Ho deciso di mettere l'mp3 della canzone principale al posto del midi per tutti i capitoli rimanenti, se arrivo, quindi cliccate QUA, aspettate qualche secondo ed ascoltatela leggendo... per fare molta più atmosfera!
Vi chiederete perchè non farlo con tutte le canzoni del capitolo... presto detto: sono pigra!

CAPITOLO 32:
IL MURO CROLLA

danytrys

“Posso fare a meno di tutto, anche del basket, ma non di te…”


/All the good things (come to an and) – Nelly Furtado/
Il tempo trascorso non fu molto.
Dopo quel giorno entrambi i due ragazzi evitarono casa propria e mentre uno aveva un posto dove chiedere rifugio intanto che recuperava la dura botta presa, l’altro non aveva trovato una meta fissa in cui stare. Solo una cosa era certa, non sarebbero tornati a casa finché non sarebbero stati pronti a rivedersi.
Trystin era capitato a casa di Marek subito dopo gli allenamenti che con forza stoica aveva ripreso dopo essere rinvenuto dal mancamento. Non aveva lasciato trapelare più nulla e si era scusato per la scenata. Aveva ignorato completamente gli sguardi incuriositi e a dire il vero aveva ignorato proprio tutti. Aveva giocato a basket nel modo più lontano, freddo e vuoto si fosse mai visto.
Samantah, ma non solo lei anche gli altri, guardando quel suo basket così triste avevano sentito un nodo inspiegabile dentro ed in compenso avevano giocato loro male al posto dell’interessato.
Il biondo quasi albino, era andato direttamente a casa di Marek chiedendo rifugio per quella notte intanto che pensava al da farsi, gli aveva detto solo quello e la muta richiesta di non fare domande. Il moro con un espressione malinconica aveva annuito nel silenzio più totale.
Non avevano parlato e Trystin era rimasto sveglio tutta la notte a guardare il soffitto e a pensare a Daniel. Era perfettamente consapevole del fatto che nemmeno lui era a casa, si era detto che, probabilmente, aveva chiesto ospitalità ad Alessandro, a sua volta a casa di Gianluca. Ecco perché aveva evitato quel posto, per lasciarlo a lui.
Daniel non aveva nessuno tranne loro e piuttosto che andare dal coach o da altri della squadra o peggio ancora da compagni di scuola, avrebbe passato tutte le notti fuori.
Il ragazzo non poteva sapere, ma forse immaginare si, che un ragionamento simile l’aveva fatto anche il suo ormai ex fidanzato.
Daniel si era visto indeciso riguardo a chi Trystin si sarebbe rivolto ed alla fine per evitare rischi inutili non aveva chiesto ospitalità a nessuno. Anche se sarebbe potuto andare comunque da Alessandro e Gianluca.
La notte l’aveva passata girovagando per la città come un anima in pena, finendo poi al campetto di basket vuoto, steso nell’erba a bordo campo a guardare il cielo stellato.
Un meraviglioso cielo che gli ricordava il suo ragazzo e tutte le notti passate con lui a fissare le costellazioni e a cercare invano di impararne qualcuna.
Ricordi di entrambi rivissuti nello stesso momento ed allo stesso modo.
Sin dall’inizio avevano capito che sarebbero finiti per stare insieme e la loro storia molto bella e appassionata aveva raggiunto dei picchi molto critici, già in passato si erano trovati sul ciglio di un burrone ma avevano affrontato tutti i problemi insieme.
Scena dopo scena, dalla più felice alla più triste, le immagini vissute si susseguivano nelle loro menti sveglie e malinconiche, piene di tristezza, con un magone al petto che pesava più delle loro palpebre e una nostalgia che forse mai sarebbe andata via.
Ed un pensiero comune.
Solo uno.
“Dopo tutto questo le cose sono finite così?”
E altre domande, molte domande. Domande a cui la risposta non sarebbe mai venuta davvero.
Domande dopo il ricordo delle labbra dell’altro sulle proprie, degli abbracci, della sua voce, del suo profumo, del suo modo di parlare, del suo basket, dei lunghissimi minuti passati insieme anche senza fare nulla, solo stando insieme.
Domande.
“E’ vero, allora, che tutte le cose belle hanno una fine? È davvero così? Anche per noi? Anche se pensavamo che non sarebbe mai finita? Che non ci saremmo mai lasciati? Che saremmo stati insieme per sempre? Le cose meravigliose finiscono comunque? Allora vale la pena viverle e stare così male, poi?”
Ed in preda al dolore più acuto, un dolore che schiacciava il petto e impediva un respiro regolare, non capirono che invece nonostante tutto ogni cosa, anche la più dolorosa, valeva sempre la pena essere vissuta.

/If we were- Belinda/
Il mattino seguente Trystin e Daniel non si presentarono a scuola e Gianluca e Alessandro, senza mettersi d’accordo, si trovarono insieme davanti alla porta dei due ragazzi a vedere come stessero.
- Ehilà!  – Aveva salutato Alessandro il proprio ragazzo che aveva ricambiato con un cenno poco felice. – Non è venuto, eh? – Chiese subito serio immaginando tutto dalla sua sola presenza lì.
- Nemmeno Daniel, vedo… - Rispose quindi Gianluca puntando i suoi occhi verdi sulla porta d’ingresso dell’appartamento dei loro amici. Definirli tali era così strano eppure ormai era così e non sarebbero riusciti a lasciarli perdere.
Non avrebbero mascherato stupidamente la loro preoccupazione. Li avevano visti entrambi male, il pomeriggio precedente, e non averli in classe quello seguente gli aveva fatto capire subito che stavano peggio di quanto non avessero potuto immaginare.
In un primo momento si erano detti, appena finiti gli allenamenti, di lasciarli in pace a metabolizzare il litigio, mentre lì, in quel momento, non avevano avuto più dubbi.
Bisognava fare qualcosa prima che succedesse davvero l’irreparabile e fosse troppo tardi.
In realtà non avevano avuto chissà quali intenzioni, solo di passare per vedere come stavano, ma alla fine non vedendo nessuno che apriva loro capirono che non erano mai stati a casa e che forse poteva essere il caso di impensierirsi.
- Bisogna trovarli!  – Aveva asserito deciso Ale togliendosi gli occhiali da sole e girandosi verso il compagno dal sopracciglio alzato, quindi aveva continuato: - Dai, non sono stati a casa, chissà cosa hanno fatto… erano sconvolti. Tu non hai visto Dany!  E Trys… giocare a quel modo… quello non era lui. Bisogna trovarli, ti dico. Parlarci, vedere che fine hanno fatto, che intenzioni hanno. Non possono sparire così e soprattutto devono parlarsi ancora. Devono. Se io e te litigassimo a quel modo io non vorrei che le ultime parole che ci siamo scambiati fossero dei pugni, dannazione!  –
Il ragionamento del biondo dai capelli scompigliati che gli ricadevano un po’ sulla fronte ed un po’ rimanevano all’insù, filava come un treno. Non aveva torto e Gianluca dai capelli più ordinati e sistemati a lato del viso,  gli diede ragione.
- Allora dividiamoci perché sicuramente non saranno nello stesso posto. – Anche la sua logica fu inoppugnabile, quindi lasciandosi con uno sguardo eloquente si separarono.

/Talk – Coldplay/
Quando suonò a casa di Marek, non lo fece pensando di trovare uno dei due ma solo per chiedergli se avesse loro notizie.
Nel momento in cui il moro si trovò davanti Alessandro gli venne quasi un colpo. Cosa ci faceva lì proprio lui?
Era sicuro che sarebbe venuto Gianluca ed invece no.
Corrugando leggermente la fronte era rimasto in silenzio, inebetito e interrogativo a guardarlo. Poi aveva chiesto:
- Come mai tu qua? - Che voleva intendere: 'come mai non c'è Gianluca?'. In fondo fare una cosa così sensata e azzeccata non era dal ribelle ragazzo precipitoso...
- Volevo chiederti se sai qualcosa di Trystin o Daniel. -
Marek alzò entrambi i sopraccigli visibilmente stupito, suo malgrado disse come non credesse a quel che vedeva:
- Si...  Trystin è qua...  Daniel non l'ho visto. - Come poteva essere che Ale avesse fatto qualcosa di giusto così in fretta?
- Non guardarmi con quella faccia! Sono fidanzato con Gianluca, ho pensato che lui verrebbe qua se fosse in lite con me. -
- Oh...  - Fece esterrefatto l’altro fissandolo sorpreso.
“Bugia, sono qua per puro caso, non avevo pensato che Trys potesse essere qua!  Ma mi è andata bene ed allora tanto vale fare bella figura! ”
Tipico suo comportarsi così.
- Oggi non sono venuti a scuola e non erano a casa quindi volevamo sapere come stavano e vedere che intenzioni hanno. - Spiegò il biondo tornando a togliersi gli occhiali da sole per vedere meglio all'interno. Se li mise sulla testa fra le ciocche mosse che si disfavano continuamente, quindi vedendo che Marek si era fatto da parte, entrò.
- E' in camera mia...  è venuto ieri sera dopo gli allenamenti, ha chiesto ospitalità per stanotte e non si è ancora mosso...  - Rispose l'altro con aria seria e preoccupata, sapeva cosa era successo e capiva che non era una cosa da poco.
Trystin e Daniel che litigano non era proprio una sciocchezza.
- Vado da lui. - Asserì senza chiedere nessun permesso.
Alessandro non si domandò nemmeno cosa potesse dirgli, in realtà aveva semplicemente agito d'sitinto, se si fosse fermato a riflettere, forse, sarebbe uscito per cercare Daniel...  con lui aveva più dimestichezza.
Anche se...  bè, lui aveva a che fare con uno che alla lontana, magari, poteva ricordare quella specie di pantera bianca. Chissà se fare come se fosse Gianluca avrebbe funzionato.
Non se lo chiese molto a lungo, fu solo un pensiero lampo, per cui entrò nella camera indicata dal secondo allenatore richiudendosi la porta dietro di sé.
La stanza non era molto ampia ma nemmeno soffocante. Era ordinata e arredata con l'essenziale. Sembrava la camera di un ragazzo più grande di Marek, senza dubbio. Non ci rifletté su molto, si disse solo che era tutta l'opposto della propria, poi aveva puntato la porta-finestra e la figura sul terrazzo, appoggiata alla balaustra di cemento.
Eccolo là Trystin ed il suo bel didietro...  poteva capire perfettamente Daniel. Oggettivamente parlando era un ragazzo splendido e sempre oggettivamente parlando era anche molto complicato, non solo per i suoi silenzi ma per tutto il resto del suo mondo che celava dentro nascondendolo accuratamente. Come ci si rapportava con lui?
Nessuno ci era riuscito veramente, qualcuno ci era andato vicino.
L'unico che l'aveva fatto davvero fino in fondo era Daniel, Daniel con cui non si vedeva più dal pomeriggio precedente.
“Cazzarola, che gli dico ora?”
Ci arrivò in ritardo ma ci arrivò.
Cosa dirgli?
Sospirò togliendosi gli occhiali scuri dalla testa e mettendoseli al colletto della maglietta attillata, con un certo nervosismo si passò le mani fra i capelli spettinandoli ulteriormente, dopo di ché alzando le spalle andò da lui dicendosi di improvvisare.
- Ciao!  - Disse appoggiandosi accanto a lui. Trystin girò appena gli occhi senza spostare la testa, quindi rimanendo col mento sul palmo della mano a guardare il paesaggio dell'ora di pranzo, non disse nulla. Come era da lui.
- Gian ha detto che non sei venuto a scuola ed era preoccupato per te, quindi mi ha chiesto di aiutarlo a cercarti...  bè, ti ho trovato per primo. Era ovvio tu fossi qua, in fondo...  - Cominciò con faccia tosta per mascherare il disagio. Non gli piaceva parlare da solo ma a volte ci era abituato. In realtà le cose non erano come le metteva lui ma per Ale cambiava poco.
Si fermò costatando che a quel punto il silenzioso compagno avrebbe dovuto dire qualcosa e per dargliene modo tirò fuori il pacchetto delle sigarette e prendendosene una fra le morbide labbra ben disegnate, se l'accese sperando di riuscire a rompere quel pesante nulla.
Non successe niente quindi aspirò ed espirò il fumo tenendo la sigaretta fra le dita. Entrambi guardarono i cerchi grigiastri che si allontanavano nell'aria, poi Ale si stufò stabilendo un record personale di silenzio.
“Oh, al Diavolo...  sono qua per farlo parlare non per parlare io...  perché cavolo non dice nulla?”
E stabilendo che la miglior difesa era l'attacco, tornò alla carica deciso e serrato. Gli avrebbe rotto le scatole finché non avrebbe ottenuto il risultato che voleva; lui ce la faceva sempre, in un modo o nell'altro.
- Come stai oggi? Hai pensato abbastanza a cosa dirgli quando lo rivedi? -
Forse riuscì a dire la cosa giusta ma non immaginando quale delle tante fosse, sperò che il suo 'genio' non si esaurisse.
- Non lo rivedrò. - Ale alzò un sopracciglio scettico.
- Perché? -
- Perché non verrà agli allenamenti. - Il compagno proprio non capiva e si espresse senza vergogna.
- Come fai a dirlo? Mica ci hai già parlato? -
- No ma lo so, lo conosco. - Trystin non sapeva perché si era messo a parlare ma l'aveva fatto e lentamente quel peso cominciava inspiegabilmente ad alleggerirsi. Eppure era ancora così pesante.
- Dove pensi che sia adesso, allora? - Lo chiese con un lato di furbizia tipico suo, senza far prendere reale forma alla propria idea. Sapeva solo che stava prendendo la giusta via, era tutto ciò che sentiva e siccome lui era istinto e sensazioni, non c'era altro da fare se non agire.
- A casa a preparare le valigie. - Rispose freddamente l'altro, era sicuro che se ne sarebbe andato senza dirgli più nulla. Ne era certo. Del resto non sapeva nemmeno che aveva pianto e che era stato così disperato da farlo fra le braccia di Alessandro.
Un sorriso somigliante ad un ghigno:
- No. A casa vostra non c'è nessuno. - Un battito.
- Se ne sarà già andato...  - Cercò razionalità, non seppe perché ma la cercò, forse per non illudersi inutilmente e stare peggio.
- O non ci avrà nemmeno messo piede...  - Insinuare il dubbio...  l'unico in grado di farlo così bene e con quell'aria subdola era lui, era pane per i suoi denti ed improvvisamente fu sicuro dell'esito di quella chiacchierata. Riprese a fumarsi con gusto la sigaretta e girandosi di schiena rispetto al parapetto, continuò a puntare i suoi occhi azzurri su quelli altrettanto azzurri solo più trasparenti dell'altro, che ancora di profilo evitava lo sguardo.
Aveva un profilo molto bello.
Un altro battito per Trystin.
Silenzio.
Ale tornò alla carica sempre più convinto di quel che stava facendo.
- Sai cosa ha fatto ieri quando vi siete separati dopo esservi picchiati? - Non attese e concluse col colpo di grazia: - Ha pianto ed io l'ho visto con i miei occhi. Mi ha chiesto cosa fare. Pensi che io gli abbia detto di fare le valigie e andarsene? - Ancora silenzio. Ancora un battito e poi sempre di più, via via che la voce di Alessandro si levava in quel terrazzo, all'aperto, e il caldo aumentava grazie al sole che splendeva, i suoi battiti aumentarono. Sensazioni.
Quante sensazioni si è in grado di provare prima di scoppiare?
Quanto avrebbe resistito Trystin?
- Cosa...  cosa gli hai detto? - Come se fosse davvero importante. Come se dipendesse da quello.
Ale si girò del tutto verso di lui e senza toccarlo, dando un ultima tirata alla sigaretta ormai consumata, glielo disse avvicinandosi col viso al suo ancora di profilo:
- Di aspettare perché tu saresti tornato da lui. -
Di nuovo silenzio. E quei battiti così accelerati che a momenti gli scoppiavano nel petto. Sentirli così chiaramente, sentire il proprio sangue affluire con velocità nelle vene, la testa dolergli, gli occhi bruciare, i muscoli tirargli...  sentire ogni singolo dettaglio di sé stesso e sapere. Sapere esattamente cosa fare.
Sapere precisamente cosa si VUOLE fare.
Saperlo.
Alessandro buttò la sigaretta dal balcone poi rimettendosi gli occhiali da sole aggiunse girandosi verso l'esterno: - Tu sai dov'è. -
Non attese una risposta, non serviva e comunque non sarebbe arrivata.
Lo lasciò sconvolto a guardare davanti senza vedere nulla. Lo lasciò là e allontanandosi, proprio prima di uscire, concluse deciso e serio come forse poche volte in vita sua lo era stato, facendo rabbrividire l'ascoltatore per la verità che stava dicendo:
- Solo una cosa. Se lo ami e lui ama te non c'è ragione per lasciarvi. -
Semplice, lineare e vero come un pugno in pieno stomaco.
Potente.
Dannatamente potente.
Dopo di quello l'ala della squadra di basket più rinomata della città, se ne andò spiaccicandosi sulla faccia un ghigno vittorioso consapevole del proprio successo.
“Adoro fare il cupido della situazione! ”
Aveva pensato con una certa felicità interiore per aver fatto qualcosa di buono, per una volta.
Fuori dall'edificio si appostò dietro l'angolo aspettando di veder passare Trystin.
“Ora basta seguirlo per vedere l'esito di questa soap opera inglese! ”
Altra risata ghignante.
Bè, come per tutti...  se non ci fosse sarebbe stato da inventare...  fortuna che c'era!

/ A pain that I’m used to – Depeche Mode/
Quando Gianluca si chiese dove potesse essere la copia di Alessandro solo in versione più esagerata ed estremista, la risposta cadde senza ombra di alcun dubbio sul campo da basket comunale.
Quindi arrivato ai giardini pubblici si fermò sul bordo del campo, delimitato da un muretto basso, ad aspettare.
Cosa?
Bè, ciò che si presentò davanti ai suoi occhi appena messo piede in quel posto fu una bella rissa il cui centro di tutto era niente meno che Daniel.
Ovvio trovarlo così, se Gianluca ci avesse scommesso avrebbe vinto.
Quindi si sedette in disparte e incrociando le braccia sul petto attese la fine di quell'incontro di boxe stile libero.
Non assunse particolari espressioni né si godette lo spettacolo, per lui non era una gran roba vedere gente che si picchiava, anche se spesso era lui stesso a fare quella parte.
“Però, per essere solo contro tre ci sa fare...  “
Pensò guardando come il moro inviperito ci andava giù pesante con quegli sconosciuti. Teppistelli da strapazzo, probabilmente.
Eppure li colpiva con pugni di una tale ferocia che per un istante, un lungo istante, mentre incassava e si riprendeva ritornando il colpo centuplicato, a Gianluca vennero i brividi. Quel suo sguardo, quell'espressione rabbiosa non era solo piena di ira, era anche piena di dolore. Sembrava che mentre si picchiava con quegli sconosciuti, piangesse disperato le lacrime di cui era composto.
E rimanendone profondamente colpito si trovò a riflettere a ruota libera su quel Daniel. Un Daniel irriconoscibile.
“C'è un buco nella tua anima, un anima da animale senza coscienza. Colpisci e colpisci senza sosta, forte, quanto più forte tu riesca e non ti penti di usare chi non c'entra nulla per sfogare il tuo dolore. Non riesci a nascondere quello che provi, mentre Trystin lo fa in continuazione tu non ci riesci, esterni tutto in continuazione fino ad esagerare ed esplodere, come se fossi abituato a soffrire ma consolarti e sfogarti diventi sempre più difficile. Presto non ti basterà nemmeno fare a pugni.
Oh Daniel, come ti stai riducendo?
Eri così prima di conoscere Trystin? È così che tornerai ora senza di lui?
Lo ami così tanto da far di lui tutta la tua vita?”
Senza esprimerlo fra i suoi pensieri, a quel punto si chiese se anche fra lui e Ale le cose sarebbero state così.
Si chiese se anche il loro era amore ed arrivava a quei livelli. Si chiese come avrebbero reagito lasciandosi.
Se lo chiese e per un attimo si sentì così male da dover mordersi il labbro per non avere più un pensiero simile.
Capì quanto doveva soffrire Daniel in quel momento e quando finalmente finì di picchiarsi con quei ragazzi che se ne andarono capendo che non era pane per i loro denti, Gianluca si fece avanti con calma e lentezza, mettendosi le mani in tasca e non togliendogli gli occhi di dosso nemmeno per un attimo.
L'osservò prendersi la palla da basket abbandonata a qualche metro da lui e asciugarsi il sangue dal mento con l'avambraccio che rimase sporco di rosso. Ne aveva ricevute molte ed era malconcio ma lui pareva non notarlo.
Si mise a palleggiare distrattamente senza un intenzione precisa, poi notò la sua presenza silenziosa. Non lo salutò e non soffermò i suoi occhi grigi sui suoi verdi più di un istante.
- Cosa pensi di fare ora? - Se fra Ale e Gian il più diretto ed indelicato poteva sembrare Ale, sentir andare Gian direttamente al sodo senza il minimo riguardo, si capì che non c'era proprio un peggiore o un migliore.
Daniel si fermò subito guardandolo rabbioso, i capelli neri spettinati e sugli occhi non impedirono di vedere il suo sguardo scuro.
- Cosa te ne frega? - Ringhiò quindi selvatico. Gianluca resse lo sguardo e rispose composto e quasi saccente:
- A me nulla. È a te che frega. - Una logica difficile da capire per un carro armato come l'inglese, infatti non capì cosa intendesse ma decise di non indagare, non gli andava, non aveva proprio voglia di discutere, non con lui. Che senso aveva discutere con Gianluca?
Si era pestato fino a quel momento e non si era sentito affatto meglio.
La verità era che non sapeva nemmeno lui cosa fare, cosa voleva.
Era venuto lì per essere trovato facilmente da Trystin ma il fatto che non si facesse vivo e che al contrario venisse Gianluca, lo fece sentir peggio.
- Ti ha mandato a lui a dirmi di prendere le mie cose e andarmene dall'appartamento? - In fondo era pagato dal padre del biondo...  non pensava fosse davvero capace di questo, il suo compagno, ma gli uscì istintivamente. Voleva sapere qualcosa di lui ma non osava chiederlo direttamente per orgoglio.
Gianlcua lo comprese, avendo a che fare con Alessandro non gli riuscì difficile, quindi mantenendosi serio e staccato disse:
- No, sono venuto io. Volevo vedere come stai. - Non gli sembrò sciocco dirlo e non se ne vergognò affatto, come invece avrebbe fatto Ale. Daniel fu colpito da quell'affermazione cristallina, quindi si ricredette e si ridimensionò un attimo togliendosi la rabbia dal viso. Continuava a stringere la palla.
Sospirò.
- Male. - Disse brusco ma meno aggressivo. Ad un tratto non gli dava più tanto fastidio quel ragazzo.
- E cosa pensi di fare per stare meglio? - Voleva puntare a farlo parlare con Trystin ma non con l'intenzione di farlo fuori, bensì con quella di rimettersi insieme. Si amavano tutti e due e lasciarsi in quel modo, con quell'equivoco immenso, era da sciocchi.
- Nulla. - Sempre secco, sempre stringendo la palla. Stava male, sapeva solo che stava male e che voleva Trystin.
Sapeva solo questo.
- Pensi che sia finita davvero? - Chiese quindi sempre senza tatto e con fermezza.
- Dipende da lui. - Rispose ringhiando di nuovo il moro che contrasse la mascella per la rabbia che di nuovo provava. Rabbia per il proprio dolore. Quando sarebbe finito quello strazio?
- Da cosa? - Non avrebbe mollato, voleva raggiungere un risultato a qualunque costo.
- Se lui oggi verrà o no. - E capì che aspettava che fosse Trystin a perdonarlo e venire da lui e chiedere a sua volta il suo perdono. Capì che aspettava lui, nonostante tutto, pronto a ricominciare. Ma solo se lui avrebbe avuto la sua stessa volontà. Lo capì e capì anche l'immensa fatica che faceva a non correre da lui e prendere l'iniziativa.
Si può sopportare una cosa simile?
Se lo chiese con smarrimento, Gianluca, disorientato dentro di sé da quel sentimento così forte e sconvolgente.
Non potevano lasciarsi, non potevano.
Lo vide tirare tutti i muscoli del copro e tendersi come una corda di violino insieme al viso contratto, quindi tentò l'ultimo colpo che a modo suo sarebbe dovuto essere decisivo.
- E pensi che verrà? -
A qual punto Daniel non facendocela più schiacciò con potenza la palla a terra in mezzo a loro due gridando violento: - NON LO SO!  -
La sfera di cuoio fece un enorme cupola in aria mentre Gianluca senza guardarla puntò i suoi occhi penetranti su Daniel, piegato a terra con il viso nascosto fra le mani e le unghie conficcate nella fronte, fra i capelli. Tremava.
“Non so nemmeno io cosa posso fare per te, a questo punto. “
Si disse rispettando in cuor suo la decisione del ragazzo, una decisione che aveva più senso di quanto si sarebbe mai aspettato.
“Nemmeno Ale arriverebbe a tanto, lui verrebbe da me e mi obbligherebbe a tornare insieme. Questo ragazzo ama come non ho mai visto fare nessuno.”
E sinceramente colpito alzò la mano destra sopra la sua testa prendendo al volo la palla che ricadeva dal cielo.
Si giro leggermente verso il canestro a qualche metro da loro, poi esitando un istante concluse in un sussurro deciso, un sibilo:
- Il dubbio uccide l'amore. Non dubitare mai. Mai. -
Poi a sancire il monito che fece rabbrividire Daniel ancora raccolto su sé stesso, accovacciato a terra, il biondo esercitò un movimento secco e lineare con la mano e col polso facendo uno dei suoi canestri perfetti.
Dopo di quello si girò e senza aggiungere altro si allontanò tornando da dove era venuto. Fu passando accanto a quel muretto delimitatore che, proprio incrociando Trystin che andava da Daniel ricevendo il suo lieve sorriso, fu tirato giù da una presa ferrea e prepotente.
Chi poteva essere se non Alessandro?
- Ma che vuoi? - Disse a bassa voce nascosto insieme al compagno.
- Spiarli!  - Fece l'altro ovvio e sadico. Gianluca scosse il capo e secco rispose:
- Io non voglio, sono affari loro. -
- E allora non spiarli!  - Disse sempre con faccia tosta il biondo dai capelli mossi.
- Allora me ne vado. - Affermò deciso il suo ragazzo facendo per alzarsi, in quello fu riafferrato dal tiranno che lo riportò giù vicino a sé, quindi chiese: - Cosa vuoi da me? -
- Che stai qui, non posso mica fare ancora a meno del tuo bel culo!  - Asserendo ciò gli palpò il fondoschiena con una certa convinzione e gioia. Mentre Ale alzò la testa sopra il muretto per spiare i due, Gian scosse la sua pensando che non sarebbe mai cambiato. Suo malgrado rimase lì a guardare anche lui!

/Dice – Finley Quaye/
Trystin arrivando al campo di basket pubblico che di solito usava Daniel nei momenti liberi, incrociò Gianluca e nel momento in cui si guardarono passandosi accanto, fu quest’ultimo a sorridergli lievemente con una consapevolezza nello sguardo che lo colpì.
Come se dicesse che tutto stava finendo bene.
Non era da lui, pensò Trystin, ma gli piacque, come gli piacque l’idea che mentre Ale era da lui, Gian fossa da Dany.
Ognuno aveva avuto il suo sostegno, aveva fatto la propria parte. Ora toccava a loro.
Quando mise piede sul campetto di basket di cemento si fermò a qualche metro dal suo ragazzo accovacciato a terra, tremava e si nascondeva il viso fra le mani.
La palla era rotolata distante da loro.
Gli si strinse il cuore a vederlo in quello stato, gli bastò vederlo in quel modo per capire l’Inferno che aveva passato e perché non l’aveva cercato nonostante stesse così male.
Si accovacciò a sua volta senza farsi sentire, o meglio senza fare rumore o parlare.
In realtà non capì nemmeno lui come, ma Daniel lo sentì lo stesso ed alzando la testa rivelò il suo viso stravolto dal dolore.
Non piangeva, come se non avesse più lacrime ma in cuor suo lo stesse piangendo ancora.
Si guardarono negli occhi e fu un istante brevissimo in cui il tempo si cristallizzò. Uno con un espressione stravolta e quasi incredula, l’altro sereno e dolce. Una dolcezza infinita che mai avrebbe creduto di vedergli addosso.
Daniel trattenne il sospiro ed i propri battiti mancarono sospendendolo come mai nella sua vita era accaduto.
Trystin era lì e lo guardava nel modo in cui lo guardava quando facevano l’amore.
Non si toccarono, per quel momento rimasero l’uno davanti all’altro e si sentirono come se il ritmo crescesse sempre più, il ritmo del destino che correva grazie ai loro sentimenti ed alla loro volontà.
Poi il biondo dai corti capelli che di natura andavano in ogni direzione possibile, parlò per primo e fu questo ciò che contò veramente, più di cosa si dissero. Trystin parlò e Daniel sentì il proprio cuore riprendere improvvisamente i battiti ed accelerarsi all’impazzata. Come un adolescente alla sua prima cotta. Come se non lo vedesse da secoli. Come se fosse l’unica persona al mondo che avrebbe voluto vedere.
- Mi ami? – Non fu una domanda di dubbio, Daniel lo capì bene mentre si perdeva nei suoi occhi chiari e nelle sue labbra seducenti, quindi con voce roca e titubante chiese:
- Perché me lo chiedi? –
Trystin non cambiò tono e non si mosse ancora mentre si immaginava a curargli quella ferita all’angolo della bocca di natura sempre imbronciata. Avrebbe voluto abbracciarlo, curarlo, stringerlo, baciarlo e farlo suo lì, in quel posto. Avrebbe davvero voluto, ma c’era una cosa da chiarire. Solo una.
Era vitale.
- Perché io ti amo e se mi ami anche tu, tutto il resto va a posto. Non c’è ragione di lasciarci. – Disse citando l’amico che gli aveva parlato poco prima.
Daniel capì ogni cosa e finalmente tornò a lui, al suo cuore ed alla sua anima.
Tornò in quel posto da cui si era sentito escluso e vide chiaramente il muro crollare e loro tornare insieme.
Lo sentì.
Lo sentì talmente che anche se non l’avrebbe toccato sarebbe potuto venire col solo pensiero di riaverlo avuto.
Era esattamente quello che aveva sperato di sentirsi dire una volta rivisto Trystin.
E non l’aveva deluso.
- Ti amo. – Disse solo questo con voce rotta e mentre senza più avere la forza di parlare gli saltava addosso abbracciandolo e cadendo distesi, gli premette le labbra sulle sue. Non sentì un briciolo di dolore per la spaccatura che aveva a causa della rissa e nemmeno gli altri lividi gli avrebbero fatto male. Mai.
In quel momento in cui il Paradiso era tornato da loro, avrebbero provato solo l’estasi e la felicità.
Trystin quindi lo cinse con le sue braccia e con forza e pienezza l’abbracciò a sua volta premendoselo contro, stendendosi sul cemento e cercando immediatamente la sua lingua per paura che potesse essere un sogno.
Quando si trovarono e cominciarono a danzare insieme all’interno delle loro bocche unite, il resto sparì e solo allora, solo essendo totalmente l’uno nell’altro, capendo che non era finita e che stavano ancora insieme, che avrebbero vissuto ancora l’uno accanto all’altro, fu lì che Trystin pianse liberando tutto quello che aveva tenuto dentro fino a quel momento. Gettando fuori quell’esplosione di dubbi, pensieri e angosce, esprimendo con quelle lacrime e quel pianto silenzioso la gioia che provava in quell’istante stringendo il suo Daniel, l’unica persona che amasse.
- Posso fare a meno di tutto, anche del basket, ma non di te… - Al culmine delle sue emozioni sentì il bisogno di esprimere a voce anche questo e Daniel tornò a sorridere in quel suo modo che gli illuminava il viso selvatico, in quel modo quasi infantile ma vivo. Infinitamente vivo.
- Anche per me è così. –
Non si sarebbero mai più taciuti nulla, nemmeno la cosa più ovvia e scontata del mondo.
L’Inferno lo si passa una volta sola, si dissero.
E mentre loro si scambiavano tenere effusioni amorose, dietro il muretto basso a poca distanza da lì due persone, e non solo, stavano assistendo sorridendo soddisfatte e contente dello spettacolo. Ale con un ghigno di festa mentre Gian più normalmente.
Tuttavia non furono loro a battere le mani e saltellare dalla gioia, ma Samantah lì vicino a loro.
Come non l’avessero sentita e vista arrivare era un mistero visto il casino che faceva sempre anche solo per respirare… ma sorprendendosi di vederla lì cercarono di farla smettere di agitarsi a quel modo placcandola a terra come in una partita di rugby.
- Taci scema!  – L’ammonirono insieme i due ragazzi stesi sopra di lei con le mani sulla sua bocca.
Sam tentò di rimanere viva e mentre loro ricostituivano il silenzio per non interrompere i due innamorati, una voce calda e bassa, a loro familiare, disse con una certa soddisfazione contenuta:
- Mmm… bene!  –
Giratisi videro appostato alla fine del loro stesso muretto, proprio Marek.
Bè, che lui passasse inosservato ci stava… ma che spiasse qualcuno proprio no.
Del resto le sorprese non finiscono mai!