CAPITOLO
37:
NOI
CREDIAMO
“E
per la luce si lotta con ogni mezzo.”
La
concentrazione di tutti era al massimo.
Probabilmente
se qualcuno li avesse solo sfiorati sarebbero saltati spaventati presi
alla sprovvista.
Le
espressioni serie e gli sguardi penetranti, tutti tesi ed attenti,
pronti a scattare per un nonnulla.
L’ansia
non era da poco e tutto questo stato d’animo terribile era dovuto solo
ad una cosa, in particolare.
In
quella finale così importante, le due ali della squadra non ci
sarebbero state e non solo. L’altro grande assente era proprio
l’allenatore Jack.
Tutti
nel palazzetto lo sapevano, la notizia dell’arresto di Alessandro aveva
fatto il giro in un attimo e la folla esagerata presente ad assistere
all’evento era dovuta ad una curiosità morbosa. Tutti sapevano ben poco
e la sete di conoscere era alta.
Davvero
Alessandro era stato accusato dell’assassinio della madre di Gianluca e
Samantah?
Il
ragazzo più popolare del quartiere e a momenti della città era arrivato
veramente a quel punto?
Ma
per i tifosi le domande erano anche altre… l’ovvietà per l’assenza
anche di Gianluca alla partita era tale che ci si chiedeva come avrebbe
fatto la squadra senza due dei giocatori chiave più importanti.
Ce
l’avrebbero fatta Trystin e Daniel a fare il miracolo? Certo anche Jude
e Gabriele erano bravi ma l’altra squadra avrebbe potuto vincerli data
l’altrettanta bravura.
Non
era scontato il risultato.
Avrebbero
potuto finalmente vedere la famosa e fortissima squadra imbattibile di
Jack in difficoltà?
Appena
era cominciato il campionato e li avevano visti giocare, erano tutti
stati certi che i vincitori finali indiscussi sarebbero stati loro,
invece ora le cose sembravano prendere un interessante piega
inaspettata.
Gianluca
e Alessandro erano famosi nella città che seguiva il basket giovanile,
però i due inglesi per quanto portentosi si fossero rivelati subito,
erano stati cambiati di ruolo e non erano molto conosciuti… l’apparenza
diceva che erano in gamba, ma era vero anche in altri ruoli?
Come
sapere che in realtà Trys e Dany erano nati proprio coi ruoli di ali,
prima che arrivassero in quella squadra e fossero cambiati?
E
poi Francesco aveva rotto le gambe, non aveva più giocato praticamente
da subito. Il gran playmaker che valorizzava le doti di tutti, specie
quelle di Jude. Per questo per lui giocare era stata dura, aveva dovuto
cambiare completamente il suo gioco, non poter più affidarsi sul
sostegno dell’amico l’aveva disorientato e non era stato il Jude re
delle finte di sempre.
Gabriele
era grande nella difesa, davanti a lui nessuno passava, certo, ma era
tutto lì.
Tutti
quei cambiamenti e quelle perdite improvvise non erano facili da
affrontare. Ce l’avevano messa tutta, i ragazzi, durante l’anno, in un
modo o nell’altro ne erano sempre usciti ma ora che perdevano le due
colonne come avrebbero fatto?
La
curiosità dei fan e degli esperti di basket era alle stelle.
Certo
molti avrebbero voluto stare in centrale per sapere in tempi più brevi
come andavano le indagini per il caso, come faceva Jack, e vedere come
sarebbe andata visto che poteva finire da un momento all‘altro, ma
certo non potevano farlo. Aspettare era tutto ciò che agli altri era
consentito. Solo Jack quasi non si staccava da Alessandro essendo per
lui il ragazzo come un figlio e conoscendo il suo passato meglio degli
altri. Cercando di aiutarlo in tutti i modi possibili non se ne andava
quasi mai, proprio come Gianluca e suo padre, l’avvocato.
Anche
Samantah non voleva separarsi da loro a costo di stare in sala d’attesa
nella speranza di ricevere buone notizie.
Jack
aveva affidato la squadra a Marek a malincuore, consapevole però che
era l’unica cosa e che certo non avrebbe avuto la testa per affrontare
la finale. Non si sarebbe mai separato da quel combina guai di
Alessandro. Questa volta l’aveva fatta grossa.
Trystin
e Daniel, invece, avevano detto a Gianluca di stare tranquilli e fare
quel che dovevano per quel caso senza speranza e che se la loro
testimonianza sarebbe servita, di chiamarli immediatamente.
Ad
ogni modo finché avrebbero potuto alla squadra e alla vittoria ci
avrebbero pensato loro.
Ed
ora il momento era arrivato.
La
partita e il culmine delle indagini.
La
panchina non contava molte presenze, se avessero subito degli infortuni
sarebbe stata dura. Le riserve migliori erano tutte in campo.
Per
Marek stare lì seduto senza Samantah e Jack era dura ma sapeva bene che
per loro era peggio.
Aveva
dovuto prendere delle decisioni difficili ed importanti, per
l’incontro. Cruciali.
E
non avere il sorriso luminoso della sua ragazza che lo rassicura
convinta sull’esito positivo dell’incontro, non era una passeggiata.
Ogni
tanto si girava verso la panchina credendo di vederla e sentirla
gridare come una matta, ma poi tornava al campo riflettendo che non era
lei quella sotto accusa e che l’avrebbe rivista di certo.
La
tensione per il pensiero di quel che avveniva in centrale e sul campo
gettava nell’ansia anche lui, nonostante non lo desse a vedere
esteriormente. Rimaneva serio e concentrato, sul viso nemmeno l’ombra
di un sorriso e gli occhi blu penetravano uno ad uno i giocatori in
campo. Si passava compostamente le mani fra i corti capelli mossi e
l’unico segno che indicava il suo subbuglio interiore era portato dal
fatto che non li aveva domati con del gel come faceva di norma negli
incontri ufficiali. Aveva un aria appena più trasandata e se lo si
osservava attentamente si notava un ombra di barba sul volto.
Aveva
rischiato tanto e le decisioni alla fine le aveva dovute prendere da
solo. Era stato lui a rassicurare Jack e dirgli di stare con Alessandro
e cercare di risolvere il guaio. Ora però avrebbe voluto non dover
avere un peso simile sulle proprie spalle, non era da poco.
Eppure
a quel punto a pochi centesimi di secondo dall’inizio della partita, i
dadi erano stati tratti, non rimaneva che giocare.
Fu
così che arrivò il fischio d’inizio, sentendolo si impose di non
pensare ad altro che alla partita e svuotando la mente si concentrò sui
suoi ragazzi.
A
saltare e contendersi la palla d’inizio era stato Daniel dalla grande
elevazione.
I
capelli neri gli si erano allungati rispetto a quando era arrivato in
squadra, mesi prima, ed ora gli stavano più disordinati che mai sul
viso. Probabilmente non guardò altro che la sfera che si innalzava
sopra le loro teste. Nessun altro fra lui e lei e con apparente
facilità fece quello che tutti credettero un volo, in realtà solo il
primo della serata.
Appena
la toccò istintivamente la passò a Trystin. Era stato un riflesso
incondizionato fatto senza riflettere, come suo solito.
“Non a lui!” Pensò
contraendo la mascella Marek. Se Daniel, la neo ala, si dimenticava chi
era ora il nuovo playmaker erano a posto!
Ma
se lui ebbe un lapsus poiché non rifletteva mai, Trystin no e passò
immediatamente alla persona giusta.
Francesco
la prese e prendendo un respiro profondo chiuse momentaneamente gli
occhi color cioccolata, poi velocemente li riaprì e concentrato
cominciò a muoversi.
Tutti
corsero seguendolo, chi lo precedeva, chi lo rincorreva o lo affiancava.
Nessuno
perse un secondo di vista i suoi ricci ormai lunghi trattenuti in una
coda bassa dalla quale sfuggivano molte ciocche che gli si inanellavano
intorno al viso dai lineamenti regolari e l’espressione serena.
Soprattutto
Jude.
Era
la prima partita ufficiale dopo la lunga pausa. Tutti si erano stupiti
di vederlo guarito molto prima del tempo, ma dal semplice allenarsi al
giocare addirittura una finale di quel tipo, ce ne passava!
Si
erano opposti quando si era proposto di giocare ma alla fine non c’era
stato verso di convincerlo.
Era
un’occasione importante e Marek stesso aveva dovuto ammettere che non
era solo utile ma in effetti l’unica soluzione per avere qualche
possibilità di vincere.
Quando
tutti videro il vero playmaker in campo un’ovazione si levò dagli
spalti.
L’avevano
appena intravisto in panchina ma nessuno aveva pensato che si sarebbe
davvero messo a giocare!
Ebbene
per la prima azione ufficiale che impostò dopo moltissimo tempo di
ferma, si fece aiutare da Jude come ai vecchi tempi ripristinando
ufficialmente l’autentica coppia d’oro.
Coppia
ormai in più di un senso.
Per
entrambi fu una scarica di adrenalina pura che diede una forte energia
per mettere a segno degli splendidi tre punti per cominciare.
Era
questa la nuova specialità del giovane re delle finte. I tiri da tre.
Francesco
lo guardò sorpreso come tutti gli altri, quindi gli andò incontro e
saltando planò letteralmente fra le sue braccia stringendolo felice.
A
questa esultanza gioiosa tutti risero e si sentirono immediatamente
euforici.
Lentamente
la tensione cominciava a scemare.
La
verità era che erano in gran forma, considerando tutto!
Ovviamente
gli altri risposero subito con un altro attacco ma furono fermati
immediatamente da Gabriele la cui difesa era tipo un muro invalicabile.
Con gli occhi d’argento che fulminavano chiunque gli si parasse
davanti, a costo di stare al limite del fallo, e lui sapeva
controllarsi bene nonostante le apparenze, bloccava il passaggio a
chiunque.
Ripassò
immediatamente la palla a Francesco che con un gran sorriso gridò
sicuro ed allegro:
-
FORZA RAGAZZI, DIAMOCI DENTRO! – Al quale tutti risposero con un ‘sì’
altrettanto convinto. A parte Trystin che si limitò a tenere d’occhio
tutti quelli in campo come una specie di angelo supervisore.
“Eccolo
là l’altro sostegno della squadra. Mancherà Ale che di solito è la
benzina del gruppo anche se spesso tratta male gli altri, è
insopportabile, esasperante e fa troppi scherzi sfiancanti, ma abbiamo
riguadagnato un altro membro altrettanto importante, per quella famosa
benzina. E Francesco è decisamente più ben voluto dell’altro, visto che
è allegro, gentile e tranquillo! Una vera manna dal cielo!”
Pensò
Marek con un sospiro di sollievo vedendo quanto bene facesse la
presenza del vero playmaker fra loro.
Riuscirono
a mettere a segno altri due punti con una poderosa schiacciata di
Daniel che, riacquistato il suo ruolo originario, appeso al ferro del
canestro sembrava tornato nel suo ambiente naturale!
Purtroppo
però gli avversari che li avevano lasciati fin troppo liberi, la volta
successiva riuscirono a mettere a segno i loro primi due punti e da lì
parvero decollare.
Nonostante
la bravura di Gabriele nella difesa che prendeva molte palle
interrompendo il loro gioco, gli altri erano terribilmente abili a
riprendersi immediatamente e a non lasciarsi sfuggire nemmeno un
occasione.
Per
un paio di minuti non riuscirono più a segnare e la rimonta avversaria
fu scoraggiante.
Alla
fine del primo quarto erano in svantaggio anche se di poco.
La
grinta positiva con cui erano partiti vacillò.
Seduti
in panchina a bere e asciugarsi il sudore, riprendendo il fiato, Marek
si fece forza cercando di pensare a cosa avrebbe detto loro Jack.
Costatando
che quell’uomo era imprevedibile e che probabilmente avrebbe fatto loro
i complimenti dicendo che andavano forte, si decise a pensare a
qualcosa di testa sua!
-
Ragazzi, non dovete perdere tempo a pensare che loro sono più forti di
quello che vi aspettavate e che l’ennesimo cambiamento all’ultimo non
vi ha giovato affatto. Non piangetevi addosso nemmeno per un momento, è
una perdita di tempo. Pensate piuttosto all’unica cosa sensata e utile.
Cosa potete fare per prendere in mano la partita. Avevate iniziato
bene, riprendetevi quell’entusiasmo. Lasciate da parte la tensione e
smettete di guardare tutto quello che non va. Se ci fosse ‘lui’
potrebbe occuparsi facilmente di ‘quello’, e via dicendo. Evitate
pensieri di questo tipo. Qua ci siete voi! – Dopo di questo diede
consigli tecnici su come affrontare i rivali singolarmente e sulle
azioni a cui dovevano puntare.
Il
secondo quarto riprese con un altro ritmo, il loro stesso umore pareva
più sollevato mentre tornavano a segnare.
Trystin
stesso mise a segno metà dei punti da solo dimostrando quanto anche a
lui fosse mancato il suo vero ruolo.
Fare
il playmaker era bello, certo, e lui era bravo, ma nulla era come fare
canestri e basta.
Prendere
palla e metterla a segno in qualunque modo, da qualunque posizione.
Riuscire
passare la palla a lui era quasi una garanzia, difficilmente sbagliava
ed anche se gli aumentavano la marcatura per fermarlo, riusciva a
farcela in qualche modo.
Spesso
si faceva aiutare da Daniel che sapendo perfettamente il suo modo di
giocare ed i suoi tempi interveniva laddove sapeva gli avrebbe tirato
la palla.
Ed
era lui, allora, a metterla dentro volando!
Ogni
volta che sotto i riflettori era il bel biondo dai capelli biondo
platino che come sempre andavano da tutte le parti, solo leggermente
più lunghi del suo solito, e gli occhi azzurri, le ragazze gridavano
dagli spalti risultando addirittura snervanti.
Di
minuto in minuto, mentre le loro azioni procedevano facendoli sentire
sempre meglio, si alzava anche il loro livello diventando sempre più
precisi e forti. Certo gli altri contrattaccavano alla grande, ma
riuscirono a recuperare tutto.
Il
secondo quarto terminò alla pari.
Marek
li esortò a fare di più continuando su quella strada.
Sebbene
sembravano dimentichi della sorte ignota di Alessandro, in realtà una
piccola parte di loro ci pensava.
Come
stavano andando?
Se
lo chiedevano guardando sfuggenti l’ora al tabellone.
Nonostante
non fossero mai stati una squadra unita, ora si trovavano in pensiero
per due di loro che erano sempre stati antipatici a tutti.
Ad
eccezione di Trys e Dany che ormai erano amici a tutti gli effetti.
Eppure
il moro a bordo campo lo vedeva che giocavano tutti con solo tre quarti
di cervello, mentre uno era perennemente occupato con quei due che
mancavano.
Nel
terzo quarto questo pensiero divenne però sempre più evidente. Man mano
che il tempo avanzava guardavano sempre più quanto mancava e non per
sapere quanto avevano a disposizione per vincere, bensì quanto li
separava dal poter avere nuove notizie.
Specie
Trystin e Daniel avevano fretta di saperlo.
Il
nervoso tornò a prenderseli e gli altri subito riuscirono ad
approfittarne tornando in vantaggio.
Nell’ultimo
intervallo il giovane allenatore che aveva la mente vuota e pensava di
non avere più la minima idea di cosa dirgli per scuoterli, si morse il
labbro guardandoli spaesato e teso, le mani ai fianchi strette, molti
sospiri uno dietro l’altro.
Li
osservò uno ad uno. Francesco molto stanco e provato ormai stava
cedendo, non più abituato ad una partita intera e ad un ritmo simile.
Era più sudato degli altri ed aveva una gran brutta cera.
Jude
preoccupato per lui cercava di prendersi più carico nelle sue palle ma
non essendo lui il playmaker poteva fare ben poco, per questo finiva
per essere intrattabile e sbagliare molti dei suoi ormai famosi tiri da
tre o addirittura le sue finte! Un’espressione più rabbiosa non si era
mai vista sul suo viso sensuale!
Gabriele
poteva fulminare il mondo, in quell’istante, cosa normale per lui in
effetti. Non aveva preoccupazioni particolari e rispetto agli altri
pensava pochissimo a che fine avrebbe fatto Alessandro o alla salute
precaria di Francesco. Ciò che lo urtava dal profondo era l’idea che
gli avversari passassero così tanto la sua difesa, qualcosa di
inaccettabile e più si innervosiva per questo, più gli altri riuscivano
a sopraffarlo.
Daniel
non riusciva a segnare più come nel secondo tempo, riuscivano a
prevedere le sue schiacciate e ad impedirgli di andare in soccorso di
Trystin quando lo chiudevano. Una specie di falco in gabbia che non
riusciva a liberarsi. Si sentiva costretto a stare a terra, a non
volare come voleva e a non giocare come sapeva. L’istinto di picchiare
chi lo marcava era alto ed era comunque riuscito a fare tre falli. Se
non fosse stato attento sarebbe scattata l’espulsione e lì davvero
sarebbe stata probabilmente la fine.
Poi
il tempo. Quel tempo che per un lato voleva terminasse, per un altro
no. Non sapeva decidersi, era irrequieto, un’anima in pena con troppi
pensieri e troppi fastidi. Si vedeva che non aveva pace e testa per
continuare.
Trystin
era l’unico all’apparenza tranquillo e controllato anche se sapeva bene
che voleva andare a vedere come andava. La sua mente non era più così
presente come prima ma cercava di controllarsi. Ci sarebbe riuscito
bene se anche gli altri avessero fatto altrettanto. Certo non ne aveva
risentito molto il suo gioco perfetto e deleterio, aveva segnato
tantissimo, ma l’altra squadra aveva fatto di più. Essere quasi solo ad
essere in forma non poteva di certo bastare e ormai anche le sue forze
cominciavano a volgere al termine, considerando che fra tutti era
quello che avevano pressato maggiormente.
Cosa
dire? Si chiese Marek sapendo di dover parlare.
Si
passò le mani sul viso teso, infine si decise e senza avere idea di che
cosa avrebbe detto, aprì bocca pensando a coloro che mancavano e a
quanta differenza potevano fare Ale e Gian:
-
Sono per lo più odiosi e piantagrane, trattano male gli altri per hobby
o per senso di superiorità, eppure la loro mancanza vi fa soffrire in
un modo o nell’altro. Sono indispensabili, eh? Però credete che loro
due da soli riuscirebbero a vincere questa partita? No. – Infine
allargò le braccia e concluse con la più totale onestà: - La verità è
che sono insopportabili per un sacco di motivi e se perdeste ve lo
rinfaccerebbero per il resto dei loro giorni, qualunque esito avrà
quell‘indagine. Diventeranno ancora più insopportabili. Io dico questo.
– Quindi puntò loro il dito contro e con determinazione ed una luce
enigmatica negli occhi blu, concluse: - Non per voi, non per questa
partita o per la finale. Date loro una bella lezione. Fate vedere che
ve la cavate alla grande anche da soli! –
“Dobbiamo
fare la nostra parte!”
Pensarono
a quello gli altri cinque seduti a fissarlo seri e concentrati come se
fossero sul filo di un rasoio.
La
tensione si tagliava in due e con quegli stati d’animo pericolosi e
strani, senza dire mezza parola, scesero in campo per giocare l'ultimo
quarto.
La
determinazione si impadronì di lui quando le sue iridi verdi si
schiarirono mentre le puntava in un pezzo di cielo più chiaro a causa
del sole che splendeva vicino.
Il
colore di Alessandro che talvolta sembrava addirittura diamante.
Gli
aveva dimostrato tutto ciò che provava per lui, aveva fatto di tutto
arrivando al punto di sparare a qualcuno al suo posto e a raccogliere
le sue paure, gli aveva tirato fuori quello che aveva sempre nascosto
in sé, grazie a lui si era scoperto vivo. Grazie a lui non era più
nemmeno l’ombra di un tempo.
Ma
più di ogni altra cosa, ciò che gli premeva davvero era che senza Ale
le tenebre l’avrebbero avvolto di nuovo e questa volta in modo totale e
definitivo.
Alessandro
non era solo l’amore e dei sentimenti, non era solo vita e gioia, non
era solo quanto di più bello e giusto gli fosse capitato.
Non
erano solo queste solite cose che tutti pensavano.
Gianluca
era convinto di una cosa, mentre aspettava:
Alessandro
era la sua luce, il suo giorno, mentre lui, da solo, altri non era che
la notte e l’ombra.
“E
per la luce si lotta con ogni mezzo.”
Mentre
lui era là ad aspettare di fare la sua mossa e mettere finalmente le
cose nelle sue mani, Alessandro chiuso in una prigione che fino alla
conclusione delle indagini sarebbe stata provvisoria, steso sul
lettino, guardava lo stesso pezzo di cielo del compagno senza vederlo
davvero.
Le
gambe incrociate allungate, le mani allacciate dietro la nuca fra i
lunghi capelli mossi e più ingarbugliati di sempre, gli occhi che a
stento si vedevano fra quella rete ribelle che non veniva toccata da
molto.
Era
da tanto in quella posizione, non si muoveva e aveva mangiato poco da
quando era lì.
Maggiorenne
e punibile per legge di un reato che non aveva commesso.
Aveva
del comico visto che ne aveva commessi tanti passati inosservati ma
quello di certo no.
Ci
era sempre andato vicino ma non aveva mai ucciso, per lo meno che lui
sapesse.
Se
poi uno che aveva conciato male non si era salvato non era mai venuto a
saperlo.
Però
quel giorno ci era andato vicino, molto vicino.
Solo
per Gianluca.
Paradossalmente
se avesse ucciso quella feccia del suo rivale di quartiere, il vero
assassino di Giada, ora non sarebbe mai stato in quel casino.
Si
era salvato e per pararsi il culo e vendicarsi aveva deciso di mettere
nei guai Alessandro, il vecchio nemico.
Se
fosse morto subito nessuno della sua banda sarebbe andato dalla
polizia, erano dei vigliacchi, li conosceva.
Invece
non l’aveva ucciso dimostrando clemenza e la ricompensa era stata
quella!
Eppure
non poteva pentirsi.
Ucciderlo
avrebbe significato perdere davvero Gianluca e avrebbe potuto
sopportare qualunque cosa ma non quella.
Non
quella.
Gli
incubi di aver sparato a qualcuno ormai facevano parte delle sue notti,
così come quelli della morte dei suoi genitori, di suo nonno e di tutto
quello che aveva patito.
Ma
Gianluca era stata la prima e unica cosa bella della sua vita,
escludendo naturalmente Jack che gli aveva ridato il basket, ricordo di
suo padre.
Per
lui avrebbe rifatto tutto, anche se le indagini si sarebbero concluse
nel peggiore dei modi.
Proteggere
davvero significava a costo di tutto, senza remore e risparmi.
“La mia vita è piena di
rimpianti ma ho smesso di averne da quando mi sono messo con lui. Non
mi importa come andrà, so che sarà così per lui e va bene. Mi brucia
solo… “ Gli occhi gli divennero lucidi e i pensieri
vacillarono mentre il fiato gli si spezzava. Il bisogno di spaccare
qualcosa e di gridare era immenso: “che
gli ho promesso di esserci sempre per lui. E proteggerlo dalle sue
tenebre, dai suoi momenti di non controllo in cui finirebbe per fare il
peggio del peggio. Mi brucia solo questo. Ho giurato di esserci sempre.
Sempre. E da qua come farò? Non ho mai mantenuto le mie promesse. Sarà
ancora così? Davvero? “
Si
alzò di scatto e strinse gli occhi che divennero due fessure azzurro
grigio, si morse il labbro inferiore fino a farselo sanguinare e tese i
muscoli delle braccia coperte da vestiti logori e sgualciti.
Il
bisogno impellente di esplodere.
L’aria
da dannato sarebbe sempre stata parte di sé.
Spostò
gli occhi sul sole sfidando a bruciarglieli:
“Se
esisti. Se esisti davvero… oh, io non ci credo, eh? Ma ammetto che non
ci ho mai azzeccato con le verità, si vede da quante cose ho sbagliato
in vita mia… e se esisti… Ti prego… se io mi sbaglio e Tu ci sei… Ti
chiedo una cosa che non ho mai osato pretendere, che non ho mai voluto.
Ma mi conosci, non chiedo mai nulla, cerco di prendermi le cose da
solo, a modo mio, ma questa volta non ce la faccio. Per cui visto che
ora chiedo qualcosa, lo faccio in grande stile. Mi conosci, sono fatto
così.
Allora
Ti prego… fammi uscire di qui, permettimi di mantenere la mia promessa
fatta a Gianluca. Permettimelo.
È
la prima e unica volta che Ti chiedo qualcosa ed anche se potevo
limitarmi a chiederti di stargli vicino, bè, non sarò ipocrita.
Voglio
starci io vicino a lui… sono geloso, non posso lasciarlo a nessuno,
nemmeno a Te!
Sempre
che Tu esista!”
Questo
fu l’unico pensiero che Ale si concesse dopo giorni passati a ricordare
tutti gli sbagli e le cose orrende della sua vita, cose che l’avevano
portato a commettere tutti gli atti per cui ora stava venendo punito.
Era
vero, ne aveva fatte ed era giusto pagare in qualche modo anche se non
esattamente per quello di cui l’accusavano, ma Alessandro era
Alessandro e nemmeno da solo sarebbe stato ipocrita.
Lui
voleva uscire ma non per paura della prigione, solo per stare per
sempre insieme a Gianluca vegliando su di lui, illuminandolo nei suoi
momenti bui.
Lo
voleva al punto da mettere da parte il suo essere e il suo immenso
orgoglio, ogni suo credo personale e parlare con Dio nonostante non ci
credesse.
Lo
voleva.
E
con quello il vecchio Alessandro morì definitivamente.
L’uomo
a capo dell’indagine non era più molto giovane, aveva sulle spalle
molte esperienze e gli occhi azzurri ricordavano incredibilmente quelli
di Alessandro nonostante la differenza d’età. Era un uomo affascinante
dall’aria severa e i capelli brizzolati. Sembrava decisamente poco
incline agli scherzi e per lui perdere tempo equivaleva a stare seduti
su una sedia elettrica!
Però
non si capiva quello che gli passava per la testa, se lui credesse
davvero alla colpevolezza di Alessandro o no.
Non
si capiva.
Però
Gianluca non perse tempo a tentare di riuscirci.
Si
concentrò su un unico fatto.
Cercare
di farsi capire da lui.
Nella
stanza degli interrogatori dove era stato ricevuto erano presenti anche
un altro agente accanto al capo del caso, era più giovane e
visibilmente incline agli scherzi. Sembrava non avesse paura
dell’altro, forse poteva essere buon segno, dopo tutto.
Accanto
a Gianluca c’era suo padre, Giorgio, a cui però aveva chiesto di
lasciarlo parlare e basta.
-
Allora. Cosa volevi dire? Ti ascoltiamo. - Disse l’uomo più grande
seduto davanti al tavolino dietro cui stava lui.
Gianluca
prese un respiro profondo, chiuse gli occhi, cercò di concentrarsi e
scacciando tutte le sensazioni possibili ed ogni pensiero di caos e
tensione, ignorando lo stomaco che si contorceva, richiamò alla mente
quei giorni dolorosi. Quindi li riaprì e puntando le sue iridi verde
intenso su quelle chiare e altrettanto penetranti dell’altro, iniziò
con fermezza, premendo su tutte le parole che gli uscivano. Parole che
gli provocavano dolore.
Le
mani congiunte che si tenevano con forza.
-
Mia madre non è stata uccisa da Alessandro e questo mi pare sia stato
appurato visto che avete confermato la sua presenza alla partita.
Voi
ora lo accusate di aver ferito gravemente il ragazzo di una banda di
quartiere che dopo avervi detto che è stato il mio amico a uccidere mia
madre, è finito in coma e non si è più svegliato. So che se ora morirà
verrà come minimo accusato della sua morte, vista la pistola che
presumo avrete trovato con le sue impronte. -
-
Come fai a sapere queste cose? - Chiese bruscamente l’agente.
-
Ad aver ucciso mia madre è stato quel ragazzo che ora sta per morire.
Alessandro poteva scoprire chi era stato ed io ero infuriato, l’ho
obbligato ad aiutarmi. Quando sono arrivato davanti a quel tipo e alla
sua banda è scoppiata una rissa. - Parlava quasi freddamente mentre con
precisione sceglieva accuratamente le parole, due lame affilate al
posto degli occhi e la voglia di vomitare crescente: - Sono riuscito a
prendere una pistola, volevo uccidere quel ragazzo, l’assassino di mia
madre. Quello che ha fatto Alessandro è stato prendere un’altra pistola
da uno di loro e sparare per primo per impedirmi di ucciderlo.
Successivamente siamo scappati senza curarci delle armi solo che mentre
la sua l’ha lasciata là, la mia non so che fine abbia fatto. -
Il
silenzio cadde pesante e proprio mentre Giorgio stava per intervenire,
l’agente a capo del caso finalmente parlò, separò le mani tenute
incrociate davanti alle labbra e mantenendo lo sguardo penetrante fisso
su Gianluca che non sentiva più nessuna parte di sé sana, disse basso e
controllato:
-
La storia non regge, lo sai? - Quasi gentile, in un certo senso, ma si
capiva che era una falsa gentilezza pronta a diventare cattiveria, una
gentilezza che nascondeva uno stato d’animo ben diverso.
-
Perché? - Chiese neutro senza sapere come faceva a rimanere così calmo:
-
Come avete fatto a scoprire chi era stato ad uccidere tua madre se noi
non siamo arrivati a nessuno prima di Alessandro? -
-
Avete sbagliato con Alessandro, questo non vi basta per liberarlo e
farla finita? - Chiese secco cominciando a perdere la pazienza. In
realtà aveva usato metodi poco ortodossi per scoprirlo, come poteva
spiegarli?
-
E’ subentrata ben altra accusa, adesso… e se quel ragazzo muore il tuo
amico è nei guai fino al collo. Finché le prove non lo scagionano da
tutte le accuse, e noi a suo carico abbiamo un fascicolo infinito visto
il suo passato, lo teniamo qua. - Rispose ancora con una falsa
tranquillità. Se si sarebbe arrabbiato sarebbero stati guai. Ma anche
per Gianluca valeva lo stesso discorso. - Ora rispondimi. Come lo avete
scoperto? -
Il
giovane si morse il labbro e zittendo con un gesto il padre che cercava
di fermarlo, rispose con sforzo:
-
La vecchia banda di quartiere di Alessandro, rivale storica di quella
con cui ci siamo scontrati, ci ha detto chi era stato. -
-
Siete stati convincenti per esservelo fatto dire… - Rispose con ironia
facendo capire che loro non avevano avuto tutta quella fortuna,
indagando su quella banda.
-
Noi potevamo usare dei metodi diversi dai vostri… - Ma non sorrideva
mentre lo diceva. Non era minimamente divertito. Faceva fatica a non
contorcersi dal dolore per il nervoso che sentiva.
-
Ammesso che sia così e che Alessandro non c’entri nulla con la morte di
tua madre… -
-
Cosa che è vera… -
-
Non ha senso che lui si sacrifichi per te. Eravate in due ad affrontare
un intera banda? E poi comunque anche se fosse stato perché ha sparato
lui al tuo posto? Non è stata trovata nessun’altra arma. Il ragazzo
ferito si è portato dietro quella usata da Alessandro e ce l’ha
consegnata dicendo che oltre ad aver ferito lui, aveva ucciso tua
madre. Tu cosa c’entri? Cosa vuoi dimostrare con questa confessione? A
meno che non abbia sparato tu, e noi abbiamo le prove che non è così,
non puoi fare nulla per lui. - A quel punto Gianluca si chiese davvero
se fare luce su quei fatti alla fin fine sarebbe servito davvero.
Messa
così sembrava davvero inutile. Qualunque fosse stato il motivo,
Alessandro comunque aveva sparato al suo posto.
Si
morse il labbro trattenendo il respiro, si premette la mano sullo
stomaco che gli si rivoltava con fitte tremende e stringend gli occhi
corrugò la fronte.
Cosa
gli rimaneva?
-
Perché ha sparato al mio posto? - Chiese con un filo d’ironia come se
fosse una domanda stupida. Fu lì che decise, non avendo idea se questo
potesse cambiare qualcosa. Certamente per lui significava tutto. - Se
la persona che ami sta per rovinarsi uccidendo qualcuno, tu cosa fai
per impedirglielo? Se fosse troppo lontano da te per bloccargli il
braccio e disarmarlo, se non avessi in mano altro che un’altra pistola.
Cosa faresti? Rimarresti a guardare sperando in un miracolo? -
Di
nuovo il silenzio calò e questa volta nello sguardo impassibile
dell’agente più grande si accese lo stupore più completo.
Credendo
di aver capito male, dopo aver elaborato la risposta, corrugando a sua
volta la fronte, si drizzò chiedendo incredulo:
-
Vuoi dire che lui ti ama? -
Gianluca
strinse forte le labbra fino a che non furono bianche, respirò
pesantemente, poi riprese coi pugni chiusi che tremavano e una
determinazione che lo penetrò e lo colpì davvero:
-
Voglio dire che ci amiamo. Che lui mi ha protetto in tutti i modi uno
può proteggere qualcuno, che l’ho obbligato io a fare ciò che ha fatto,
che non è colpa sua se quello è ferito e sta morendo, che non voleva
farlo e non l’avrebbe fatto, è stato un incidente, una cosa improvvisa,
non premeditata o intenzionale. Sono stato io a farglielo fare e solo
perché ci amiamo. Io e lui stiamo insieme e lei è libero di crederci o
no ma nessuno si sputtanerebbe per nulla come sto facendo io! -
Concluse ringhiando mentre sentiva che stava perdendo del tutto la
calma ed il controllo.
Quando
stava per succedere Ale gli aveva detto di andare da lui.
Se
lo ricordava.
Quella
notte gli aveva fatto promettere di andare da lui ogni volta che stava
per esplodere.
Ed
ora non poteva. Che promesse erano?
La
rabbia ingigantì ancora ma a placarla fu l’espressione strana
dell’altro davanti. Non poteva esserne sicuro ma gli pareva di vederci
una luce di commozione, come se quelle sue parole gli ricordassero una
propria esperienza personale.
Ma
non rivelò altro.
Lasciò
altro tempo prima di parlare ancora, poi alzandosi e avvicinandosi gli
mise una mano sulla spalla stringendo, quindi concluse deciso e
laconico:
-
Se le cose stanno così non avete da preoccuparvi. Ora sappiamo cosa e
dove cercare. -
L’altro
agente si stupì della sua reazione e quasi sconvolto si chiese se non
fosse impazzito.
Certamente
non poteva rivelare cose simili a chi era coinvolto in un indagine, ma
a parte questo gli parve ci fosse dell’altro dietro.
Però
uscirono prima di poter capire di più.
Una
volta soli Gianluca si prese il viso fra le mani e accasciandosi sul
tavolino sciolse tutti i nervi piangendo.
-
Sei stato bravo. Preferivo non ti mettessi in mezzo ma ora lascia fare
a me. Andrà tutto bene. - Disse dolcemente suo padre carezzandogli la
schiena che tremava.
Quando
vennero a liberarlo era ormai sera.
In
realtà aveva pensato lo stessero prendendo in giro e dicendo: - Non
prendetemi per il culo! - non si era mosso dal letto.
Allora
il capo dell’indagine in persona era entrato nella sua cella e l’aveva
preso bruscamente per il braccio alzandolo di peso.
-
Non fare l’imbecille che il tuo ragazzo non se lo merita! - Gli ringhiò
minaccioso a due centimetri dal viso.
Il
biondo che aveva i capelli quasi tutti sul viso sgranò gli occhi non
sentendo più alcuna funzione vitale. Per la prima volta capì cosa
significava essere leggeri ed incorporei.
Le
giunture si scollegarono e le ossa si sciolsero, se l’altro non
l’avesse sostenuto sarebbe caduto lungo disteso, mentre la sua mente
gli rimandava mille possibili risposte a quella frase criptica!
Non
capì nulla per un lungo momento, quindi farfugliò confuso:
-
Gianluca?! - Quello racchiudeva tutte le sue domande e le sue risposte,
comprese le consapevolezze e i dubbi!
L’uomo
dagli occhi quasi uguali ai suoi si illuminò di un ghigno
indecifrabile, quindi fece continuando a sostenerlo:
-
Quanti ragazzi hai? -
Allora
aveva detto tutto?
E
come era finita?
Non
ci capiva ancora nulla…
-
Solo lui, adesso! - Il che significava che un tempo ne aveva avuti più
di uno… bè, era il tipo, si disse l’altro guardandolo nascondendo il
suo divertimento.
-
Fa in modo che rimanga il solo altrimenti trovo il modo di rimetterti
dentro! -
-
Ma… -
Vedendo
che ancora non capiva, o non voleva crederci, disse brusco:
-
Come fa ad amare un impiastro come te? Sei in libertà vigilata fino al
processo, ora è tutto nelle mani del tuo avvocato… ma se vuoi un parere
spassionato penso che anche dopo sarai libero e non vigilato! -
L’allusione al fatto che tutto si sarebbe concluso al meglio fu chiara
e questa la capì.
Fu
così che si accese e riprendendo le forze e colore gli afferrò a sua
volta le braccia e cominciò a chiedergli a mitraglia tutto quello che
gli passava per la mente per sapere cosa era successo nei dettagli.
Esasperato
l’agente sbuffò e lo mollo spingendolo poco gentilmente fuori dalla
cella:
-
Vattene prima che ti metta una museruola e ti rinchiuda di nuovo qua! -
Non rispose nemmeno ad una domanda!
Quando
finalmente si rividero capirono come si poteva piangere di felicità ed
emozione.
Nonostante
tutte le sue domande furono rimaste senza risposta, nella sua mente si
era formata una visione precisa di quel che Gianluca poteva aver fatto
per lui e l’istinto di dirgli se era impazzito al suo posto, se magari
l’avesse contagiato, fu grande. Aveva pensato di dirgli un sacco di
altre cose quando si sarebbero rivisti, ma mentre lo guardava da
lontano solo una cosa gli veniva in mente.
La
sua richiesta a Dio.
“Io
sarò pazzo ma Tu lo sei più di me ad avermi ascoltato… Ti rendi conto
che avevi la possibilità di restituirmi tutto ciò che avevo combinato e
tenermi sotto controllo in un buco di merda e che invece mi hai
liberato?”
Poi
vide che Gianluca, il suo Gianluca, era di nuovo l’ombra di sé stesso,
che aveva pianto e che peggio di così non l’aveva mai visto. E si fermò
ad osservarlo un attimo da lontano mentre firmava per uscire. Quindi
sorridendo dolcemente e arrendevole concluse con aria d’ammissione:
“E
mi hai anche ricompensato con un angelo che mi ha salvato… bè, ma
questa volta Ti ho capito. Me l’hai mandato affinchè io Te lo
rimettessi in sesto, vero? Va bene, so che ha bisogno di me… del resto
ora posso mantenere le mie promesse… “ Poi staccò lo sguardo per
alzarlo al cielo, coperto dal soffitto della centrale, e ammiccante
disse: “Ehi, anche questa è una promessa, eh?”
Alessandro
senza rendersene conto aveva iniziato a credere in Dio.
E
mentre Samantah si stringeva a Marek piangendo come anche Jack, Daniel
veniva trattenuto da Trystin per impedirgli di saltare al collo al suo
amico e lui pensava a sua volta “Quei
due non fanno che salvarsi a vicenda!”, Gianluca guardava
il suo bel ragazzo selvaggio che firmava le carte per uscire ascoltando
le parole di Max che diedero voce ai sentimenti e ai pensieri di tutti:
-
Questa è la nostra fede, ragazzi. Noi che crediamo ancora, nonostante
tutto, che le cose si sistemeranno aspettando fiduciosi. E noi che
veniamo ricompensati. Non importa dopo quanto e quel che patiamo nel
mezzo. Se noi aspettiamo che tutto vada bene vuol dire che crediamo. E
se crediamo, qualunque nome gli si voglia dare, Dio, luce, vita o
giustizia, verremmo ricompensati. -
Quando
Alessandro fu libero di andare, si mise addosso la sue espressione più
felice e radiosa insieme, quindi prendendo la rincorsa saltò fra le
braccia di Gianluca che, preso alla sprovvista, cadde a terra con un
grande botto.
Però
nessuna imprecazione.
Solo
le loro braccia che si circondavano stringendosi forte e le labbra che
si trovavano dando vita ad un bacio salato di lacrime di gioia ed
emozione.
La
rinascita.
Il
tempo si cristallizzò.
Tutto
era perfetto.
- E
questo comunque è credere nell’amore. - Concluse Samantah ridendo
planando sui due a terra, imitata da Daniel.
Ora
la vita cominciava per tutti.
FINE