*Questa
voltap er ogni canzone c'è il link al video, come sempre cliccateci
sopra e leggete la parte relativa...*
CAPITOLO 36:
CONSEGUENZE
Dopo
la tempesta il cielo tornò sereno anche se non completamente.
Alcune
nubi erano rimaste a chiazze ad oscurare l’azzurro intenso.
Grigie,
non nere.
Se
ne sarebbero andate o sarebbero aumentate diventando più minacciose
riversando una nuova tempesta sulla città?
-
Ma quanto sta? Se non viene subito arriviamo tardi! – Borbottò Gianluca
guardando l’orologio al polso. I suoi capelli biondo scuro ormai
avevano un taglio completamente diverso: riga in parte, ciuffo che
scendevano lateralmente lungo fin sotto al mento, dietro appena più
corti che sfioravano il collo. Nell’insieme gli donava molto anche se
non lo teneva sempre perfetto ed ordinato. Spesso lasciava che le
ciocche più lunghe scivolassero sul viso.
- E
vabbè, anche se succede non fa nulla! – Sminuì Alessandro spingendo il
compagno pronto per uscire di casa.
Era
ora di andare agli allenamenti pomeridiani di basket e dopo parecchio
tempo di assenza, sia Gianluca che Samantah tornavano ‘all’ovile’.
Il
problema però era che lei mancava!
Uno
sguardo truce del biondo dagli occhi verde bosco colpì quello azzurro
del suo moroso che ricambiò con un ampio sorriso furbo scoccandogli un
bacio nell’aria.
Sapeva
bene che odiava arrivare tardi agli allenamenti, al contrario suo che
non gliene importava, voleva solo stuzzicarlo un po’.
-
Dove è andata? – Chiese per cambiare discorso.
Gian
si strinse nelle spalle e in quello spuntò Max dalla cucina con una
bottiglia fresca di birra in mano e la sigaretta nell’altra.
I
capelli neri e mossi erano sistemati col gel in uno dei suoi soliti e
vecchi modi strani. Anche loro erano tornati alla normalità!
-
Non vi ha detto? –
-
No, Ha detto che usciva e di aspettarla che veniva anche lei in
palestra. – Rispose Ale accendendosene una a sua volta. Si era appena
spuntato i capelli poiché ormai erano diventati troppo lunghi e
selvaggi, ma ancora non è che il suo taglio fosse poi ben definito come
quello del suo compagno.
-
Allora non vi dico niente! – Fece Max con un sorrisetto sornione
bevendo un sorso dalla bottiglia.
Proprio
a quel punto dall’esterno si udì una potente frenata e tutti dissero in
coro:
-
Eccola! – mentre Gian andava ad aprire seccato e sbrigativo la porta.
La
sua pazienza era esaurita di gran lunga!
Una
volta davanti all’uscio d’ingresso, il giovane si fermò sorpreso
dimenticando perfino il suo ritardo. Incuriositi anche gli altri due si
affacciarono per vedere e mentre Ale fischiava malizioso, Max sorrideva
consapevole.
Sam
aveva i capelli corti che ricoprivano morbidi il collo. La riga in
parte e la frangetta scalata che scendeva laterale sulla fronte.
Volto
radioso.
-
Te li sei tagliata! – Esclamò Ale evidenziando l’ovvio, il suo
entusiasmo era incommensurabile, sembrava quasi che le stelle, fra lei
e lui, fossero scese nella stanza!
-
Si! Vi piacciono? – Rispose saltellando felice con fare infantile
mentre si girava per mostrarli meglio.
-
Certo! Sei una gran gnocca! – Fece allora il gioioso amico cingendole
le spalle, lei ricambiò circondandogli la schiena pronta al fulmine
che, come d’abitudine, sarebbe dovuto arrivare a colpirli per quel
gesto impune.
Ma
quando si girarono a vedere come mai non arrivava nessuna scarpa,
videro Gianluca assorto a scrutare la sorella che sembrava un'altra e
non solo per i capelli.
Sembrava
riflettesse sul reale significato di quel cambiamento esteriore, cosa
che si rispecchiava anche interiormente.
“E’ un chiedere scusa per come
si è comportata…” Pensò semplicemente senza fare alcuna
espressione particolare.
Lui
non c’era stato durante la sua crisi di catatonia ma gliene avevano
parlato. Al contrario loro non avevano saputo nulla di quel che avevano
combinato lui e Ale anche se presto, lui ne era certo, sarebbe venuto
fuori in qualche modo.
Quella
sensazione ce l’aveva dal mattino successivo.
-
Ti dona davvero! Sembri un'altra. – Disse Max continuando a sorridere
fraterno e gentile, consapevole anch’egli del motivo di tale taglio.
-
Grazie! – Rispose radiosa buttandogli di slancio le braccia al collo e
scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia liscia e rasata.
Con
una dolce carezza sulla nuca, aggiunse ad alta voce con semplice
onestà:
-
Si volta pagina? –
-
Si! – Asserì immediatamente lei facendo correre i grandi occhi neri
luminosi alla porta dello studio del padre. Ovviamente ben chiusa come
tutti i giorni dalla morte della moglie.
Se
ne stava là dentro tutto il giorno, non usciva mai, mangiava appena
qualcosa giusto per la minima sopravvivenza, non si curava più di
nulla, né di sé stesso né dei suoi figli. Per lui era tutto morto con
lei.
La
luce si spense un attimo nello sguardo della ragazza, quindi si voltò
in fretta e cambiando di nuovo espressione si mise a saltellare felice
verso l’uscita di casa.
-
Forza! – Esclamò scacciando quella nuvola che ancora rimaneva sopra le
loro teste. Cosa sarebbe stato di quel loro padre che si rifiutava di
vivere? - Dobbiamo andare o facciamo tardi! –
A
questo Gianluca parve svegliarsi e tornando ai suoi soliti sguardi
truci borbottò seccato precedendola alla macchina:
-
Ormai lo siamo già, sai? –
La
risata cristallina in risposta della sorella fu il regalo più bello di
quei giorni orrendi.
Quando
arrivarono in palestra, gli allenamenti erano iniziati da qualche
minuto e vedendo Gianluca e Samantah, che erano stati assenti per molto
tempo, tutti i presenti si fermarono all’istante. Le palle in mano, le
scarpe sul parquet che stridevano venendo bloccate improvvisamente.
Un
silenzio perfetto che feriva quasi gli orecchi.
Erano
decisamente diversi, a partire dai capelli diversi e più curati di
entrambi.
Solo
le espressioni erano di nuovo quelle di sempre: lei sorridente, lui
tetro.
Guardandoli
bene, però, tutti notarono una luce comunque diversa.
Una
maturità, una crescita interiore, una tempra nuova.
È
vero che le sofferenze rischiano di uccidere ma se le vivi e le superi
poi regalano qualcosa di prezioso e importante che non si può
guadagnare in altro modo.
-
Ciao a tutti! – Salutò come niente fosse la mora, eppure una
consapevolezza diversa nel volto.
Il
primo a riprendersi fu l’allenatore matto, Jack, che venne loro
incontro con espressione chiaramente felice e commossa insieme.
La
sua capigliatura buffa come al solito si scosse quando li strinse a sé
insieme, proprio come un padre.
Nessun
imbarazzo, solo un nodo che rimase dentro sciogliendosi da solo a quel
contatto dolce e sentito.
-
Sono contento che siete tornati. – Per tutto il tempo d’assenza non
aveva mai fatto loro pressione per tornare, ma non aveva mai smesso di
guardare l’ingresso sperando di vederli apparire. Proprio come quel
giorno.
Gianluca
naturalmente si limitò a posare appena una mano sulla spalla dell’uomo
che lo stringeva mentre la mora ricambiò di buon grado nascondendo per
un momento il viso contro il suo collo.
Forse
un giorno avrebbe potuto farlo di nuovo anche con suo padre…
Nonostante
quello dell’allenatore fu gradito, fratello e sorella sentirono un
forte impulso di scappare all’idea di dover sopportare altri saluti
simili e toccanti da parte di tutto il resto della squadra, ma quando
si staccarono videro i ragazzi che si erano rimessi al lavoro
scherzando come niente fosse. Da lì capirono che tutti avevano avuto la
loro crescita personale, in quel periodo di assenza.
Jack
vedendoli di nuovo tutti insieme in quel modo così collaborativi e
amichevoli come non lo erano mai stati, se lo disse:
“Ecco
la mia squadra unita e forte. Quella che sognavo.
Ed
ora nessuno ci ferma più!”
Fu
anche in virtù del ritorno di Francesco che lo pensò.
Il
ragazzo si era ripreso dall’infortunio ed era tornato anch’egli ad
allenarsi. Non aveva ancora giocato partite ufficiali ed ormai mancava
solo la finale a chiusura del torneo.
Con
sacrifici e stringendo i denti, a fatica, erano riusciti ad arrivare
fino lì nonostante i molti deficit imprevisti, ma adesso che la squadra
si era finalmente riformata potevano vincere.
Anzi.
Avrebbero
vinto senz’altro.
Certo
era che completamente fuori forma, Francesco si limitava ad allenarsi e
non a giocare le partite ufficiali, sicuro che ormai sarebbe rientrato
nel campionato successivo.
Tutti
lo aiutavano a riprendersi e Jude in primis, contento ed entusiasta con
quella sua consapevolezza in più di cui ormai aveva reso partecipe
anche il suo compagno.
Qualcosa
in ciò che li legava non gli permetteva di vivere separato da lui e
quando Francesco glielo aveva sentito dire, si era illuminato dicendo
che per lui era lo stesso.
Non
si erano messi insieme dicendo che si volevano bene, non si erano
baciati, non avevano fatto nulla.
Semplicemente
Jude ora abitava da Francesco e fino al prossimo passo, quei due
sarebbero stati consapevolmente inseparabili!
Del
resto non per tutti è facile arrivare allo stadio finale. Anche
Gianluca ed Alessandro avevano penato non poco!
Quando
gli ultimi arrivati ritardatari cronici si unirono agli allenamenti,
una domanda si insinuò nella mente bizzarra ed incontrollata di Jack
che si pose soffermandosi su Alessandro:
“Ma
sarà davvero finita la tempesta?”
E
non era l’unico ad avere quel dubbio… Gianluca non aveva quasi più
dormito una notte intera, dal giorno della sparatoria.
Marek,
nell’abbracciare piacevolmente sorpreso la sua ragazza, fu certo che,
al contrario di quel che pensavano gli altri due, ora si poteva tornare
definitivamente alla vita.
Una
sensazione forte dettata dall’amore maturo e totale che provò una volta
di più per lei.
Baciandola
sulle labbra tenendo il suo viso dimagrito fra le mani, si riempì di
quella Samantah nuova.
-
Mi sei mancata, piccola. – Una dolcezza che poteva riservare solo a lei.
Il
sorriso con cui rispose fu anche per lui un regalo che non avrebbe
sperato di rivedere così presto.
Il
suo sole era tornato e nessuno glielo avrebbe più portato via.
Stringendola
a sé, cingendola a piene braccia fino quasi a toglierle il fiato, lo
giurò a sé stesso rendendosi conto che per anni era stato un idiota a
rifiutare tutto quello.
Samantah
era riuscita laddove molti avevano fallito.
Aveva
trovato quella porta dietro cui era rimasto e aveva buttato giù tutti i
muri che l’avevano circondato.
“Nessuno
me la porterà più via.”
Un
giuramento che avrebbe mantenuto per sempre.
Quando
Alessandro fu in campo, seguendo una qualche sua idea demente per fare
casino come al solito facendo finta di vedere Francesco per la prima
volta dopo molto tempo, salutandolo a gran voce con un gran sorriso
furbo sul viso, gli si buttò fra le braccia stringendolo con invadenza
e faccia tosta.
-
Ciao principe! – Nessuno l’aveva mai chiamato così ma volendo poteva
anche starci come soprannome.
Il
giovane castano dai capelli ricci legati in una coda bassa da cui
sfuggiva qualche ciuffo ribelle, rimasto spiazzato da tale accoglienza
che non gli aveva mai riservato, ricambiò spaesato l’abbraccio senza
capire da dove venisse tutta quell’esuberanza.
Lo
capì ben presto grazie alle due scarpe che avevano colpito Alessandro
in testa in un nano secondo!
Quando
si girarono videro Jude da una parte e Gianluca da un'altra senza una
scarpa!
Il
secondo si limitò ad uno sguardo glaciale che quasi lo paralizzò (o per
lo meno avrebbe paralizzato qualunque essere normale!) mentre il primo
si fiondò lì e artigliando la maglia di Ale per dietro lo staccò
bruscamente e con forza da Francesco che ancora sorridente si godeva la
scena divertito. Non si poteva comprendere quanto capisse il
significato di quel gesto, tuttavia era certo che gli piacesse!
La
gelosia di Jude era palpabile e a confronto diretto con il ragazzo da
una bellezza molto simile, selvatica e indomabile, ci furono molti che
non staccarono loro gli occhi di dosso.
Ebbene
si guardarono, uno minaccioso con la voglia di sbranare e l’altro che,
al contrario, ridacchiava col suo perenne ghigno ben stampato sulle
belle labbra ben disegnate.
-
Non farlo mai più! – Oh, non lo minacciò nemmeno… si limitò ad
avvertirlo. Nonostante Ale facesse sempre il contrario di tutto quel
che gli si diceva, era chiaro che non l’avrebbe più rifatto.
Forse.
Il
biondo gli fece solo un occhiolino, poi l’altro lo mollò e
riprendendosi Francesco come fosse un peluches di sua proprietà si
allontanò.
Quando
se ne furono andati e gli altri ebbero ripreso il riscaldamento creando
il consueto casino con le palle e le voci, Gianluca si avvicinò per
riprendersi la scarpa abbandonata a terra. Ale non si massaggiava
nemmeno la nuca tanto che era abituato a prenderle!
Il
giovane coi capelli sistemati dietro alle orecchie nonostante qualche
ciocca lunga cadesse sugli occhi, lo guardò malissimo come se lo stesse
fulminando ma non lo ammonì.
Si
rimise la scarpa e sempre senza smettere di squadrarlo come fosse un
criminale, ricevette anch’egli il ghigno da perfetto monello, il
classico di uno che cento ne faceva e mille ne pensava!
Prima
però che potessero staccarsi e mettersi anche loro al lavoro, una
valanga li investì mozzandogli il fiato.
Dopo
un veloce viaggio all’inferno, tornarono nei loro corpi ancora
schiacciati da un corpo umano non certo molto leggero…
-
Allora la squadra è di nuovo al completo! – L’accento inglese ormai era
minimo ed il tono così allegro che lo riconobbero prima che la vista
poté tornare!
Il
botto che avevano ricevuto non era stato poco, Daniel si era
letteralmente buttato su di loro da una distanza non trascurabile. Con
ancora le braccia intorno ad entrambi i due amici stretti forzatamente
a sé, tornarono completi alla vita in tempo per vedere l’angelo che
subito dopo il demone fu apprezzato più del normale.
A
quel punto credettero di essere saliti un po’ troppo dall’inferno ed
essere arrivati al paradiso!
L’espressione
incolore di sempre arrivò loro vicino insieme a quel divino essere che
non aveva nulla di selvatico o tentatore, ma solo di angelico!
-
Ciao ragazzi… - Anche la sua voce, quasi del tutto priva di accento
inglese ormai, non tradiva emozione eppure loro capirono che invece era
contento di rivederli insieme. Non sapeva dimostrarlo come Daniel, e di
questo gliene erano tutti grati, ma lo era comunque.
Dopo
quel giorno non si erano rivisti con Gianluca e Samantah decidendo di
lasciare loro tutto il tempo necessario, quindi per entrambi quello era
di certo un bellissimo giorno, una sorta di passaggio.
Oppure
no?
-
Rieccoci tutti qua! Ehi, bisogna festeggiare… che ne dite di finire la
serata a casa vostra a mangiare e bere come delle merde e… - Alessandro
era partito col suo solito entusiasmo. La potenza della sua gioia era
tale che nulla al mondo avrebbe potuto buttarlo giù.
Sentiva
che la svolta era in atto.
Da
lì in poi sarebbe andato tutto bene ed il volo sarebbe decollato con
tutti loro, finalmente.
Ma
forse questa era la convinzione unicamente sua e di Daniel.
Perché
nell’aria uno strano suono aveva cominciato a sentirsi, veniva da
lontano ma non era reale, era nelle loro teste solo che Gianluca e
Trystin non lo ignoravano al contrario degli altri due che preferivano
fare casino e aggrapparsi al momento di felicità che si erano presi con
unghie e denti.
Che
suono era?
Non
riuscivano a capire…
-
Non è successo niente dopo? – Chiese Trystin a Gianluca mentre questo
sgusciava dalla presa di Daniel che continuava a progettare la serata
insieme all’altro casinaro compagno. Non dovette spiegarsi meglio, capì
subito a cosa si riferiva poiché era stato il suo pensiero fisso da
allora.
Quindi
con una serietà che in quel momento sfiorò la gravità, borbottò solo:
-
No. – Ma entrambi pensarono:
“Strano…
“
In
fondo era stata una sparatoria… qualcuno era rimasto ferito ed anche
gravemente. Non sapevano nemmeno se se l’era cavata… la polizia
indagava sulla morte di sua madre, come potevano essere sicuri che
trovando il colpevole in quelle condizioni, sempre che fosse vivo, non
sarebbero riusciti a risalire a loro in qualche modo?
Tutti
sapevano i casini che Alessandro aveva combinato fino a qualche mese
prima… e non erano pochi.
Il
suo passato li collegava facilmente a quella banda che lo odiavano, se
li prendevano avrebbero di certo fatto il suo nome per vendicarsi.
E
il fatto che lo sapessero aspettandosi qualcuno varcare la soglia e
portarselo via, non aiutava certo a ricominciare da zero.
Ma
poi quel rumore immaginario… quel rumore strano… come un fischio
preparatorio ad una esplosione… quel qualcosa si stava avvicinando ed
ormai era dietro l’angolo.
Quando
Alessandro e Daniel decisero di coinvolgerli tirando i rispettivi
morosi per le braccia con quella di andare a fare i tiri a canestro
prima del richiamo di Jack, la testa di Gianluca cominciò a
martellargli mentre lo stomaco si stringeva.
Incrociati
i suoi occhi azzurri e limpidi come, poteva giurarlo, non erano mai
stati dalla nascita, si sentì male.
L’ultima
volta che si era sentito così era stato pochi giorni fa, un istante
prima della notizia di sua madre.
Fu
esattamente in quel preciso istante che le porte della palestra si
aprirono e dei passi distinti, diversi dalle suole delle scarpe da
ginnastica che stridevano nel parquet, si udirono chiari e netti.
Quando
Gianluca con l’ansia di chi se l’era aspettato ogni giorno ed ogni
notte da quasi un mese, girò immediato la testa per vedere chi fosse,
strinse forsennato e convulsivo la presa sulla mano di Alessandro che
ancora lo tirava dicendo qualche stupidaggine delle sue.
Si
fermò e si zittì. Mentre nella sua mente quella musica strisciante e
sottile di prima era esplosa.
Con
lui il tempo si sospese.
Gli
occhi color cielo di Ale si sfigurarono in qualcosa che non ebbe
espressione e non guardando chi era appena entrato creando il silenzio
in tutto l’ampio spazio, bensì il volto del suo ragazzo che si era
pietrificato stringendo così tanto la mano da fargli male.
Solo
da quello capì di cosa si trattava.
E
fu certo che i loro cuori saltarono un battito.
Una
vociona seria e dura si decise a parlare dall’entrata:
-
Alessandro Fenice! È qui? – Fu allora, prima di voltarsi e rispondere,
che egli strinse di rimando la sua mano ma non per sé stesso bensì per
tranquillizzarlo.
Già…
e su cosa?
Se
lo chiese senza sapersi rispondere…
Erano
venuti a prenderlo. I giochi, e ne aveva fatti molti, troppi, erano
finiti.
Quell’ultimo
sguardo che si scambiarono davanti a tutti fu carico dei sentimenti che
provavano anche se per Gianluca ci fu la paura.
La
paura vera.
Quella
era paura bassa, strisciante, paralizzante, deformante, maledetta e
bastarda.
La
paura non di sé stesso ma per qualcun altro che ormai contava di più al
mondo.
Tutti
giurarono di non averlo mai visto così.
Il
sorriso che gli lasciò prima di voltarsi e lasciargli la mano fu quanto
di più felice, sereno e tranquillo ci fosse.
La
luce.
Poi
scivolò via da lui e con fermezza, col cuore che gli martellava nelle
orecchie senza fargli sentire nulla e il mondo che vorticava impazzito,
si voltò verso la polizia che era venuto a portarlo via..
-
Sono io. – Disse forte e chiaro andando loro incontro. Dall’esterno
pareva facesse una passeggiata eppure dentro di sé c’era l’apocalisse.
Quando
giunse innanzi ai due uomini in divisa seri in viso che scrutavano quel
ragazzo maggiorenne, lo dissero sempre a voce forte e chiara:
-
Alessandro Fenice, è in arresto per l’omicidio di Giada Scolari e per
ora il tentato omicidio di Leonardo Crescenti. Per non contare tutto il
resto… – Aggiunse scettico l’uomo mentre lo giravano ammanettandolo. La
faccia tosta dell’altro arrivò fin lì, del resto dopo di quel momento
non avrebbe più avuto voce…
-
Uno: non ho ucciso io Giada, la madre di Gianluca, visto che stavo
giocando una partita davanti a migliaia di persone. Due: che significa
per ora tentato omicidio?’ E tre: cos’è tutto il resto? – In fondo con
la polizia aveva anche una certa familiarità visto tutte le volte che
aveva rischiato di finir dentro anche se era solo un ragazzino… se
l’era sempre cavata e sapeva che mostrarsi impauriti o intimiditi era
una perdita di tempo nonostante, effettivamente, ci si pisciasse sotto
davvero!
Il
suo orgoglio era comunque più grande del suo timore, quindi per non
farsi mettere i piedi in testa dimostrò che non avrebbero fatto con lui
quel che volevano.
“Quei
pezzi di merda sono stati presi e volevano trascinarmi nel loro casino
accusandomi addirittura di aver ucciso la madre di Gian Bastardi! Solo
per vendetta, eh? Ma non ce la faranno… mi inventerò qualcosa!”
Ma
poi cominciarono a snocciolare tutte le altre accuse, non dopo aver
spiegato che Leonardo era in fin di vita in ospedale, ma ancora vivo.
-
Possesso illecito di armi, furti, possesso di droghe, aggressioni. E
queste sono solo le cose che spiccano dal tuo inglorioso passato fino
ad oggi. Si potrebbe andare avanti all’infinito. Tutte le cose per cui
sei riuscito a farla franca si ripercuotono ora. Hai fatto l’ultima
cazzata della tua vita. – Avrebbe voluto gridargli che Leonardo era
solo un pezzo di merda e che si era meritato la pallottola e che aveva
sbagliato mira di proposito ma tornando indietro l’avrebbe ucciso
davvero, avrebbe voluto sputargli in faccia mentre diceva che non
sapevano un cazzo della sua vita e di cosa gli era successo, di tutto
ciò che aveva subito e di quante cose illegali aveva dovuto sopportare
mai denunciate. Avrebbe voluto vomitargli addosso tutte le ingiustizie
ricevute e che quelle cose erano comunque solo cazzate, che la
sparatoria di un mese prima era legittima difesa che non avevano nulla
contro di lui, che dovevano solo andare a farsi fottere e lasciarlo in
pace una buona volta.
Avrebbe
voluto dire e gridare un sacco di cose che, mordendosi a sangue la
lingua, si tenne a fatica per sé mentre tirava tutti i muscoli del
corpo ora ben visibili e le vene del collo e delle tempio pulsavano
dimostrando tutta la sua enorme ira contenuta.
Ira
pericolosa.
Ma
il ricordo degli occhi verde cupo di Gianluca che terrorizzati si erano
paralizzati sui suoi, pochi minuti prima, lo trattennero.
-
Voglio un avvocato. Voi non sapete un cazzo. – Ringhiò a denti stretti
deviando sull’unica cosa che non gli avrebbe dato la zappa sui piedi.
La
sensazione più terribile che avesse mai provato da molto tempo era
quella.
Una
bestia infuriata ingabbiata.
Impossibilitato
a fare qualunque cosa.
Qualunque.
Venne
poi portato via senza una sola parola, con Jack che li seguiva
intavolando una discussione a tavoletta coi due uomini per difendere il
ragazzo, lasciando la palestra nel silenzio più completo.
Per
la seconda volta in pochi minuti.
E
dalla felicità inaudita che qualche istante fa molti avevano provato,
il gelo li avvolse mentre storditi ed increduli si risentivano le
parole dei poliziotti rivedendosi l’arresto di Alessandro.
Omicidio…
droga… armi… furti… era QUELLO Alessandro?
Ciò
che avevano pensato fosse capace era lontano anni luce da quello che
era in realtà e che aveva fatto.
Era
tutto vero?
Quando
Samantah strinse a sé Gianluca così forte da togliergli il fiato per
farlo tornare alla realtà, la prima cosa che sentì dalla sua voce bassa
e penetrante fu il nome di suo padre.
-
Papà? – Chiese lei staccandosi pensando di aver capito male. Quando lo
guardò in viso per capire cosa pensasse, lo vide di nuovo cupo e in sé.
Sicuro. Deciso. Buio. Determinato.
Quasi
intenzionato a calpestare chiunque pur di riavere Alessandro.
-
Quello pseudo uomo che ho per padre, quello che un tempo era l’avvocato
più grande della città. Lui. O si sveglia una buona volta e tira fuori
Ale da questo casino, o giuro che lo mando da mamma. Così almeno sarà
felice! – Ma non fu certa che sull’ultimo punto dicesse tanto per dire…
Allora
Marek si avvicinò shockato a Trystin che teneva ancora fermo Daniel per
le braccia impedendogli di buttarsi ad aiutare il suo amico.
-
Ma che diavolo avete fatto quel giorno? – Nessuno gli aveva chiesto
nulla nonostante li avessero visti tornare pieni di lividi.
Avevano
immaginato avessero fatto a pugni coi colpevoli e che fosse finita lì.
Ma
alla parola ‘sparatoria’ e ‘ferito grave’ capì che non avrebbero mai
dovuto lasciarli soli.
Il
Gianluca di solo un mese prima, probabilmente si sarebbe lasciato
prendere dal suo lato nero e sarebbe andato alla centrale a fare
casino, così come Alessandro stesso al suo posto.
Il
punto fu che per Alessandro era una questione di carattere, dato che
era famoso per i suoi modi spicci e poco legali, mentre quel Gianluca
nuovo aveva lasciato le sue parti oscure in quella sparatoria dove il
suo compagno gli aveva salvato la vita in più di un modo.
Lì,
Gianluca, era il ragazzo avviato verso una maturità a cui era destinato
sin da piccolo.
Così
pensò semplicemente alla cosa davvero più utile e sensata da fare,
l'unica giusta in effetti.
Ad
Ale serviva un avvocato che lo tirasse fuori da quel guaio e nessuno
poteva essere meglio del potente Giorgio Scolari, marito di Giada e suo
padre.
La
sua reputazione era di chi non aveva perso mai una causa negli ultimi
dieci anni di carriera.
Uscito
dalla palestra seguito da Samantah e Marek che avevano sospeso gli
allenamenti per quella giornata, si era diretto spedito a casa e
lasciando tutti fuori si era chiuso dentro lo studio buio del padre.
Il
signor Giorgio era un uomo alto e affascinante dalla corporatura
robusta e forte. I capelli biondi cominciavano a striarsi di bianco ai
lati e sebbene non fossero mai stati lunghi ma bensì corti e curati, al
momento arrivavano a coprirgli del tutto il collo, incolti e spettinati
ricadevano sugli occhi verdi dal taglio sottile. Il viso sempre liscio
e rasato ora presentava la barba incolta dell'ultimo mese.
Immaginarlo
allo splendore di un tempo lo si poteva vedere pressoché identico al
figlio Gianluca.
Il
buio e l'odore di chiuso, di polvere e fumo colpì il giovane appena
mise piede dentro.
Si
fermò aguzzando la vista mentre il cuore gli batteva all'impazzata nel
petto.
Aveva
ancora viva la sensazione di Alessandro, il suo Alessandro, che veniva
allontanato in manette.
Respirò
a fondo un paio di volte, poi quando i suoi occhi si abituarono alla
penombra provocata dalla luce che filtrava dalla persiana chiusa, si
mosse conoscendo a memoria il mobilio di quell'ufficio.
Giunse
alla scrivania, la sorpassò e si mise proprio davanti a lui.
Lui
seduto alla poltrona in pelle voltata verso quelle persiane abbassate a
fissare assente come il fumo della sigaretta dimenticata fra le dita,
si alzasse creando giochi incantatori con la luce del sole che
filtrava.
Si
sovrappose ad essa e vedendo perfettamente il viso dell'uomo seduto
poco elegantemente, si trovò a pensare:
“Eccolo
lì l'uomo potente, logico, razionale e vincente. Schiacciato dalla
morte della sua donna. Sconfitto da qualcosa che non si può vincere.
Morta lei, morti tutti per lui. Nessuno esiste più. E si sbaglia. Oh,
se si sbaglia. È ora di uscire di qua!”
Giorgio
non era più tornato a lavorare, aveva abbandonato tutto, famiglia,
lavoro, vita.
Un
lampo, così, attraversò la mente del figlio dritto coi pugni chiusi e
la tensione alle stelle.
Alessandro
che rischiava la prigione per lui. Per avergli impedito di ammazzare
quella feccia.
Alessandro
arrestato per colpa sua mentre quell'uomo se ne stava là ad affondare
di sua volontà.
Non
poteva permettere che le cose finissero così.
Non
poteva.
E
si accorse di stare tremando dalla rabbia.
Quella
rabbia devastante che cercava sempre di trattenere ma che poi arrivato
al limite esplodeva facendolo impazzire.
Aveva
promesso di sfogarsi di volta in volta, di non arrivare a quei livelli
e ammazzare le persone.
Ora,
però, aveva di nuovo quell'istinto irrefrenabile.
Quello
di ammazzare qualcuno.
Padre
o estraneo che fosse.
Se
qualcuno gli avesse tolto Alessandro l'avrebbe fatto.
Lo
sapeva bene.
E
questa volta era suo padre che non poteva lasciare che suo figlio
diventasse un assassino.
Era
a lui che spettava quel compito e che sarebbe spettato sin dall'inizio.
Lui
e nessun'altro.
Era
ora che si assumesse le sue responsabilità.
Riprese
aria nei polmoni e mantenendosi dritto coi pugni chiusi lungo i
fianchi, ancora tremante, con voce tesa che quasi non si udiva, mormorò
penetrante e fintamente calmo:
-
Devi aiutare Ale. - Silenzio.
Lui
nemmeno lo guardava.
Gli
occhi visibilmente abbassati insieme al viso leggermente piegato,
appoggiato alla mano che teneva ancora assente la sigaretta ormai
consumata. La cenere era a terra intorno a lui.
-
E' stato arrestato per colpa mia. Quando la mamma è morta io sono
andato a vendicarla e lui è venuto con me, stavo per ammazzare il
bastardo che l'ha uccisa ma Ale mi ha fermato sparandogli al posto mio.
L'ha solo ferito ma ora è ridotto male e non si sa se se la caverà. Ora
sono risaliti ad Ale e l'hanno arrestato anche con accuse vecchie.
Hanno insinuato che sia stato lui ad uccidere la mamma, lo sai? Peccato
che lui era con me alla partita quando è successo. - Con la speranza di
far scattare un qualche lontano interesse, disse diretto ed incisivo le
cose come stavano, cose che normalmente l'avrebbero fatto arrabbiare ed
anche molto.
Ma
al contrario delle sue speranze ancora nulla si mosse in colui che
aveva davanti. Nulla.
-
Sei un avvocato bravo e sei mio padre. Devi aiutarlo e tirarlo fuori
dai guai. - Però quegli occhi verdi non si mossero mentre la sigaretta
si spegneva da sola arrivando al filtro. La fece cadere distratto come
molte altre prima di essa. Quindi con voce roca e lugubre parlò dando
per lo meno il segno di averlo sentito:
-
Io non farò proprio nulla. - Non gli importava niente. Aveva perso ogni
ragione di vita e preferiva rimaner schiacciato nel dolore che
affrontare un mondo in cui il suo amore non c'era più.
Gianluca
cominciò a tremare sempre più vistosamente mentre la rabbia saliva
aumentando pericolosamente. Un calore inaudito lo surriscaldava
dall'interno e le unghie affondate a forza nei palmi delle mani gli
avrebbero fatto male in condizioni normali. Non sentiva nulla se non
quella rabbia ceca innanzi ad un padre ormai morto.
Eppure
cercando di trattenersi ancora rispose rimanendo immobile davanti a lui:
-
Invece sì. Lo aiuterai. - Premette con forza su quelle parole
pronunciate basso. Un ordine.
- E
perché dovrei? - Continuava a non avere il minimo interesse per nulla e
piatto lo sguardo rimaneva perso nel vuoto.
Lì
Gianluca avrebbe voluto urlare e sbattere i pugni ma cercò dannatamente
quella lucidità per non farlo. Non doveva. Non doveva. Aveva promesso
di non esplodere più, di non impazzire. Aveva promesso.
-
Perché lo amo. Alessandro è il mio ragazzo e al momento è una delle mie
poche ragioni di vita. - Forse aveva sperato che con questa confessione
della portata di una pallottola che si conficcava nella carne viva,
egli reagisse.
Però
vedere ancora il vuoto in quel viso che era il ritratto del nulla, fu
per Gianluca la goccia che fece traboccare il vaso, di nuovo.
E
con la consapevolezza che Alessandro aveva promesso che ci sarebbe
sempre stato durante quei suoi scoppi improvvisi per fermarlo prima di
compiere una sciocchezza, e che ora invece non poteva esserci, si sentì
ancora peggio.
Proprio
come un vulcano che non eruttava da troppo, esplose con la stessa
violenza e sbattendo con forza un pugno sulla scrivania appena dietro
il padre, abbassandosi e avvicinandosi a lui, cominciò a gridare fuori
di sé sputando fuori tutto quello che era ancora rimasto dentro e che
non aveva mai risolto, che aveva sempre rimandato, che aveva anche
ignorato pensando che non servisse.
-
GUARDAMI PAPA'! TUO FIGLIO E' GAY E TI CHIEDE DI SALVARE IL SUO
COMPAGNO DALLA GALERA PERCHE' E' INNOCENTE! LUI E' LA' PER ME ED ORA TU
LO TIRERAI FUORI PERCHE' SE AVESSI FATTO QUELLO CHE IN REALTA' SEI, MIO
PADRE, MI AVRESTI IMPEDITO DI FARE QUELLA CAZZATA! CI SARESTI DOVUTO
ESSERE TU QUEL GIORNO A FERMARMI, NON ALE! TU! INVECE MI HAI LASCIATO
DA SOLO COL MOSTRO CHE HO DENTRO! -
Fu
lì che finalmente Giorgio alzò gli occhi verde cupo posandoli in quelli
identici del figlio a pochi centimetri dai suoi. Non si poteva
decifrare lo sguardo che aveva. Non era più vuoto ed impassibile ma
nemmeno stupito e reattivo. Era spaesato. Come se cominciasse a
svegliarsi solo ora.
Il
giovane continuò afferrandolo per il colletto della camicia sgualcita e
mezza slacciata, quindi scuotendolo con forza proseguì liberando
lacrime e non odio né violenza. Finalmente. Imparando ciò che
Alessandro aveva cercato di dirgli quella notte. Gli pareva ancora di
impazzire ma non c'era paragone con quando aveva cercato di uccidere
l'assassino della madre. Sentiva come una corrente d'acqua scorrergli
dentro che ripuliva il marcio e lo sporco rimasto portando tutto fuori
con le sue lacrime:
-
SMETTI DI PIANGERE DENTRO DI TE, TIRA FUORI QUELLE DANNATE LACRIME!
TIRA FUORI IL TUO DOLORE: PIANGI, URLA, ROMPI TUTTO, PICCHIAMI PERCH'E'
TI MANCO DI RISPETTO MA POI TORNA ALLA VITA!
ESCI
DA QUA! TI PREGO! ESCI! AFFRONTA IL MONDO DI MERDA LA' FUORI. FALLO PER
ME ANCHE SE SONO UN FIGLIO GAY CHE TI HA DELUSO. - Anche se continuava
a gridare non c'era più rabbia ma solo dolore e disperazione, solo ciò
che rimaneva da quella notte con Alessandro, quando aveva pianto con
lui. Solo ciò che restava per risalire e permettere alle ferite di
cominciare a cicatrizzarsi.
A
questo punto si accasciò in ginocchio davanti a lui e premendo la
fronte contro il suo petto, all'altezza del cuore, rimanendo aggrappato
alla sua camicia, mormorò in un lamento, in una supplica che arrivò
dritta all'animo raggelata del padre immobile:
-
Tua moglie è morta ma i tuoi figli no! Aiutami papà. Ti prego. Perchè
senza Ale io mollo tutto. -
Quando
al termine, scosso profondamente dai singhiozzi del proprio pianto,
tremante e perso, spaventato all'idea di perdere Alessandro ma anche
suo padre, la sua guida da sempre, sentì le sue forti braccia
circondarlo dapprima con delicatezza e dolcezza e poi con pienezza e
decisione.
Strinse
il figlio a sé e con lo stesso tremore e dolore, si trovarono a
piangere insieme a lungo senza dirsi nulla, in silenzio, ascoltando i
singhiozzi e sentendo il contatto presente dell'altro.
Rendendosi
conto che si erano mancati davvero troppo.
Rinascendo
insieme anche agli altri che dall'esterno dello studio avevano sentito
la sfuriata del ragazzo capendo come poi fossero finite le cose.
Abbracciati fra loro e piangendo allo stesso modo.
Così
Gianluca sciolse tutti i nodi.