quella piovra. Il biondino era decisamente
un tipo scostante e poco incline a quelle manifestazioni d’affetto.
-
Oh… - Cominciò l’altro illuminandosi sorpreso: - Bastava
dirlo! – E concludendo così se lo rigirò alla velocità della
luce con una notevole abilità, prendendogli il viso fra le mani e
mettendogli subito la bocca sulla sua.
Il
bacio che ne conseguì fu forzato poiché non cercato da Gianluca,
tuttavia dopo un po’ di giochi esperti con la lingua sulle sue labbra,
questo cedette schiudendole e andandogli incontro approfondendo il
tutto.
Fu
comunque una lotta troppo breve per essere assaporata, questo a causa
del cellulare di Gianluca che si mise a squillare. L’intenzione di non
rispondere ci fu ma poi vinse il buon senso e allontanando il moroso
con crudeltà, fece il suo dovere.
-
Pronto? –
-
Gian… sono Sam… - La voce della sorella tremava e capendo subito che
piangeva ed era terrorizzata, si drizzò subito guardando corrucciato il
pavimento, cercando forse di leggere nelle piastrelle cosa le stesse
succedendo.
-
Che c’è? – Chiese con un interesse vivo e preoccupato nella voce.
Questo fece drizzare subito le antenne anche ad Ale che smise di fare
il bambino offeso rivolgendogli la sua attenzione.
-
Mi hanno preso… vogliono Ale… niente polizia… lui sa che… - Faceva
fatica a parlare e si interruppe per alcuni secondi in più cercando di
controllarsi mentre seguiva le istruzioni di qualcuno che certamente la
controllava. Gianluca si sentì come pietrificare e mentre attendeva il
seguito della frase non osò dire o fare esattamente nulla.
Nemmeno
a pensare.
-
Ale sa che se mette in mezzo la polizia finisce male lui stesso. Sa
anche dove sono… - Una nuova interruzione per un singhiozzo,
probabilmente si stava mordendo il labbro e il desiderio di piangere
liberamente e chiedergli solo aiuto arrivò grande in lei, eppure no.
Doveva trattenersi. Doveva. Gianluca che l’ascoltava con attenzione
maniacale mentre il cuore cominciava ad andargli veloce, lo capì. Come
anche Alessandro stesso capì dalla sua espressione che stava succedendo
qualcosa di brutto, molto brutto.
-
Gian, aiutami… - Ma alla fine, senza riuscire a trattenersi, lo disse e
la conseguenza fu inevitabile. Il suono di uno schiaffo, un insulto
pesante da una voce maschile e la comunicazione interrotta.
Secondi.
Sono
solo secondi quelli che trascorrono da un momento all’altro, da una
reazione all’altra, da un battito all’altro, da un pensiero all’altro.
Secondi che decretano il livello di ira pericolosa, ira esplosiva, in
quello che dei due è più pericoloso.
Gianluca
ci mise quindi alcuni secondi a ritrovare sé stesso ed un briciolo di
sensatezza che gli permettesse di agire, fare qualcosa e non star fermo
senza respiro e col cuore che pompava a mille il sangue nelle sue vene.
Già
stava per esplodere.
-
Quelli hanno preso Sam. Dicono che tu non puoi chiamare la polizia
perché finiresti male anche tu e che sai dove sono. – Anche lui lasciò
la frase sospesa per un istante, lo fece prendendo un sospiro a pieni
polmoni e alzando finalmente gli occhi, due lame verdi affilate e
feroci, penetrò quelli increduli del proprio ragazzo.
-
Ale, vogliono te. –
Basso
e penetrante, una frase detta in un modo che fece accapponare la pelle
all’interlocutore, assurdamente. Gli successe e quando lesse nel suo
sguardo ciò che avrebbe fatto uscire di lì a momenti, nemmeno un senso
di colpa fu sufficiente a trattenere quella preoccupazione.
“Come
diavolo lo fermo, ora?”
Solo
in un secondo momento quando realizzò che la sua vecchia banda era
numerosa e pericolosa e che loro stavano coinvolgendo solo Trystin,
Daniel e Marek, capì che quello che doveva fare non era fermarlo, bensì
lasciarlo andare, lasciare che liberasse ogni parte nascosta e
pericolosa di sé stesso.
O
non ce l’avrebbero fatta.