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CAPITOLO 35:

PERDONAMI
alegian
sammarek
max

“Perdona il mio egoismo, perdona il mio dolore che è stato il tuo, perdona il male che ti ho fatto per fuggire dalla disperazione per la mamma. Perdonami se ti stavo perdendo, perdona le pugnalate che ti ho inferto. Perdonami se puoi.”

/People help the people – Cherry Ghost/
La porta della camera da letto era ben chiusa per lasciare la giusta privacy ad entrambe le coppie di cui una era lì dentro, mentre l’altra nel soggiorno.
Alessandro, Gianluca, Trystin e Daniel erano andati a casa di questi ultimi due in silenzio religioso dopo aver corso a perdifiato allontanandosi svelti dal quartiere in cui non avrebbero mai più messo piede.
Giunti nel loro appartamento, sempre senza proferire una parola più del necessario, con una serietà grave sulle loro spalle appesantite e stanche che si riversava nelle loro espressioni più adulte del solito, si erano lavati e curati le rispettive ferite, poi rifiutandosi categoricamente di mangiare per gli stomaci chiusi a doppia mandata (stranamente anche quello di Daniel…), si erano divisi i luoghi per riposare e stare un po’ in intimità col proprio ragazzo.
L’unica vera cura che a quel punto poteva starci.
L’unica cosa sensata che si sentivano di fare.
I proprietari del loculo erano nella propria camera mentre gli ospiti in soggiorno. Trystin aveva nobilmente proposto il contrario ma gli altri due non avevano voluto saperne di disturbare oltre.
Non si erano parlati oltre.
Solo prima di sparire nelle diverse stanze il mormorio basso e quasi inudibile di Gianluca si era levato rivolto ai due amici inglesi ormai ambientati benissimo in Italia.
- Grazie… - Solo quello. Null’altro sulla questione sarebbe uscito dalle sue labbra verso persone che non fossero state Alessandro.
Gli altri avevano sorriso dolcemente e Daniel si era sentito di aggiungere una frase che aveva toccato il cuore del destinatario:
- Siamo amici, no? – Frase semplice, banale e schietta ma vera. Verissima. E cara agli orecchi stanchi e provati di Gianluca. Non era riuscito a sorridere come loro ma ci aveva provato. Il risultato era stato un debole piegamento di labbra accompagnato da un sospiro più eloquente della sua espressione. Stava per crollare.
Dopo di ché avevano chiuso la porta e si erano diretti due nel letto e due nel divano, sotto lenzuola estive, ad ascoltare la pioggia scrosciante ed il temporale spaventoso che si era scatenato all’esterno.
A lungo quel rumore di tuoni e di tempesta era stato l’unico che si era udito in tutta la casa non molto grande, poi i primi a riuscire a tirare fuori qualcosa dalla loro bocca erano stati Trystin e Daniel. Quando il moro, dopo l’ennesimo lampo seguito da un tuono vicinissimo che aveva fatto tremare i vetri ed i loro corpi stretti l’uno contro l’altro,  premendosi ulteriormente contro il suo ragazzo come se fosse un bambino, disse:
- Andrà tutto bene, vero? – Trystin si sorprese di sentirgli dire una cosa simile non solo perché era breve ma soprattutto perché era diretta ad un qualcosa che non aveva immaginato l’avesse colpito così tanto. Invece a quanto pareva era rimasto molto impressionato da quanto accaduto a Gianluca e poi dalla reazione di Alessandro.
Sentiva il suo cuore battere leggermente irregolare contro il suo petto e col desiderio di calmarlo e aiutarlo ad affrontare quella notte tumultuosa, cominciò ad accarezzargli dolcemente e protettivo la schiena, salendo talvolta fra i capelli scompigliati e mossi. Sembrava quasi un padre.
- Ti ricordi quando hai avuto l’incidente e sembrava dovessi smettere di giocare a basket? Non si sapeva nemmeno se avresti camminato di nuovo. È stata dura perché per obbligarti a curarti accettando di andartene lontano da me per un tempo indefinito, ho sospeso il nostro rapporto. Volevo ti curassi a tutti i costi e all’epoca non potevo seguirti, eravamo troppo giovani ed io non potevo fare completamente di testa mia fino a quel punto. Come immaginavo, arrabbiato, deluso e addolorato te ne sei andato odiandomi. Hai voluto andartene a curarti per stare lontano da me il più possibile. Sono passati due anni, tu hai fatto operazioni e fisioterapia, io ho aspettato che tornassi. Quando ci siamo rivisti su quel campo da basket come avversari dopo tanto tempo è stato come rinascere e non ce l’avevi più con me perché come mi vedesti capisti subito le mie motivazioni. Finita la partita ci siamo rivisti da soli e non sono servite le parole per chiarirci. Ci siamo solo rimessi insieme ed abbiamo deciso di venire in Italia a ricominciare da capo una vita nostra, lontano da tutto e tutti. Costruendoci da soli il nostro angolo di Paradiso. È questo che è successo. E ricordi come ci siamo sentiti? Come potevamo pensare, durante la separazione, che tutto potesse tornare a posto? Che potesse andare bene? Tu forse non potevi più camminare, per farti curare ho dovuto lasciarti e farmi odiare, non stavamo più insieme, non ci siamo visti e sentiti per due anni. Due anni, Daniel. Però poi è finita bene. Ci è voluto tantissimo, è vero, ed è stata la cosa più dura che abbiamo passato. Però ci siamo riusciti. È andata bene. Come puoi dubitarne ora per loro? Se sono nostri amici significa che non li reputiamo meno forti di noi. Ce la faranno. Andrà tutto bene. Vedrai. –
Anche se inizialmente aveva avuto l’istinto di rispondergli brevemente come era sua natura, il fatto che Daniel avesse parlato così poco e si fosse scoperto così smarrito e preoccupato per i loro amici, l’aveva intenerito facendogli sentire il bisogno di sprecare più parole e tempo. Così si era aperto dicendo tutto ciò che il flusso dei suoi pensieri gli aveva tirato fuori con dolcezza e pacatezza. Una calma tipica sua ed un amore adulto, completo e totale che l’aveva scaldato facendogli ricordare quel periodo terribile della loro vita. Erano giovani eppure ne avevano passate già molte, era vero. Ma ora erano lì. Lì con loro. Rinati. Nuovi. E tutto era andato bene.
Non voleva che il suo Daniel ne dubitasse, non sarebbe stato da lui.
Per quello gli trasmise tutto ciò che provava, come sempre, anche se per una volta non con del silenzio.
Il suo compagno, ascoltando e ricordando ogni cosa insieme a lui, sospirò senza dire nulla a lungo ancora, poi aveva piegato le labbra in un mezzo sorriso misterioso e aveva risposto piano ma di nuovo sicuro:
- Si, hai ragione come sempre. Se ce l’abbiamo fatta noi ce la faranno anche loro. L’importante è che stiano insieme! –
Detto ciò si alzò sul gomito quindi cercando le sue labbra le trovò ringraziandolo con un bacio delicato. Bacio che divenne presto qualcosa di più. Un qualcosa che lenì ogni ferita e tremore ancora presente per quella lunga e massacrante giornata.
La verità era che Gianluca e Alessandro erano davvero fortunati ad avere degli amici come Trystin e Daniel. Lo erano davvero tanto.
Mentre lì si consumava un atto d’amore, nel soggiorno, stesi nel divano l’uno sopra l’altro e abbracciati semplicemente, i due si erano decisi ad interrompere a loro volta lo scroscio della pioggia e i tuoni dei fulmini.
Alessandro era coricato sotto e Gianluca sopra, con la testa sul suo petto, all’altezza del cuore che ora batteva regolare e calmo. Il calore del suo corpo lo tranquillizzava come anche le carezze leggere e dolci delle sue mani.
Attenzioni e coccole che i due non si erano quasi mai concessi a quel modo.
Ma a quel modo non ci si erano mai sentiti.
Gianluca non era ancora calmo ma nemmeno agitato. Lo stato d’animo del giovane non era facilmente spiegabile, in realtà.
Era confuso.
Terribilmente confuso.
E lì, cercando di capire come stesse, cosa volesse e cosa provasse, gli vennero alla mente le parole del suo ragazzo riguardo quel suo lato oscuro. Gliene aveva parlato quando avevano fatto l’amore per la prima volta, se non ricordava male.
Erano indelebili in lui.
‘Fra noi due non sono io quello veramente pericoloso, Gianluca. Io tiro fuori subito tutto quello che ho e che mi divora, mentre tu lo tieni dentro e poi esplodi quando non ce la fai più. Solo che il tuo livello di ira è diventato così alto che arrivi ad uccidere, in quei momenti. Ecco perché sei tu quello veramente pericoloso fra noi.’
Era vero e solo lì capì a fondo il loro significato.
Aveva un lato oscuro terribile che ora spaventava perfino lui.
Il ricordo di ciò che era successo era vivo, di come si era sentito carico di odio, del desiderio illimitato e gigantesco di uccidere, la rabbia ceca, la ragione perduta, il fuoco che lo divorava… e man mano che tutto continuava a girargli dentro ogni sensazione sgradevole si ingigantiva in lui. Ben presto la confusione lasciò il posto ad una sola cosa.
Un solo sentimento chiaro, limpido ed incontrastato.
La paura.
Paura verso sé stesso.
Poteva davvero diventare come quei folli che uccidevano le persone che tanto aveva disprezzato fino ad ora?
Lui era così?
Un pazzo assassino?
E se non si sarebbe più controllato?
Se Ale non ce l’avrebbe fatta a calmarlo?
Se non fosse riuscito a fermarlo?
Se sarebbe successo ancora e l’odio sarebbe stato più grande?
Come si poteva convivere con quel lato oscuro pericoloso e spaventoso pronto ad uscire e sopraffarlo di volta in volta sempre di più?
Come si faceva?
Mentre pensava a tutto ciò venendo divorato dalla paura e dal terrore sentendo le lacrime premergli per uscire insieme al nodo salito fino in gola, si rese conto che nemmeno respirava e che si stava aggrappando alle braccia di Alessandro come se fosse un ancora di salvezza.
Tremava.
Ma forse non aveva mai smesso da quando erano entrati in casa.
L’ira era andata via ed ora era rimasto solo un desolante terrore.
Come si fermava?
Con la testa che sembrava volergli esplodere sempre più capì di dover parlare, di non avere scelta. Di doverlo fare per sopravvivere. Per non morire nel tentativo di reprimere di nuovo tutto ciò che esplodeva in lui.
- Ale… ho paura… - E non gli uscì altro che quello. Quello insieme alle sue lacrime smarrite e spaventate. Tutto di lui parlava portando il giovane steso sotto di lui a capire esattamente come si sentisse e perché. Si disse solo che era ora.
Che finalmente era ora che piangesse e si sfogasse in modo umano.
Da che lo conosceva era la prima volta che piangeva, ne era sicuro. Certo, non lo conosceva da molto ma in realtà quella era anche la prima volta che Gianluca piangeva in assoluto. Piangeva così seriamente e disperato.
Col cuore.
Così lo strinse ancor di più circondandolo del tutto con le sue braccia, premendolo contro il suo petto come un bambino che aveva fatto un incubo terribile e che aveva paura di riaddormentarsi da solo.
Lo comprendeva e lo capiva ma erano diversi e non poteva dirgli come l’aveva superata lui perché sicuramente non sarebbe scattato lo stesso meccanismo. Gianluca si sentiva così per un motivo diverso anche se il sentimento era lo stesso.
Lui all’inizio l’aveva combattuto con la droga ed una strada più sbagliata dell’altra, cacciandosi in ogni guaio possibile, poi aveva incontrato Jack che l’aveva aiutato tantissimo ed in seguito la molla che gli aveva fatto decidere per la resurrezione totale era stato proprio Gianluca. Ma per lui Alessandro si sentiva la molla che l’aveva fatto sprofondare ancora di più!
Cosa dire? Come aiutarlo? In realtà non lo sapeva proprio e comunque l’unica cosa che era riuscito a fare per lui era stato impedirgli di ammazzare.
Lo tenne contro di sé sentendo il suo pianto che gli usciva da dentro e rabbrividendo si diede dell’imbecille portatore solo di dolore per chi amava. Gli passò per la testa di allontanarsi da lui per permettergli di vivere una vita più normale, ma capì che comunque la sua natura prima o poi sarebbe venuta fuori lo stesso con o senza di lui.
Quando sarebbe successo di nuovo avrebbe per lo meno voluto esserci, come ci era stato per quelle volte.
- Di cosa? – Era una domanda stupida, lui sapeva di cosa aveva paura, ma voleva farlo parlare. Doveva parlare. E fra i singhiozzi nascosti nel petto del compagno aveva mormorato a fatica:
- Ho un lato oscuro orrendo! Io in realtà quello che sono è solo un assassino! –
Fu confuso il pensiero ma chiaro per lui. Gli carezzò i capelli lisci e lunghi fino al collo, glieli scompigliò appena, poi tirò fuori tutta la sua forza chiedendo una saggezza che comunque non pensava di possedere. Cosa dirgli?
Poteva davvero dirgli qualcosa in grado di aiutarlo? Proprio lui che di parole giuste non ne aveva mai ricevute davvero ma solo fatti e gesta?
- Non sei un assassino. –
- Grazie a te! Se non ci sarai come farò? – Rispose subito sempre più agitato e spezzato. Ad Ale si strinse il cuore in una morsa. Non voleva fosse così, non voleva vederlo in quello stato terribile, non poteva. Gianluca era più forte di così. Lo era perché non era solo.
Così lo prese per le spalle e con un moto di stizza tipico suo lo tirò su per guardarlo in viso. Era stravolto di lacrime, tutto rosso, gli occhi piccoli e gonfi completamente bagnati di un verde smeraldo acceso, diverse ciocche che ricadevano disordinate, alcuni lividi accennati.
- Io ci sarò sempre! Per fermarti. Per amarti. Per consolarti. Per farti ridere. Per darti forza. Per proteggerti. Per restituirti l’anima quando la perderai. Per curarti. Per illuminarti. Perché se tu sarai la notte io sarò il giorno! E se non ci sarò io ci sarà sempre qualcuno per te. Per te sempre. Non sarai mai solo! –
- MA IO VOLEVO AMMAZZARLI DAVVERO! SONO UN ASSASSINO IN REALTA’! – Gridò allora Gianluca in preda al panico nonostante le meravigliose parole di Alessandro che registrò solo in un secondo momento. A quello l’altro scattò e urlando al suo stesso modo si tirò su a metà tirando tutti i muscoli del corpo che ancora gli dolevano per le risse di prima:
- ALLORA IO AMERO’ UN ASSASSINO MA NON TI LASCERO’ MAI SOLO! MAI! TI AMO, GIANLUCA, E QUESTO FATTO NON PUO’ ESSERE CAMBIATO DA NESSUNA FORZA AL MONDO. NESSUN ORRORE CHE TU POTRAI FARE MI TOGLIERA’ QUESTO MIO SENTIMENTO PER TE! NESSUNO! PERCHE’ MI HAI RESTITUITO LA VITA! IO VOLEVO SOLO MORIRE PRIMA DI INCONTRARTI! MI DISTRUGGEVO PER MORIRE! ORA VOGLIO VIVERE MA CON TE. PER SEMPRE. QUALUNQUE COSA ACCADA. NON ME NE FREGA DI QUANTI AMMAZZERAI! NON TI HO FERMATO PER DIFENDERE QUELLA MERDA MA PER NON ROVINARE LA TUA ANIMA! NON HAI AMMAZZATO NESSUNO MA SE LO FARAI E ANDRAI ALL’INFERNO IO TI SEGUIRO’ ANCHE LA’! NON TI LIBERERAI MAI DI ME QUINDI FICCATI IN TESTA CHE ESSERE UN ASSASSINO ED ODIARE A QUEL MODO NON E’ LA COSA PEGGIORE CHE TU POSSA FARE! LO SAREBBE NON AMARE. NON AMARMI PIU’. MA TU MI AMI. TU AMI E ALLORA VAI AVANTI CHE LA VITA CONTINUA CHE TU LO VOGLIA O NO! E SE PROPRIO VUOI PIANGERE, DANNAZIONE… - Qua la voce si ruppe sentendola roca per le urla e abbassata per il nodo uscito insieme all’esplosione. Quindi quando terminò lo sbotto simile ad un fiume in piena fuori di sé, lo fece anche lui mormorando fra le lacrime: - …fallo perché è morta tua madre! –
Fu a quel punto che Gianluca si rese conto da cosa era partito tutto.
E si ricordò di ciò che aveva preferito usare nel modo sbagliato per non piangere e tirare fuori anche quell’ennesimo lato che da anni aveva sempre represso.
Non solo uno oscuro e pericoloso ma anche uno fragile e preda del dolore.
Sua madre era morta e la verità era che non l’aveva ancora nemmeno pianta.
Dopo essersi sospeso sconvolto e shockato dalle parole urlate di Ale, egli riflesso nei suoi occhi azzurri bagnati di lacrime, occhi che gli ricordavano due laghi e non più due diamanti, riprese a piangere.
Ma questa volta non più di paura bensì di dolore.
Dolore per la propria madre morta.
Lo stesso dolore che molti anni prima Ale aveva dovuto provare per la morte dei suoi genitori.
Fu immergendo nuovamente il viso nell’incavo del collo del suo ragazzo che sussurrò lieve:
- Perdonami… rimani per sempre con me… non lasciarmi mai… mai… Ti amo anche io. Ti amo e sii il mio giorno. Ti prego. –
A queste parole, a questa preghiera, il cuore di Alessandro si scaldò di nuovo e ancora protettivo e dolce come prima tornò a circondarlo premendolo a sé con decisione e pienezza, sentendo tutto il suo corpo contro, desiderando di averlo così per sempre. Di non staccarsi mai più.
E di poterlo proteggere per il resto della loro vita.
- Mai. Non ti lascerò mai. Nemmeno quando morirò, ti lascerò! Piuttosto mando a fuoco l’aldilà, per poter stare qua con te! Ti amo e sarò il tuo giorno. Basta che tu stia sempre con me! –
La testa del compagno si mosse annuendo impercettibile, senza la forza di dire una sola sillaba in più.
Alessandro e Gianluca rimasero abbracciati stretti a piangere per tutta la notte.

/Hallelujah – Jeff Buckley/
Quella casa così grande continuava ad essere silenziosa come non lo era mai stata.
Un silenzio mortale, si poteva dire, portato dalla chiusura totale di quella che da sempre veniva chiamata ‘sole’ nella mente di tutti i familiari.
Samantah continuava a non fiatare.
Le ore trascorsero silenziose nella villa e nessuno ancora continuava a voler uscire, nessuno voleva muoversi, nessuno voleva fare nulla.
Quando il temporale si abbatté all’esterno fu come se indicasse lo stato d’animo di tutti loro.
Il padre continuava a stare chiuso nello studio, i figli ognuno nelle proprie stanze, Samantah nella sua accompagnata da Marek che non la lasciava sola un secondo mentre Max… Max girava da una parte all’altra facendo sempre il necessario, senza mai fermarsi, senza osare pensare, senza poter permettersi di sentire il proprio dolore.
Senza fare nulla per sé stesso.
Max continuava a reggere le redini di quella che un tempo era una famiglia allegra, felice ed unita.
Ora erano solo tanti individui solitari che stavano sotto lo stesso tetto col medesimo dolore. L’uno lontano dall’altro.
Dopo averla seduta sul davanzale largo e basso della finestra che si allargava su quasi tutta la parete della sua camera, rivolta verso i vetri a guardare la pioggia cadere furiosa e fitta dal cielo nero e cupo, Marek si girò chiedendosi a quel punto cosa potesse fare.
L’aveva abbracciata tutto il tempo parlandole dolcemente, non era servito a nulla.
Lei continuava a stare in un altro mondo e a non avere reazioni. Come fosse una bambola. Lì la mettevi e lì stava.
Ma quella non era lei.
Assolutamente no.
Socchiuse gli occhi e sospirò chiamando un aiuto dal cielo, chiedendosi se qualcuno esistesse davvero in grado di aiutarla.
Fu lì che, come evocato dai suoi pensieri, Max entrò nella camera dopo aver lievemente bussato.
I suoi capelli neri e mossi gli incorniciavano il volto dai lineamenti delicati ed estremamente dolci, non erano tenuti col gel in nessun modo assurdo e bizzarro e così al naturale era più bello del solito.
Rivide tutta la bellezza della madre e dovette spostare la sua attenzione sugli abiti trasandati, sui jeans scoloriti e strappati, sulla maglietta nera attillata per rendersi conto che non era lei.
Se fosse stato omosessuale probabilmente si sarebbe potuto perdutamente innamorare di lui.
Lui che ancora resisteva e non crollava. Mandava avanti la casa e la famiglia senza buttarsi giù.
Ce la faceva ancora.
Per quanto?
- Come va? – Chiese quindi indicando la sorella con lo sguardo di chi vuole trattenere l’immensa tristezza che lo invade.
Sembrava più adulto di quel che era.
Marek si allontanò da lei sedendosi nel letto, poco distante da lui, quindi ricambiando il suo sguardo rispose sinceramente turbato e preoccupato:
- Onestamente male. Non fa miglioramenti, non dà cenni di vita. Sembra completamente di un altro mondo. Come se non guardasse, non ascoltasse, non sapesse parlare… - Sapeva che non era il caso di girare il dito nella piaga ma nonostante fosse circa suo coetaneo e ci fosse già passato per un inferno simile, non sapeva proprio che pesci prendere e la sua Sam non poteva stare in quello stato ancora. Non poteva.
Max allora abbassò le spalle e sospirò amareggiato. Voleva resistere ma di minuto in minuto continuava ad essere sempre più difficile.
Si avvicinò lentamente alla sorella, una volta accanto cominciò fraterno ad accarezzarle la schiena ricurva ed i capelli sparsi su di essa. Una cascata nera appena ingrovigliata.
- Lei aveva idealizzato la nostra famiglia… - iniziò pacato portando i suoi occhi chiari verso l’esterno, anche lui sulla pioggia che divorava il mondo. – pensava che fosse perfetta, che nulla potesse farla crollare, rovinare, distruggere. Che fosse destinata alla felicità per sempre. Ora però ha capito che così non è e pur di non accettare questa crudele realtà dolorosa, si è chiusa in un mondo dove non deve affrontarla. Però prima o poi dovrà uscirne e fare i conti. Dovrà. –
Rimasero in silenzio per un po’, ognuno a pensare alle parole che ancora vibravano nell’aria insieme ai tuoni, quindi dopo un attimo indefinito Marek abbassando gli occhi di un blu intenso da far male, rispose con un filo di voce:
- Spero che tu abbia ragione. – Avrebbe voluto essere forte e positivo come lui dicendo che sicuramente era così, ma non ci era riuscito. Dopo aver passato la sua vita a soffrire per la perdita di suo padre ed i propri sogni infranti, non ce la faceva più ad essere forte e positivo.
In fondo non lo era mai stato davvero anche se l’impressione che aveva dato era stata proprio quella.
- Sai… - Continuò quindi seguendo la propria linea di pensiero e volendo renderlo partecipe, sentendosi estremamente vicino a quel ragazzo in quel momento: - All’inizio non volevo stare con lei per paura di farla soffrire. Ero convinto di non saper amare, mi ero chiuso a quel sentimento con tutto me stesso per le grandi delusioni che avevo avuto dalla nascita. – Alzò lo sguardo velato e penetrante sul profilo dell’altro in piedi a poca distanza da lui, ancora accarezzava dolcemente Samantah persa nella pioggia. Lo ricambiò rimanendo altrettanto serio e concentrato: - Non sono riuscito ad oppormi. Lentamente me ne sono innamorato contro le mie forze ed ora mi rendo conto che questo mio amore per lei comunque non basta per proteggerla ed aiutarla. Non basta. E allora… cosa posso fare io per lei? Niente... – Max fu percorso dai brividi ascoltando la sua bella voce calda piena di sfumature dire quelle cose. Le pensava profondamente e un moto di dispiacere lo pervase. Se crollava anche lui cosa sarebbe successo? Lui si permetteva di non lasciarsi andare e di reggere ancora proprio per la consapevolezza che a Sam ci avrebbe pensato lui ma se lui pensava di non farcela come poteva fare?
Fu lì che il panico lo invase capendo che forse le cose non sarebbero potute andare bene, dopo tutto. Nemmeno lasciando al tempo il compito di lenire le ferite.
Sgranò appena gli occhi di un bellissimo colore chiaro indefinito dove mille pagliuzze colorate sporcavano l'azzurro di base delle iridi, e improvvisamente le spalle cominciarono a pesargli, come se quel mondo che fino a quel momento aveva portato ora era carico il triplo.
Il fiato gli mancò e prima che potesse dire qualcosa e che la sua mente gli desse un imput intelligente ed utile, in un flash rivide suo padre chiuso nello studio che non aveva più l’intenzione di fare il padre, due dei suoi fratelli chiusi nelle proprie camere a piangere a dirotto e spaccare tutto mentre Gianluca disperso chissà dove a combinare chissà cosa.
Gianluca… cosa ne era stato di lui?
Cosa gli era successo?
Cosa aveva fatto?
Non lo aveva mai visto in quello stato. Era esploso… e se i suoi amici non lo avrebbero recuperato?
Si ricordò anche di lui rendendosi conto del fatto che non avendo ricevuto loro notizie significava che anche lui, ora, era sulle sue spalle.
Che doveva pensare anche a lui, che non poteva contare sugli altri per recuperarlo e vedere che non facesse disastri.
Così come per Samantah.
Samantah chiusa in sé stessa a fuggire dalla realtà.
Samantah che non rideva più, non faceva forza agli altri.
Samantah spenta, catatonica, una bambola priva di vita e il suo fidanzato scoraggiato, impossibilitato ad aiutarlo. Abbandonava il campo anche lui?
Anche lui non era di nessun’aiuto come anche gli amici di suo fratello che non si erano più fatti vivi?
Come suo padre stesso che non aveva mai avuto intenzione di dare una mano?
Nessuno che poteva fare nulla per quella famiglia disastrata?
Nessuno che voleva combattere con lui per rimanere a galla?
Nessuno?
E allora… allora cosa poteva fare lui da solo?
In fondo era solo un ragazzo.
Uno qualunque che si sforzava di andare avanti e di fare tutto quello che c’era da fare. Perché qualcuno doveva farlo, no?
Ma come si tornava su se nessuno lo aiutava e si opponevano alla risalita?
E poi, comunque, loro madre non sarebbe tornata, no?
A cosa serviva darsi da fare ed essere la colonna di una famiglia se non c’era un obiettivo vero e proprio da raggiungere?
Cercare di farcela per chi?
Lei non c’era più, in fondo… a chi importava?
A nessuno di loro cinque importava e nemmeno a lui, ormai.
Ormai nemmeno a lui.
Di sette persone che avevano composto quel nucleo nessuno ormai era rimasto...
Non poteva servire a nulla darsi così da fare.
E se nessuno era in grado di portare parte del suo fardello allora non rimaneva che rimanerne schiacciati sotto quei pesi insopportabili.
Sua madre, suo padre, Gianluca, gli altri fratelli, Samantah…
Ognuno un peso.
Ognuno addosso a lui che aveva tenuto duro, ma lì se lo chiese.
“Per cosa? Per chi? A chi interessa se tengo duro? La mamma è morta, gli altri non ci sono comunque più, rimango io, qua, da solo. Allora al Diavolo.
Al Diavolo davvero.
Non serve a nulla.
A NULLA!”

/Apologize – OneRepublic/
Fu lì che smettendo di carezzare la sorella si girò e colpendo violentemente il muro accanto a sé con un espressione deformata per la rabbia e tetra come nessuno l’aveva ancora visto, la prese per le spalle e obbligandola a guardarlo da vicino cominciò a scuoterla con forza. La scosse e urlò fuori di sé lasciando libero tutto ciò che aveva trattenuto, lasciando libera la sua rabbia, il suo dolore, i suoi sentimenti, la sua sofferenza.
- VUOI RIMANERE LI’ DENTRO? E ALLORA RIMANICI! VOLETE TUTTI CONTINUARE A SPROFONDARE NELLO SCHIFO SENZA PIU’ VIVERE? ALLORA FATELO! NON ME NE FREGA PIU’ NULLA! NULLA! MA NON VENITE A CERCARMI! NON VENITE DA ME! NON ROMPETEMI I COGLIONI PIU’ PERCHE’ SE IO NON ESISTO PIU’ PER VOI, VOI NON ESISTERETE PIU’ PER ME! SE IO SONO SOLO LO SIETE ANCHE VOI! MI SENTI, SAMANTAH? MI SENTI? VUOI REAGIRE? PARLARE? GRIDARE? PIANGERE? VUOI TORNARE DA ME? VUOI? EHI, TI STO PARLANDO! RISPONDI, PORCA PUTTANA! – Lo sfogo fu lungo e completamente inaspettato, Marek fu l’unisco spettatore di quella scena sconvolgente ed insolita che mai avrebbe immaginato di guardare.
Un Max completamente fuori di sé che gridava furioso contro Samantah.
E mentre la scuoteva parlando come un fiume in piena, allo stesso modo, in concomitanza con la pioggia all’esterno ed i tuoni che rombavano facendo tremare tutto, le lacrime uscirono dai suoi occhi. Lacrime che ancora non erano uscite e forse erano state trattenute per troppo tempo.
Lacrime che rigando le sue guance chiare, bagnando i suoi occhi sofferenti, mostravano tutto lo smarrimento e il crollo fisico ed emotivo che lo fece scoppiare.
Fino a che non riuscì solo a ripetere come una litania, disperato e senza forza, accasciandosi sul suo ventre, inginocchiato davanti a lei ancora seduta:
- Reagisci… ti prego… torna da me… reagisci… reagisci… Sam… - di continuo, di continuo, fra i singhiozzi, le pulsazioni accelerate, la testa che gli esplodeva, il respiro tagliato via, il bruciore su tutto il corpo, la sensazione di impazzire, di non farcela, di morire. Morire se qualcuno non avesse fatto qualcosa per lui. Se qualcuno non gli avesse mostrato PERCHE’ doveva tenere duro e fare la colonna della famiglia.
Allora, davanti agli occhi esterrefatti di un Marek attonito e impietrito, finalmente le braccia della ragazza si mossero andando tremanti e titubanti a circondare la testa del fratello accasciato contro di sé, piangente e disperato.
Le mosse, lo cinse, si piegò a sua volta come a coprirlo col suo busto, i capelli neri caddero di lato e la forza in quell’abbraccio un po’ strano crebbe schiacciandolo contro di sé, schiacciandosi su di lui a sua volta, trasmettendogli la vita che di nuovo aveva ripreso a scorrere.
“Perdonami… perdonami se mi sveglio solo ora. Perdonami se fino ad adesso sono rimasta nel mio mondo, se non ti ho aiutato, ascoltato, parlato, guardato, perdonami se non ci sono stata. Perdona il mio egoismo, perdona il mio dolore che è stato il tuo, perdona il male che ti ho fatto per fuggire dalla disperazione per la mamma. Perdonami se ti stavo perdendo, perdona le pugnalate che ti ho inferto. Perdonami se puoi. Io ti voglio bene, non voglio che tu stia così. Non voglio che tu pianga per me. Non voglio che tu molli, non voglio che per colpa mia tu non sia più tu. Non andartene. Rimani con me, insisti, non lasciarci. Continua a guidarci, ad essere forte per noi, a fare la cosa giusta, a dire la cosa giusta. Sii quel che sei sempre stato. Per noi. Perché senza non ce la faremmo ad uscirne. Perché ora sei tu la nostra forza.
Non lasciarci, ti prego.
E perdonami per tutto quello che ho fatto, per la mia immaturità, per questo mio dolore sbagliato, per averti tagliato fuori. Era anche tua madre, con che diritto ti ho impedito di star male?
Perdonami, ti prego… sono qua, sono con te… non ti lascerò più… illuminerò ancora questa casa, lo prometto.
Per lei.
Perché so che lo vorrebbe.
Questo buio non le sarebbe piaciuto.
Ora sono qua.
Ora sono tornata.
Ora sono pronta per cominciare.
Perdonatemi tutti. “
Con quest’esplosione nel cuore e nella mente, anche i suoi occhi neri finalmente vivi si illuminarono insieme alle lacrime uguali a quelle del fratello che, sentendo un unico sussurro dalle sue labbra sul suo orecchio, continuò a piangere più forte come un bambino. Come non si era mai concesso. Come sperava di non fare più in vita sua.
- Perdonami… - Solo quello.
E insieme a loro due anche gli occhi di Marek divennero lucidi osservando la scena, poco distante da loro, caldo del loro dolore e del loro ritorno.
Della vita che aveva ripreso impetuosa a scorrere.
Dopo tutto Max aveva avuto ragione.
Samantah si era svegliata e aveva affrontato la vita ma grazie a lui, lui che l'aveva sempre aiutata in mille modi sostenendola, consigliandola, standole accanto; lui che per lei era gran parte del suo mondo, un mondo molto affollato che da quel giorno avrebbe contato una persona in meno.
Quella che dalla nascita era stata la sua guida, il suo sostegno, la sua amica, la sua confidente, la sua gioia, la sua complice, il suo tutto.
Sua madre.
Però Samantah l’abbracciava e piangeva coprendolo e stringendolo col suo corpo rimasto immobile per tutto il giorno. Si scuoteva e si muoveva di nuovo.
Era ancora lì con loro ad affrontare quella cosa a volte crudele a volte meravigliosa che era la vita.
E il tempo che era rimasto immobile fino a quel momento, riprese a scorrere lento.

/Colors – Amos Lee/
Non puoi correre pensando che non ti fermerai mai.
Non puoi fermarti pensando che non riprenderai più a correre.
Non puoi correre per sempre.
A volte cammini.
Non puoi camminare per sempre.
A volte corri.
La pioggia carica e minacciosa che si era riversata a fiumi nel mondo accompagnata da fulmini micidiali e spaventosi, sembrava sapere questa verità.
Dal nulla al tutto e poi di nuovo sulla via della calma. Poco, qualche goccia senza alcun lampo ad attraversare il cielo scuro e nuvoloso.
E poi dopo qualche ora appena, di nuovo nulla. Un po’ di vento a spazzare via tutto.
Solo quello.
E alzando gli occhi al cielo, allora, si sarebbero viste di nuovo le stelle e la luna splendenti nel manto notturno.
L’avrebbero viste Daniel abbracciato come un koala al fidanzato Trystin che ricambiava paziente dopo aver fatto l’amore ed essersi sentiti insieme una volta di più.
L’avrebbero viste Marek in piedi a vegliare sui due che erano usciti allo scoperto.
L’avrebbero viste Samantah e Max, tirati su con la finestra aperta per far entrare un po’ di aria pulita, ancora abbracciati, l’uno appoggiato all’altra.
L’avrebbero viste Gianluca e Alessandro, stesi nel divano, entrambi con gli occhi rossi e gonfi di pianto, stravolti e stanchissimi ma con una serenità di fondo portata dal loro amore. Ancora avvinghiati, abbracciati, stretti l’uno all’altro.
Una sola verità mentre una strana sensazione indecifrabile li attanagliava.
Sarebbe potuto succedere qualunque cosa. L’avrebbero affrontato insieme.
La vita riprese il suo corso visto che da sempre essa è proprio l’unica cosa che non si può rifiutare per sempre.
Prima o poi arriva per tutti il momento di viverla.
Per tutti.