CAPITOLO
29:
UCCIDERE
“In entrambi quei due
c’è molto più di quanto non sembri e non
mostrino.”
/ Ayo Technology – 50
Cent&Timberlake&Timbaland /
Quando
il suono del telefono
cellulare giunse ad interrompere i suoi studi, Marek si trovò ad alzare
spazientito gli occhi blu al soffitto. Era vero che non doveva dare
alcun esame
e che in realtà non seguiva nessuna università e al contrario lavorava,
ma se
nel tempo libero, quel poco che aveva, voleva studiare, non poteva
certo avere
tutti gli impedimenti del mondo!
Il
moro prese l’aggeggio
squillante in mano guardandolo come se fosse un nemico, dopo un po’ che
ancora
non smetteva si rassegnò e rispose. Non aveva quel numero e non sapeva
chi
fosse ma se non cedevano poteva essere importante.
-
Pronto? – Disse con voce
apparentemente calma ma nemmeno molto amichevole.
-
Sei Marek? – Una voce
familiare gli parlò dall’altro capo della linea telefonica e
drizzandosi a
sedere istantaneamente fece un’espressione di maniacale attenzione,
guardando
davanti a sé come se il ragazzo che parlava con lui fosse proprio lì.
-
Gianluca?! –
-
Si. Si tratta di Sam. Ho
bisogno di te. – Fu telegrafico, non spiegò subito di cosa si trattasse
ma a
parlare per lui, per una volta, fu il tono: non più distaccato e
superbo ma
bensì teso, come se fosse sul filo del rasoio ed a stento mantenesse
lucidità e
sangue freddo. Lo capì subito che doveva trattarsi di qualcosa di
veramente
molto importante e di scatto si alzò in piedi come una molla. Mantenne
la mano
a mezz’aria mentre l’altra reggeva il piccolo apparecchio all’orecchio.
Una
gocciolina di sudore gli percorse il lato del viso concentrato e
preoccupato.
-
Cosa le è successo? –
A
quel punto, probabilmente,
avrebbe dovuto e potuto fare tante cose, Gianluca, per comunicare una
notizia
del genere proprio a lui. Molte, ma optò solo per la più diretta e
utile.
- E’
stata rapita da vecchie
conoscenze di Ale. Non possiamo rivolgerci alla polizia o finisce nei
guai
anche lui. Ho bisogno di qualcuno che darebbe la vita pur di aiutarla,
che non
si tiri indietro. Uno con le palle. O ci sei o no. –
Detta
così su due piedi
parve la cosa più idiota del mondo, anche banale effettivamente. Ma
così su due
piedi non si poté certo considerare la vita di Alessandro e tutte le
cose che l’avevano
spinto a fare le cose poco legali che aveva fatto. Su due piedi si poté
solo
capire che c’era bisogno di aiuto per una persona importantissima.
E
così, su due piedi, Marek
rispose freddo e secco:
-
Si. Arrivo subito. –
Da
una parte la sua mente
cominciò ad elencargli le varie motivazioni per cui agire da soli era
una
grandissima stupidaggine, dall’altra però si rivide la sua pseudo
ragazza, l’unica
che si avvicinava tanto a quella carica, e la ragione spariva del tutto.
Non
si poteva pretendere di
pensare a ciò che era più giusto in una situazione del genere. Provi ad
immaginarti tante volte cosa faresti tu in momenti simili, ma poi ti ci
trovi e
la mente si getta nel vuoto mentre un vortice ti ripete le parole
sentite, la
notizia udita e il viso di quella persona non smette di tormentarti.
Lei
ed il suo viso.
E
non ce la fai a capire
perché è stupido andare a farsi giustizia da solo, perché una rissa fra
ragazzi
dovrebbe essere così seria da spingere a rapire qualcuno, perché la
polizia
complicherebbe tutto.
Non
si capisce nemmeno perché
è capitato a te, a lei o a chi per esso.
Non
si capisce esattamente
nulla, solo che il cuore comincia a farsi sentire come non pensavi
fosse
possibile e la risposta alla tua domanda:
‘Sono
capace di amare?’
Finalmente
non sarà più ‘no’,
ma ‘si’.
Sì,
per lei.
Lo
sai mentre corri come un
folle con la macchina arrivando alla villa di quello che ti ha
avvertito, lo
sai anche se non capisci nulla e non sei in te.
Quando
Marek giunse a casa
di Gianluca, lui ed Alessandro erano fuori e in sua contemporanea
arrivarono
anche Trystin e Daniel, sempre seri, sempre senza dire nulla, sempre
risoluti.
Sempre come se l’avessero fatto un sacco di volte e non avessero
problemi a
fare quello che avrebbero fatto.
Quando
tutti e cinque si
trovarono lì, l’uno davanti all’altro con le rispettive espressioni
simili ma
diverse, fu Gianluca inizialmente a dire solo una cosa prima di
lasciare la
parola al vero esperto in quelle situazioni.
-
Grazie per essere venuti.
Quando tutto questo sarà finito avrete delle spiegazioni più esaurienti
riguardo tutto ciò. Per ora vi chiedo solo di esserci e aiutarmi. –
Fu
comunque strano sentire
quelle parole che non erano da lui e per un attimo i brividi percorsero
tutti
mentre fissavano i suoi occhi verdi assottigliati. Notarono i lividi
nonostante
i capelli biondi che ricadevano morbidi ai lati.
Poi
parlò Alessandro alzando
una mano in mezzo a loro, costui si era tirato i capelli all’indietro
per avere
più comodità nei movimenti ma presto sarebbero ricaduti ribelli sul
volto
concentrato. Anche lui, con quei modi risoluti e secchi, fece capire
quanto
seria fosse la questione.
-
Allora, voglio che state
tutti tranquilli, innanzitutto. Si tratterà solo di una semplice rissa,
perché
loro sono dei codardi. Li conosco e so che erano partiti solo con
quella di
vendicarsi del mio abbandono picchiando quello che secondo loro era la
causa.
Gianluca. Ma è andata male perché ha reagito e così le cose gli sono
sfuggite
di mano. Hanno subito un'altra umiliazione che unita a quelle che gli
ho
inferto io, li ha trasformati per un millesimo di secondo in idioti! Ora sanno cosa succederà e sono pronti, nel
solito posto, ad una rissa. Ed è quello che succederà. Solo una rissa,
nulla di
più. Non c’è da preoccuparsi. Potete comunque andarci giù pesanti
perché tanto
sono delle fecce e non mancheranno a nessuno. Ma voglio che nessuno
abbia
paura. Non serve. Quella deve stare a casa. –
La
visione che diede il
giovane biondo ribelle della loro ‘missione’ fu molto chiara e anche
semplice,
dal suo punto di vista.
In
fondo sia lui che Daniel
che Trystin l’avevano fatto molte volte, picchiarsi per svariati motivi
dovuti
al crescere per strada. Gianluca aveva dato prova di cavarsela più che
bene e
Marek… bè, lui rappresentava la vera incognita ma del resto non
avrebbero
potuto tenerlo fuori.
Marek
serviva dopo, a ‘curare’
Samantah.
Ci
fu quindi un altro attimo
di silenzio in cui tutti ponderarono sulle sue parole, guardando anche
lui con
altri occhi, come lo vedessero veramente per la prima volta. Come se
effettivamente, per assurdo, il suo auto proclamarsi capo banda non
fosse un’assurdità
così clamorosa.
Il
primo a parlare fu Daniel
e lo fece anche per il suo compagno.
-
Figurati. Non sei mica l’unico
ad aver fatto queste cose dalla nascita!
– Era fin troppo ovvio e lo disse legandosi una bandana scura
sulla
testa per impedire al sudore di andargli sugli occhi. Gianluca non ebbe
bisogno
di parlare e Marek, alla fine, disse anche lui la sua con una freddezza
spaventosa.
-
Allora andiamo. –
Come
se altre
raccomandazioni fossero solo una perdita di tempo.
Il
sorriso più simile ad un
ghigno di chi stava andando a divertirsi, si dipinse nonostante tutto
nel bel
viso selvatico di Alessandro mentre fece per muoversi e precederli
nella giusta
direzione:
-
Quando stasera
festeggeremo, vi porgerò le mie scuse per tutto questo casino! –
Lasciandoli
in realtà solo
più contenti di essere suoi amici e non nemici.
Aveva
carisma da vendere.
Con
lui nel gruppo veramente
che serviva avere paura?
Di
cosa?
Guardandolo
sembrava tutto
un gioco dove mai rischi potevano corrersi. Si arrivava veramente a
convincersi
che sarebbe andato sempre tutto bene.
Ma
sarebbe stato vero?
/ Breaking the habit
– Linkin Park /
Il
rifugio era un vecchio
magazzino situato proprio nel vecchio quartiere di Alessandro, posto
ben
conosciuto da quest’ultimo.
Giunti
davanti a quello che
teoricamente era l’ingresso ed ai fatti solo un portone mezzo cadente
ma ancora
chiuso, quello che si era auto proclamato capo disse fissando le porte
come se
fossero delle belle donne nude:
-
Ragazzi, ci siamo. Sono
qui dietro. Quando aprirò queste porte si apriranno le danze, non
voglio che
nessuno tiri il culo indietro o potete andarvene subito. –
Erano
discorsi che era
abituato a fare ma il fatto di dirli ad altre persone con cui fino a
quel
momento non aveva fatto altro che giocare a basket, lo fece sentire
strano ma
gli piacque.
Si
sentì come evoluto, in un
certo senso.
Al
silenzio eloquente
accentuò il sorriso e con un calcio deciso spalancò il portone
rivelando un
ampio spazio dove un certo numero di ragazzi stavano sparsi ad
aspettarli, pronti
al confronto.
Alessandro
era ben
consapevole che si trattava di una sorta di resa dei conti, come se con
quella
rissa avesse la possibilità di liquidare per sempre il suo brutto
passato e
cambiare realmente. In un certo senso si sentiva addirittura contento
per
poterlo fare, se ne rese conto mentre li guardava ghignando pericoloso.
Quella
gente la conosceva bene e sapeva quanto temesse quel sorrisetto e
quegli occhi
da diavolo.
Lo
sguardo di chi non ha
freni ed è capace di far di tutto, se gli gira.
Di
tutto.
Fu
lui il primo a farsi
avanti salutando a modo suo, facendo come al solito il portavoce:
-
Buonasera! Spero di non
avervi fatto attendere troppo, avevo degli impegni con questi nuovi
amici! Sono
venuto a presentarveli. Sono molto impazienti di conoscere il mio
vecchio e
orrido passato… vogliono contribuire con me a darci un calcio e
seppellirlo
definitivamente. –
Mosse
alcuni passi nel covo
dei rivali seguito dai cauti ragazzi che si guardavano intorno per
osservare
ogni dettaglio di quel posto e costatare come effettivamente ne
sarebbero
usciti. Non erano un numero impressionante e l’aria che avevano non era
nemmeno
sveglia grazie alle sostanze che sicuramente avevano preso per
‘caricarsi’.
Uno
di quelli si fece a sua
volta avanti ed una volta di fronte ad Alessandro, rispose al suo
stesso modo:
-
Ciao Ale. Il tuo vecchio e
orrido passato ha qualcosa da dirti prima di farsi seppellire… -
Non
gli fece effetto ed anzi
aggiunse nel medesimo tono di prima, mantenendo le mani sprofondate
nelle tasche
dei jeans ed una sigaretta fra le labbra:
-
Oh, dimenticavo… avete
qualcosa che ci appartiene. –
Il
ragazzo sembrava sapere
perfettamente di cosa parlasse, non era stupito delle sue parole, come
se se le
aspettasse dal principio.
-
Vedo che continui a pensare
alle persone come a degli oggetti… non è forse di una ragazza che stai
parlando? –
Gianluca
non fece nulla,
veramente non mosse nemmeno un muscolo, eppure quando Alessandro alzò
un
braccio in sua direzione come per bloccarlo e non farlo scattare, egli
aveva
appena avuto un pensiero cristallino e semplice:
“L’ammazzo! ”
Rimase
quindi stupito a
vedere come l’aveva sentito nonostante non avesse fatto nulla e
l’assecondò
rimanendo al suo fianco, aspettando il momento adatto per iniziare.
-
Dateci la fanciulla e ce
ne andiamo senza ripercussioni per voi. –
Non
che fosse una frase da
lui, ma probabilmente era così calato nella parte (di qualunque parte
si
trattasse…) che perfino il suo linguaggio subì cambiamenti
sorprendenti.
L’istinto
del gatto e del felino
in generale l’aveva sempre avuto, come anche quello del capo, ma alcuni
lati
rimanevano tuttavia una sorpresa quando li tirava fuori.
Questo
lo compresero Trystin
e Daniel, poiché gli altri due erano onestamente troppo presi da altro
per
costatare certi dettagli su colui che conduceva i giochi con tanta
strafottenza
e sicurezza.
-
Ripercussioni? – iniziò l’altro
stupito: - Sai, Ale, noi siamo solo dei semplici pezzenti senza
istruzione… non
dovresti usare questi paroloni… ora per colpa tua noi non capiamo di
cosa parli
e quindi inizieremo a fare ciò per cui abbiamo preso la ragazza. –
Appena
concluso chiuse il
pugno ed alzandolo con l’intenzione di colpirlo a sorpresa, si dovette
ricredere sentendosi sbalzare all’indietro da un diretto in pieno
stomaco
proprio del biondo che aveva davanti. L’aveva previsto e preceduto come
un
lampo.
Alessandro
piegato in avanti
si raddrizzò dopo aver tirato il pugno e muovendo la sigaretta con la
lingua da
una parte all’altra delle labbra, ghignò di nuovo:
-
Ok, ti do una lezione
gratis: dicasi ripercussioni… queste! –
Per
poi allargare le braccia
verso i suoi compagni lì accanto in attesa di poter iniziare a loro
volta. La
luce nei loro occhi era pericolosa, da non sottovalutare.
Fu
un istante in cui era
come udibile una canzone che partiva lenta, note sulla chitarra che
veloci e
sottili portavano il presagio di ciò che stava per succedere.
Lì
tutti ebbero una chiara
visione di quel che sarebbe stato.
Poi
accadde, la musica
esplose e le danze iniziarono.
I
primi ad andare addosso
furono i rivali che avevano visto il proprio capo atterrato con tanta
facilità,
gli altri semplicemente risposero.
In
un attimo quel che si
scatenò fu più paragonabile ad un inferno che ad altro, ciò che fu più
pazzesco
però era lo stato d’animo di Alessandro in cui la gioia divampava con
incoscienza.
Gioia
per star finalmente
restituendo il dovuto a gente che invece di aiutarlo come sosteneva di
aver
fatto, aveva contribuito alla sua disfatta cancellandogli l’innocenza
dell’infanzia,
facendogli rubare, sbagliare e bruciare ogni cosa in ogni senso
possibile.
Un
pugno ben assestato
proprio sotto il mento fece svenire il secondo ragazzo. Non si soffermò
nemmeno
un minuto in più, giusto il millesimo di secondo necessario a sputargli
addosso
con disprezzo per poi girarsi di nuovo e svelto cominciare con un altro
senza
riserve, come se le sue pile non si scaricassero mai, come se non
facesse altro
dalla mattina alla sera e il suo sport non fosse basket ma pugilato.
Dovettero
attaccarlo in due
per riuscire a colpirlo in viso, non era comunque un asso in difesa ma
parve
non sentire tutto quel dolore che gli altri sperarono di dargli. Il
sapore del
sangue gli invase la bocca e inghiottendo accentuò il suo sorriso delle
migliori
occasioni, diede una testata ad uno e contemporaneamente un calcio
all’altro,
liquidandoli insieme. Questa volta lo sputo che ricevettero era rosso,
ovviamente…
Non
sembrava affaticarsi
affatto e mentre con lo sguardo cercava quello che era diventato il
capo banda,
colui che aveva sistemato all’inizio, continuava il suo hobby con un
certo
sadismo addosso.
Senza
trovarlo, consapevole
che non era stato messo al tappeto per solo quel colpo, si assicurò che
anche
gli altri andassero bene senza dar problemi; compiaciuto ne ebbe
conferma.
Con
una scarica di offese in
inglese che pochi capirono, Daniel fece l’ennesimo salto in rovesciata
colpendo
molto forte ed in pieno viso ben due che tentavano di sopraffare per
dietro il
suo amato Trystin. Era ovvio che nessuno sarebbe mai riuscito nemmeno a
sfiorare il suo innamorato… al contrario di sé stesso!
Appena
rimessosi in piedi ed
ancora piegato in avanti per riprendere l’equilibrio, non ebbe il tempo
di
vedere una ginocchiata colpirlo in pieno occhio. Solo lo sentì e
ritrovandosi
di nuovo dritto come una sorta di contraccolpo ma con l’occhio chiuso
dolorante, riprese a sputare la barca di insulti incomprensibili
tornando all’attacco.
Trystin
lo vide e scosse il
capo pensando che in fondo era sempre il solito. Non aveva preso troppo
sul
serio quello scontro, anche se erano in tanti a darsele di santa
ragione, per
lui rimaneva più un gioco che altro. Lo capì da come pensava solo a
parare i
colpi diretti a lui. Come faceva a spiegargli che sapeva difendersi
bene e che
anche se riceveva qualche livido non era poi troppo terribile?
Ciò
che però sorprendeva era
come Trystin riuscisse a pensare tranquillamente a queste cose e
afferrare il
polso di chi cercava di arrivare al suo viso e ricambiare subito con
potenza e
precisione nel punto migliore. Decisamente non era lui quello che aveva
bisogno
di aiuto, tutti quelli che cercavano di andargli contro cadevano come
mosche
nel giro di un istante senza nemmeno troppo sforzo!
Anche
per Daniel, molto
simile ad Alessandro, valeva il discorso del: sembra non abbia fatto
altro in
vita sua, e probabilmente era proprio così considerando che anche lui
veniva
dalla strada ed aveva trascinato in essa il suo amico e fidanzato
Trystin.
I
due se la cavavano
egregiamente ed anche se il moro era molto rumoroso ed acrobatico
perché amava
fare l’esibizionista ed insultare in inglese, in compenso il biondo era
molto
silenzioso e preciso. Ovviamente nemmeno per un soffio erano mai
riusciti a
colpirlo.
Lo
stato d’animo in cui lo
facevano non era troppo coinvolto, nemmeno troppo distaccato,
probabilmente il
giusto.
Marek
fra tutti era quello
meno abituato a fare a botte, sicuramente, ma questo non significava
che la sua
ira non fosse sufficiente. Per lui era inconcepibile tutto quello,
specie rapire
una ragazza, però effettivamente se si poteva risolvere così facilmente
senza
far preoccupare gli altri, era la cosa migliore.
Forse.
Quel
che comunque pensava
mentre schivava e ricambiava svelto un colpo dopo l’altro, era solo
arrivare
presto a Samantah, vedere come stava, dov’era, se piangeva… solo lei
c’era
nella sua mente e i pugni che dava o riceveva non furono mai realmente
considerati.
Anche
se fu molto strano
vederlo fare a botte a quel modo, molto.
Si
capiva che era inesperto
in quel settore, infatti qualche livido di ricordo ne venne fuori, però
l’adrenalina
era tanta ed il desiderio di arrivare subito a lei aiutarono la
trasformazione.
Anche
se comunque non l’avrebbe
mai più rifatto!
/A place for my
head –
Linkin Park /
Eppure
fra tutti quello più
pericoloso non fu nessuno di loro quattro.
Il
più pericoloso fu proprio
Gianluca.
Gianluca
dal lato oscuro
dentro di sé che a stento era riuscito a trattenere fino a quel momento.
Per
lui la sorella era molto
importante, lo era tutta la sua famiglia ed anche il pensiero di
riportarla a
casa sana e salva senza far sapere a nessuno cosa era accaduto. Per lui
erano
tante le cose importanti e la rabbia che gli ribolliva dentro lo faceva
sentire
letteralmente un altro, come se la ragione non esistesse più da molto e
il non
controllo lo invadesse da capo a piedi.
Poche
volte si era sentito
così in vita sua e probabilmente a quel livello mai e risentirsi nelle
orecchie
la voce rotta di sua sorella di quando l’aveva chiamato, non faceva
altro che
alimentare quello stato.
Gelo
feroce, pieno di odio.
Ecco
di cosa si trattava.
Ciò
lo sconvolse mentre come
un fantasma si vedeva picchiare così forte chiunque gli arrivasse
davanti, come
se nessuna azione atroce fosse abbastanza per quei fondi di magazzino
per cui
provava ribrezzo.
Eppure
voleva solo trovare
Samantah e liberarla, vedere che stava bene e sentirla sorridere.
Ricordò
la rissa
inspiegabile di quella mattina e si immaginò come dopo di lui avessero
incrociato proprio lei per poi prenderla istintivamente, solo come
vendetta sia
verso di lui che verso Alessandro.
Per
lui il passato non
contava, bastava sapersi riscattare nel presente, riuscire a cambiare e
crescere.
Alessandro
ci stava
riuscendo e quindi anche l’idea che gente retrocessa come quella
volesse
vendicarsi per questo motivo, era proprio stupido.
Accadde
mentre sistemò uno
di quelli che stava affrontando.
Girò
lo sguardo ed i suoi
occhi verdi coperti in parte dai capelli ora spettinati, si sgranarono.
C’era
lo stupore nel suo sguardo dove c’era anche un sopracciglio sanguinante
ed il
labbro spaccato.
Sua
sorella era lì e fu per
lui come una sorta di calmante naturale.
Samantha
era là seduta su
una sedia legata alla meglio con un bavaglio sulla bocca, i capelli
spettinati,
gli occhi gonfi di lacrime e la guancia rossa per delle sberle ricevute.
Era
stata anche colpita.
Un
fulmine a ciel sereno,
parvero quello i suoi occhi mentre non cessavano di scrutarla nel resto
del suo
corpo per capire se l’avessero violata in altro modo. Corse subito da
lei
chiamandola, ma fece appena in tempo a liberarle la bocca e lei con
spavento ad
urlare: - Attento! – che
un colpo alla nuca, il calcio di una pistola,
lo stordì facendolo barcollare a qualche metro da lì. Fu un colpo
piuttosto
forte, dato senza il briciolo di pietà e prima di rialzare lo sguardo
sentì una
voce gridare: - Zitta troia! – per poi colpire anche lei con un
manrovescio. Successivamente aggiunse più calmo prendendole il viso fra
due
dita e girandolo, avvicinandosi e sorridendo sbieco:
-
Dopo torno ad occuparmi di
te, non preoccuparti. Rimani così calda che mi piaci...
-
Era
il ragazzo dell’inizio,
quello che probabilmente era il capo della banda.
Rabbia.
È
solo un secondo e forse
non si capisce bene di cosa si tratta nemmeno mentre la si prova.
Però
c’è, è diversa da
quella che provano gli altri, ogni rabbia è a sé e tutto ciò che rimane
del suo
passaggio sono le azioni che fa compiere.
Azioni
terribili, per lo più,
che mai si dovrebbero compiere, che però si fanno e cambiano tutto.
Tutto.
Gianluca
non disse nulla,
non insultò, non gridò. Solo corse verso il ragazzo e tirandogli un
pugno al
volo con tutta la forza che aveva, lo allontanò da lei.
Il
sangue fluiva veloce nel
suo corpo e l’idea che nulla fosse abbastanza lo fece continuare ancora
e
ancora e poi ancora.
Un
calcio a lui finito a
terra, un altro pugno quando aveva tentato di rialzarsi, di nuovo un
calcio
quando era ricaduto senza credere a quello che stava succedendo.
Una
furia gelida, maggiore
della precedente, piena di odio e repulsione.
Come
se l’esplosione, seppur
di ghiaccio per i sentimenti che sembrava non possedere nel fargli del
male,
fosse avvenuta ed una volta scoppiato nulla potesse più fermarlo.
Ecco
perché era pericoloso,
Gianluca.
Lui
non esplodeva sempre e
faceva di tutto per non lasciarsi andare, ma quando accadeva perché
arrivava ad
un livello in cui non poteva più trattenersi, i guai erano
incalcolabili.
Il
ragazzo a terra che
stringeva la pistola senza la seria intenzione di usarla fino a quel
momento,
col dolore acuto che provava in ogni parte che veniva colpita, cominciò
a
capire che quell’arma ormai rappresentava veramente l’unica possibilità
di
farcela, per cui raccogliendo le forze e maledicendo mentalmente
Alessandro,
ritenuto colpevole di tutto, strinse l’oggetto nero e lo alzò
puntandolo verso
il giovane.
Fu
però anche quello solo un
momento, un momento di umanità che Gianluca non ebbe.
Il
teppista esitò
chiedendosi se dovesse sparare per salvarsi la vita e il ragazzo comune
no,
senza dubbi o incertezze lo colpì prendendola subito e gliela piazzò
sulla
fronte.
Ecco
che il tempo si fermò
con il grido di Alessandro:
-
GIAN! CHE CAZZO FAI? –
Tutti
si fermarono e videro.
Videro
un Gianluca malconcio
con uno sguardo privo di umanità e sentimenti che in piedi puntava una
pistola
sulla fronte del capo banda ora in ginocchio con un’espressione che
chiedeva
pietà, terrorizzato.
Raccapricciante
e
sconvolgente, la scena che si presentò loro fu così.
Immobili,
una sorta di
blocca immagine. Ormai la rissa era quasi giunta al termine ma nessuno,
da
alcuna delle due parti, osò muoversi o reagire.
Samantah
stessa avrebbe
voluto avere la forza di gridare la cosa giusta a suo fratello,
l’avrebbe fatto
se la confusione per le terribili ore passate non l’avesse paralizzata.
Su
Daniel e Trystin calò il
mistero nel momento in cui non si pronunciarono senza nemmeno tentare
di
fermarlo, mentre Marek si trovò ad un bivio: lasciarlo fare come in
fondo
avrebbe voluto oppure fermarlo ed impedirgli di rovinarsi la vita?
Si
sarebbe trattato di
secondi, secondi per tornare in sé e fare anche lui la cosa giusta.
Secondi
preziosi che non
arrivarono per il semplice fatto che per lui non abituato a situazioni
simili,
la capacità reattiva tardò.
L’unico
che ebbe la
prontezza di riflessi per reagire subito prima che la follia divampasse
totale
nella testa ora estranea di Gianluca, fu Alessandro. Alessandro
abituato a
situazioni estreme simili, a bivi dove si poteva sparare e rovinarsi
oppure non
sparare e allungarsi di un pezzetto la vita.
Alessandro
che
effettivamente ne aveva passate così tante che almeno poteva utilizzare
i
propri errori per amore di una persona speciale.
Non
pensò molto, a lui non
servì nessun secondo per ragionare e tornare in sé, cancellare la
paura, l’adrenalina,
la rabbia e la paura.
Nessun
secondo per
cancellare sentimenti che nemmeno aveva posseduto in quell’ora.
Si
fiondò come un fulmine
dal ragazzo e afferrandogli il retro della maglia lo strattonò cercando
di
farlo rinsavire, poi senza smuoverlo continuò urlando agitato:
-
SMETTILA! BUTTALA VIA! –
Però
nessuno capiva perché
dovesse.
Lì,
così, su due piedi,
nessuno capì come mai PROPRIO Alessandro dicesse una cosa simile a
Gianluca.
Dopo tutto quello a terra con la pistola puntata era suo nemico, uno
che aveva
voluto vendicarsi di lui facendo male prima al suo moroso e poi ad
un’amica.
Non aveva avuto remore ad agire in quel modo solo per fargliela pagare
di
averli lasciati ed ora diceva quelle cose.
Nessuno
capì Alessandro in
quella frazione di secondo, nemmeno Gianluca che raggelante chiese
senza
guardarlo:
-
Perché? –
Tutti
ascoltarono con
profondo interesse quella risposta, nessuno escluso.
-
Perché se gli spari ti
rovini la vita. Anche se si tratta della peggiore merda del mondo e la
legge ti
dà ragione. La tua anima ormai sarà rovinata per sempre. Non farlo,
idiota! –
A
quelle parole Gianluca
sembrò svegliarsi da un profondo sonno e come se non capisse bene cosa
fosse
successo, fece cadere la pistola che venne prontamente calciata da
Alessandro
ed allontanata.
Tanto
uno pericoloso quanto
l’altro sorprendente.
Come
se per una volta si
fossero scambiati i ruoli.
“In entrambi quei due c’è
molto più di quanto non sembri e non mostrino.”
Fu
il pensiero successivo di
Trystin mentre vide Alessandro abbracciare istintivamente Gianluca
disorientato
e Marek liberare Samantah facendo altrettanto.
E
non aveva nemmeno idea di
quanto ci avesse azzeccato.