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CAPITOLO 36:

CONSEGUENZE

gian
sam

/Viaggio – Piero Pelù/
Dopo la tempesta il cielo tornò sereno anche se non completamente.
Alcune nubi erano rimaste a chiazze ad oscurare l’azzurro intenso.
Grigie, non nere.
Se ne sarebbero andate o sarebbero aumentate diventando più minacciose riversando una nuova tempesta sulla città?

- Ma quanto sta? Se non viene subito arriviamo tardi! – Borbottò Gianluca guardando l’orologio al polso. I suoi capelli biondo scuro ormai avevano un taglio completamente diverso: riga in parte, ciuffo che scendevano lateralmente lungo fin sotto al mento, dietro appena più corti che sfioravano il collo. Nell’insieme gli donava molto anche se non lo teneva sempre perfetto ed ordinato. Spesso lasciava che le ciocche più lunghe scivolassero sul viso.
- E vabbè, anche se succede non fa nulla! – Sminuì Alessandro spingendo il compagno pronto per uscire di casa.
Era ora di andare agli allenamenti pomeridiani di basket e dopo parecchio tempo di assenza, sia Gianluca che Samantah tornavano ‘all’ovile’.
Il problema però era che lei mancava!
Uno sguardo truce del biondo dagli occhi verde bosco colpì quello azzurro del suo moroso che ricambiò con un ampio sorriso furbo scoccandogli un bacio nell’aria.
Sapeva bene che odiava arrivare tardi agli allenamenti, al contrario suo che non gliene importava, voleva solo stuzzicarlo un po’.
- Dove è andata? – Chiese per cambiare discorso.
Gian si strinse nelle spalle e in quello spuntò Max dalla cucina con una bottiglia fresca di birra in mano e la sigaretta nell’altra.
I capelli neri e mossi erano sistemati col gel in uno dei suoi soliti e vecchi modi strani. Anche loro erano tornati alla normalità!
- Non vi ha detto? –
- No, Ha detto che usciva e di aspettarla che veniva anche lei in palestra. – Rispose Ale accendendosene una a sua volta. Si era appena spuntato i capelli poiché ormai erano diventati troppo lunghi e selvaggi, ma ancora non è che il suo taglio fosse poi ben definito come quello del suo compagno.
- Allora non vi dico niente! – Fece Max con un sorrisetto sornione bevendo un sorso dalla bottiglia.
Proprio a quel punto dall’esterno si udì una potente frenata e tutti dissero in coro:
- Eccola! – mentre Gian andava ad aprire seccato e sbrigativo la porta.
La sua pazienza era esaurita di gran lunga!
Una volta davanti all’uscio d’ingresso, il giovane si fermò sorpreso dimenticando perfino il suo ritardo. Incuriositi anche gli altri due si affacciarono per vedere e mentre Ale fischiava malizioso, Max sorrideva consapevole.
Sam aveva i capelli corti che ricoprivano morbidi il collo. La riga in parte e la frangetta scalata che scendeva laterale sulla fronte.
Volto radioso.
- Te li sei tagliata! – Esclamò Ale evidenziando l’ovvio, il suo entusiasmo era incommensurabile, sembrava quasi che le stelle, fra lei e lui, fossero scese nella stanza!
- Si! Vi piacciono? – Rispose saltellando felice con fare infantile mentre si girava per mostrarli meglio.
- Certo! Sei una gran gnocca! – Fece allora il gioioso amico cingendole le spalle, lei ricambiò circondandogli la schiena pronta al fulmine che, come d’abitudine, sarebbe dovuto arrivare a colpirli per quel gesto impune.
Ma quando si girarono a vedere come mai non arrivava nessuna scarpa, videro Gianluca assorto a scrutare la sorella che sembrava un'altra e non solo per i capelli.
Sembrava riflettesse sul reale significato di quel cambiamento esteriore, cosa che si rispecchiava anche interiormente.
“E’ un chiedere scusa per come si è comportata…” Pensò semplicemente senza fare alcuna espressione particolare.
Lui non c’era stato durante la sua crisi di catatonia ma gliene avevano parlato. Al contrario loro non avevano saputo nulla di quel che avevano combinato lui e Ale anche se presto, lui ne era certo, sarebbe venuto fuori in qualche modo.
Quella sensazione ce l’aveva dal mattino successivo.
- Ti dona davvero! Sembri un'altra. – Disse Max continuando a sorridere fraterno e gentile, consapevole anch’egli del motivo di tale taglio.
- Grazie! – Rispose radiosa buttandogli di slancio le braccia al collo e scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia liscia e rasata.
Con una dolce carezza sulla nuca, aggiunse ad alta voce con semplice onestà:
- Si volta pagina? –
- Si! – Asserì immediatamente lei facendo correre i grandi occhi neri luminosi alla porta dello studio del padre. Ovviamente ben chiusa come tutti i giorni dalla morte della moglie.
Se ne stava là dentro tutto il giorno, non usciva mai, mangiava appena qualcosa giusto per la minima sopravvivenza, non si curava più di nulla, né di sé stesso né dei suoi figli. Per lui era tutto morto con lei.
La luce si spense un attimo nello sguardo della ragazza, quindi si voltò in fretta e cambiando di nuovo espressione si mise a saltellare felice verso l’uscita di casa.
- Forza! – Esclamò scacciando quella nuvola che ancora rimaneva sopra le loro teste. Cosa sarebbe stato di quel loro padre che si rifiutava di vivere? - Dobbiamo andare o facciamo tardi! –
A questo Gianluca parve svegliarsi e tornando ai suoi soliti sguardi truci borbottò seccato precedendola alla macchina:
- Ormai lo siamo già, sai? –
La risata cristallina in risposta della sorella fu il regalo più bello di quei giorni orrendi.

Quando arrivarono in palestra, gli allenamenti erano iniziati da qualche minuto e vedendo Gianluca e Samantah, che erano stati assenti per molto tempo, tutti i presenti si fermarono all’istante. Le palle in mano, le scarpe sul parquet che stridevano venendo bloccate improvvisamente.
Un silenzio perfetto che feriva quasi gli orecchi.
Erano decisamente diversi, a partire dai capelli diversi e più curati di entrambi.
Solo le espressioni erano di nuovo quelle di sempre: lei sorridente, lui tetro.
Guardandoli bene, però, tutti notarono una luce comunque diversa.
Una maturità, una crescita interiore, una tempra nuova.
È vero che le sofferenze rischiano di uccidere ma se le vivi e le superi poi regalano qualcosa di prezioso e importante che non si può guadagnare in altro modo.
- Ciao a tutti! – Salutò come niente fosse la mora, eppure una consapevolezza diversa nel volto.
Il primo a riprendersi fu l’allenatore matto, Jack, che venne loro incontro con espressione chiaramente felice e commossa insieme.
La sua capigliatura buffa come al solito si scosse quando li strinse a sé insieme, proprio come un padre.
Nessun imbarazzo, solo un nodo che rimase dentro sciogliendosi da solo a quel contatto dolce e sentito.
- Sono contento che siete tornati. – Per tutto il tempo d’assenza non aveva mai fatto loro pressione per tornare, ma non aveva mai smesso di guardare l’ingresso sperando di vederli apparire. Proprio come quel giorno.
Gianluca naturalmente si limitò a posare appena una mano sulla spalla dell’uomo che lo stringeva mentre la mora ricambiò di buon grado nascondendo per un momento il viso contro il suo collo.
Forse un giorno avrebbe potuto farlo di nuovo anche con suo padre…
Nonostante quello dell’allenatore fu gradito, fratello e sorella sentirono un forte impulso di scappare all’idea di dover sopportare altri saluti simili e toccanti da parte di tutto il resto della squadra, ma quando si staccarono videro i ragazzi che si erano rimessi al lavoro scherzando come niente fosse. Da lì capirono che tutti avevano avuto la loro crescita personale, in quel periodo di assenza.
Jack vedendoli di nuovo tutti insieme in quel modo così collaborativi e amichevoli come non lo erano mai stati, se lo disse:
“Ecco la mia squadra unita e forte. Quella che sognavo.
Ed ora nessuno ci ferma più!”
Fu anche in virtù del ritorno di Francesco che lo pensò.
Il ragazzo si era ripreso dall’infortunio ed era tornato anch’egli ad allenarsi. Non aveva ancora giocato partite ufficiali ed ormai mancava solo la finale a chiusura del torneo.
Con sacrifici e stringendo i denti, a fatica, erano riusciti ad arrivare fino lì nonostante i molti deficit imprevisti, ma adesso che la squadra si era finalmente riformata potevano vincere.
Anzi.
Avrebbero vinto senz’altro.
Certo era che completamente fuori forma, Francesco si limitava ad allenarsi e non a giocare le partite ufficiali, sicuro che ormai sarebbe rientrato nel campionato successivo.
Tutti lo aiutavano a riprendersi e Jude in primis, contento ed entusiasta con quella sua consapevolezza in più di cui ormai aveva reso partecipe anche il suo compagno.
Qualcosa in ciò che li legava non gli permetteva di vivere separato da lui e quando Francesco glielo aveva sentito dire, si era illuminato dicendo che per lui era lo stesso.
Non si erano messi insieme dicendo che si volevano bene, non si erano baciati, non avevano fatto nulla.
Semplicemente Jude ora abitava da Francesco e fino al prossimo passo, quei due sarebbero stati consapevolmente inseparabili!
Del resto non per tutti è facile arrivare allo stadio finale. Anche Gianluca ed Alessandro avevano penato non poco!
Quando gli ultimi arrivati ritardatari cronici si unirono agli allenamenti, una domanda si insinuò nella mente bizzarra ed incontrollata di Jack che si pose soffermandosi su Alessandro:
“Ma sarà davvero finita la tempesta?”
E non era l’unico ad avere quel dubbio… Gianluca non aveva quasi più dormito una notte intera, dal giorno della sparatoria.
Marek, nell’abbracciare piacevolmente sorpreso la sua ragazza, fu certo che, al contrario di quel che pensavano gli altri due, ora si poteva tornare definitivamente alla vita.
Una sensazione forte dettata dall’amore maturo e totale che provò una volta di più per lei.
Baciandola sulle labbra tenendo il suo viso dimagrito fra le mani, si riempì di quella Samantah nuova.
- Mi sei mancata, piccola. – Una dolcezza che poteva riservare solo a lei.
Il sorriso con cui rispose fu anche per lui un regalo che non avrebbe sperato di rivedere così presto.
Il suo sole era tornato e nessuno glielo avrebbe più portato via.
Stringendola a sé, cingendola a piene braccia fino quasi a toglierle il fiato, lo giurò a sé stesso rendendosi conto che per anni era stato un idiota a rifiutare tutto quello.
Samantah era riuscita laddove molti avevano fallito.
Aveva trovato quella porta dietro cui era rimasto e aveva buttato giù tutti i muri che l’avevano circondato.
“Nessuno me la porterà più via.”
Un giuramento che avrebbe mantenuto per sempre.

/What i’ve done – Linkin Park/
Quando Alessandro fu in campo, seguendo una qualche sua idea demente per fare casino come al solito facendo finta di vedere Francesco per la prima volta dopo molto tempo, salutandolo a gran voce con un gran sorriso furbo sul viso, gli si buttò fra le braccia stringendolo con invadenza e faccia tosta.
- Ciao principe! – Nessuno l’aveva mai chiamato così ma volendo poteva anche starci come soprannome.
Il giovane castano dai capelli ricci legati in una coda bassa da cui sfuggiva qualche ciuffo ribelle, rimasto spiazzato da tale accoglienza che non gli aveva mai riservato, ricambiò spaesato l’abbraccio senza capire da dove venisse tutta quell’esuberanza.
Lo capì ben presto grazie alle due scarpe che avevano colpito Alessandro in testa in un nano secondo!
Quando si girarono videro Jude da una parte e Gianluca da un'altra senza una scarpa!
Il secondo si limitò ad uno sguardo glaciale che quasi lo paralizzò (o per lo meno avrebbe paralizzato qualunque essere normale!) mentre il primo si fiondò lì e artigliando la maglia di Ale per dietro lo staccò bruscamente e con forza da Francesco che ancora sorridente si godeva la scena divertito. Non si poteva comprendere quanto capisse il significato di quel gesto, tuttavia era certo che gli piacesse!
La gelosia di Jude era palpabile e a confronto diretto con il ragazzo da una bellezza molto simile, selvatica e indomabile, ci furono molti che non staccarono loro gli occhi di dosso.
Ebbene si guardarono, uno minaccioso con la voglia di sbranare e l’altro che, al contrario, ridacchiava col suo perenne ghigno ben stampato sulle belle labbra ben disegnate.
- Non farlo mai più! – Oh, non lo minacciò nemmeno… si limitò ad avvertirlo. Nonostante Ale facesse sempre il contrario di tutto quel che gli si diceva, era chiaro che non l’avrebbe più rifatto.
Forse.
Il biondo gli fece solo un occhiolino, poi l’altro lo mollò e riprendendosi Francesco come fosse un peluches di sua proprietà si allontanò.
Quando se ne furono andati e gli altri ebbero ripreso il riscaldamento creando il consueto casino con le palle e le voci, Gianluca si avvicinò per riprendersi la scarpa abbandonata a terra. Ale non si massaggiava nemmeno la nuca tanto che era abituato a prenderle!
Il giovane coi capelli sistemati dietro alle orecchie nonostante qualche ciocca lunga cadesse sugli occhi, lo guardò malissimo come se lo stesse fulminando ma non lo ammonì.
Si rimise la scarpa e sempre senza smettere di squadrarlo come fosse un criminale, ricevette anch’egli il ghigno da perfetto monello, il classico di uno che cento ne faceva e mille ne pensava!
Prima però che potessero staccarsi e mettersi anche loro al lavoro, una valanga li investì mozzandogli il fiato.
Dopo un veloce viaggio all’inferno, tornarono nei loro corpi ancora schiacciati da un corpo umano non certo molto leggero…
- Allora la squadra è di nuovo al completo! – L’accento inglese ormai era minimo ed il tono così allegro che lo riconobbero prima che la vista poté tornare!
Il botto che avevano ricevuto non era stato poco, Daniel si era letteralmente buttato su di loro da una distanza non trascurabile. Con ancora le braccia intorno ad entrambi i due amici stretti forzatamente a sé, tornarono completi alla vita in tempo per vedere l’angelo che subito dopo il demone fu apprezzato più del normale.
A quel punto credettero di essere saliti un po’ troppo dall’inferno ed essere arrivati al paradiso!
L’espressione incolore di sempre arrivò loro vicino insieme a quel divino essere che non aveva nulla di selvatico o tentatore, ma solo di angelico!
- Ciao ragazzi… - Anche la sua voce, quasi del tutto priva di accento inglese ormai, non tradiva emozione eppure loro capirono che invece era contento di rivederli insieme. Non sapeva dimostrarlo come Daniel, e di questo gliene erano tutti grati, ma lo era comunque.
Dopo quel giorno non si erano rivisti con Gianluca e Samantah decidendo di lasciare loro tutto il tempo necessario, quindi per entrambi quello era di certo un bellissimo giorno, una sorta di passaggio.
Oppure no?
- Rieccoci tutti qua! Ehi, bisogna festeggiare… che ne dite di finire la serata a casa vostra a mangiare e bere come delle merde e… - Alessandro era partito col suo solito entusiasmo. La potenza della sua gioia era tale che nulla al mondo avrebbe potuto buttarlo giù.
Sentiva che la svolta era in atto.
Da lì in poi sarebbe andato tutto bene ed il volo sarebbe decollato con tutti loro, finalmente.
Ma forse questa era la convinzione unicamente sua e di Daniel.
Perché nell’aria uno strano suono aveva cominciato a sentirsi, veniva da lontano ma non era reale, era nelle loro teste solo che Gianluca e Trystin non lo ignoravano al contrario degli altri due che preferivano fare casino e aggrapparsi al momento di felicità che si erano presi con unghie e denti.
Che suono era?
Non riuscivano a capire…
- Non è successo niente dopo? – Chiese Trystin a Gianluca mentre questo sgusciava dalla presa di Daniel che continuava a progettare la serata insieme all’altro casinaro compagno. Non dovette spiegarsi meglio, capì subito a cosa si riferiva poiché era stato il suo pensiero fisso da allora.
Quindi con una serietà che in quel momento sfiorò la gravità, borbottò solo:
- No. – Ma entrambi pensarono:
“Strano… “
In fondo era stata una sparatoria… qualcuno era rimasto ferito ed anche gravemente. Non sapevano nemmeno se se l’era cavata… la polizia indagava sulla morte di sua madre, come potevano essere sicuri che trovando il colpevole in quelle condizioni, sempre che fosse vivo, non sarebbero riusciti a risalire a loro in qualche modo?
Tutti sapevano i casini che Alessandro aveva combinato fino a qualche mese prima… e non erano pochi.
Il suo passato li collegava facilmente a quella banda che lo odiavano, se li prendevano avrebbero di certo fatto il suo nome per vendicarsi.
E il fatto che lo sapessero aspettandosi qualcuno varcare la soglia e portarselo via, non aiutava certo a ricominciare da zero.
Ma poi quel rumore immaginario… quel rumore strano… come un fischio preparatorio ad una esplosione… quel qualcosa si stava avvicinando ed ormai era dietro l’angolo.
Quando Alessandro e Daniel decisero di coinvolgerli tirando i rispettivi morosi per le braccia con quella di andare a fare i tiri a canestro prima del richiamo di Jack, la testa di Gianluca cominciò a martellargli mentre lo stomaco si stringeva.
Incrociati i suoi occhi azzurri e limpidi come, poteva giurarlo, non erano mai stati dalla nascita, si sentì male.
L’ultima volta che si era sentito così era stato pochi giorni fa, un istante prima della notizia di sua madre.
Fu esattamente in quel preciso istante che le porte della palestra si aprirono e dei passi distinti, diversi dalle suole delle scarpe da ginnastica che stridevano nel parquet, si udirono chiari e netti.
Quando Gianluca con l’ansia di chi se l’era aspettato ogni giorno ed ogni notte da quasi un mese, girò immediato la testa per vedere chi fosse, strinse forsennato e convulsivo la presa sulla mano di Alessandro che ancora lo tirava dicendo qualche stupidaggine delle sue.
Si fermò e si zittì. Mentre nella sua mente quella musica strisciante e sottile di prima era esplosa.
Con lui il tempo si sospese.
Gli occhi color cielo di Ale si sfigurarono in qualcosa che non ebbe espressione e non guardando chi era appena entrato creando il silenzio in tutto l’ampio spazio, bensì il volto del suo ragazzo che si era pietrificato stringendo così tanto la mano da fargli male.
Solo da quello capì di cosa si trattava.
E fu certo che i loro cuori saltarono un battito.
Una vociona seria e dura si decise a parlare dall’entrata:
- Alessandro Fenice! È qui? – Fu allora, prima di voltarsi e rispondere, che egli strinse di rimando la sua mano ma non per sé stesso bensì per tranquillizzarlo.
Già… e su cosa?
Se lo chiese senza sapersi rispondere…
Erano venuti a prenderlo. I giochi, e ne aveva fatti molti, troppi, erano finiti.
Quell’ultimo sguardo che si scambiarono davanti a tutti fu carico dei sentimenti che provavano anche se per Gianluca ci fu la paura.
La paura vera.
Quella era paura bassa, strisciante, paralizzante, deformante, maledetta e bastarda.
La paura non di sé stesso ma per qualcun altro che ormai contava di più al mondo.
Tutti giurarono di non averlo mai visto così.
Il sorriso che gli lasciò prima di voltarsi e lasciargli la mano fu quanto di più felice, sereno e tranquillo ci fosse.
La luce.
Poi scivolò via da lui e con fermezza, col cuore che gli martellava nelle orecchie senza fargli sentire nulla e il mondo che vorticava impazzito, si voltò verso la polizia che era venuto a portarlo via..
- Sono io. – Disse forte e chiaro andando loro incontro. Dall’esterno pareva facesse una passeggiata eppure dentro di sé c’era l’apocalisse.
Quando giunse innanzi ai due uomini in divisa seri in viso che scrutavano quel ragazzo maggiorenne, lo dissero sempre a voce forte e chiara:
- Alessandro Fenice, è in arresto per l’omicidio di Giada Scolari e per ora il tentato omicidio di Leonardo Crescenti. Per non contare tutto il resto… – Aggiunse scettico l’uomo mentre lo giravano ammanettandolo. La faccia tosta dell’altro arrivò fin lì, del resto dopo di quel momento non avrebbe più avuto voce…
- Uno: non ho ucciso io Giada, la madre di Gianluca, visto che stavo giocando una partita davanti a migliaia di persone. Due: che significa per ora tentato omicidio?’ E tre: cos’è tutto il resto? – In fondo con la polizia aveva anche una certa familiarità visto tutte le volte che aveva rischiato di finir dentro anche se era solo un ragazzino… se l’era sempre cavata e sapeva che mostrarsi impauriti o intimiditi era una perdita di tempo nonostante, effettivamente, ci si pisciasse sotto davvero!
Il suo orgoglio era comunque più grande del suo timore, quindi per non farsi mettere i piedi in testa dimostrò che non avrebbero fatto con lui quel che volevano.
“Quei pezzi di merda sono stati presi e volevano trascinarmi nel loro casino accusandomi addirittura di aver ucciso la madre di Gian Bastardi! Solo per vendetta, eh? Ma non ce la faranno… mi inventerò qualcosa!”
Ma poi cominciarono a snocciolare tutte le altre accuse, non dopo aver spiegato che Leonardo era in fin di vita in ospedale, ma ancora vivo.
- Possesso illecito di armi, furti, possesso di droghe, aggressioni. E queste sono solo le cose che spiccano dal tuo inglorioso passato fino ad oggi. Si potrebbe andare avanti all’infinito. Tutte le cose per cui sei riuscito a farla franca si ripercuotono ora. Hai fatto l’ultima cazzata della tua vita. – Avrebbe voluto gridargli che Leonardo era solo un pezzo di merda e che si era meritato la pallottola e che aveva sbagliato mira di proposito ma tornando indietro l’avrebbe ucciso davvero, avrebbe voluto sputargli in faccia mentre diceva che non sapevano un cazzo della sua vita e di cosa gli era successo, di tutto ciò che aveva subito e di quante cose illegali aveva dovuto sopportare mai denunciate. Avrebbe voluto vomitargli addosso tutte le ingiustizie ricevute e che quelle cose erano comunque solo cazzate, che la sparatoria di un mese prima era legittima difesa che non avevano nulla contro di lui, che dovevano solo andare a farsi fottere e lasciarlo in pace una buona volta.
Avrebbe voluto dire e gridare un sacco di cose che, mordendosi a sangue la lingua, si tenne a fatica per sé mentre tirava tutti i muscoli del corpo ora ben visibili e le vene del collo e delle tempio pulsavano dimostrando tutta la sua enorme ira contenuta.
Ira pericolosa.
Ma il ricordo degli occhi verde cupo di Gianluca che terrorizzati si erano paralizzati sui suoi, pochi minuti prima, lo trattennero.
- Voglio un avvocato. Voi non sapete un cazzo. – Ringhiò a denti stretti deviando sull’unica cosa che non gli avrebbe dato la zappa sui piedi.
La sensazione più terribile che avesse mai provato da molto tempo era quella.
Una bestia infuriata ingabbiata.
Impossibilitato a fare qualunque cosa.
Qualunque.
Venne poi portato via senza una sola parola, con Jack che li seguiva intavolando una discussione a tavoletta coi due uomini per difendere il ragazzo, lasciando la palestra nel silenzio più completo.
Per la seconda volta in pochi minuti.
E dalla felicità inaudita che qualche istante fa molti avevano provato, il gelo li avvolse mentre storditi ed increduli si risentivano le parole dei poliziotti rivedendosi l’arresto di Alessandro.
Omicidio… droga… armi… furti… era QUELLO Alessandro?
Ciò che avevano pensato fosse capace era lontano anni luce da quello che era in realtà e che aveva fatto.
Era tutto vero?
Quando Samantah strinse a sé Gianluca così forte da togliergli il fiato per farlo tornare alla realtà, la prima cosa che sentì dalla sua voce bassa e penetrante fu il nome di suo padre.
- Papà? – Chiese lei staccandosi pensando di aver capito male. Quando lo guardò in viso per capire cosa pensasse, lo vide di nuovo cupo e in sé. Sicuro. Deciso. Buio. Determinato.
Quasi intenzionato a calpestare chiunque pur di riavere Alessandro.
- Quello pseudo uomo che ho per padre, quello che un tempo era l’avvocato più grande della città. Lui. O si sveglia una buona volta e tira fuori Ale da questo casino, o giuro che lo mando da mamma. Così almeno sarà felice! – Ma non fu certa che sull’ultimo punto dicesse tanto per dire…  
Allora Marek si avvicinò shockato a Trystin che teneva ancora fermo Daniel per le braccia impedendogli di buttarsi ad aiutare il suo amico.
- Ma che diavolo avete fatto quel giorno? – Nessuno gli aveva chiesto nulla nonostante li avessero visti tornare pieni di lividi.
Avevano immaginato avessero fatto a pugni coi colpevoli e che fosse finita lì.
Ma alla parola ‘sparatoria’ e ‘ferito grave’ capì che non avrebbero mai dovuto lasciarli soli.

/Stop crying your heart out – Oasis/
Il Gianluca di solo un mese prima, probabilmente si sarebbe lasciato prendere dal suo lato nero e sarebbe andato alla centrale a fare casino, così come Alessandro stesso al suo posto.
Il punto fu che per Alessandro era una questione di carattere, dato che era famoso per i suoi modi spicci e poco legali, mentre quel Gianluca nuovo aveva lasciato le sue parti oscure in quella sparatoria dove il suo compagno gli aveva salvato la vita in più di un modo.
Lì, Gianluca, era il ragazzo avviato verso una maturità a cui era destinato sin da piccolo.
Così pensò semplicemente alla cosa davvero più utile e sensata da fare, l'unica giusta in effetti.
Ad Ale serviva un avvocato che lo tirasse fuori da quel guaio e nessuno poteva essere meglio del potente Giorgio Scolari, marito di Giada e suo padre.
La sua reputazione era di chi non aveva perso mai una causa negli ultimi dieci anni di carriera.
Uscito dalla palestra seguito da Samantah e Marek che avevano sospeso gli allenamenti per quella giornata, si era diretto spedito a casa e lasciando tutti fuori si era chiuso dentro lo studio buio del padre.
Il signor Giorgio era un uomo alto e affascinante dalla corporatura robusta e forte. I capelli biondi cominciavano a striarsi di bianco ai lati e sebbene non fossero mai stati lunghi ma bensì corti e curati, al momento arrivavano a coprirgli del tutto il collo, incolti e spettinati ricadevano sugli occhi verdi dal taglio sottile. Il viso sempre liscio e rasato ora presentava la barba incolta dell'ultimo mese.
Immaginarlo allo splendore di un tempo lo si poteva vedere pressoché identico al figlio Gianluca.
Il buio e l'odore di chiuso, di polvere e fumo colpì il giovane appena mise piede dentro.
Si fermò aguzzando la vista mentre il cuore gli batteva all'impazzata nel petto.
Aveva ancora viva la sensazione di Alessandro, il suo Alessandro, che veniva allontanato in manette.
Respirò a fondo un paio di volte, poi quando i suoi occhi si abituarono alla penombra provocata dalla luce che filtrava dalla persiana chiusa, si mosse conoscendo a memoria il mobilio di quell'ufficio.
Giunse alla scrivania, la sorpassò e si mise proprio davanti a lui.
Lui seduto alla poltrona in pelle voltata verso quelle persiane abbassate a fissare assente come il fumo della sigaretta dimenticata fra le dita, si alzasse creando giochi incantatori con la luce del sole che filtrava.
Si sovrappose ad essa e vedendo perfettamente il viso dell'uomo seduto poco elegantemente, si trovò a pensare:
“Eccolo lì l'uomo potente, logico, razionale e vincente. Schiacciato dalla morte della sua donna. Sconfitto da qualcosa che non si può vincere. Morta lei, morti tutti per lui. Nessuno esiste più. E si sbaglia. Oh, se si sbaglia. È ora di uscire di qua!”
Giorgio non era più tornato a lavorare, aveva abbandonato tutto, famiglia, lavoro, vita.
Un lampo, così, attraversò la mente del figlio dritto coi pugni chiusi e la tensione alle stelle.
Alessandro che rischiava la prigione per lui. Per avergli impedito di ammazzare quella feccia.
Alessandro arrestato per colpa sua mentre quell'uomo se ne stava là ad affondare di sua volontà.
Non poteva permettere che le cose finissero così.
Non poteva.
E si accorse di stare tremando dalla rabbia.
Quella rabbia devastante che cercava sempre di trattenere ma che poi arrivato al limite esplodeva facendolo impazzire.
Aveva promesso di sfogarsi di volta in volta, di non arrivare a quei livelli e ammazzare le persone.
Ora, però, aveva di nuovo quell'istinto irrefrenabile.
Quello di ammazzare qualcuno.
Padre o estraneo che fosse.
Se qualcuno gli avesse tolto Alessandro l'avrebbe fatto.
Lo sapeva bene.
E questa volta era suo padre che non poteva lasciare che suo figlio diventasse un assassino.
Era a lui che spettava quel compito e che sarebbe spettato sin dall'inizio.
Lui e nessun'altro.
Era ora che si assumesse le sue responsabilità.
Riprese aria nei polmoni e mantenendosi dritto coi pugni chiusi lungo i fianchi, ancora tremante, con voce tesa che quasi non si udiva, mormorò penetrante e fintamente calmo:
- Devi aiutare Ale. - Silenzio.
Lui nemmeno lo guardava.
Gli occhi visibilmente abbassati insieme al viso leggermente piegato, appoggiato alla mano che teneva ancora assente la sigaretta ormai consumata. La cenere era a terra intorno a lui.
- E' stato arrestato per colpa mia. Quando la mamma è morta io sono andato a vendicarla e lui è venuto con me, stavo per ammazzare il bastardo che l'ha uccisa ma Ale mi ha fermato sparandogli al posto mio. L'ha solo ferito ma ora è ridotto male e non si sa se se la caverà. Ora sono risaliti ad Ale e l'hanno arrestato anche con accuse vecchie. Hanno insinuato che sia stato lui ad uccidere la mamma, lo sai? Peccato che lui era con me alla partita quando è successo. - Con la speranza di far scattare un qualche lontano interesse, disse diretto ed incisivo le cose come stavano, cose che normalmente l'avrebbero fatto arrabbiare ed anche molto.
Ma al contrario delle sue speranze ancora nulla si mosse in colui che aveva davanti. Nulla.
- Sei un avvocato bravo e sei mio padre. Devi aiutarlo e tirarlo fuori dai guai. - Però quegli occhi verdi non si mossero mentre la sigaretta si spegneva da sola arrivando al filtro. La fece cadere distratto come molte altre prima di essa. Quindi con voce roca e lugubre parlò dando per lo meno il segno di averlo sentito:
- Io non farò proprio nulla. - Non gli importava niente. Aveva perso ogni ragione di vita e preferiva rimaner schiacciato nel dolore che affrontare un mondo in cui il suo amore non c'era più.
Gianluca cominciò a tremare sempre più vistosamente mentre la rabbia saliva aumentando pericolosamente. Un calore inaudito lo surriscaldava dall'interno e le unghie affondate a forza nei palmi delle mani gli avrebbero fatto male in condizioni normali. Non sentiva nulla se non quella rabbia ceca innanzi ad un padre ormai morto.
Eppure cercando di trattenersi ancora rispose rimanendo immobile davanti a lui:
- Invece sì. Lo aiuterai. - Premette con forza su quelle parole pronunciate basso. Un ordine.
- E perché dovrei? - Continuava a non avere il minimo interesse per nulla e piatto lo sguardo rimaneva perso nel vuoto.
Lì Gianluca avrebbe voluto urlare e sbattere i pugni ma cercò dannatamente quella lucidità per non farlo. Non doveva. Non doveva. Aveva promesso di non esplodere più, di non impazzire. Aveva promesso.
- Perché lo amo. Alessandro è il mio ragazzo e al momento è una delle mie poche ragioni di vita. - Forse aveva sperato che con questa confessione della portata di una pallottola che si conficcava nella carne viva, egli reagisse.
Però vedere ancora il vuoto in quel viso che era il ritratto del nulla, fu per Gianluca la goccia che fece traboccare il vaso, di nuovo.
E con la consapevolezza che Alessandro aveva promesso che ci sarebbe sempre stato durante quei suoi scoppi improvvisi per fermarlo prima di compiere una sciocchezza, e che ora invece non poteva esserci, si sentì ancora peggio.
Proprio come un vulcano che non eruttava da troppo, esplose con la stessa violenza e sbattendo con forza un pugno sulla scrivania appena dietro il padre, abbassandosi e avvicinandosi a lui, cominciò a gridare fuori di sé sputando fuori tutto quello che era ancora rimasto dentro e che non aveva mai risolto, che aveva sempre rimandato, che aveva anche ignorato pensando che non servisse.
- GUARDAMI PAPA'! TUO FIGLIO E' GAY E TI CHIEDE DI SALVARE IL SUO COMPAGNO DALLA GALERA PERCHE' E' INNOCENTE! LUI E' LA' PER ME ED ORA TU LO TIRERAI FUORI PERCHE' SE AVESSI FATTO QUELLO CHE IN REALTA' SEI, MIO PADRE, MI AVRESTI IMPEDITO DI FARE QUELLA CAZZATA! CI SARESTI DOVUTO ESSERE TU QUEL GIORNO A FERMARMI, NON ALE! TU! INVECE MI HAI LASCIATO DA SOLO COL MOSTRO CHE HO DENTRO! -
Fu lì che finalmente Giorgio alzò gli occhi verde cupo posandoli in quelli identici del figlio a pochi centimetri dai suoi. Non si poteva decifrare lo sguardo che aveva. Non era più vuoto ed impassibile ma nemmeno stupito e reattivo. Era spaesato. Come se cominciasse a svegliarsi solo ora.
Il giovane continuò afferrandolo per il colletto della camicia sgualcita e mezza slacciata, quindi scuotendolo con forza proseguì liberando lacrime e non odio né violenza. Finalmente. Imparando ciò che Alessandro aveva cercato di dirgli quella notte. Gli pareva ancora di impazzire ma non c'era paragone con quando aveva cercato di uccidere l'assassino della madre. Sentiva come una corrente d'acqua scorrergli dentro che ripuliva il marcio e lo sporco rimasto portando tutto fuori con le sue lacrime:
- SMETTI DI PIANGERE DENTRO DI TE, TIRA FUORI QUELLE DANNATE LACRIME! TIRA FUORI IL TUO DOLORE: PIANGI, URLA, ROMPI TUTTO, PICCHIAMI PERCH'E' TI MANCO DI RISPETTO MA POI TORNA ALLA VITA!
ESCI DA QUA! TI PREGO! ESCI! AFFRONTA IL MONDO DI MERDA LA' FUORI. FALLO PER ME ANCHE SE SONO UN FIGLIO GAY CHE TI HA DELUSO. - Anche se continuava a gridare non c'era più rabbia ma solo dolore e disperazione, solo ciò che rimaneva da quella notte con Alessandro, quando aveva pianto con lui. Solo ciò che restava per risalire e permettere alle ferite di cominciare a cicatrizzarsi.
A questo punto si accasciò in ginocchio davanti a lui e premendo la fronte contro il suo petto, all'altezza del cuore, rimanendo aggrappato alla sua camicia, mormorò in un lamento, in una supplica che arrivò dritta all'animo raggelata del padre immobile:
- Tua moglie è morta ma i tuoi figli no! Aiutami papà. Ti prego. Perchè senza Ale io mollo tutto. -
Quando al termine, scosso profondamente dai singhiozzi del proprio pianto, tremante e perso, spaventato all'idea di perdere Alessandro ma anche suo padre, la sua guida da sempre, sentì le sue forti braccia circondarlo dapprima con delicatezza e dolcezza e poi con pienezza e decisione.
Strinse il figlio a sé e con lo stesso tremore e dolore, si trovarono a piangere insieme a lungo senza dirsi nulla, in silenzio, ascoltando i singhiozzi e sentendo il contatto presente dell'altro.
Rendendosi conto che si erano mancati davvero troppo.
Rinascendo insieme anche agli altri che dall'esterno dello studio avevano sentito la sfuriata del ragazzo capendo come poi fossero finite le cose. Abbracciati fra loro e piangendo allo stesso modo.
Così Gianluca sciolse tutti i nodi.