CAPITOLO 29:
UCCIDERE

alegian
sammarek
trysdany
 
“In entrambi quei due c’è molto più di quanto non sembri e non mostrino.”
 
 
/ Ayo Technology 50 Cent&Timberlake&Timbaland /
Quando il suono del telefono cellulare giunse ad interrompere i suoi studi, Marek si trovò ad alzare spazientito gli occhi blu al soffitto. Era vero che non doveva dare alcun esame e che in realtà non seguiva nessuna università e al contrario lavorava, ma se nel tempo libero, quel poco che aveva, voleva studiare, non poteva certo avere tutti gli impedimenti del mondo!
Il moro prese l’aggeggio squillante in mano guardandolo come se fosse un nemico, dopo un po’ che ancora non smetteva si rassegnò e rispose. Non aveva quel numero e non sapeva chi fosse ma se non cedevano poteva essere importante.
- Pronto? – Disse con voce apparentemente calma ma nemmeno molto amichevole.
- Sei Marek? – Una voce familiare gli parlò dall’altro capo della linea telefonica e drizzandosi a sedere istantaneamente fece un’espressione di maniacale attenzione, guardando davanti a sé come se il ragazzo che parlava con lui fosse proprio lì.
- Gianluca?! 
- Si. Si tratta di Sam. Ho bisogno di te. – Fu telegrafico, non spiegò subito di cosa si trattasse ma a parlare per lui, per una volta, fu il tono: non più distaccato e superbo ma bensì teso, come se fosse sul filo del rasoio ed a stento mantenesse lucidità e sangue freddo. Lo capì subito che doveva trattarsi di qualcosa di veramente molto importante e di scatto si alzò in piedi come una molla. Mantenne la mano a mezz’aria mentre l’altra reggeva il piccolo apparecchio all’orecchio. Una gocciolina di sudore gli percorse il lato del viso concentrato e preoccupato.
- Cosa le è successo? –
A quel punto, probabilmente, avrebbe dovuto e potuto fare tante cose, Gianluca, per comunicare una notizia del genere proprio a lui. Molte, ma optò solo per la più diretta e utile.
- E’ stata rapita da vecchie conoscenze di Ale. Non possiamo rivolgerci alla polizia o finisce nei guai anche lui. Ho bisogno di qualcuno che darebbe la vita pur di aiutarla, che non si tiri indietro. Uno con le palle. O ci sei o no. –
Detta così su due piedi parve la cosa più idiota del mondo, anche banale effettivamente. Ma così su due piedi non si poté certo considerare la vita di Alessandro e tutte le cose che l’avevano spinto a fare le cose poco legali che aveva fatto. Su due piedi si poté solo capire che c’era bisogno di aiuto per una persona importantissima.
E così, su due piedi, Marek rispose freddo e secco:
- Si. Arrivo subito. –
Da una parte la sua mente cominciò ad elencargli le varie motivazioni per cui agire da soli era una grandissima stupidaggine, dall’altra però si rivide la sua pseudo ragazza, l’unica che si avvicinava tanto a quella carica, e la ragione spariva del tutto.
Non si poteva pretendere di pensare a ciò che era più giusto in una situazione del genere. Provi ad immaginarti tante volte cosa faresti tu in momenti simili, ma poi ti ci trovi e la mente si getta nel vuoto mentre un vortice ti ripete le parole sentite, la notizia udita e il viso di quella persona non smette di tormentarti.
Lei ed il suo viso.
E non ce la fai a capire perché è stupido andare a farsi giustizia da solo, perché una rissa fra ragazzi dovrebbe essere così seria da spingere a rapire qualcuno, perché la polizia complicherebbe tutto.
Non si capisce nemmeno perché è capitato a te, a lei o a chi per esso.
Non si capisce esattamente nulla, solo che il cuore comincia a farsi sentire come non pensavi fosse possibile e la risposta alla tua domanda:
‘Sono capace di amare?’
Finalmente non sarà più ‘no’, ma ‘si’.
Sì, per lei.
Lo sai mentre corri come un folle con la macchina arrivando alla villa di quello che ti ha avvertito, lo sai anche se non capisci nulla e non sei in te.
Quando Marek giunse a casa di Gianluca, lui ed Alessandro erano fuori e in sua contemporanea arrivarono anche Trystin e Daniel, sempre seri, sempre senza dire nulla, sempre risoluti. Sempre come se l’avessero fatto un sacco di volte e non avessero problemi a fare quello che avrebbero fatto.
Quando tutti e cinque si trovarono lì, l’uno davanti all’altro con le rispettive espressioni simili ma diverse, fu Gianluca inizialmente a dire solo una cosa prima di lasciare la parola al vero esperto in quelle situazioni.
- Grazie per essere venuti. Quando tutto questo sarà finito avrete delle spiegazioni più esaurienti riguardo tutto ciò. Per ora vi chiedo solo di esserci e aiutarmi. –
Fu comunque strano sentire quelle parole che non erano da lui e per un attimo i brividi percorsero tutti mentre fissavano i suoi occhi verdi assottigliati. Notarono i lividi nonostante i capelli biondi che ricadevano morbidi ai lati.
Poi parlò Alessandro alzando una mano in mezzo a loro, costui si era tirato i capelli all’indietro per avere più comodità nei movimenti ma presto sarebbero ricaduti ribelli sul volto concentrato. Anche lui, con quei modi risoluti e secchi, fece capire quanto seria fosse la questione.
- Allora, voglio che state tutti tranquilli, innanzitutto. Si tratterà solo di una semplice rissa, perché loro sono dei codardi. Li conosco e so che erano partiti solo con quella di vendicarsi del mio abbandono picchiando quello che secondo loro era la causa. Gianluca. Ma è andata male perché ha reagito e così le cose gli sono sfuggite di mano. Hanno subito un'altra umiliazione che unita a quelle che gli ho inferto io, li ha trasformati per un millesimo di secondo in idioti!  Ora sanno cosa succederà e sono pronti, nel solito posto, ad una rissa. Ed è quello che succederà. Solo una rissa, nulla di più. Non c’è da preoccuparsi. Potete comunque andarci giù pesanti perché tanto sono delle fecce e non mancheranno a nessuno. Ma voglio che nessuno abbia paura. Non serve. Quella deve stare a casa. –
La visione che diede il giovane biondo ribelle della loro ‘missione’ fu molto chiara e anche semplice, dal suo punto di vista.
In fondo sia lui che Daniel che Trystin l’avevano fatto molte volte, picchiarsi per svariati motivi dovuti al crescere per strada. Gianluca aveva dato prova di cavarsela più che bene e Marek… bè, lui rappresentava la vera incognita ma del resto non avrebbero potuto tenerlo fuori.
Marek serviva dopo, a ‘curare’ Samantah.
Ci fu quindi un altro attimo di silenzio in cui tutti ponderarono sulle sue parole, guardando anche lui con altri occhi, come lo vedessero veramente per la prima volta. Come se effettivamente, per assurdo, il suo auto proclamarsi capo banda non fosse un’assurdità così clamorosa.
Il primo a parlare fu Daniel e lo fece anche per il suo compagno.
- Figurati. Non sei mica l’unico ad aver fatto queste cose dalla nascita!  – Era fin troppo ovvio e lo disse legandosi una bandana scura sulla testa per impedire al sudore di andargli sugli occhi. Gianluca non ebbe bisogno di parlare e Marek, alla fine, disse anche lui la sua con una freddezza spaventosa.
- Allora andiamo. –
Come se altre raccomandazioni fossero solo una perdita di tempo.
Il sorriso più simile ad un ghigno di chi stava andando a divertirsi, si dipinse nonostante tutto nel bel viso selvatico di Alessandro mentre fece per muoversi e precederli nella giusta direzione:
- Quando stasera festeggeremo, vi porgerò le mie scuse per tutto questo casino! 
Lasciandoli in realtà solo più contenti di essere suoi amici e non nemici.
Aveva carisma da vendere.
Con lui nel gruppo veramente che serviva avere paura?
Di cosa?
Guardandolo sembrava tutto un gioco dove mai rischi potevano corrersi. Si arrivava veramente a convincersi che sarebbe andato sempre tutto bene.
Ma sarebbe stato vero?
 
/ Breaking the habit – Linkin Park /
Il rifugio era un vecchio magazzino situato proprio nel vecchio quartiere di Alessandro, posto ben conosciuto da quest’ultimo.
Giunti davanti a quello che teoricamente era l’ingresso ed ai fatti solo un portone mezzo cadente ma ancora chiuso, quello che si era auto proclamato capo disse fissando le porte come se fossero delle belle donne nude:
- Ragazzi, ci siamo. Sono qui dietro. Quando aprirò queste porte si apriranno le danze, non voglio che nessuno tiri il culo indietro o potete andarvene subito. –
Erano discorsi che era abituato a fare ma il fatto di dirli ad altre persone con cui fino a quel momento non aveva fatto altro che giocare a basket, lo fece sentire strano ma gli piacque.
Si sentì come evoluto, in un certo senso.
Al silenzio eloquente accentuò il sorriso e con un calcio deciso spalancò il portone rivelando un ampio spazio dove un certo numero di ragazzi stavano sparsi ad aspettarli, pronti al confronto.
Alessandro era ben consapevole che si trattava di una sorta di resa dei conti, come se con quella rissa avesse la possibilità di liquidare per sempre il suo brutto passato e cambiare realmente. In un certo senso si sentiva addirittura contento per poterlo fare, se ne rese conto mentre li guardava ghignando pericoloso. Quella gente la conosceva bene e sapeva quanto temesse quel sorrisetto e quegli occhi da diavolo.
Lo sguardo di chi non ha freni ed è capace di far di tutto, se gli gira.
Di tutto.
Fu lui il primo a farsi avanti salutando a modo suo, facendo come al solito il portavoce:
- Buonasera! Spero di non avervi fatto attendere troppo, avevo degli impegni con questi nuovi amici! Sono venuto a presentarveli. Sono molto impazienti di conoscere il mio vecchio e orrido passato… vogliono contribuire con me a darci un calcio e seppellirlo definitivamente. –
Mosse alcuni passi nel covo dei rivali seguito dai cauti ragazzi che si guardavano intorno per osservare ogni dettaglio di quel posto e costatare come effettivamente ne sarebbero usciti. Non erano un numero impressionante e l’aria che avevano non era nemmeno sveglia grazie alle sostanze che sicuramente avevano preso per ‘caricarsi’.
Uno di quelli si fece a sua volta avanti ed una volta di fronte ad Alessandro, rispose al suo stesso modo:
- Ciao Ale. Il tuo vecchio e orrido passato ha qualcosa da dirti prima di farsi seppellire… -
Non gli fece effetto ed anzi aggiunse nel medesimo tono di prima, mantenendo le mani sprofondate nelle tasche dei jeans ed una sigaretta fra le labbra:
- Oh, dimenticavo… avete qualcosa che ci appartiene. –
Il ragazzo sembrava sapere perfettamente di cosa parlasse, non era stupito delle sue parole, come se se le aspettasse dal principio.
- Vedo che continui a pensare alle persone come a degli oggetti… non è forse di una ragazza che stai parlando? –
Gianluca non fece nulla, veramente non mosse nemmeno un muscolo, eppure quando Alessandro alzò un braccio in sua direzione come per bloccarlo e non farlo scattare, egli aveva appena avuto un pensiero cristallino e semplice:
“L’ammazzo! ”
Rimase quindi stupito a vedere come l’aveva sentito nonostante non avesse fatto nulla e l’assecondò rimanendo al suo fianco, aspettando il momento adatto per iniziare.
- Dateci la fanciulla e ce ne andiamo senza ripercussioni per voi. –
Non che fosse una frase da lui, ma probabilmente era così calato nella parte (di qualunque parte si trattasse…) che perfino il suo linguaggio subì cambiamenti sorprendenti.
L’istinto del gatto e del felino in generale l’aveva sempre avuto, come anche quello del capo, ma alcuni lati rimanevano tuttavia una sorpresa quando li tirava fuori.
Questo lo compresero Trystin e Daniel, poiché gli altri due erano onestamente troppo presi da altro per costatare certi dettagli su colui che conduceva i giochi con tanta strafottenza e sicurezza.
- Ripercussioni? – iniziò l’altro stupito: - Sai, Ale, noi siamo solo dei semplici pezzenti senza istruzione… non dovresti usare questi paroloni… ora per colpa tua noi non capiamo di cosa parli e quindi inizieremo a fare ciò per cui abbiamo preso la ragazza. –
Appena concluso chiuse il pugno ed alzandolo con l’intenzione di colpirlo a sorpresa, si dovette ricredere sentendosi sbalzare all’indietro da un diretto in pieno stomaco proprio del biondo che aveva davanti. L’aveva previsto e preceduto come un lampo.
Alessandro piegato in avanti si raddrizzò dopo aver tirato il pugno e muovendo la sigaretta con la lingua da una parte all’altra delle labbra, ghignò di nuovo:
- Ok, ti do una lezione gratis: dicasi ripercussioni… queste! 
Per poi allargare le braccia verso i suoi compagni lì accanto in attesa di poter iniziare a loro volta. La luce nei loro occhi era pericolosa, da non sottovalutare.
Fu un istante in cui era come udibile una canzone che partiva lenta, note sulla chitarra che veloci e sottili portavano il presagio di ciò che stava per succedere.
Lì tutti ebbero una chiara visione di quel che sarebbe stato.
Poi accadde, la musica esplose e le danze iniziarono.
I primi ad andare addosso furono i rivali che avevano visto il proprio capo atterrato con tanta facilità, gli altri semplicemente risposero.
In un attimo quel che si scatenò fu più paragonabile ad un inferno che ad altro, ciò che fu più pazzesco però era lo stato d’animo di Alessandro in cui la gioia divampava con incoscienza.
Gioia per star finalmente restituendo il dovuto a gente che invece di aiutarlo come sosteneva di aver fatto, aveva contribuito alla sua disfatta cancellandogli l’innocenza dell’infanzia, facendogli rubare, sbagliare e bruciare ogni cosa in ogni senso possibile.
Un pugno ben assestato proprio sotto il mento fece svenire il secondo ragazzo. Non si soffermò nemmeno un minuto in più, giusto il millesimo di secondo necessario a sputargli addosso con disprezzo per poi girarsi di nuovo e svelto cominciare con un altro senza riserve, come se le sue pile non si scaricassero mai, come se non facesse altro dalla mattina alla sera e il suo sport non fosse basket ma pugilato.
Dovettero attaccarlo in due per riuscire a colpirlo in viso, non era comunque un asso in difesa ma parve non sentire tutto quel dolore che gli altri sperarono di dargli. Il sapore del sangue gli invase la bocca e inghiottendo accentuò il suo sorriso delle migliori occasioni, diede una testata ad uno e contemporaneamente un calcio all’altro, liquidandoli insieme. Questa volta lo sputo che ricevettero era rosso, ovviamente…
Non sembrava affaticarsi affatto e mentre con lo sguardo cercava quello che era diventato il capo banda, colui che aveva sistemato all’inizio, continuava il suo hobby con un certo sadismo addosso.
Senza trovarlo, consapevole che non era stato messo al tappeto per solo quel colpo, si assicurò che anche gli altri andassero bene senza dar problemi; compiaciuto ne ebbe conferma.
Con una scarica di offese in inglese che pochi capirono, Daniel fece l’ennesimo salto in rovesciata colpendo molto forte ed in pieno viso ben due che tentavano di sopraffare per dietro il suo amato Trystin. Era ovvio che nessuno sarebbe mai riuscito nemmeno a sfiorare il suo innamorato… al contrario di sé stesso!
Appena rimessosi in piedi ed ancora piegato in avanti per riprendere l’equilibrio, non ebbe il tempo di vedere una ginocchiata colpirlo in pieno occhio. Solo lo sentì e ritrovandosi di nuovo dritto come una sorta di contraccolpo ma con l’occhio chiuso dolorante, riprese a sputare la barca di insulti incomprensibili tornando all’attacco.
Trystin lo vide e scosse il capo pensando che in fondo era sempre il solito. Non aveva preso troppo sul serio quello scontro, anche se erano in tanti a darsele di santa ragione, per lui rimaneva più un gioco che altro. Lo capì da come pensava solo a parare i colpi diretti a lui. Come faceva a spiegargli che sapeva difendersi bene e che anche se riceveva qualche livido non era poi troppo terribile?
Ciò che però sorprendeva era come Trystin riuscisse a pensare tranquillamente a queste cose e afferrare il polso di chi cercava di arrivare al suo viso e ricambiare subito con potenza e precisione nel punto migliore. Decisamente non era lui quello che aveva bisogno di aiuto, tutti quelli che cercavano di andargli contro cadevano come mosche nel giro di un istante senza nemmeno troppo sforzo!
Anche per Daniel, molto simile ad Alessandro, valeva il discorso del: sembra non abbia fatto altro in vita sua, e probabilmente era proprio così considerando che anche lui veniva dalla strada ed aveva trascinato in essa il suo amico e fidanzato Trystin.
I due se la cavavano egregiamente ed anche se il moro era molto rumoroso ed acrobatico perché amava fare l’esibizionista ed insultare in inglese, in compenso il biondo era molto silenzioso e preciso. Ovviamente nemmeno per un soffio erano mai riusciti a colpirlo.
Lo stato d’animo in cui lo facevano non era troppo coinvolto, nemmeno troppo distaccato, probabilmente il giusto.
Marek fra tutti era quello meno abituato a fare a botte, sicuramente, ma questo non significava che la sua ira non fosse sufficiente. Per lui era inconcepibile tutto quello, specie rapire una ragazza, però effettivamente se si poteva risolvere così facilmente senza far preoccupare gli altri, era la cosa migliore.
Forse.
Quel che comunque pensava mentre schivava e ricambiava svelto un colpo dopo l’altro, era solo arrivare presto a Samantah, vedere come stava, dov’era, se piangeva… solo lei c’era nella sua mente e i pugni che dava o riceveva non furono mai realmente considerati.
Anche se fu molto strano vederlo fare a botte a quel modo, molto.
Si capiva che era inesperto in quel settore, infatti qualche livido di ricordo ne venne fuori, però l’adrenalina era tanta ed il desiderio di arrivare subito a lei aiutarono la trasformazione.
Anche se comunque non l’avrebbe mai più rifatto!
 
/A place for my head Linkin Park /
Eppure fra tutti quello più pericoloso non fu nessuno di loro quattro.
Il più pericoloso fu proprio Gianluca.
Gianluca dal lato oscuro dentro di sé che a stento era riuscito a trattenere fino a quel momento.
Per lui la sorella era molto importante, lo era tutta la sua famiglia ed anche il pensiero di riportarla a casa sana e salva senza far sapere a nessuno cosa era accaduto. Per lui erano tante le cose importanti e la rabbia che gli ribolliva dentro lo faceva sentire letteralmente un altro, come se la ragione non esistesse più da molto e il non controllo lo invadesse da capo a piedi.
Poche volte si era sentito così in vita sua e probabilmente a quel livello mai e risentirsi nelle orecchie la voce rotta di sua sorella di quando l’aveva chiamato, non faceva altro che alimentare quello stato.
Gelo feroce, pieno di odio.
Ecco di cosa si trattava.
Ciò lo sconvolse mentre come un fantasma si vedeva picchiare così forte chiunque gli arrivasse davanti, come se nessuna azione atroce fosse abbastanza per quei fondi di magazzino per cui provava ribrezzo.
Eppure voleva solo trovare Samantah e liberarla, vedere che stava bene e sentirla sorridere.
Ricordò la rissa inspiegabile di quella mattina e si immaginò come dopo di lui avessero incrociato proprio lei per poi prenderla istintivamente, solo come vendetta sia verso di lui che verso Alessandro.
Per lui il passato non contava, bastava sapersi riscattare nel presente, riuscire a cambiare e crescere.
Alessandro ci stava riuscendo e quindi anche l’idea che gente retrocessa come quella volesse vendicarsi per questo motivo, era proprio stupido.
Accadde mentre sistemò uno di quelli che stava affrontando.
Girò lo sguardo ed i suoi occhi verdi coperti in parte dai capelli ora spettinati, si sgranarono. C’era lo stupore nel suo sguardo dove c’era anche un sopracciglio sanguinante ed il labbro spaccato.
Sua sorella era lì e fu per lui come una sorta di calmante naturale.
Samantha era là seduta su una sedia legata alla meglio con un bavaglio sulla bocca, i capelli spettinati, gli occhi gonfi di lacrime e la guancia rossa per delle sberle ricevute.
Era stata anche colpita.
Un fulmine a ciel sereno, parvero quello i suoi occhi mentre non cessavano di scrutarla nel resto del suo corpo per capire se l’avessero violata in altro modo. Corse subito da lei chiamandola, ma fece appena in tempo a liberarle la bocca e lei con spavento ad urlare: - Attento!    che un colpo alla nuca, il calcio di una pistola, lo stordì facendolo barcollare a qualche metro da lì. Fu un colpo piuttosto forte, dato senza il briciolo di pietà e prima di rialzare lo sguardo sentì una voce gridare: - Zitta troia!  – per poi colpire anche lei con un manrovescio. Successivamente aggiunse più calmo prendendole il viso fra due dita e girandolo, avvicinandosi e sorridendo sbieco:
- Dopo torno ad occuparmi di te, non preoccuparti. Rimani così calda che mi piaci...  -
Era il ragazzo dell’inizio, quello che probabilmente era il capo della banda.
Rabbia.
È solo un secondo e forse non si capisce bene di cosa si tratta nemmeno mentre la si prova.
Però c’è, è diversa da quella che provano gli altri, ogni rabbia è a sé e tutto ciò che rimane del suo passaggio sono le azioni che fa compiere.
Azioni terribili, per lo più, che mai si dovrebbero compiere, che però si fanno e cambiano tutto.
Tutto.
Gianluca non disse nulla, non insultò, non gridò. Solo corse verso il ragazzo e tirandogli un pugno al volo con tutta la forza che aveva, lo allontanò da lei.
Il sangue fluiva veloce nel suo corpo e l’idea che nulla fosse abbastanza lo fece continuare ancora e ancora e poi ancora.
Un calcio a lui finito a terra, un altro pugno quando aveva tentato di rialzarsi, di nuovo un calcio quando era ricaduto senza credere a quello che stava succedendo.
Una furia gelida, maggiore della precedente, piena di odio e repulsione.
Come se l’esplosione, seppur di ghiaccio per i sentimenti che sembrava non possedere nel fargli del male, fosse avvenuta ed una volta scoppiato nulla potesse più fermarlo.
Ecco perché era pericoloso, Gianluca.
Lui non esplodeva sempre e faceva di tutto per non lasciarsi andare, ma quando accadeva perché arrivava ad un livello in cui non poteva più trattenersi, i guai erano incalcolabili.
Il ragazzo a terra che stringeva la pistola senza la seria intenzione di usarla fino a quel momento, col dolore acuto che provava in ogni parte che veniva colpita, cominciò a capire che quell’arma ormai rappresentava veramente l’unica possibilità di farcela, per cui raccogliendo le forze e maledicendo mentalmente Alessandro, ritenuto colpevole di tutto, strinse l’oggetto nero e lo alzò puntandolo verso il giovane.
Fu però anche quello solo un momento, un momento di umanità che Gianluca non ebbe.
Il teppista esitò chiedendosi se dovesse sparare per salvarsi la vita e il ragazzo comune no, senza dubbi o incertezze lo colpì prendendola subito e gliela piazzò sulla fronte.
Ecco che il tempo si fermò con il grido di Alessandro:
- GIAN! CHE CAZZO FAI? –
Tutti si fermarono e videro.
Videro un Gianluca malconcio con uno sguardo privo di umanità e sentimenti che in piedi puntava una pistola sulla fronte del capo banda ora in ginocchio con un’espressione che chiedeva pietà, terrorizzato.
Raccapricciante e sconvolgente, la scena che si presentò loro fu così.
Immobili, una sorta di blocca immagine. Ormai la rissa era quasi giunta al termine ma nessuno, da alcuna delle due parti, osò muoversi o reagire.
Samantah stessa avrebbe voluto avere la forza di gridare la cosa giusta a suo fratello, l’avrebbe fatto se la confusione per le terribili ore passate non l’avesse paralizzata.
Su Daniel e Trystin calò il mistero nel momento in cui non si pronunciarono senza nemmeno tentare di fermarlo, mentre Marek si trovò ad un bivio: lasciarlo fare come in fondo avrebbe voluto oppure fermarlo ed impedirgli di rovinarsi la vita?
Si sarebbe trattato di secondi, secondi per tornare in sé e fare anche lui la cosa giusta.
Secondi preziosi che non arrivarono per il semplice fatto che per lui non abituato a situazioni simili, la capacità reattiva tardò.
L’unico che ebbe la prontezza di riflessi per reagire subito prima che la follia divampasse totale nella testa ora estranea di Gianluca, fu Alessandro. Alessandro abituato a situazioni estreme simili, a bivi dove si poteva sparare e rovinarsi oppure non sparare e allungarsi di un pezzetto la vita.
Alessandro che effettivamente ne aveva passate così tante che almeno poteva utilizzare i propri errori per amore di una persona speciale.
Non pensò molto, a lui non servì nessun secondo per ragionare e tornare in sé, cancellare la paura, l’adrenalina, la rabbia e la paura.
Nessun secondo per cancellare sentimenti che nemmeno aveva posseduto in quell’ora.
Si fiondò come un fulmine dal ragazzo e afferrandogli il retro della maglia lo strattonò cercando di farlo rinsavire, poi senza smuoverlo continuò urlando agitato:
- SMETTILA! BUTTALA VIA! –
Però nessuno capiva perché dovesse.
Lì, così, su due piedi, nessuno capì come mai PROPRIO Alessandro dicesse una cosa simile a Gianluca. Dopo tutto quello a terra con la pistola puntata era suo nemico, uno che aveva voluto vendicarsi di lui facendo male prima al suo moroso e poi ad un’amica. Non aveva avuto remore ad agire in quel modo solo per fargliela pagare di averli lasciati ed ora diceva quelle cose.
Nessuno capì Alessandro in quella frazione di secondo, nemmeno Gianluca che raggelante chiese senza guardarlo:
- Perché? –
Tutti ascoltarono con profondo interesse quella risposta, nessuno escluso.
- Perché se gli spari ti rovini la vita. Anche se si tratta della peggiore merda del mondo e la legge ti dà ragione. La tua anima ormai sarà rovinata per sempre. Non farlo, idiota! –
A quelle parole Gianluca sembrò svegliarsi da un profondo sonno e come se non capisse bene cosa fosse successo, fece cadere la pistola che venne prontamente calciata da Alessandro ed allontanata.
Tanto uno pericoloso quanto l’altro sorprendente.
Come se per una volta si fossero scambiati i ruoli.
“In entrambi quei due c’è molto più di quanto non sembri e non mostrino.”
Fu il pensiero successivo di Trystin mentre vide Alessandro abbracciare istintivamente Gianluca disorientato e Marek liberare Samantah facendo altrettanto.
E non aveva nemmeno idea di quanto ci avesse azzeccato.